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    La Moldova mette in guardia i Ventisette: “Ci troviamo sulla strada di Putin verso l’obiettivo di disunire l’Europa”

    Bruxelles – L’avvertimento che arriva da Chișinău è sempre più urgente. “La Repubblica di Moldova è la seconda linea dell’aggressione russa contro l’Ucraina, ci troviamo solo sulla strada di Mosca per rompere la stabilità e l’unione in Europa”, è l’allarme lanciato dalla ministra degli Interni moldava, Ana Revenco, a Bruxelles oggi (10 marzo) in occasione della quinta riunione del Nucleo di sostegno Ue al Paese dell’Europa orientale: “L’obiettivo di Putin sono la democrazia e la pace in Europa, noi dobbiamo lavorare con operazioni congiunte per affrontare tutte le conseguenze di questa guerra”.
    Approfondendo la questione, la ministra Revenco ha sottolineato che “la lotta degli ucraini mantiene distante il fronte da noi, ma in Moldova sentiamo ogni giorno le conseguenze e la complessità della crisi”, determinata dalla convergenza di “sforzi e risorse di Mosca, gruppi di interesse e oligarchi fuggiti per aumentare il livello di destabilizzazione nel Paese“. Poco meno di un mese fa la presidente della Moldova, Maia Sandu, ha confermato il report dell’intelligence ucraina, secondo cui il Cremlino ha messo in atto un piano per “rompere l’ordine democratico e stabilire il controllo” russo sul Paese candidato all’adesione Ue. Dopo diversi tentativi nel corso dell’ultimo anno il piano di Mosca “prevede azioni che coinvolgono diversivi con addestramento militare, camuffati in abiti civili, che avrebbero intrapreso azioni violente, effettuato attacchi a edifici di istituzioni statali o addirittura preso ostaggi”, è stato l’attacco della presidente Sandu in conferenza stampa lo scorso 13 febbraio. L’obiettivo sarebbe “un cambio di potere a Chișinău”, attraverso “azioni violente, mascherate da proteste della cosiddetta opposizione”, con il coinvolgimento di “cittadini stranieri”.
    A Bruxelles la ministra degli Interni moldava ha confermato che la situazione della sicurezza del Paese “continua a essere estremamente volatile“, con il rischio reale di “cambiare il corso democratico” in Moldova. “Questo influenza il modo in cui vediamo la pace e l’essere parte dell’Unione Europea”, ha ribadito Revenco, che nella richiesta di “unire gli sforzi per rispondere le minacce alla democrazia in Europa” ha trovato nella commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, una solida sponda: “La Moldova riveste un ruolo chiave per l’Ue, perché beneficia del nostro supporto ma fornisce anche un sostegno alla nostra sicurezza comune”. Con conferme alla visione di Chișinău sulle mire del Cremlino: “Putin non vuole solo distruggere l’Ucraina come Paese, popolo e cultura, Putin vorrebbe destabilizzare, disunire e distruggere tutta l’Unione Europea“.
    La situazione interna alla Repubblica di Moldova
    È dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio 2022 che sono aumentate le tensioni nell’autoproclamata Repubblica filo-russa della Transnistria, nell’est del Paese, lungo il confine con l’Ucraina. Nell’ultimo mese si sono però registrati sempre più numerosi atti di provocazione palese di Mosca, con missili che attraversano lo spazio aereo della Repubblica di Moldova in direzione del territorio ucraino. Il tutto a meno di tre mesi dalla seconda riunione della Comunità Politica Europea, che il primo giugno porterà i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’intero continente proprio nella capitale del Paese che ha ottenuto lo status di candidato il 23 giugno dello scorso anno.
    Anche sul piano politico la situazione è particolarmente instabile. Non solo per le parole della presidente Sandu che hanno confermato il timore dei servizi segreti di piani russi per il rovesciamento del regime democratico nel Paese, ma anche per il cambio di governo a sorpresa. Lo scorso 10 febbraio si è dimessa la prima ministra europeista, Natalia Gavrilița, accusando l’opinione pubblica nazionale di non sostenere il processo verso l’adesione Ue “come i partner internazionali”. A succederle è stato scelto l’ex-segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza ed ex-ministro degli Affari Interni, Dorin Recean, che ha subito tranquillizzato sul fatto che sicurezza, economia e integrazione Ue saranno le priorità del governo: “A partire dalla Seconda Guerra Mondiale non abbiamo mai corso rischi come quelli attuali, dobbiamo consolidare il sistema di sicurezza in modo tale che tutti i cittadini si sentano protetti”, anche e soprattutto attraverso la “realizzazione di tutte le condizioni per l’adesione all’Unione Europea” nel più breve tempo possibile.

    In occasione della riunione del Nucleo di sostegno Ue la ministra degli Interni moldava, Ana Revenco, ha parlato di “situazione estremamente volatile” per la sicurezza del Paese, di fronte ai tentativi di destabilizzazione russi: “Siamo la seconda linea dell’aggressione all’Ucraina”

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    L’Ue potrebbe mobilitare 2 miliardi di euro per munizioni a Ucraina. Cautela sulle notizie del sabotaggio di Nord Stream

    Bruxelles – Un piano in tre passi, per uno stanziamento complessivo da due miliardi di euro per la fornitura di munizioni. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha anticipato oggi (8 marzo) alla stampa le intenzioni della Commissione Europea per un ulteriore sostegno all’Ucraina sul piano del sostegno militare, proprio mentre “la situazione militare sul campo rimane molto difficile, in particolare a Bakhmut, dove continuano le battaglie strada per strada, e le prossime settimane saranno critiche”.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Dal momento in cui Kiev “ha bisogno di continuo supporto, soprattutto di munizioni per l’artiglieria”, la soluzione a inizio 2023 da Bruxelles è un piano di “tre fasi complementari, che vanno insieme e non in modo isolato”, ha precisato con forza l’alto rappresentante Borrell. In primis una donazione di munizioni di artiglieria da 152/155 millimetri “dagli stock già esistenti”, il cui “rimborso arriverà attraverso un miliardo di euro dall’European Peace Facility”, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale. In secondo luogo, un altro miliardo per il “coordinamento della domanda per gli ordini di altre munizioni attraverso l’Agenzia Europea della Difesa”, per cui è necessaria “una procedura veloce, per abbattere il prezzo e i tempi di consegna”. E infine un “aumento della capacità manifatturiera europea e la diminuzione dei tempi di produzione”.
    Nel corso del Consiglio Difesa informale a Stoccolma è stata raggiunta “un’intesa in linea generale” a proposito della fornitura di munizioni all’Ucraina, ma “ci sono ancora questioni da discutere“, ha confessato Borrell: “Spero che al prossimo Consiglio [al momento calendarizzato per il 23 maggio, ndr] si raggiunga un accordo formale”. Le parole dell’alto rappresentante sono dure: “Serve una mentalità da guerra, perché siamo in guerra, sfortunatamente dobbiamo parlare così perché il conflitto continua”, anche se “dobbiamo tenere aperta la porta per ogni negoziato di pace“. Intanto gli ambasciatori dell’Ue hanno approvato l’ulteriore stanziamento da 2 miliardi di euro per il Fondo europeo per la pace, dando seguito all’intesa politica di dicembre tra i ministri Ue della Difesa.

    #COREPERII Today, EU Ambassadors approved an additional €2 billion to the European Peace Facility. This decision sends a clear signal of the EU’s enduring commitment to military support for Ukraine and other partners. pic.twitter.com/T4U44gak4Q
    — Swedish Presidency of the Council of the EU (@sweden2023eu) March 8, 2023

    Oltre le munizioni, le notizie su Nord Stream
    Fuoriuscita di gas metano nel Mar Baltico dal gasdotto Nord Stream 1 (27 settembre 2022)
    “È una cosa molto seria, ma non bisogna mai avere paura della verità, di nessuna verità”, è la cauta presa di posizione dell’alto rappresentante Borrell a proposito dell’altro tema che ha agitato i 27 ministri Ue a Stoccolma. Secondo quanto riportano il quotidiano tedesco Die Zeit e lo statunitense New York Times, dietro al sabotaggio dei due gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 con la fuoriuscita di metano nel Mar Baltico di fine settembre dello scorso anno ci sarebbe un gruppo filo-ucraino. “Stiamo parlando di speculazioni, le indagini stanno ancora andando avanti in Svezia, Germania e Danimarca”, ha cercato di gettare acqua sul fuoco Borrell. Fino a quando non si arriverà alla fine delle investigazioni, “non possiamo giungere a conclusioni affrettate“.
    Secondo le rivelazioni dei due quotidiani, l’operazione potrebbe essere stata condotta in modo non ufficiale da un gruppo con legami con il governo o con i servizi di sicurezza ucraini. Anche se ci sono ancora molti buchi nella versione trapelata sulla stampa, gli investigatori tedeschi avrebbero identificato un’imbarcazione utilizzata per piazzare gli esplosivi, appartenente a una società registrata in Polonia e di proprietà di due cittadini ucraini. La squadra che avrebbe condotto l’operazione di sabotaggio ai danni dei due gasdotti sarebbe stata composta da sei individui di nazionalità sconosciuta. “Non c’entriamo nulla con l’operazione di sabotaggio ai danni dei gasdotti Nord Stream, sarebbe un bel complimento per i nostri servizi speciali ma quando si concluderanno le indagini si vedrà che l’Ucraina non ha nulla a che fare con tutto ciò“, si è smarcato da ogni tentativo di accusa il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, arrivando a Stoccolma, dove ha partecipato al vertice informale.
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    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha anticipato il piano in tre step, che prevede donazioni immediate e coordinazione della domanda futura. Sulle speculazioni di gruppo pro-Kiev dietro al sabotaggio “non bisogna avere paura della verità, ma aspettare la fine delle indagini”

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    L’Ue studia il documento della Cina sulla soluzione politica alla crisi ucraina: “Non è piano di pace, ma principi politici”

    Bruxelles – L’Unione Europea è pronta a supportare “qualsiasi sforzo di mediazione e piano di pace genuino e significativo” per mettere fine a all’invasione russa dell’Ucraina che proprio oggi (24 febbraio) arriva al primo anno dal suo inizio. Ma il documento in 12 punti che arriva da Pechino sulla Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina è considerato “selettivo e insufficiente” dalla Commissione Europea, soprattutto per il fatto che “non prende in considerazione chi è l’aggressore e chi è la vittima” nel contesto di guerra.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (24 febbraio 2023)
    A spiegare nel dettaglio la visione dell’esecutivo comunitario sul cosiddetto piano di pace della Cina – pubblicato questa mattina dal ministero degli Esteri cinese – è la portavoce responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, facendo riferimento alle parole della numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “Il documento della Cina non è un piano di pace, ma sono principi politici, e bisogna considerarlo alla luce del contesto generale”, ha commentato con cautela la presidente in conferenza stampa a Tallinn (Estonia). “Non possiamo dimenticare che prima dell’invasione dell’Ucraina Pechino ha firmato un partenariato senza limiti con Mosca“, ha continuato von der Leyen, con riferimento all’intesa tra i due Paesi del 4 febbraio dello scorso anno: “Considereremo i principi presentati dalla Cina, ma nel quadro generale” dei rapporti internazionali.
    Parlando con la stampa europea, la portavoce dell’esecutivo Ue ha fornito ulteriori dettagli sulla posizione del Berlaymont. “Si tratta di una posizione politica che prende in considerazione solo alcuni aspetti della Carta delle Nazioni Unite” e che “si basa su un focus errato sui cosiddetti interessi legittimi di sicurezza e preoccupazioni delle parti coinvolte“, con implicazioni su una presunta “giustificazione” della guerra di aggressione. Secondo il copione dell’ultimo anno, Bruxelles continua a fare pressioni sulla Cina perché “si impegni a premere sulla Russia per mettere fine agli attacchi e rispettare i confini internazionalmente riconosciuti” dell’Ucraina, è quanto ribadito dalla portavoce Massrali, parlando di una “pace giusta basata interamente sulla Carta delle Nazioni Unite, compresa l’integrità territoriale e il diritto all’autodifesa” e biasimando Pechino per l’astensione sulla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di ieri (23 febbraio), che ha rinnovato il monito alla Russia di ritirare il suo esercito dal territorio ucraino.
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    Sempre a Tallinn anche il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, si è esposto sul documento cinese, con più durezza rispetto alla presidente della Commissione Ue: “Pechino non ha molta credibilità perché non ha mai condannato l’invasione russa e prima della guerra ha firmato il partenariato senza limiti con Mosca”. Stoltenberg ha poi ribadito quanto già affermato martedì (21 febbraio) in risposta al discorso alla nazione di Vladimir Putin: “Quello che vediamo in Ucraina non è una preparazione alla pace, ma a una nuova offensiva russa” e anche se la prospettiva rimane quella di “finire prima o poi questa guerra ai tavoli dei negoziati”, questo dipende da “ciò che succederà sul campo di battaglia”.
    In altre parole, “l’unico modo per creare le condizioni perché Putin capisca che non può vincere sul campo di battaglia e si sieda al tavolo dei negoziati accettando l’Ucraina come nazione indipendente e sovrana” è un ulteriore “supporto militare a Kiev ora” da parte della comunità internazionale. Tornando alla Cina, il segretario generale della Nato ha precisato che “non vediamo nessun segno di invio di armamenti leggeri a Mosca, ma ci sono indicazioni che potrebbe considerarlo“. Di qui l’avvertimento a Pechino di “non farlo, perché significherebbe un supporto alla guerra di aggressione e una violazione della Carta delle Nazioni Unite”. In quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, “la Cina ha un compito speciale per proteggerla”, ha sottolineato con forza Stoltenberg.

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    Ue, Nato e Ucraina rispondono al discorso alla nazione di Putin: “Prepara nuova offensiva, ma nessuno attacca Russia”

    Bruxelles – La risposta è netta, come da copione. “Non vediamo nessun segnale di apertura di Putin alla pace, oggi ha dimostrato che si prepara solo a una nuova offensiva con un ammassamento di truppe al confine e rivolgendosi a Corea del Nord e Iran”, è l’attacco del segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, in un punto stampa con il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, e l’alto rapprendente Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Una controffensiva verbale alle quasi due ore di discorso alla nazione da parte dell’autocrate russo, Vladimir Putin, in cui ha rimarcato la sua visione delle cause e delle motivazioni di un anno di guerra in Ucraina (che ovviamente per il Cremlino rimane sempre “un’operazione militare speciale”).
    Da sinistra: il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e l’alto rapprendente Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (21 febbraio)
    Per la prima volta riuniti in un formato a tre Ue-Nato-Ucraina, a Bruxelles Borrell, Stoltenberg e Kuleba hanno discusso di fornitura e produzione di armi a sostegno della difesa armata di Kiev. Ma l’attenzione dell’opinione pubblica si è concentrata principalmente sulla reazione alle accuse di Putin sul fantomatico progetto dell’Occidente (da leggere come Stati Uniti) di invadere la Russia sfruttando l’assist della guerra in Ucraina. “Un anno fa è iniziata la sua guerra a un vicino pacifico, ma è chiaro che nessuno sta attaccando la Russia, è l’Ucraina la vittima“, ha incalzato Stoltenberg, rifacendosi al passaggio in cui l’autocrate russo ha parlato di “pericolo esistenziale” per il Paese.
    Chi affronta davvero un pericolo esistenziale è piuttosto l’Ucraina, da un anno sotto le bombe del Cremlino. “La situazione è dura, con bombardamenti sui civili”, ha ricordato l’alto rappresentante Borrell, rimarcando con forza che Putin “non sta certo andando nella direzione di un cessate il fuoco che stiamo chiedendo da tempo“. Riprendendo le parole di ieri (20 febbraio) a proposito della visita a sorpresa a Kiev del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, Borrell ha esortato i partner internazionali a “fare in modo che lo Stato di diritto prevalga sullo Stato della guerra e della violenza”, accusando l’autocrate russo per aver deciso la sospensione dell’applicazione del Trattato sulla riduzione delle armi nucleari (Start): “La Russia è una potenza nucleare e un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma continua a violarne i principi”. Anche il segretario generale della Nato Stoltenberg si è soffermato su questo punto, esortando il Cremlino a “riconsiderare questa decisione”.
    Nella “guerra di logoramento e logistica” in Ucraina – per cui a Kiev “hanno bisogno che diamo loro tutto ciò che possa permettere loro di vincere”, ha ricordato Stoltenberg – cresce la preoccupazione per il ruolo di Pechino: “Temiamo che la Cina possa fornire armamenti leggeri alla Russia“, ha confessato il segretario generale della Nato. Ma l’alto rappresentante Ue ha cercato di frenare gli allarmismi: “Dobbiamo restare vigili, ma non ci sono prove” che il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, possa avergli mentito nel corso della conversazione telefonica in cui sono state fornite “rassicurazioni” a riguardo.
    I deliri di Putin sulla guerra in Ucraina
    Il discorso alla nazione di Vladimir Putin a Mosca, 21 febbraio 2023 (credits: Dmitry Astakhov / Sputnik /Afp)
    Il discorso alla nazione di Putin andato in scena questa mattina (21 febbraio) a Mosca era atteso per possibili annunci roboanti capaci di rendere ancora più instabile la situazione sul fronte di guerra. Le parole dell’autocrate russo sono invece sembrate molto meno minacciose di quelle pronunciate il 30 settembre dello scorso anno in occasione dell’annessione illegale delle quattro regioni occupate in Ucraina – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Il succo delle quasi due ore di discorso è una riproposizione della solita propaganda sul presunto neonazismo del governo ucraino che avrebbe minacciato i russofili del Donbass, condita con un pizzico di vittimismo per le “crude bugie” dell’Occidente, mentre Mosca sarebbe stata impegnata dal 2014 al “dialogo e vie pacifiche”.
    La visione di Putin è tutta uno strenuo arroccarsi su una finta posizione di auto-difesa, quando è l’esercito russo ad aver violato la sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina. Quello che si può rilevare sul piano pratico per i prossimi mesi è un prosieguo della guerra, senza nessun tipo di apertura a negoziati di pace da parte di Mosca: “Più armi a lungo raggio arriveranno a Kiev, più lontano dovremo portare l’operazione speciale per la sicurezza dei nostri confini“, è la minaccia più dura di Putin. Il resto del discorso è una pseudo-analisi della situazione interna in Russia – la cui economia secondo l’autocrate non sarebbe ormai in ginocchio – e un attacco agli Stati Uniti per i “miliardi e miliardi di dollari all’Ucraina”. In nessun passaggio del discorso di Putin qualche indizio o atteggiamento che suggerisca la consapevolezza dell’autocrate russo di avere le spalle coperte da Pechino. È qui che si gioca davvero il futuro della guerra in Ucraina.

    Riuniti in un nuovo formato a tre, l’alto rappresentante Borrell, il segretario generale Stoltenberg e il ministro degli Esteri Kuleba hanno replicato alle accuse dell’autocrate russo sulle cause della guerra e sulle intenzioni dell’Occidente di invadere il Paese sfruttando Kiev

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    Per il Parlamento Ue “non c’è più differenza tra Russia e Bielorussia”, dai prigionieri politici alla guerra in Ucraina

    Bruxelles – A un giorno dall’annuncio del decimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia, dall’emiciclo del Parlamento Europeo di Strasburgo si alzano voci che mettono in guardia su una falla nelle misure restrittive: “Ormai non c’è più differenza tra Russia e Bielorussia, ma il regime di Lukashenko non è stato nemmeno citato”. In un dibattito sulla situazione dei prigionieri politici a Minsk, gli eurodeputati hanno ribadito la richiesta alla Commissione di adeguare il regime di sanzioni contro la Bielorussia di Lukashenko a quello applicato alla Russia di Putin, non solo per il trattamento della dissidenza interna, ma soprattutto per la partecipazione ormai attiva all’aggressione armata dell’Ucraina.
    “Stiamo facendo abbastanza?”, si è chiesto il socialdemocratico olandese Thijs Reuten, incalzando l’esecutivo comunitario a “sottoporre il burattino di Putin alle stesse sanzioni” previste dalla nuova tornata presentata ieri (15 febbraio) dalla presidente Ursula von der Leyen proprio in sessione plenaria dell’Eurocamera. “L’isolamento deve riguardare entrambi i Paesi”, gli ha fatto eco l’eurodeputata lettone del Ppe Sandra Kalinete, ribandendo una richiesta che i membri del Parlamento Ue rivolgono alla Commissione dal maggio dello scorso anno. A nome dell’esecutivo comunitario, il titolare per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ha confermato agli eurodeputati che il gabinetto von der Leyen è impegno in questo obiettivo e che “presto saranno imposte altre sanzioni nel contesto della guerra“. È da almeno un mese che i servizi della Commissione stanno lavorando su una nuova tornata di misure restrittive contro il regime di Lukasehnko, considerate le anticipazioni della stessa presidente von der Leyen durante la conferenza stampa di presentazione della terza dichiarazione congiunta Ue-Nato dello scorso 10 gennaio.
    Sin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina le istituzioni comunitarie hanno riconosciuto il ruolo della Bielorussia come supporto al Cremlino per gli attacchi da nord e, proprio per questa ragione, hanno incluso decine di esponenti del regime di Lukasehnko e hanno rinvigorito l’embargo supotassio, acciaio, combustibili e trasporti bielorussi. L’azione di Minsk ha permesso alle truppe e alle armi russe di muoversi attraverso il suo territorio, di utilizzare il suo spazio aereo, di rifornirsi di carburante e di immagazzinare munizioni militari, e da mesi ci si aspetta che le truppe bielorusse partecipino attivamente alla guerra. Ma è stata cruciale anche la decisione di abbandonare lo status di Paese non-nucleare, attraverso un referendum-farsa a quattro giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Al momento un totale di 195 persone e 35 entità è interessato dalle misure restrittive dell’Ue – compreso lo stesso Lukasehnko e il figlio Viktor, consigliere per la Sicurezza Nazionale – anche per la repressione delle manifestazioni pacifiche dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020.
    I prigionieri politici in Bielorussia
    È proprio per questo secondo aspetto – quello delle violazioni dei diritti umani e la repressione della dissidenza interna – che gli eurodeputati vogliono dalla Commissione ancora più decisione nel sanzionare la Bielorussia di Lukashenko. “I bielorussi sono diversi dal regime, credono in un altro Stato“, ha sottolineato l’eurodeputata tedesca del gruppo dei Verdi/Ale Viola von Cramon-Taubadel: “Ogni dittatore raccoglie quello che ha seminato, sia Putin sia Lukasehnko devono rispondere delle loro azioni”. Sono ormai “oltre 1.450 i prigionieri politici” che sono finiti in carcere per la partecipazione alle manifestazioni pacifiche e per le richieste di democrazia nel Paese, ha ricordato il commissario Lenarčič, avvertendo che “il numero aumenta ogni giorno“.
    (credits: John Thys / Afp)
    A proposito della situazione degli oppositori nelle carceri bielorusse, nel mese di gennaio sono state presentate nuove accuse penali contro Siarhei Tsikhanouski, marito della presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche nel Paese, Sviatlana Tsikhanouskaya, imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali e condannato a 18 anni di reclusione poco più di un anno fa. Sempre a gennaio è iniziato anche il processo per Ales Bialiatski, fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna e vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 2022, con l’accusa di contrabbando di denaro e di finanziamento delle proteste: rischia dai 7 ai 12 anni di carcere, “la sentenza è imminente”, ha avvertito Lenarčič. Preoccupano anche le condizioni di salute di Maria Kolesnikova, una delle tre leader dell’opposizione nel 2020 che ha scontato il primo anno di carcere degli 11 a cui è stata condannata: a inizio dicembre è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni e da allora non sono più arrivate notizie.
    Intanto il Parlamento nazionale e l’autoproclamato presidente hanno dato il via libera agli emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002, introducendo la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. Una legge che sembra tagliata su misura della leader delle forze democratiche Tsikhanouskaya, il cui processo in contumacia è iniziato lo scorso 17 gennaio. “Vogliamo un meccanismo di responsabilità presso l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani” sulle violazioni dei diritti umani in Bielorussia, è quanto spiegato con forza dal commissario Lenarčič alla plenaria del Parlamento Ue, ricordando anche che Bruxelles sta “sostenendo sul piano finanziario una piattaforma di responsabilità che raccoglie prove per perseguire i responsabili” nella cerchia del regime di Lukasehnko.

    Di fronte al trattamento della dissidenza e alla partecipazione nella guerra contro Kiev, gli eurodeputati hanno rinnovato la richiesta alla Commissione di allineare le sanzioni contro Kiev a quelle adottate contro Mosca: “Ogni dittatore raccoglie quello che ha seminato”

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    Il decimo pacchetto di sanzioni Ue contro le armi russe e il supporto dell’Iran: “Putin ha già perso la guerra economica”

    Bruxelles – Le sanzioni economiche sono come l’arsenico, “applicano lentamente i loro effetti, ma in modo irreversibile”. La similitudine dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sull’impatto delle misure restrittive sull’economia della Russia sono un assaggio delle intenzioni dell’Unione a proposito del decimo pacchetto in arrivo, in corrispondenza del primo anniversario dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. “Per mantenere questa forte pressione sulla Russia, proponiamo un decimo pacchetto di sanzioni, che ha un valore complessivo di 11 miliardi di euro“, è l’annuncio della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, di fronte all’emiciclo del Parlamento Ue a Strasburgo.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (15 febbraio 2023)
    Intervenendo alla sessione plenaria dell’Eurocamera nel dibattito sul primo anno di guerra russa in Ucraina, la numero uno della Commissione ha anticipato i punti principali del pacchetto – come promesso al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, al Consiglio Ue straordinario giovedì scorso (9 febbraio) – che prenderanno di mira non solo Mosca, ma anche Teheran. “Con nove pacchetti di sanzioni in vigore, l’economia russa sta arretrando”, ha sottolineato von der Leyen, ma è necessario fare di più: “Proponiamo nuovi divieti commerciali su componenti di macchinari, pezzi di ricambio per camion e motori che possono essere diretti alle forze armate della Russia” e “restrizioni all’esportazione di 47 componenti elettronici utilizzati nei sistemi armati russi, come droni, missili, elicotteri”, ma anche “tecnologie a duplice uso presenti sui campi di battaglia”.
    Proprio qui si inserisce la questione del supporto dell’Iran alla guerra russa in Ucraina, che prosegue da ottobre nonostante le misure restrittive di Bruxelles: “Ci sono centinaia di droni di fabbricazione iraniana utilizzati dalla Russia sui campi di battaglia, che uccidono i civili ucraini“, ha attaccato la presidente von der Leyen. Ecco perché “per la prima volta proponiamo di sanzionare anche le entità iraniane” all’interno delle tornate di misure restrittive contro Mosca sulle tecnologie a duplice uso. Ma sono soprattutto i destinatari a fare notizia: tra le entità iraniane che saranno sanzionate “per la fornitura di droni e il trasferimento di know-how per costruire siti di produzione” sul territorio russo, sono “comprese quelle legate alla Guardia rivoluzionaria iraniana“, in linea con la direzione tracciata dai 27 ministri Ue degli Esteri.
    A tutto ciò si aggiungono ulteriori sanzioni alla propaganda russa. “Putin sta portando guerra anche nello spazio pubblico con propaganda, disinformazione e bugie tossiche”, e per questo motivo saranno colpiti “sia i propagandisti di Putin, sia comandanti militari”, ha promesso von der Leyen, con l’alto rappresentante Borrell a rincarare la dose su “tutti coloro responsabili di rapimenti, adozioni forzate e violazioni dei diritti umani”. Un ultimo punto riguarda la prevenzione dell’aggiramento delle misure restrittive: “La prossima settimana organizzeremo un forum internazionale sulle sanzioni“, ha annunciato in una dichiarazione la presidente della Commissione Ue, chiedendo ai Ventisette di “adottare rapidamente il pacchetto”, entro la data simbolica del 24 febbraio.
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    L’efficacia delle sanzioni Ue contro la Russia
    Sia von der Leyen sia Borrell hanno rivendicato l’efficacia delle sanzioni economiche per mettere in ginocchio l’economia e la macchina bellica russa, nonostante l’apparente aumento delle entrate del Cremlino nel 2022: “È stato determinato da un rialzo quasi isterico dei prezzi del petrolio e del gas e noi eravamo dipendenti dalle fonti russe”, ha ricordato Borrell, ma mettendo in chiaro che “le cose sono cambiate con il tetto al pezzo del petrolio e la straordinaria indipendenza energetica”. L’alto rappresentante Ue ha risposto con fermezza a chi pensava che le sanzioni avrebbero avuto un impatto immediato: “Funzionano lentamente, ma erodendo la base commerciale, industriale, economica ed energetica” russa, e lo dimostrano le conseguenze sul medio/lungo periodo. Per il Cremlino “sarà quasi impossibile trovare acquirenti alternativi” all’Europa, dal momento in cui “per il gas la Cina è troppo lontana, mentre il petrolio lo vendono a 40 dollari al barile, la metà del Brent, e Pechino può comprarlo a un prezzo stracciato”.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (15 febbraio 2023)
    Ecco perché a Strasburgo i vertici delle istituzioni comunitarie sostengono che “Putin ha già perso la battaglia economica ed energetica“, come sostenuto dalla stessa presidente della Commissione Ue: “Il tentativo di Putin di ricattare l’Europa con l’energia è stato un vero e proprio fallimento”. Se alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina l’autocrate russo “pensava che il nostro sostegno a Kiev non sarebbe durato, pensava che sarebbe stato facile tenere l’Europa in ostaggio, data la nostra dipendenza dal petrolio e dal gas russo“, nel corso dell’anno in cui la guerra è tornata sul continente europeo “grazie all’unità e a una politica energetica intelligente, abbiamo resistito alle pressioni russe e ci siamo liberati dalla nostra dipendenza energetica”. Mentre “il Cremlino è costretto a vendere riserve d’oro per colmare i vuoti lasciati dalla mancanza di entrate petrolifere” – con il tetto del prezzo che “fa sì che la Russia perda ogni giorno 160 milioni di euro di entrate” e le “le entrate della Russia derivanti dalle vendite di gas all’Europa si sono ridotte di due terzi” – l’Unione sta “battendo un record dopo l’altro” nello sviluppo delle energie rinnovabili: “L’anno scorso, per la prima volta, abbiamo generato più elettricità dall’eolico e dal solare che dal gas“, ha rivendicato von der Leyen.

    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, annuncia la nuova tornata di misure restrittive da 11 miliardi di euro, che colpirà le esportazioni di tecnologia verso Mosca e la Guardia rivoluzionaria iraniana per la fornitura di droni al Cremlino: “Fallito il ricatto energetico all’Europa”

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    La presidente della Moldova conferma l’allarme di Kiev per un possibile colpo di Stato nel Paese, sobillato da Mosca

    Bruxelles – Arrivano le conferme anche da parte della numero uno della Repubblica di Moldova, Maia Sandu, alle rivelazioni del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sul piano del Cremlino per “rompere l’ordine democratico e stabilire il controllo” russo sul Paese candidato all’adesione Ue. Nel corso di una conferenza stampa in cui non è stato lasciato quasi nulla all’immaginazione, la presidente moldava ha attaccato il Cremlino per i tentativi di “destabilizzare la Repubblica di Moldova”, così come “confermato dalle nostre istituzioni” dopo che la questione della “sicurezza nel nostro Paese è apparsa nello spazio pubblico”.
    La presidente della Repubblica di Moldova, Maia Sandu, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (18 maggio 2022)
    Dopo diversi tentativi russi di destabilizzare il Paese nel corso dell’ultimo anno – tra cui “anche lo scorso autunno” – il nuovo piano del Cremlino “per il prossimo periodo prevede azioni che coinvolgono diversivi con addestramento militare, camuffati in abiti civili, che avrebbero intrapreso azioni violente, effettuato attacchi a edifici di istituzioni statali o addirittura preso ostaggi”, è l’accusa della presidente Sandu. L’obiettivo sarebbe “un cambio di potere a Chișinău”, attraverso “azioni violente, mascherate da proteste della cosiddetta opposizione”, con il coinvolgimento anche di “cittadini stranieri”. Questo sarebbe dimostrato dalle indicazioni sui materiali intercettati, con le regole d’ingresso in Moldova per “cittadini della Federazione Russa, della Bielorussia, della Serbia e del Montenegro”.
    La richiesta della presidente moldava a “tutte le istituzioni statali, e in particolare a quelle preposte alla sicurezza e all’ordine pubblico” è quello di “mostrare la massima vigilanza”. Questo perché “gli autori si affidano a forze interne per la realizzazione del piano” che punta a “rovesciare l’ordine costituzionale e cambiare il potere legittimo con uno illegittimo, che metterebbe il nostro Paese a disposizione della Russia e fermerebbe il processo di integrazione europea“, è l’avvertimento della leader moldava. Per Mosca, Chișinău diventerebbe così uno strumento “nella guerra contro l’Ucraina”.

    ‼️The President of #Moldova said that a pro-#Russian coup is being prepared in the country
    At a briefing, Maia #Sandu spoke about the threat of destabilization of the situation in the country by the Russian special services and forces under their control. pic.twitter.com/nBrzDP9vMF
    — NEXTA (@nexta_tv) February 13, 2023

    Le dichiarazioni di Sandu arrivano a pochi giorni dall’avvertimento del leader ucraino Zelensky al Consiglio Europeo straordinario a Bruxelles, ma soprattutto dalle dimissioni a sorpresa della prima ministra europeista, Natalia Gavrilița, che ha accusato l’opinione pubblica nel Paese di non sostenere il processo verso l’adesione Ue “come i partner internazionali”. In ogni caso il nuovo premier nominato, Dorin Recean (ex-segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza ed ex-ministro degli Affari Interni), ha assicurato che sicurezza, economia e integrazione Ue saranno le priorità del suo governo, se confermato dal Parlamento nazionale. “A partire dalla Seconda Guerra Mondiale non abbiamo mai corso rischi come quelli attuali”, sono state le prime parole del premier incaricato: “Dobbiamo consolidare il sistema di sicurezza in modo tale che tutti i cittadini si sentano protetti” e puntare sulla “armonizzazione della legislazione nazionale e la realizzazione di tutte le condizioni” per l’adesione alla Ue
    A meno di quattro mesi dalla seconda riunione della Comunità Politica Europea, che il primo giugno porterà i capi di Stato e di governo di tutti i Paesi del continente proprio nella capitale moldava, si registrano sempre più tensioni nel Paese che ha ottenuto lo status di candidato dal 23 giugno dello scorso anno. Alle esplosioni della scorsa primavera nell’autoproclamata Repubblica separatista della Transnistria, lungo il confine con l’Ucraina, si sono sommate le recenti azioni di provocazione di Mosca, con il missile che la scorsa settimana ha attraversato lo spazio aereo della Moldova per colpire il territorio dell’Ucraina.
    La solidarietà degli eurodeputati alla Moldova
    “Putin vuole cambiare il potere legittimo di Chișinău in uno illegittimo, distruggendo le aspirazioni europee della Moldova”, ha attaccato dall’emiciclo del Parlamento Europeo di Strasburgo l’eurodeputata ceca del Partito Pirata Europeo (Verdi/Ale) Markéta Gregorová. Intervenendo in apertura della sessione plenaria dell’Eurocamera, Gregorová ha chiesto una “dichiarazione di sostegno alla Moldova nel suo percorso di adesione all’Ue“, dal momento in cui “tre giorni fa la premier [Gavrilița, ndr] si è dimessa e questo ha creato una situazione che rischia di portare a squilibri in un Paese che ha da alcuni mesi lo status di candidato”. Ringraziando la collega per la richiesta, anche la numero uno del Parlamento Ue, Roberta Metsola, si è detta “d’accordo” con una nuova espressione di sostegno al Paese partner.
    Anche il capo-delegazione del terzo polo al Parlamento Ue, Nicola Danti (Italia Viva), sottolineando su Twitter che “c’è un rapporto forte che lega il nostro Paese alla Moldova”, ha chiesto a Italia e Unione Europea di “garantire il massimo sostegno” a Chișinău di fronte ai “tentativi di infiltrazione russa e di golpe denunciati dalla presidente Sandu, inquietanti e da non sottovalutare“.

    C’è un rapporto forte che lega il nostro Paese 🇮🇹 alla #Moldova 🇲🇩. I tentativi di infiltrazione russa e di golpe denunciati dalla Presidente @sandumaiamd sono inquietanti e da non sottovalutare. Siamo con lei e con il Governo. Italia e Ue garantiscano il massimo sostegno.
    — Nicola Danti 🇪🇺🇮🇹 (@DantiNicola) February 13, 2023

    In conferenza stampa Maia Sandu ha denunciato il tentativo del Cremlino di “rovesciare l’ordine costituzionale e cambiare il potere legittimo a Chișinău, per fermare il processo di integrazione europea”. Il nuovo primo ministro moldavo, Dorin Recean, ribadisce l’indirizzo filo-Ue del governo

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    In Moldova si è dimesso il governo europeista di Gavrilița. Un missile russo viola lo spazio aereo del Paese

    Aggiornamento: Il segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza ed ex-ministro degli Affari Interni, Dorin Recean, è stato nominato nuovo primo ministro della Moldova. Entro due settimane dovrà presentarsi al Parlamento nazionale per il voto di fiducia e nel frattempo rimarrà in carica il governo dimissionario di Natalia Gavrilița.
    Bruxelles – Si dimette a sorpresa il governo filo-Ue della Repubblica di Moldova guidato da Natalia Gavrilița. Questa mattina (10 febbraio) la leader dell’esecutivo moldavo ha convocato una conferenza stampa per annunciare lo scioglimento del suo gabinetto, lanciando più di un’accusa all’opinione pubblica nel Paese: “Se avessimo avuto in patria lo stesso sostegno dei nostri partner europei, avremmo potuto avanzare più rapidamente” sul percorso verso l’adesione all’Unione Europea e sul piano della sicurezza. Sotto la pressione della Russia di Vladimir Putin – che da anni cerca di destabilizzare il Paese con un contingente militare nella nell’autoproclamata Repubblica separatista della Transnistria – Chișinău si trova ora a dover affrontare una crisi di governo a meno di quattro mesi dalla seconda riunione della Comunità Politica Europea, che il primo giugno porterà i capi di Stato e di governo di tutti i Paesi del continente proprio nella capitale moldava.
    Da sinistra: la prima ministra dimissionaria della Moldova, Natalia Gavrilița, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (7 febbraio 2023)
    Le dimissioni del governo europeista di Gavrilița arrivano a pochi giorni dalla visita della premier moldava a Bruxelles, per partecipare al Consiglio di Associazione Ue-Moldova con i presidenti della Commissione, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Ue, Charles Michel, e per approfondire le discussioni sulle prospettive di adesione Ue del Paese (che ha ottenuto lo status di candidato dal 23 giugno dello scorso anno) e del supporto di Bruxelles alle conseguenze della guerra russa in Ucraina. Mentre la presidente della Moldova, Maia Sandu, ha già annunciato che avvierà il confronto con i partiti in Parlamento – dove il Partito di Azione e Solidarietà (centro-destra liberale) della premier dimissionaria conta 63 seggi su 101 – per la nomina di un nuovo primo ministro, Gavrilița ha lasciato l’incarico di governo ricordando che “la sicurezza è la nostra priorità“.
    La notizia che arriva da Chișinău questa mattina rende più instabile la situazione in Moldova, proprio di fronte alle mire del Cremlino di dividere un Paese candidato all’adesione all’Ue. Alle tensioni che nell’ultimo anno sono continuate a covare nell’autoproclamata Repubblica filo-russa nell’est del Paese, lungo il confine con l’Ucraina, si sono sommate le recenti azioni di provocazione di Mosca. Poche ore prima dell’annuncio della premier Gavrilița, “alle 10.18 un missile ha attraversato lo spazio aereo della Repubblica di Moldova, sopra la città di Mocra nella regione della Transnistria e, successivamente, sopra la città di Cosauți nel distretto di Soroca, dirigendosi verso l’Ucraina”, è quanto rende noto il ministero della Difesa in un comunicato. Alla “ferma condanna” della violazione dello spazio aereo, è seguita la convocazione dell’ambasciatore russo per fornire spiegazioni.
    Un episodio che solleva particolari preoccupazioni nel Paese, alla luce di quanto riportato dai servizi segreti ucraini (e confermati anche da quelli moldavi su “attività sovversive”). Nel corso dello storico confronto a Bruxelles tra il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e i 27 leader Ue riuniti al Consiglio Europeo nella giornata di ieri (9 febbraio), lo stesso numero uno di Kiev ha reso noto che “di recente ho parlato con la presidente Sandu e l’ho informata che la nostra intelligence è riuscita a intercettare un piano russo dettagliato per minare la situazione politica della Moldova“. Un documento che mostrerebbe “chi, quando e con quali azioni avrebbe distrutto” il Paese, per “romperne l’ordine democratico e stabilire il controllo”. Di fronte al Consiglio Ue il presidente Zelensky ha fatto il paragone con quanto accaduto prima del 24 febbraio 2022 in Ucraina e non solo: “Non sappiamo se Mosca abbia dato l’ordine di agire secondo questo piano, ma abbiamo riconosciuto che era esattamente quello che avevano già cercato di fare contro l’Ucraina e contro altri Stati in Europa“, come “i Paesi baltici, la Polonia e in particolari i Balcani”.
    La presidente della Repubblica di Moldova, Maia Sandu, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (18 maggio 2022)
    Ritornano così alla mente le parole della presidente moldava Sandu, nel suo intervento del 18 maggio dello scorso anno alla sessione plenaria del Parlamento Ue: “Dopo l’indipendenza, ci aspettavamo che le sfere di influenza e gli Stati cuscinetto sarebbero stati relegati nel passato“. Ma con l’inizio dell’invasione dell’Ucraina il Cremlino “ha cercato di porre fine a queste speranze e ci ha portato indietro di cent’anni, con mire geopolitiche per rimodellare la regione e accaparrarsi territori”.

    La premier ha annunciato il passo indietro, sottolineando di godere del supporto internazionale ma non più della popolazione. Nel giugno 2022 a Chișinău è stato concesso lo status candidato all’adesione Ue e fra quattro mesi ospiterà la seconda riunione della Comunità Politica Europea