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    Energia e informazione in tempo di guerra. Il Comitato Economico e Sociale getta luce sulla situazione in Ucraina

    Bruxelles – Il Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) chiude un anno di impegno eccezionale a sostegno dell’Ucraina, con un focus sull’energia e l’informazione in tempo guerra proprio in occasione dell’ultima sessione plenaria (14-15 dicembre). “Gli ucraini hanno pagato un grande prezzo per la pace, per la ricostruzione del Paese dobbiamo lavorare con i gruppi della società civile, perché si possa costruire un futuro di pace”, ha esordito la presidente del Cese, Christa Schweng, aprendo oggi (mercoledì 14 dicembre) il seminario per i giornalisti ‘Energy and Media as Weapons in the wartime‘, accompagnato dall’esposizione di fotografie dal titolo ‘Children in war‘: “Spesso dimentichiamo che dietro a tutto questo c’è l’aspetto umano, e questa mostra fotografica è qui a ricordarcelo”, ha aggiunto il vicepresidente Cillian Lohan.
    L’esposizione fotografica ‘Children in war’ alla sede del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese)
    A proposito dell’arma dell’informazione, l’intervento della giornalista ucraina di Inter Tv-channel Olena Abramovych si è focalizzato sul fatto che nei primissimi giorni di guerra i media ucraini si sono dovuti anche occupare del contrasto alla propaganda russa: “Eravamo pronti allo scenario di una guerra-lampo, con disinformazione come quella secondo cui il presidente Zelensky era fuggito da Kiev, che puntava a creare caos”. Tra i maggiori problemi registrati ci sono stati i bombardamenti alle stazioni televisive, “per oscurare i media e non permettere di diffondere le informazioni” e anche la fuga di giornalisti dall’est del Paese: “Ma molti altri hanno iniziato dal secondo giorno con le maratone giornalistiche, con una condivisione delle riprese nei diversi canali”, ha ricordato Abramovych.
    A tracciare una panoramica aldilà del confine è il giornalista russo Tikhon Dzyadko, direttore del media indipendente Dozhd Tv che continua a operare in esilio: “Più di 500 colleghi hanno lasciato il Paese, dove c’è una dittatura militare e dove non si parla mai di guerra, ma sempre di operazione militare speciale”. Mentre “tutti i media indipendenti lavorano all’estero”,  in Russia “la propaganda di regime dipinge una realtà parallela, per cui l’86 per cento dei cittadini supporta la guerra“, ha spiegato Dzyadko, che ha messo in guardia da un errore che viene spesso commesso dagli organi di informazione occidentali: “Gli europei riportano questi dati perché non conoscono la realtà sul campo”. La lituana Tatjana Babrauskienė (membro del gruppo Lavoratori del Cese) ha sottolineato che “i media indipendenti, anche in Bielorussia, vanno sostenuti molto più di quanto non si faccia ora e non solo finanziariamente”, mentre il collega polacco Tomasz Wróblewski (membro del gruppo Datori di lavoro del Cese) si è soffermato sul fatto che “in Ucraina e in Russia l’informazione stessa è parte della guerra e la disinformazione fa parte del processo per destabilizzare l’altra parte”.
    Il Cese sull’arma energetica
    L’esposizione fotografica ‘Children in war’ alla sede del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese)
    “La società civile ha avvisato del problema della dipendenza energetica dalla Russia, ne abbiamo parlato per molto tempo, ma la politica è stata cieca”, ha attaccato la ceca Alena Mastantuono (membro del gruppo Datori di lavoro del Cese), trattando del tema energetico: “Nell’ultimo anno abbiamo visto crescere i prezzi dell’energia, un problema per le imprese e per i consumatori, i rincari stanno spingendo l’inflazione e dobbiamo stare attenti all’evoluzione della situazione“. In particolare il prossimo anno potrebbe rappresentare un rischio: “Abbiamo messo al sicuro questo inverno con il 92 per cento degli stoccaggi pieni, ma il prossimo inverno non sarà possibile”, ha avvertito Mastantuono, ricordando che “la sicurezza delle forniture di energia deve essere la priorità numero uno per l’Europa”.
    La soluzione su cui spinge più il Cese è l’implementazione delle risorse rinnovabili, per “ridurre la nostra dipendenza dall’importazione di energia, dal momento in cui può essere usata come un’arma”, ha messo in chiaro il tedesco Lutz Ribbe (membro del gruppo Società civile). “Se importiamo energia, esportiamo soldi, mentre noi possiamo produrre energia meglio in maggiori quantità e a un prezzo più basso”, ha aggiunto Ribbe, chiarendo che i Paesi membri Ue dovrebbero essere “numeri uno al mondo nella produzione di energia rinnovabile”. A proposito di rinnovabili, “se vogliamo evitare di esportare denaro verso altre aree economiche dobbiamo cambiare l’industria”, ha puntualizzato il collega tedesco Thomas Kattnig (membro del gruppo Lavoratori): “Abbiamo un’opportunità sulla produzione di pannelli solari e batterie, negli ultimi 20 anni non ci sono stati abbastanza investimenti a causa dell’austerità”. Anche per Mastantuono è necessario “portare l’industria in Europa per aumentare i posti di lavoro”, senza dimenticare di “guardare anche all’idrogeno”.

    Un seminario per i giornalisti in occasione della sessione plenaria del Cese a Bruxelles, per fare luce sull’utilizzo della disinformazione e il gas come armi. La presidente, Christa Schweng: “Gli ucraini hanno pagato un grande prezzo per la pace, ora dobbiamo lavorare con la società civile”

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    Il Consiglio dell’Ue supera il veto ungherese e dà il via libera al piano da 18 miliardi di euro a sostegno dell’Ucraina

    Bruxelles – È arrivato il via libera del Consiglio dell’Unione Europea al pacchetto di sostegno da 18 miliardi di euro all’Ucraina per il 2023 in prestiti altamente agevolati, da erogare in rate trimestrali e secondo un memorandum d’intesa con Kiev sulle riforme per garantire l’esborso dell’assistenza macro-finanziaria. Per superare il veto ungherese e non andare allo scontro in Consiglio Ue giovedì (15 dicembre), si procederà con una soluzione a 26 Stati membri sulla copertura dei tassi d’interesse, stimati sui 600 milioni di euro all’anno a partire dal 2024.
    Da sinistra: il vicepresidente della Commissione per l’Economia, Valdis Dombrovskis, e il commissario europeo per il Bilancio, Johannes Hahn (9 novembre 2022)
    “Continueremo a sostenere l’Ucraina anche finanziariamente per tutto il tempo necessario”, ha sottolineato il ministro delle Finanze ceco e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Zbyněk Stanjura, dopo l’approvazione della proposta della Commissione Ue in forma scritta sabato scorso (10 dicembre): “Significa che l’Ucraina può contare su un aiuto finanziario regolare da parte dell’Ue per tutto il 2023”. L’obiettivo è quello di fornire un sostegno a breve termine per i bisogni immediati di Kiev: la riabilitazione delle infrastrutture critiche, i servizi di base, gli stipendi dell’amministrazione pubblica e i primi sforzi di ricostruzione. Il nuovo strumento di assistenza macrofinanziaria Amf+ prevede che i fondi saranno convogliati attraverso il bilancio dell’Ue con un esborso trimestrale di 4,5 miliardi (per una media mensile di 1,5 miliardi di euro) e consentirà all’Ucraina di rimborsare i prestiti in un periodo massimo di 35 anni, a partire dal 2033.
    Per garantire la nuova assistenza macrofinanziaria all’Ucraina si potrà utilizzare il margine di manovra del bilancio comunitario 2021-2027 (la differenza tra il massimale delle risorse proprie e i fondi effettivamente necessari per coprire le spese previste dal bilancio) in modo mirato per l’Ucraina e limitato nel tempo. Lo spazio di manovra è già utilizzato per garantire i prestiti per i programmi di assistenza finanziaria agli Stati membri ed è pensato per garantire agli investitori obbligazionari che gli importi prestati all’Ue per finanziare i prestiti ucraini saranno rimborsati in ogni circostanza. Davanti all’opposizione di Budapest nel corso del Consiglio Economia e Finanze di martedì scorso (6 dicembre), la soluzione messa in campo dalla presidenza di turno ceca si è concentrata su un’intesa tra gli altri 26 Paesi membri, che garantirà la copertura dei tassi d’interesse lasciando fuori l’Ungheria (anche se al momento non si conoscono i dettagli).
    L’assistenza all’Ucraina nel 2022

    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il primo ministro ucraina, Denys Shmyhal, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz (Berlino, 25 ottobre 2022)
    Per quanto riguarda il sostegno già fornito nel corso di quest’anno, ancora prima dello scoppio della guerra in Ucraina l’Ue aveva stanziato un pacchetto da 1,2 miliardi, proprio considerato il rischio di invasione russa. Al Consiglio Europeo di fine maggio era stata presa la decisione di stanziare un pacchetto di assistenza macro-finanziaria complessivo da 9 miliardi. La prima tranche da un miliardo è stata erogata a inizio agosto, mentre il via libera ad altri 5 miliardi è arrivato a metà settembre: di questi ne sono già stati sborsati quattro e mezzo, mentre il rimanente mezzo miliardo dovrebbe arrivare “entro la fine dicembre“, aveva spiegato il vicepresidente della Commissione Ue responsabile per l’Economia, Valdis Dombrovskis. Del pacchetto complessivo da 9 miliardi manca però ancora una terza tranche da 3 miliardi, su cui la Commissione per il momento non ha fornito ulteriori informazioni.
    Dal 24 febbraio sono arrivati anche aiuti umanitari (pari a 485 milioni), per aiutare i civili ucraini colpiti dalla guerra, e finanziamenti militari (3,1 miliardi) attraverso l’European Peace Facility, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale, attraverso il finanziamento di azioni operative nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (Pesc) che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa.

    I Ventisette approvano il nuovo strumento di assistenza macrofinanziaria Amf+, che permetterà a Kiev di rimborsare i prestiti in 35 anni a partire dal 2033. Gli Stati membri Ue copriranno i tassi d’interesse, ma dopo il veto ungherese si procederà a una soluzione a 26 capitali

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    Tra energia, migrazione, roaming e guerra russa in Ucraina. È tutto pronto per il vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana

    dall’inviato a Tirana – Il primo in assoluto nella regione, dopo una serie di summit tutti ospitati dai Paesi membri dell’Unione Europea. L’importanza del vertice Ue-Balcani Occidentali che si svolgerà domani (martedì 6 dicembre) a Tirana parte da qui, ma va ben oltre la semplice coreografia di una ‘prima volta’. Come spiegano funzionari europei prima dell’appuntamento in Albania tra i capi di Stato e di governo dei Paesi membri Ue, quelli dei sei Paesi balcanici (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) e i leader delle istituzioni comunitarie (i presidenti del Consiglio Ue, Charles Michel, e della Commissione, Ursula von der Leyen), “questo evento è il simbolo della nostra cooperazione rafforzata in risposta alla guerra russa” in Ucraina.
    Il Palazzo dei Congressi di Tirana, dove si svolgerà il vertice Ue-Balcani Occidentali il 6 dicembre 2022
    La base di partenza sarà lo “scambio franco” tra fine giugno e metà luglio – quando in poco meno di un mese si è passati dal fallimento del vertice Ue-Balcani Occidentali di Bruxelles ai festeggiamenti per l’avvio dei negoziati di adesione di Albania e Macedonia del Nord – ma anche gli ultimi sviluppi del Processo di Berlino, con la firma dei tre accordi sulla mobilità regionale. Non è un caso se il primo summit di questo genere nella regione ancora fuori dall’Unione Europea sarà ospitato proprio dall’Albania : “Il premier Edi Rama ha spinto la candidatura dopo i risultati di luglio e l’Ue l’ha accettata“, precisano le stesse fonti.
    Le priorità del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana
    La priorità più urgente dei 35 leader dell’Unione e dei Balcani Occidentali (in attesa della decisione finale del presidente della Serbia, Aleksander Vučić, su un suo possibile boicottaggio del summit a causa delle tensioni con il Kosovo) sarà quella di rimanere tutti uniti contro l’escalation della guerra russa in Ucraina, che “mette a rischio la pace e la sicurezza europea e mondiale”, si legge nell’ultima bozza del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana. “Una visione comune del futuro implica responsabilità reciproche e valori condivisi”, che si rendono indispensabili di fronte all’aggressione armata di uno Stato sovrano. Mentre l’esortazione rimane sempre quella di compiere “progressi rapidi e sostenuti” verso il “pieno allineamento” alla Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) – un richiamo implicito alla Serbia e alla sua politica di non-allineamento alle sanzioni contro la Russia – la collaborazione con Bruxelles è considerata come “un chiaro segno dell’orientamento strategico” delle sei capitali.
    In virtù della “determinazione” dei partner più vicini a sostegno dei valori europei, l’Unione è pronta a riconfermare l’impegno “pieno e inequivocabile” a favore della prospettiva di adesione dei Paesi balcanici, anche attraverso un processo di allargamento “reversibile e basato sul merito“. Si attendono discussioni accese sullo status di candidato della Bosnia ed Erzegovina, ma anche sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo (che nelle prossime due settimane dovrebbe anche presentare la propria richiesta di adesione).
    Ma una delle sfide maggiori riguarda proprio i rapporti tra Pristina e Belgrado, che da fine luglio fanno registrare intensi periodi di tensione e momenti improvvisi di slancio diplomatico. Dopo l’intesa in extremis raggiunta il 24 novembre sulla questione delle targhe dei veicoli alla frontiera, si sono riaccese le polemiche sulla nomina di Nenad Rašić – serbo-kosovaro ostile a Belgrado – come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi. A seguito della decisione del premier kosovaro, Albin Kurti, venerdì scorso (2 dicembre) il presidente serbo Vučić ha annunciato che boicotterà il vertice Ue-Balcani Occidentali per la “mancata condanna da parte dell’Ue”. Le riserve sulla partecipazione di Belgrado saranno in verità sciolte nella giornata di oggi, mentre Bruxelles continua a ripetere che “tutti i leader dovrebbero essere presenti” a Tirana. Nella bozza delle conclusioni del vertice trova spazio un capitolo specifico sui rapporti tra Serbia e Kosovo, sia sui “progressi concreti verso un accordo globale giuridicamente vincolante” sulla normalizzazione delle relazioni, sia sulla “forte aspettativa che tutti gli accordi passati siano pienamente rispettati e attuati senza indugio”.
    Bulevardi Dëshmorët e Kombit a Tirana, con le bandiere dell’Unione Europea e dell’Albania e le fotografie delle donne e degli uomini che hanno costruito l’Europa
    Nel quadro generale, sarà affrontato in via prioritaria anche il tema della migrazione, a partire dalle proposte del piano d’azione per la rotta balcanica presentate oggi dalla Commissione Ue. “La gestione della migrazione rimane una sfida e una responsabilità comune“, si legge nella bozza delle conclusioni, considerato il fatto che la rotta balcanica rappresenta il movimento migratorio di più ampia portata alle frontiere esterne dell’Unione, maggiore – in termini di ingressi irregolari – anche di quello del Mediterraneo centrale. Secondo i dati recentemente pubblicati da Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), tra gennaio e ottobre 2022 si sono verificati 281 mila attraversamenti irregolari attraverso la rotta balcanica, per un aumento del 77 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021 e il totale più alto dal 2016 (oltre 130 mila). I Ventisette porranno l’accento sul rafforzamento della protezione delle frontiere, sull’intensificazione dei rimpatri verso i Paesi di origine, sulla cooperazione con Frontex e sull’allineamento della politica dei visti.
    Le questioni energetiche, verdi e digitali
    Secondo quanto emerge dalla bozza delle conclusioni del vertice Ue-Balcani Occidentali, i leader dell’Unione ribadiscono il loro sostegno ai partner balcanici “nell’affrontare gli effetti negativi sulle loro economie e società” della guerra russa in Ucraina, per cui Mosca rimane “l’unica responsabile” della crisi energetica ed economica. Bruxelles ha risposto a queste crisi con un piano di sostegno da un miliardo di euro complessivo per l’intera regione, come anticipato dalla presidente della Commissione von der Leyen nel corso del suo viaggio nelle sei capitali (fatta eccezione per quella del Montenegro, rinviata a data da destinarsi) di fine ottobre.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, presso il cantiere della ferrovia Tirana-Durrës (27 ottobre 2022)
    Un piano che dovrebbe mobilitare 2,5 ulteriori miliardi di euro in investimenti, aiutando i sei Paesi partner a “mitigare l’impatto della crisi energetica e ad accelerare la transizione energetica nella regione”. Il pacchetto sarà finanziato attraverso lo strumento di assistenza pre-adesione (Ipa III) e sarà diviso in due parti, ciascuna da mezzo miliardo di euro. Da una parte un sostegno diretto al bilancio per affrontare l’impatto degli alti prezzi dell’energia in ciascuno dei sei Paesi dei Balcani Occidentali: 80 milioni per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania, 75 per il Kosovo, 70 per la Bosnia ed Erzegovina, 165 per la Serbia (per il Montenegro sarà comunicato al momento della nuova visita di von der Leyen). Dall’altra parte, i restanti 500 milioni saranno invece dedicati al “miglioramento delle infrastrutture per il gas e l’elettricità e gli interconnettori, compreso il Gnl“, ma anche a “nuovi progetti per le rinnovabili, aggiornamenti dei sistemi di trasmissione dell’energia, teleriscaldamento e schemi per migliorare l’efficienza energetica dei vecchi condomini”.
    A questo proposito, nella bozza delle conclusioni del vertice Ue-Balcani Occidentali i Ventisette ricordano la decisione di aprire gli acquisti comuni di gas, Gnl e idrogeno ai Paesi balcanici, chiedendo allo stesso tempo “rapida operatività di questa piattaforma” e incoraggiando i partner a “sfruttare questa opportunità”. Nella bozza si ribadisce anche che il piano RePowerEu è finalizzato a ridurre la dipendenza non solo dell’Ue, ma dell’intera regione balcanica dal gas russo e, attraverso la Comunità dell’energia, l’Unione sta aprendo il proprio mercato dell’elettricità – “anche per quanto riguarda le energie rinnovabili” – ai sei vicini, “a condizione che vengano attuate riforme normative“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, presso il cantiere della ferrovia Tirana-Durrës (27 ottobre 2022)
    Rivestirà un ruolo centrale nelle discussioni di domani l’attuazione del Piano economico e di investimenti e delle Agende verde e digitale per i Balcani occidentali, “anche attraverso un ulteriore sostegno alla connettività, alla transizione e alla diversificazione delle forniture energetiche”. Nel pacchetto approvato nell’ottobre 2020 – che mobilita quasi 30 miliardi di euro tra sovvenzioni e investimenti – è già stato dato il via libera al finanziamento di 27 progetti-faro per un valore totale di 3,8 miliardi di euro, e nell’ultimo anno sono proseguiti i lavori per la connettività nella regione: dal corridoio ferroviario Oriente-Med per le merci ai ponti transfrontalieri a Svilaj (Croazia) e Gradiška (Bosnia ed Erzegovina). Parallelamente, grazie all’Agenda verde per la regione i leader balcanici rinnoveranno gli impegni climatici assunti con la firma dell’Accordo di Parigi, anche per combattere l’inquinamento, migliorare la gestione dei rifiuti e accelerare la transizione energetica verde. L’Ue li sosterrà invece nello sviluppo di una politica di tariffazione del carbonio nel contesto del meccanismo di aggiustamento delle frontiere del carbonio (Cbam).
    Ultima, ma di certo non per importanza, la questione della connettività digitale. Come rendono noto gli stessi funzionari europei a Tirana, appena prima del vertice Ue-Balcani Occidentali è prevista la firma di una dichiarazione congiunta sul roaming, per l’eliminazione graduale dei costi nei prossimi anni, garantendo così a tutti i cittadini di fare chiamate, mandare messaggi e navigare online sul proprio smartphone alla stessa tariffa a casa e negli altri Stati aderenti (come succede dal 2017 e almeno fino al 2032 nell’Ue). Si parte dal “successo” dell’accordo sul Roam like at Home nella regione a partire dal luglio dello scorso anno, con l’obiettivo di una prima riduzione dei costi dal primo ottobre 2023 e la “prospettiva di una completa eliminazione” al 2027, specificano le stesse fonti a ventiquattr’ore dal primo vertice Ue-Balcani Occidentali nella regione.

    Il 6 dicembre la capitale dell’Albania ospiterà il primo summit nella regione tra i leader dell’Unione e dei sei Paesi balcanici. Secondo quanto emerge dalla bozza delle conclusioni, sarà centrale la risposta alle crisi comuni, con un focus specifico sui rapporti tra Serbia e Kosovo

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    La Commissione Ue propone una nuova stretta sugli oligarchi che violano le sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – “La violazione delle sanzioni Ue contro la Russia non darà i suoi frutti”. In un tweet pubblicato questa mattina (2 dicembre), la Commissione Ue ha ribadito la volontà di dare battaglia a chiunque cerchi di aggirare le misure restrittive stabilite da Bruxelles dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
    Per farlo, l’esecutivo comunitario ha presentato una proposta per criminalizzare l’evasione delle sanzioni e per armonizzare la risposta in tutti i Paesi membri. Le norme comuni stabilite dalla Commissione renderanno più facile indagare e perseguire le violazioni in tutto il territorio Ue. “L’Unione Europea deve mostrare i denti per garantire la piena applicazione delle sanzioni”, ha dichiarato il commissario per la Giustizia, Didier Reynders: “Non basta presentare pacchetti sanzionatori di ampio respiro se tutti gli Stati membri non sono dotati degli strumenti necessari per garantire l’effettività delle misure restrittive”.

    The violation of EU sanctions against Russia won’t pay off.
    Today, we put forward a proposal to criminalise the evasion of EU restrictive measures.
    It will make easier to investigate, prosecute and punish violations of sanctions in all EU countries.#StandWithUkraine
    — European Commission 🇪🇺 (@EU_Commission) December 2, 2022

    Le difficoltà incontrate dall’Ue nell’attuazione delle sanzioni dimostrano, secondo la Commissione, “la complessità dell’identificazione dei beni di proprietà degli oligarchi, che li nascondono in diverse giurisdizioni attraverso elaborate strutture legali e finanziarie”. La Commissione propone di usare il pugno duro: a seconda del reato, la singola persona potrebbe essere soggetta a una pena di almeno cinque anni di carcere e le società potrebbero ricevere sanzioni non inferiori al 5 per cento del fatturato totale delle stesse.
    Ma non solo. La proposta di direttiva permetterebbe ai 27 Paesi membri di avviare procedure giudiziarie per la confisca di beni, nel caso in cui venisse accertata una violazione delle misure restrittive Ue. L’elenco di reati include “mettere a disposizione fondi a beneficio di una persona o un’entità toccati da sanzioni, il mancato congelamento di tali fondi, consentire l’ingresso e il transito di persone sanzionate nel territorio di uno Stato membro, commerciare in beni e servizi vietati o limitati”.
    Prevedere la confisca dei beni, anziché il loro congelamento come accaduto fino a oggi, permetterebbe la loro messa all’asta o l’eventuale assegnazione a enti terzi, sgravando gli Stati membri dagli oneri della manutenzione. I proventi, come ha annunciato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, potrebbero costituire un fondo “per il risarcimento dei danni causati all’Ucraina”.

    L’esecutivo Ue propone di criminalizzare l’evasione delle sanzioni e armonizzare le procedure penali negli Stati membri. Almeno cinque anni di carcere a chi aggira le misure restrittive e confisca dei beni, che potrebbero costituire un fondo per l’Ucraina

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    L’iniziativa per il grano del Mar Nero è stata estesa per altri 4 mesi. L’Ue accoglie l’accordo contro la crisi alimentare

    Bruxelles – Altri quattro mesi di accordo per le esportazioni di grano dai porti del Mar Nero dell’Ucraina, per non aggravare la crisi alimentare globale nel corso dell’inverno. Le quattro parti coinvolte nell’iniziativa per il grano del Mar Nero (Turchia, Ucraina, Russia e le Nazioni Unite) hanno confermato questa mattina (giovedì 17 novembre) l’estensione dell’intesa “senza alcun cambiamento”, con l’annuncio arrivato dal presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan: “A seguito di colloqui a quattro ospitati dalla Turchia, l’accordo sul corridoio del grano del Mar Nero è stato prorogato di 120 giorni dal 19 novembre“.
    A celebrare l’intesa arrivata in extremis sono stati i vertici delle istituzioni comunitarie. “L’iniziativa Black Sea Grains delle Nazioni Unite aiuta a evitare carenze alimentari globali e ad abbassare i prezzi dei prodotti nonostante la guerra della Russia” in Ucraina, ha sottolineato in un tweet la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, congratulandosi con il segretario generale dell’Onu, António Guterres, e con il leader turco per il risultato raggiunto. Anche il numero uno del Consiglio, Charles Michel, ha ricordato che “con 10 milioni di tonnellate già esportate nell’ambito di questa iniziativa dall’Ucraina, è una buona notizia per un mondo che ha un disperato bisogno di accesso a cereali e fertilizzanti“.

    I congratulate @antonioguterres and President @RTErdogan for the agreement on the continuation of the Black Sea Grain Initiative
    Together with EU Solidarity Lanes the UN Black Sea Grain Initiative helps avoid global food shortages and bring down food prices despite Russia’s war. https://t.co/PWW2p6oE5F
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) November 17, 2022

    In vista della scadenza imminente dell’accordo, nelle ultime settimane sono stati condotti intensi negoziati sotto l’egida Onu, per garantire la proroga dell’intesa. Mentre oltre 10 milioni di tonnellate di creali sono ancora bloccate nei silos in Ucraina, a essere più colpiti sono i Paesi in via di sviluppo (che a oggi hanno ricevuto il 40 per cento di tutte le esportazioni dai porti ucraini del Mar Nero). I cereali sono essenziali per stabilizzare i prezzi sui mercati internazionali e per rifornire le popolazioni più vulnerabili al rischio fame, in particolare in Africa. Poco più di due settimane fa la Russia si era temporaneamente sfilata dall’accordo e ne aveva chiesto la sospensione, dopo l’attacco subito dalla sua flotta al largo di Sebastopoli (principale città della Crimea annessa illegalmente da Mosca).
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Nel quadro della stessa intesa sul grano dal Mar Nero, l’Onu ha anche agevolato la consegna di 260 mila tonnellate di fertilizzante russo, il cui primo carico andrà in Malawi (uno dei Paesi più poveri dell’Africa australe). “Sebbene la Russia sia impegnata in campagne di manipolazione delle informazioni e di diffusione della propaganda”, l’Ue è sempre stata chiara sul fatto che “le nostre sanzioni non riguardano il commercio di prodotti agricoli e alimentari, compresi cereali e fertilizzanti, tra la Russia e i Paesi terzi”, ha precisato in una nota l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.
    Nella stessa nota Borrell ha ricordato che il rinnovo dell’iniziativa delle Nazioni Unite sul grano del Mar Nero “rimane fondamentale per continuare a far scendere i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale e per garantire la sicurezza alimentare in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi più vulnerabili”. Nonostante “il cibo non dovrebbe mai essere usato come arma di guerra”, Mosca ha “esacerbato l’impennata dei prezzi alimentari”, anche a causa degli attacchi “deliberati” contro le strutture agricole e le rotte di esportazione ucraine.
    È qui che si inserisce l’iniziativa per il grano del Mar Nero mediata dalle Nazioni Unite, che “insieme alle rotte terrestri che attraversano l’Ue” nel quadro del corridoi di solidarietà – potenziati recentemente con un ulteriore miliardo di euro – ha contribuito a “stabilizzare e ad allentare la pressione sui prezzi alimentari globali, facilitando l’esportazione di cereali e prodotti agricoli verso i mercati mondiali”. Le due iniziative combinate hanno soprattutto permesso l’esportazione di “oltre 25 milioni di tonnellate di cereali e altri prodotti agricoli“, ha sottolineato con forza l’alto rappresentante Borrell, contribuendo al “calo dei prezzi degli alimenti negli ultimi mesi”.

    Le quattro parti coinvolte nell’intesa Black Sea Grains (Turchia, Ucraina, Russia e Nazioni Unite) hanno confermato l’estensione dell’accordo “senza alcun cambiamento”. Insieme ai corridoio di solidarietà di Bruxelles sono stati esportati “oltre 25 milioni di tonnellate di cereali”

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    La Nato studia la dinamica del missile caduto in Polonia: “Nessuna indicazione di un attacco diretto dalla Russia”

    Bruxelles  – La Nato cerca di evitare a tutti i costi un’escalation con la Russia, dopo l’incidente del missile caduto in Polonia. È lo stesso segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, a spiegarlo alla stampa dopo la riunione d’emergenza degli ambasciatori dell’Alleanza Atlantica di questa mattina (mercoledì 16 novembre), in cui sono stati discussi i dettagli delle indagini portate avanti da Varsavia e delle informazioni dell’intelligence statunitense, per chiarire la dinamica e l’origine delle esplosioni che hanno causato la morte di due persone nel villaggio di Przewodów (a un centinaio di chilometri da Leopoli).
    “Le indagini sono ancora in corso, dobbiamo aspettare gli esiti definitivi, ma al momento non abbiamo indicazioni che ci sia stata un’intenzione di un attacco diretto da parte di Mosca, né che la Russia stia preparando azioni militari contro la Nato”, ha spiegato Stoltenberg. Quanto accaduto in Polonia è stato “molto probabilmente causato dai sistemi di contraerea ucraini per la difesa dai bombardamenti russi“, che hanno colpito per tutto il pomeriggio infrastrutture critiche e obiettivi civili sull’intero territorio nazionale. Il segretario generale dell’Alleanza Atlantica ha però voluto sottolineare che “non è colpa dell’Ucraina, ma la Russia ha una responsabilità indiretta, a causa degli attacchi all’Ucraina“, a partire dal fatto che il missile (di fabbricazione russa) sarebbe stato lanciato dalla contraerea di Leopoli per distruggerne un altro indirizzato contro la città.
    Il luogo dell’esplosione nel villaggio di Przewodów, Polonia (15 novembre 2022)
    Quello che dallo stesso Stoltenberg è stato definito un “incidente” oltre il confine ucraino in Polonia “non ha le caratteristiche di un attacco deliberato contro il territorio dell’Alleanza” e questo spiega il perché delle reazioni caute dal primo minuto da parte di tutti i leader internazionali. “Siamo sempre pronti per situazioni come queste, in caso di incidenti sappiamo che dobbiamo gestire la situazione con calma e risolutezza, per prevenire ulteriori escalation“, ha sottolineato il segretario generale della Nato. In ogni caso però è necessario un “aumento dell’attenzione sul confine orientale” dell’Alleanza, con un “continuo rafforzamento via terra e via aria”, in attesa del responso finale delle indagini di Varsavia: “Avrà conseguenze cruciali per il tipo di risposta, rimaniamo pronti a intraprendere tutte le azioni necessarie per garantire la sicurezza dei nostri membri“.
    Rispondendo alle domande della stampa, il segretario generale Stoltenberg non si è voluto sbilanciare sul fatto che quello di ieri possa essere stato il momento di tensione più grave nei rapporti tra Nato e Russia dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina: “Starei attento a fare paragoni, ma dimostra che la guerra russa continua a creare situazioni pericolose“. Non è un caso se le esplosioni sul territorio di un Paese membro Nato si sono verificate nello stesso pomeriggio dei “pesanti bombardamenti” missilistici sulle città ucraine:  “È in sé una situazione pericolosa e quanto accaduto in Polonia ne è una conseguenza”, ha puntualizzato Stoltenberg.
    La Nato tra contraerea ucraina e no-fly zone
    L’appello alla calma da Bruxelles va di pari passo con l’atteggiamento cauto di Varsavia. Il presidente Andrzej Duda ha confermato che “non abbiamo prove precise che ci permettano di concludere che si è trattato di un attacco alla Polonia”, mentre il premier Mateusz Morawiecki per il momento esclude l’attivazione dell’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico: si tratta del processo per consultazioni di emergenza, se un membro dell’Alleanza teme un’aggressione esterna (nel giorno dell’invasione russa dell’Ucraina era stato attivato da Estonia, Lettonia e Lituania). In ogni caso dalla Nato rimane “forte” il supporto alla Polonia, sia nella fase di indagini, sia per un’eventuale resa necessaria dall’esito finale.
    Il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg
    Lo stesso tipo di atteggiamento si dimostra nei confronti di Kiev. “La Nato non è parte della guerra, ma i suoi membri forniscono armamenti all’Ucraina, perché ha il diritto di difendersi dagli attacchi illegali della Russia”, ha messo in chiaro il segretario generale, precisando che “forniremo più aiuti per la difesa aerea” al Paese invaso dal 24 febbraio. Questo però ha un’altra implicazione implicita, cioè che gli alleati non sono disposti ad aprire alla possibilità di una no-fly zone sul territorio ucraino: “I nostri sistemi di difesa anti-aerea entrano in funzione solo se c’è un’aggressione a un membro dell’Alleanza, ma non abbiamo evidenze che in Polonia ci sia stato un attacco deliberato”.
    L’obiettivo degli alleati rimane sempre lo stesso ed è compatibile con l’aumento delle forniture militari (ma non di una no-fly zone), come ricordato da Stoltenberg: “A un certo punto questa guerra finirà ai tavoli dei negoziati, ma le posizioni di partenza dipenderanno dalla situazione sul campo“. È per questo che le forze ucraine vanno sostenute “ora” e la responsabilità indiretta della Russia nell’incidente in Polonia avrà comunque conseguenze pesanti per il Cremlino in questo scenario.

    Nel corso della riunione d’emergenza tra gli ambasciatori dell’Alleanza Atlantica sono state condivise le informazioni d’intelligence statunitensi, secondo cui il missile (di fabbricazione russa) sarebbe partito dalla contraerea ucraina: “Responsabilità indiretta di Mosca, non colpa di Kiev”

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    L’escalation della guerra russa in Ucraina tocca la Polonia. Un missile cade sul territorio Nato: condanna Ue e G7

    Bruxelles – Quasi nove mesi di guerra e alle 15:40 del 15 novembre la guerra russa in Ucraina ha toccato il punto più delicato, quasi di non ritorno. Perché, per la prima volta dal 24 febbraio, l’aggressione armata del Cremlino ha sconfinato in Polonia, un Paese membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), con un missile che ha causato la morte di due persone nel villaggio di Przewodów (a un centinaio di chilometri da Leopoli).
    Un frammento del missile russo caduto in Polonia
    La notizia è arrivata nella serata di ieri, quando il governo guidato da Mateusz Morawiecki ha convocato urgentemente una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale. Da subito si è respirata cautela – in particolare a Bruxelles, dove hanno sede non solo le istituzioni comunitarie, ma anche la Nato – nella condanna alla Russia. Tutti i leader hanno voluto aspettare l’esito della valutazione della Polonia, perché, se confermato un attacco russo, questo significherebbe un’escalation inedita della guerra, con il coinvolgimento dell’Alleanza Atlantica. La linea rossa è l’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico: quello che afferma che “un attacco contro un alleato è un attacco contro ogni componente dell’Alleanza” e che permette a ciascuna di esse, “nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva”, di assistere la parte attaccata “intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata“.
    Da subito però questo scenario è apparso il meno probabile, considerati gli scenari di malfunzionamento del missile in questione o delle conseguenze dell’impatto con la contraerea ucraina a Leopoli, o addirittura di missili anticarro di Kiev su una trattoria sbagliata. Per tutto il pomeriggio di ieri sono state bombardate le città e le infrastrutture ucraine con una novantina di missili e droni e – come reso noto in nottata dai portavoce del governo della Polonia – in questo contesto “un missile di fabbricazione russa” è caduto sul villaggio di Przewodów. Di qui la decisione di convocare l’ambasciatore della Federazione Russa in Polonia per “immediate spiegazioni dettagliate”. A questo si aggiunge la possibilità di attivare l’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico, ovvero il processo per consultazioni di emergenza se un membro dell’Alleanza teme un’aggressione esterna (l’ultima volta era stato attivato da Estonia, Lettonia e Lituania nel giorno dell’invasione russa dell’Ucraina).

    Due missili 🇷🇺 avrebbero ucciso due civili in #Polonia nella città di città di Przewodów, al confine con l’#Ucraina. Ci sarebbero due morti. pic.twitter.com/g2ycVP61ZG
    — OSINT-I (@OSINTI1) November 15, 2022

    La reazione al missile russo in Polonia
    Mentre oggi (mercoledì 16 novembre) a Bruxelles il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, presiederà una riunione d’emergenza degli ambasciatori dell’Alleanza Atlantica, da Bali (Indonesia) – dove si sta svolgendo il summit dei leader del G20 – arriva la prima reazione dei partner Nato e G7, compresa l’Ue. “Condanniamo i barbari attacchi missilistici che la Russia ha perpetrato su città e infrastrutture civili ucraine”, si legge in una dichiarazione congiunta al termine della riunione Nato-G7. I leader hanno anche discusso dell’esplosione oltre il confine ucraino e hanno offerto “pieno sostegno e assistenza alle indagini in corso in Polonia“, rimanendo “in stretto contatto per determinare i passi successivi appropriati”. Si tenta così di smorzare la tensione fino a quando la dinamica dell’episodio non sarà chiarita definitivamente, anche se rimane ferma la condanna al Cremlino per gli “sfacciati attacchi alle comunità ucraine, anche mentre il G20 si riunisce per affrontare le più ampie conseguenze della guerra”.
    La riunione straordinaria dei leader Nato e G7 a Bali, Indonesia (16 novembre 2022)
    Dopo un confronto con il premier della Polonia Morawiecki, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha fatto sapere che proporrà “una riunione di coordinamento con i leader dell’Ue che partecipano al G20 qui a Bali”, nel corso della giornata di oggi. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è rimasto in contatto “durante la notte” con il ministro degli Esteri polacco, Zbigniew Rau, assicurandogli il “pieno sostegno del Consiglio Affari Esteri” (al momento non sono previste riunioni straordinarie dei ministri degli Esteri o della Difesa a Bruxelles). Da parte della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, sono arrivate le condoglianze e un “forte messaggio di sostegno e solidarietà” alla Polonia, mentre Bruxelles monitora “attentamente” la situazione nel Paese membro Ue coinvolto – probabilmente in modo accidentale – nella guerra in Ucraina.

    Il governo polacco ha confermato che il missile caduto nel villaggio di Przewodów (uccidendo due persone) “è di fabbricazione russa”. A margine del G20 a Bali i leader puntano il dito contro gli “attacchi massicci sulle città ucraine”, ma c’è cautela sulla dinamica dello sconfinamento

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    L’Ue ha lanciato la missione di addestramento per l’esercito ucraino: 16 milioni di euro e 15 mila soldati da addestrare

    Bruxelles – Una decisione a supporto dell’esercito ucraino “attuata in tempi record, non ho mai visto qualcosa del genere”. Fa capire così la portata della nuova missione di assistenza militare dell’Unione europea a sostegno dell’Ucraina (Eumam) l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Con uno stanziamento pari a 16 milioni di euro e una durata complessiva di 24 mesi, il Consiglio Affari Esteri e Difesa ha dato il via libera alla missione di addestramento “individuale, collettivo e specializzato” per 15 mila membri delle Forze Armate ucraine.
    Dopo l’istituzione formale dello scorso 17 ottobre, i ministri Ue hanno messo sulla carta i dettagli del nuovo supporto operativo all’esercito ucraino, per potenziarne le capacità militari, proteggere la popolazione civile e difendere l’integrità territoriale e la sovranità del Paese dall’invasione russa “all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti”. La missione “sarà operativa entro la fine del mese”, è quanto anticipato dall’alto rappresentante Borrell.
    Il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto (15 novembre 2022)
    La gestione dei membri dell’esercito ucraino sarà affidata agli Stati membri “in diverse località” dell’Unione e a capo della struttura sarà il direttore della capacità di pianificazione e condotta militare (Mpcc), il viceammiraglio francese Hervé Bléjean. La cellula di controllo sarà posta a Bruxelles, mentre il comando operativo sarà svolto in Polonia, con un’altra base logistica in Germania. “Anche l’Italia parteciperà, perché da mesi portiamo avanti la richiesta di formazione specifica“, ha confermato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in un punto con la stampa post-vertice.
    I 16 milioni di euro di stanziamento finanziario si inseriscono come ulteriore misura di assistenza all’esercito ucraino nell’ambito dell’European Peace Facility, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (Pesc) dell’Ue. L’obiettivo dichiarato è quello di sviluppare le capacità di difesa e attacco per guidare la controffensiva nel territorio nazionale occupato dalle forze armate del Cremlino: “Sia l’Eumam sia la misura di assistenza sono state concepite sulla base dei requisiti operativi dell’Ucraina”, si legge nella nota pubblicata dal Consiglio dell’Ue, e andranno a finanziare la fornitura da parte degli Stati membri di munizioni ed equipaggiamento militare, ma anche trasporto, custodia, manutenzione e riparazione delle attrezzature.
    Questo si aggiunge ai 3,1 miliardi di euro già sborsati dall’Ue come supporto all’esercito ucraino attraverso l’European Peace Facility. Ma nel corso della conferenza stampa post-Consiglio Affari Esteri di ieri (lunedì 14 novembre) l’alto rappresentate Borrell ha voluto fare una precisazione: “Non dobbiamo confonderli con gli aiuti militari arrivati complessivamente dall’Unione intesa come Stati membri, posso anticipare che si tratta di 8 miliardi di euro in attrezzature militari già fornite a Kiev, pari al 45 per cento dello sforzo degli Stati Uniti”. Proprio nel corso del Consiglio Difesa di oggi (martedì 15 novembre) i 27 ministri Ue hanno discusso “nei dettagli” come queste attrezzature sono state utilizzate “e con quale efficacia”, ha precisato Borrell.
    Lo scenario bellico e i successi dell’esercito ucraino
    La decisione di supportare ulteriormente l’esercito ucraino è arrivata mentre il Paese invaso dal 24 febbraio si trova in un momento cruciale della controffensiva. Venerdì scorso (11 novembre) le forze armate di Kiev sono entrate nella città di Kherson, l’unica conquista della Russia sulla riva destra del Dnepr nei quasi nove mesi di guerra: “Con la ritirata da Kherson l’esercito russo ha subito una grossa sconfitta, non hanno nemmeno combattuto”, ha ricordato l’alto rappresentante Ue, che definendola “una prova che le apparecchiature militari dall’Europea e dagli Stati Uniti si stanno rivelando straordinariamente utili”. Sono in particolare i sistemi antiaerei a “fare la differenza”, dal momento in cui “in guerra la logistica e le apparecchiature critiche sono vitali” e, non a caso, “Kiev ha già riconquistato il 50 per cento dei territori occupati“.
    Il bombardamento di Kiev del 10 ottobre 2022 (credits: Maryna Moiseyenko / AFP)
    Tuttavia, proprio oggi sono stati lanciati una settantina di missili sulle città ucraine, con le sirene dall’antiaerea che risuonano in tutto il Paese. L’allerta sul rischio di attacco imminente era arrivata ieri sera in conferenza stampa da Borrell, tracciando lo scenario bellico oltre la frontiera orientale dell’Unione: “La forza russa è ancora grande, ma non viene usata per combattere, quanto per distruggere le infrastrutture critiche“. Anche il ministro italiano Crosetto ha confermato che “nessuno ha mai pensato di sottovalutare la forza della Russia e la capacità di resistere” per mesi alle sanzioni internazionali. Nonostante l’antiaerea dell’esercito ucraino stia intercettando “con grande efficacia” i droni forniti anche dall’Iran a Mosca, “Putin vuole distruggere il Paese”, dimostrato che “le intenzioni della Russia sono chiare, la guerra va avanti e la distruzione aumenta“. Questo però “è il momento della difesa, ma i parametri della pace saranno decisi dall’Ucraina”, ha voluto precisare Borrell.

    Dopo l’istituzione formale del 17 ottobre, il Consiglio dell’Ue ha definito i dettagli della missione Eumam, che fornirà addestramento “individuale, collettivo e specializzato” a parte delle forze armate di Kiev per 24 mesi. Il sostegno dallo strumento European Peace Facility