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    Von der Leyen e Meloni insieme in Egitto in vista della firma di un partenariato strategico sul modello Tunisia

    Bruxelles – Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni voleranno insieme al Cairo domenica 17 marzo per portare avanti le trattative con Abdel Fattah al-Sisi sulla firma di un partenariato strategico Ue-Egitto. I dettagli erano già stati discussi a Bruxelles lo scorso gennaio, in occasione del decimo Consiglio di Associazione tra i due partner, quando il commissario Ue per l’Allargamento, Oliver Várhelyi, aveva previsto la chiusura dell’accordo entro fine febbraio.I tempi sono maturi. Con la presidente della Commissione europea e la premier italiana ci saranno anche i primi ministri di Belgio e Grecia, Alexander De Croo e Kyriakos Mītsotakīs. In replica di quell’approccio Team Europe che l’estate scorsa – in quell’occasione, con von der Leyen e Meloni c’era il premier olandese Mark Rutte – convinse il presidente tunisino Kais Saied a firmare il Memorandum d’Intesa Ue-Tunisia. Oggi (8 marzo) la portavoce della Commissione europea, Veerle Nuyts, non si è sbilanciata, limitandosi a confermare che la delegazione Ue sarà al Cairo “nell’ambito delle discussioni sul rafforzamento della partnership Ue-Egitto”.Ursula von der Leyen e Abdel Fattah al-Sisi al Cairo nel  luglio 2022Il partenariato Ue-Egitto si baserà su sei pilastri di “interesse reciproco”, avevano illustrato Várhelyi e il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, già il 23 gennaio. Relazioni politiche, stabilità economica, investimenti e commercio, migrazione e mobilità, sicurezza e demografia, e soprattutto cooperazione energetica. Perché se il Memorandum con la Tunisia ruota maggiormente intorno alla gestione delle frontiere e alla cooperazione in materia migratoria, per l’Egitto – un Paese che già ospita sul suo territorio oltre 9 milioni di migranti – le sfide e le opportunità sono differenti. “Il potenziale dell’Egitto in termini di elettricità verde è difficile da eguagliare”, aveva ammesso il commissario Ue: Bruxelles è particolarmente interessata all’enorme bacino energetico del Paese nordafricano, non solo in termini di gas ma anche di energia rinnovabile.L’Ue è già impegnata con l’implementazione del piano economico e di investimento per l’Egitto, che prevede la mobilitazione di 9 miliardi di euro in investimenti nei settori alimentare, idrico ed energetico, nel periodo 2021-2027. E per il quale sono già stati mobilitati 5,8 miliardi di euro. Dal punto di vista egiziano, rafforzare la partnership con Bruxelles non è altro che la conseguenza naturale del fatto che già oggi l’Ue è il primo partner commerciale del Cairo: i 27 del blocco Ue coprono oltre un quarto di tutti gli scambi dell’Egitto.

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    La Svezia è diventata ufficialmente il 32esimo Paese membro Nato

    Bruxelles – Dopo quasi due anni di attesa, il processo di adesione è ufficialmente concluso e da oggi (7 marzo) la Svezia entra a far parte “con pari voce in capitolo nella definizione delle politiche e delle decisioni” della Nato. È quanto annunciato dal segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, sottolineando “il giorno storico” per Stoccolma e per tutta l’Alleanza: “Avrà ora il posto che le spetta al tavolo della Nato”.

    Da sinistra: il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, e il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergStoltenberg ha così accolto il 32esimo Paese membro dell’Alleanza Atlantica, a meno di un anno dall’ultimo ingresso, quello della Finlandia (il 4 aprile 2023). “Dopo oltre 200 anni di non allineamento la Svezia gode ora della protezione garantita dall’articolo 5, la massima garanzia per la libertà e la sicurezza degli Alleati”, ha ricordato il segretario generale Stoltenberg, che accoglie con favore “forze armate capaci e un’industria della difesa di prim’ordine”. Senza risparmiare una stoccata alla Russia sul tema della libera scelta da parte dell’Ucraina (e non solo) di poter accedere all’Alleanza in futuro: “L’adesione di oggi dimostra che la porta della Nato rimane aperta e che ogni nazione ha il diritto di scegliere la propria strada“.A questo punto si attende solo la cerimonia dell’alzabandiera lunedì prossimo (11 marzo), quando la bandiera svedese sarà issata insieme a quelle degli altri 31 alleati presso il quartier generale della Nato a Bruxelles e in tutti i comandi in Europa e in Nord America. “Grazie a tutti gli alleati per averci accolto come 32esimo membro”, ha commentato il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, dopo l’incontro a Washington con il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken: “Ci impegneremo per l’unità, la solidarietà e la condivisione degli oneri e aderiremo pienamente ai valori del Trattato di Washington”, ovvero “libertà, democrazia, libertà individuale e Stato di diritto”.

    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, al vertice di Vilnius (10 luglio 2023)Il protocollo di adesione di Svezia era stato firmato (insieme alla Finlandia) il 5 luglio 2022 – dopo la svolta strategica storica la politica di sicurezza nazionale tradizionalmente legata al non-allineamento – e da allora per Stoccolma è stata una strada in salita. A oltre 19 mesi dal vertice di Madrid, l’Ungheria era rimasto all’inizio di quest’anno l’unico Paese membro a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica, quando anche la Turchia aveva messo fine al suo durissimo blocco. Un mese e mezzo fa il premier ungherese, Viktor Orbán, aveva fatto cadere formalmente il suo breve ostruzionismo, ma lo stesso non aveva fatto il suo partito Fidesz, boicottando la sessione straordinaria di inizio mese. Trovatosi sotto pressione da parte degli altri membri – e messo con le spalle al muro dalla visita di Kristersson – il premier ungherese ha infine spinto i membri del suo partito a far crollare la resistenza. Il via libera da Budapest è arrivato infine lo scorso 26 febbraio, dopo l’incontro nella capitale ungherese tra i premier Orbán e Kristersson per discutere di cooperazione in materia di difesa e sicurezza.Come si entra nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergLa procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    L’Ue firma un nuovo partenariato sulla migrazione con la Mauritania. E impegna 210 milioni di euro

    Bruxelles – Un altro partenariato strategico sulla migrazione. Questa volta l’Ue mobiliterà 210 milioni di euro per la Mauritania, paese del Sahel occidentale da cui passa la rotta che porta decine di migliaia di persone migranti sub-sahariane a tentare la traversata per raggiungere le Isole Canarie, e quindi la Spagna. La commissaria Ue per gli Affari interni, Ylva Johansson, l’ha lanciato da Nouakchott, insieme al ministro dell’Interno e della Mauritania, Mohamed Ahmed Ould Mohamed Lemine.Il terreno era stato già seminato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che nella capitale della Mauritania era stata solo un mese fa, accompagnata dal primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. Così come il ben più ampio partenariato globale con la Tunisia, anche questo si baserà su cinque pilastri. E prevede una cooperazione “basata sulla solidarietà, sulla responsabilità condivisa e sul rispetto dei diritti umani e fondamentali“.

    La commissaria Ue per gli Affari Interni, Ylva JohanssonDa un lato il sostegno alle iniziative del Global Gateway: investimenti, infrastrutture e creazione di posti di lavoro, soprattutto nel settore dell’energia. Dall’altro la gestione della migrazione, con l’imperativo della lotta a quella irregolare e al traffico di migranti. E con la promozione di una mobilità qualificata di studenti, ricercatori e imprenditori. “Anche l’Europa ha bisogno della migrazione – ha dichiarato Johansson in conferenza stampa da Nouakchott -, ma di una migrazione regolare”.Nell’idea che per arginare le partenze dall’Africa occorra migliorare l’accesso al lavoro e al credito nei Paesi d’origine e di transito, l’Ue mobiliterà risorse per “rafforzare l’accesso alla formazione professionale e ai finanziamenti per le imprese”, oltre che per “migliorare le capacità e le competenze dei giovani mauritani, in particolare delle donne”. In parallelo, Bruxelles si impegna a sostenere le capacità di accoglienza nazionali e gli sforzi della Mauritania per affrontare l’arrivo di rifugiati nel proprio Paese.Il fulcro dell’accordo è però la cooperazione per prevenire la migrazione irregolare, alla luce degli oltre 40 mila arrivi registrati nel 2023 nell’arcipelago delle Canarie, in aumento del 161 per cento rispetto al 2022. L’obiettivo è combattere il traffico di migranti e la tratta di esseri umani, trovando al contempo strumenti per proteggere le vittime. Ciò dovrebbe avvenire attraverso indagini congiunte, un rafforzamento della sicurezza e una maggiore cooperazione operativa. La commissaria Ue, che nel 2020 aveva visitato Nouadhibou, uno dei punti di partenza per le Canarie, ha sottolineato che quel tratto di 800 chilometri di mare “è quello che registra il maggior numero di vittime e di tragedie”.E in mare, la Mauritania dovrà rafforzare la gestione delle frontiere: Frontex fornirà formazione e attrezzature alle autorità nazionali, con l’obiettivo di aumentare la cooperazione nelle operazioni di ricerca e salvataggio e di rendere più capillare il controllo delle coste. Un compito, quello di smantellare il modello di business dei trafficanti, su cui “la Mauritania ha già fatto un ottimo lavoro”, ha sottolineato Johansson. Ma non solo, lo stesso discorso vale per l’accoglienza dei rifugiati provenienti dai conflitti vicini, come dimostra il “lavoro eccellente con i 150 mila profughi dal Mali”.

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    L’ingresso dell’Ucraina nell’Ue non sarebbe un vantaggio solo per Kiev

    Bruxelles – Costi, certo. Ma anche benefici. E non di poco conto. La scelta politica dell’Unione europea di far entrare i Paesi dell’est nel club a dodici stelle è decisa, dettata anche, certamente, da ragioni geopolitiche e da un conflitto russo in Ucraina che ha inevitabilmente ridisegnato logiche e strategie. E avviato ragionamenti su cosa e come cambierà l’Unione europea. A fare primi calcoli è il think tank Bruegel, in uno studio d’impatto sull’ingresso in particolare dell’Ucraina nel club. Viene messo in risalto innanzitutto che “complessivamente il costo netto dell’ingresso dell’Ucraina nell’Ue per gli attuali Paesi membri ammonterebbe a 136 miliardi di euro a prezzi correnti nel periodo dal 2021 al 2027, ovvero allo 0,13 per cento del Prodotto interno lordo dell’Ue”.Può sembrare una cifra elevata, ma i calcoli condotti da Bruegel mostrano che a livello di bilancio comune, la dimensione complessiva dell’impatto dell’adesione dell’Ucraina all’Ue sul Mff 2021-2027sarebbe un aumento dall’1,12 per cento all’1,20 per Pil nello scenario di base, che presuppone che l’Ucraina riacquisti la sua integrità territoriale e che la guerra non ha alcun impatto a lungo termine sulla popolazione o sul PIL del Paese. Inoltre la maggior parte dei contribuenti netti dovrebbe contribuire con circa lo 0,1 per cento in più del proprio Pil al bilancio dell’Ue. Cifre non certo esorbitanti.Attenzione, però: si tratta di una stima, peraltro preliminare. Perché, si precisa, quello prodotto è “lo scenario di base”. Avere un’idea di cosa può significare in termini economici la piena adesione dell’Ucraina non è al momento semplice, perché sono tante le incognite, prima fra tutte i confini del Paese. Ucraina pre-conflitto o Ucraina senza Donbass?Il cambiamento nella politica di coesioneQuel che è certo è che gli Stati oggi membri perderebbero un po’ di finanziamenti in uno scenario allargato all’Ucraina. Bruegel stima che i Ventisette Paesi “riceverebbero 24 miliardi di euro in meno in finanziamenti per la coesione” rispetto alla situazione attuale, senza l’Ucraina. Il motivo di questa perdita multi-miliardaria è che l’ingresso di Kiev ridurrebbe il Reddito nazionale lordo medio pro-capite dell’Ue, che è un indicatore dell’allocazione dei fondi. Il problema non è nuovo, tanto che il gruppo di esperti della Commissione Ue ha già avvertito la Commissione stessa che in prospettiva serviranno più fondi.  Per l’Italia c’è in ballo tutta la partita del Mezzogiorno e i fondi a sostegno del Sud. Non certo una cosa da poco.Cosa può ottenere l’UcrainaAl netto dell’ingresso nell’Unione europea, l’Ucraina da questa membership può avere ritorni certamente economici. In particolare, secondo i calcoli preliminari, Kiev otterrebbe 32 miliardi di euro in pagamenti per la politica di coesione, 85 miliardi di euro in pagamenti per la Politica agricola comune (Pac) e 7 miliardi di euro in pagamenti da altri programmi dell’Ue (tutti i numeri sono a prezzi correnti e si riferiscono all’intero Mff 2021-2027). La spesa per la pubblica amministrazione europea potrebbe aumentare di 4 miliardi di euro, mentre l’Unione europea risparmierebbe circa 2 miliardi di euro sui fondi attualmente destinati ai suoi vicini. I vantaggi per l’UeUn’Unione europea più grande, con l’Ucraina al proprio interno farebbe certamente il bene di Kiev. Ma cosa guadagna l’Ue da questo allargamento? Bruegel risponde anche a questo. In primo luogo l’integrazione dei lavoratori ucraini nei mercati del lavoro dell’UE ridurrebbe la drammatica carenza di manodopera nell’Unione. E Inoltre l’adesione migliorerebbe la sicurezza energetica dell’Ue e potrebbe ridurre i costi energetici. Guardando le cose in ottica regionale, La presenza dell’Ucraina nell’Unione potrebbe stabilizzare il vicinato orientale dell’Ue e aumentare le capacità militari e di sicurezza dell’Ue.

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    Ponti aerei e un corridoio marittimo da Cipro. L’Ue al lavoro per incrementare gli aiuti a Gaza

    Bruxelles – Potrebbe essere questione di giorni perché l’Ue apra un corridoio marittimo per far entrare aiuti umanitari a Gaza. Una prospettiva su cui Cipro ragiona dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sarà a Nicosia già domani (7 marzo) e venerdì, e visiterà il porto di Larnaca, scalo designato per le operazioni che Bruxelles si augura comincino “quanto prima”.In un contesto in cui giorno dopo giorno si sovrappongono i report e gli allarmi sulla catastrofe umanitaria in corso a Gaza, dove l’Unrwa ha dichiarato che nel mese di febbraio l’assistenza si è dimezzata rispetto al mese precedente e l’Oms ha riportato che “almeno dieci bambini sono morti di fame negli ultimi giorni”, l’Unione europea ha l’obbligo morale di accelerare i preparativi e fare tutto il possibile.Da un lato Bruxelles ha già aumentato il budget destinato a sostenere il lavoro dei partner sul campo: l’Unrwa, ma anche la Mezzaluna Rossa e la Croce Rossa. Proprio oggi il commissario Ue per la Gestione delle Crisi, Janez Lenarčič, in visita in Cisgiordania ha annunciato l’effettivo esborso della prima tranche da 50 milioni per l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Ma l’altra opzione è raggiungere la popolazione di Gaza autonomamente con beni di prima necessità dai Paesi membri. Dal 7 ottobre l’Ue ha effettuato circa 40 ponti aerei in Egitto. Che dovrebbero raggiungere Gaza attraverso dei convogli dal valico di Rafah. Ma via terra, gli aiuti non entrano o lo fanno a rilento, a causa dei combattimenti e degli ostacoli ai convogli imposti da Israele.È sempre più urgente “espandere gli strumenti”, ha dichiarato oggi Balazs Ujvari, portavoce responsabile per le questioni di aiuti umanitari per la Commissione europea. Da una parte le discussioni in via di definizione sul corridoio marittimo, dall’altra operazioni aeree – come già fatto anche da Francia, Giordania e Stati Uniti. “Stiamo studiando questa possibilità molto attentamente”, ha confermato Ujvari. Si tratterebbe di farlo attraverso il meccanismo europeo di protezione civile, anche se paracadutare gli aiuti nella Striscia “resta l’ultima risorsa”, perché “può comportare solamente l’invio di una quantità limitata di assistenza”.Più percorribile al momento l’opzione cipriota, che sarà svelata nei dettagli durante la visita di von der Leyen. Sarebbe una decisa rottura con Israele, che controlla l’accesso via mare di qualsiasi merce diretta a Gaza. Che provenga dal mare o dal cielo, in entrambi i casi l’Ue potrà contare sul contributo dell’Italia. La Camera dei deputati ha dato il via libera alle missioni Aspides nel Mar Rosso e Levante in Medio Oriente. Quest’ultima, come precisato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, “apre la possibilità di esplorare” la fornitura di aiuti umanitari dall’alto, via paracadute, nella Striscia di Gaza. E impegna contemporaneamente il governo Meloni a promuovere l’iniziativa internazionale per la creazione di corridoi marittimi, in linea con quanto ha messo sul tavolo Cipro.

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    Balcani occidentali, Consiglio Ue pronto a negoziare il Fondo di crescita

    Bruxelles – Via libera del Consiglio dell’Ue all’assistenza finanziaria dei Paesi dei Balcani occidentali. Gli ambasciatori dei Ventisette Stati membri hanno approvato il mandato negoziale per il Fondo di riforma e crescita per i Paesi della regione (Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia). Presentato dalla Commissione europea lo scorso novembre, lo speciale programma, dal 2024 al 2027, dovrebbe fornire fino a 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 miliardi di euro di prestiti ai partner dell’Ue.Il Fondo sosterrà i partner dei Balcani occidentali dell’Ue nell’intraprendere una serie globale di riforme socioeconomiche e fondamentali, anche sullo Stato di diritto e sui diritti fondamentali, sosterranno il processo di allargamento e accelerino la convergenza economica dei partner con l’Ue. In tal senso i pagamenti “saranno soggetti a condizioni rigorose in termini di realizzazione delle riforme stabilite nell’agenda di riforma concordata da ciascun partner”, ricorda il Consiglio dell’Ue nell’annunciare il via libera.E’ questo uno dei punti chiave per i rappresentanti permanenti dei Ventisette. Uno dei cambiamenti chiave rispetto alla proposta iniziale dell’esecutivo comunitario riguarda proprio il rafforzamento del ruolo del Consiglio nella governance dello strumento. Saranno dunque gli Stati membri dell’Ue ad avere voce in capitolo sull’erogazione delle risorse. Ci sarà un maggior peso dell’istituzione Ue nell’adozione e nella modifica delle agende di riforma, nel monitoraggio del rispetto dei precondizioni per il sostegno dell’Ue e sulla valutazione del rispetto delle condizioni di pagamento. Nel suo mandato, il Consiglio pone maggiormente l’accento sull’allineamento dei partner con la politica estera e di sicurezza comune.Non appena il Parlamento europeo avrà adottato la propria posizione potrà iniziare il negoziato inter-istituzionale per il via libera definitivo e l’attivazione del Fondo di riforma e crescita dei Balcani occidentali. La strategia dell’Ue per la regione si basa su quattro pilastri, volti a rafforzare l’integrazione economica dei partner dei Balcani occidentali con il mercato unico dell’UE, a promuovere l’integrazione economica all’interno della regione attraverso il mercato regionale comune, accelerare le riforme fondamentali e aumentare l’assistenza finanziaria.

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    Simson: “Ue al lavoro per rispondere a incidente nucleare a Zaporizhzhia”

    Bruxelles – Adesso la centrale nucleare di Zaporizhzhia fa paura. La Commissione europea teme incidenti, e lavora allo scenario peggiore, comunque sempre rimasto sullo sfondo e mai davvero sottovalutato. La commissaria per l’Energia, Kadri Simson, ammette che il collegio dei commissaria “ha rafforzato la preparazione in caso di incidenti radiologici e condotto attività di modellizzazione per valutare l’impatto di un incidente nucleare in Ucraina”. Un lavoro portato avanti con i governi nazionali. “La Commissione collabora con gli Stati membri per migliorare la preparazione e la risposta in caso di emergenza radiologica o nucleare in Ucraina“.

    L’auspicio è di non dover mai ricorrere ai piani d’emergenza, ma intanto l’Ue si prepara. L’ammissione di Simson arriva nella risposta all’interrogazione parlamentare presentata dall’europarlamentare lituano del Ppe, Liudas Mažylis. A lui ricorda che comunque l’esecutivo comunitario non è mai rimasto a guardare da quanto l’impianto di Zaporizhzhia è finito al centro della guerra russo-ucraina. “La Commissione monitora da vicino la situazione presso la centrale”, e lo fa “regolarmente” insieme all’autorità ucraina di regolamentazione della sicurezza nucleare e con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), “la cui presenza continua, sostenuta dall’UE, è fondamentale per gli aggiornamenti sulla situazione”. In questa attività di controllo continuo e regolare la Commissione, spiega ancora Simson, “monitora i livelli di radiazioni in tutta Europa attraverso la piattaforma europea per lo scambio di dati radiologici con molteplici punti di lettura in Ucraina”. Inoltre, l’Ue ha già fornito a Kiev l’assistenza preventiva del caso, vale a dire “attrezzature chimiche, biologiche, radiologiche o nucleari e assistenza medica”.

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    Dall’Ue 150 milioni per sostenere le riforme economiche in Tunisia

    Bruxelles – L’Ue sblocca i 150 milioni di assistenza macroeconomica previsti nel Memorandum d’Intesa firmato a luglio 2023 con la Tunisia. Un’erogazione che doveva essere “urgente”, ma che ha dovuto attendere segnali incoraggianti dal governo di Kais Saied e dalla sua volontà di intraprendere una serie di riforme economiche.Il tanto discusso accordo “ha iniziato a dare i suoi frutti in tutti”, ha esultato il commissario Ue per l’Allargamento, Olivér Várhelyi. Sottolineando che il finanziamento “fa seguito agli sforzi compiuti dalla Tunisia in termini di gestione delle finanze pubbliche e di clima imprenditoriale e di investimenti”. In realtà, questi 150 milioni sono solo una piccola parte di un piano di assistenza macroeconomica da oltre un miliardo di euro. Ma il pacchetto sostanzioso con i restanti 900 milioni rimane lontano, vincolato allo sblocco del maxi-prestito da 1,9 miliardi che il Fondo Monetario Internazionale tiene congelati da oltre un anno.Il sostegno alle casse tunisine arriverà sotto forma di sovvenzione e – precisa ancora la Commissione – come tutti i supporti al bilancio dell’Ue “viene effettuato sulla base dei progressi effettivi compiuti nell’attuazione delle riforme strutturali avviate dalla Tunisia”. È il secondo esborso previsto dal Memorandum, dopo la querelle dello scorso ottobre, quando il presidente Saied aveva rifiutato un primo pagamento di 127 milioni – di cui circa la metà faceva parte di accordi pregressi – definendoli “un’elemosina”. Salvo poi – a luci spente – incassarli. In quel caso, i 67 milioni inerenti al Memorandum rientravano nel pilastro della lotta alla migrazione irregolare, a cui Bruxelles dedicherà in totale 105 milioni di euro.“Si tratta di un passo importante nel quadro del nostro accordo concluso l’anno scorso e di un bel passo avanti nel nostro partenariato”, ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Che ha più volte definito il Memorandum con la Tunisia come un modello di partnership strategica globale da replicare nei Paesi vicini. A partire dall’Egitto, con cui sono già stati avviate le trattative.