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    Caso figlio La Russa, Pd: ‘Sul programma a Facci, la Rai ci pensi’

     “Conviene alla Rai, al servizio pubblico affidare un programma a Filippo Facci che si esprime così sul giornale: “una ragazza di 22 anni era indubbiamente fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo Apache La Russa? Può la tv pubblica essere affidata a chi fa vittimizzazione secondaria?”, dichiara Sandro Ruotolo responsabile informazione del Partito Democratico. “E che dice il comitato etico della Rai? Il servizio pubblico può consentire una lettura del genere sulle donne? Pensateci bene dirigenti di viale Mazzini. Il servizio pubblico è di tutti ma non può esserlo dei sessisti, dei razzisti e del pensiero fascista”, conclude Ruotolo. 
    Ordine dei giornalisti, FNSI, Usigrai e GiULiA e si riservano una denuncia al Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti di Milano.  Le leggi, le norme deontologiche, il Manifesto di Venezia. Ma prima di tutto il principio di umanità e di rispetto primario verso le persone, “rendono intollerabile quanto scritto da Filippo Facci sulla violenza denunciata a Milano da una ragazza di 22 anni, di cui il giornalista scrive su Libero dell’8 luglio (“fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo Apache La Russa”)
    “Non c’è alcun diritto di critica in un linguaggio di tale violenza, che calpesta ogni regola di umana solidarietà e di buon senso, e non è schermo il fatto che la denuncia della giovane si sia trasformata in un caso politico, come se questo consentisse l’oltraggio verso la querelante. Non sono i toni dissacranti e ironici a turbare, ma la totale insensibilità su un problema che sconvolge le donne, tutte le donne, con un approccio disposto a violare ogni codice di civile rispetto” è la presa di posizione delle commissione pari opprtunità dell’Ordine dei giornalisti e GiULiA giornaliste.  

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    Timmermans, in Ucraina come Fossoli, sta tornando la notte?

    (ANSA) – BOLOGNA, 09 LUG – “Una guerra di nuovo si combatte
    sul suolo del nostro continente, dal cui esito dipende il
    futuro. Non facciamoci illusioni a riguardo. Di nuovo uomini e
    donne come noi muoiono per quello che sono. Anna e Julia, due
    sorelle ucraine di 14 anni sono morte per le bombe lanciate su
    un ristorante, di nuovo fosse scavate e nascoste, di nuovo treni
    nella notte e di nuovo bambini deportati: lo hanno ammesso i
    russi, 700mila bambini sono stati deportati per il tentativo di
    togliergli l’identità ucraina. Di nuovo l’inimmaginabile diviene
    realtà, il male banale, l’eroismo quotidiana necessità. Nuovi
    Cibeno, nuovi Fossoli e un giorno, speriamo vicino, nuovi musei,
    nuove fondazioni, nuove commemorazioni”. Lo ha detto il
    vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans,
    facendo un parallelo tra la guerra in Ucraina e quanto successo
    al Campo di Fossoli nel 1944, quando le Ss trucidarono 67
    internati politici.   
    “Sta tornando la notte o stiamo risvegliandoci da un sogno, o
    forse orribile sospetto, l’una e l’altra cosa insieme?, ha
    domandato. (ANSA).   

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    ‘Il Governo delegittima giudici’, l’Anm chiede rispetto

      Un’accusa “pesantissima”, che “delegittima” la magistratura e la colpisce “al cuore”, quella rivolta a una parte dei giudici di “schierarsi faziosamente nello scontro politico”. Dopo due giorni di silenzio l’Anm reagisce con durezza all’attacco del governo (suscitando la “sorpresa” del governo) sulle vicende giudiziarie che hanno coinvolto la ministra Daniela Santanchè e il sottosegretario Andrea Delmastro. Chiede rispetto per l’indipendenza dei giudici e per la separazione dei poteri e rivendica il “dovere” di far sentire la propria voce sulle riforme che riguardano la giustizia e che non possono essere brandite come “misure punitive”, come sembra fare la maggioranza premendo l’acceleratore sulla separazione delle carriere.
    Anm: ‘Da Palazzo Chigi e dal ministero delegittimazione della magistratura’

     “Non vogliamo alimentare lo scontro, lo stiamo subendo” assicura il leader delle toghe Giuseppe Santalucia, spiegando che i magistrati non possono però tacere “quando si tratta di difendere la Costituzione”. Ma il clima resta teso. Con più di un esponente della maggioranza che torna ad accusare i magistrati di interferenza nelle vicende della politica e l’opposizione invece che imputa a Giorgia Meloni di essere garantista solo con i suoi amici (come nota la responsabile Giustizia del Pd Debora Seracchiani) e di intimidire le toghe (come sostiene Angelo Bonelli di Avs). “Non è più l’Anm a essere accusata di interferenza, ma la magistratura nell’esercizio delle sue funzioni”, dice in un applaudito intervento al Comitato direttivo dell’Anm il presidente Santalucia che definisce l’attacco arrivato da Palazzo Chigi “ancora più insidioso, perché lasciato a fonti anonime. Avremmo gradito una smentita.

    Agenzia ANSA

    I momenti più caldi sempre in occasione dei tentativi di riforma (ANSA)

    E invece l’indomani due note dell’ufficio stampa del ministero della Giustizia sono intervenute sugli stessi fatti”. Santalucia entra nel merito di quelle prese di posizione. Per dire che sul caso Santanchè, che ha appreso dalla stampa di essere indagata, via Arenula si sarebbe dovuta comportare in modo opposto: “non manifestare sconcerto”, e unirsi “alle voci di delegittimazione” della magistratura, ma esercitando i poteri ispettivi propri del ministro, con “un’indagine immediata”.
    “Allarmante” anche la nota del ministero sul caso Delmastro, per il quale il gip di Roma ha disposto l’imputazione coatta dopo che la procura aveva chiesto l’archiviazione: non si può stigmatizzare come “abnormità il potere di controllo del giudice sul pm, non si può consegnare all’opinione pubblica l’idea che il magistrato abbia esercitato in maniera anomala un potere-dovere, espressione del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale”, avverte il leader delle toghe. E un documento approvato all’unanimità dal Cdc definisce le censure al giudice “incomprensibili” anche alla luce di una contraddizione: “prima si auspica la separazione delle carriere perché i giudici sarebbero subalterni ai pubblici ministeri, poi si insorge quando un giudice si discosta dalle loro richieste”. Mentre un altro testo, anche questo passato con il via libera di tutte le correnti, chiede alla maggioranza di rimeditare le troppe criticità della riforma Nordio, a partire dall’abolizione dell’abuso d’ufficio che esporrà l’Italia al rischio di una procedura di infrazione. Il dialogo però sembra difficile. La vicenda Delmastro “riapre il dramma dell’uso politico della giustizia.
    È la dimostrazione che, istigati dai capi delle toghe rosse, ampi settori della magistratura vogliono contestare l’autonomia del potere esecutivo “, attacca Maurizio Gasparri (Fi). “E’ necessario il rispetto dei poteri – replica all’Anm Alfredo Antoniozzi vice capogruppo di FdI alla Camera – La Costituzione è la bussola ma può essere modificata, appunto, dal Parlamento. Anche Italia Viva critica le toghe, mentre per Enrico Costa di Azione “siamo alla sagra delle invasioni di campo”.

    Agenzia ANSA

    “Uso politico”. Meloni non cerca polemiche ma avanti con la riforma (ANSA)

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    “Sorpresa” di Palazzo Chigi per la reazione dell’Anm, Santanchè non si tocca

       Bisogna rendersi conto che il problema delle interferenze di alcune iniziative giudiziarie sull’attività della politica riguarda tutti, centrodestra e centrosinistra, e in 30 anni ha colpito tutti i governi, qualunque fosse l’orientamento. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, inquadra con questo concetto il violento scontro in atto tra magistratura e governo.    “Con tutto l’equilibrio possibile – completa il ragionamento – questo problema dovremo porcelo tutti, qualunque sia il ruolo, e provare a superarlo senza contrapposizioni che non fanno bene a nessuno”. E su questa linea si muove la premier Giorgia Meloni che “non cerca polemiche” ma rimane determinatissima ad “andare avanti con la riforma della giustizia”. Se possibile, parafrasando sempre il sottosegretario, anche trovando insieme delle ipotesi di soluzioni ma “senza essere condizionati da iniziative giudiziarie”. Un punto netto su cui Palazzo Chigi, dopo una prima “sorpresa” per la dura presa di posizione dell’Anm, rilancia senza esitazione: “il governo, questo governo, non rinuncerà mai a intervenire ogni volta che siano messe in gioco l’applicazione delle leggi e si interferisca nelle “dinamiche democratiche”. Nel caso specifico, quando si fa un “uso politico della giustizia”. In questo quadro, il caso Delmastro (con la richiesta di ingiunzione coatta) e la vicenda che riguarda la ministra Santanchè, per Giorgia Meloni – ribadiscono fonti qualificate di palazzo Chigi – sono emblematiche in negativo, da un lato per l’assurdità delle procedure, nel secondo caso perché c’è stata una sortita contro il Parlamento. In sintesi, non si può mettere in discussione il ruolo delle istituzioni, non si può interferire con le comunicazioni alle Camere di un ministro della Repubblica facendo uscire sugli organi di stampa informazioni coperte da riservatezza. Per questo motivo, Santanchè “non può dimettersi” e nessuno nel governo, a cominciare dalla premier, le chiederà di dimettersi. Di sicuro, nel caso di un voto di sfiducia la maggioranza di centrodestra si compatterebbe a sostegno della ministra. Pertanto, nessun “capro espiatorio”, la responsabile del Turismo sarà difesa a spada tratta. Un concetto che viene confermato in ambienti dei partiti della maggioranza, anche se declinato aggiungendo altre valutazioni che alla fine rafforzano la logica di palazzo Chigi. Questa coalizione – è il ragionamento – ha un premier fortissimo e numeri che la blindano ma alcuni partiti della maggioranza stanno attraversando una delicata fase di assestamento (come Forza Italia dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi e come, per altri versi, la Lega di Salvini) che di fatto li obbligano a cautela, a non stimolare dinamiche che alterino gli equilibri. In sintesi, l’ipotesi di cambiare delle pedine del governo ora comporterebbe tutta una serie di riallineamenti che rischierebbero di modificare lo status quo interno alla coalizione: troppi rischi, troppe incognite. Resta la variabile Mattarella – si valuta ancora in ambienti della maggioranza – anche se in questo momento nessuno sembra in grado di prevedere se e quando il Capo dello Stato,che è anche presidente del Csm, potrebbe intervenire e, soprattutto, su quale direttrice. Il presidente della Repubblica era all’estero quando è scoppiato il “caso giustizia” con tutte le sue varianti (da Santanchè fino alla vicenda del figlio del presidente del Senato La Russa). Tra l’altro, l’Anm – si sottolinea in alcuni settori del centrodestra – non sembra un corpo monolitico, non c’è un consenso unanime verso le parole del presidente Santalucia. Intanto, il rapporto tra la premier e il presidente della Repubblica è ottimo, si rimarca in ambienti di governo, si sentono e si vedono periodicamente.E non ci sarebbe sentore che il presidente della Repubblica abbia intenzione ora di intervenire su questi temi.    Resta una piccola parte della magistratura “molto attiva” – si continua sempre in ambienti di governo – che cercherebbe di prendere un ruolo che spetta alle opposizioni, come accadde negli anni ’90. Ma Giorgia Meloni è forte e non ha conflitti di interesse. E Via Arenula segue la situazione, vigila e interviene chiedendosi cosa stia succedendo all’interno dell’ordine giudiziario.

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    Da Tangentopoli a Nordio, 30 anni di tensioni politica-pm

       Da Tangentopoli, con arresti quotidiani di politici per corruzione, alla separazione delle carriere dei magistrati, sognata da Silvio Berlusconi ed ora nel mirino del Guardasigilli Carlo Nordio proprio nel momento in cui un ministro, Daniela Santanchè, è sotto la lente dei magistrati per le sue attività imprenditoriali.    La “guerra” tra politici e magistratura in Italia va avanti da trent’anni, senza soluzione di continuità, segnati da bracci di ferro ed accuse reciproche. Dai primi anni ’90 in poi è stato un crescendo, con alcuni pesanti oggetti del contendere come l’abolizione dell’immunità parlamentare, il cosiddetto decreto legge ‘salva-ladri’, targato ministro della Giustizia del primo governo Berlusconi, il liberale Alfredo Biondi. Per proseguire con leggi varate dai governi guidati dal Cav che in un modo o nell’altro erano considerate dalle opposizioni e da una parte della magistratura come strumenti per limitare il potere giudiziario.    Tutti provvedimenti in corrispondenza del solo annuncio dei quali si scatenavano puntualmente gli attacchi che, come ha fatto ora l’Anm in relazione alla separazione delle carriere, accusavano il governo di voler imporre limiti e bavagli.    Attacchi della magistratura che – era il ragionamento delle maggioranze di allora a guida Forza Italia, si concretizzavano con la giustizia a “orologeria”, indagini ed arresti proprio nelle fasi più “calde” dell’azione riformatrice propugnata dalla politica in materia di Giustizia. Era il 1992 quando il pool di Milano, con l’operazione “Mani Pulite”, dispone arresti a raffica per corruzione, finanziamento illecito ai partiti, e altre forme di illegalità, politici, imprenditori e funzionari pubblici in quantità portando alla luce un sistema diffuso di corruzione e tangenti che coinvolgevano praticamente tutti i partiti. Arresti che come un terremoto scossero profondamente il panorama politico italiano e segnarono la morte della Prima Repubblica, aprendo la strada a Forza Italia e Silvio Berlusconi, che si presentarono agli italiani con un programma basato sulla separazione delle carriere tra giudici e Pm e con una serie di caveat all’azione dei Pubblici ministeri.    Intanto nel 1993, come conseguenza diretta delle indagini di Mani Pulite, salta a furor di popolo dalla Costituzione l’immunità parlamentare: deputati e senatori non potevano così più sottrarsi alle indagini e ai processi. Dello stesso periodo è il dl “salva-ladri”, varato nel 1994 da Biondi per abolire la custodia cautelare per i reati finanziari e contro la Pubblica Amministrazione. Decreto che alla fine, dopo una ridda di polemiche, non venne mai convertito.    L’ acme dello scontro tra politica e giudici, però, si raggiunge nei primi anni del 2000. Si mette mano alla riforma del processo penale e dell’ordinamento giudiziario. Ma soprattutto arrivano le leggi che vennero da tanti bollate come ‘ad personam’: dalla Cirielli (poi diventata ‘ex’ con il ritiro della firma dell’autore) alla “salva Previti”, alla “legge Cirami”, approvata nel 2003, con l’introduzione di alcune restrizioni sulle intercettazioni telefoniche che riducevano l’efficacia degli strumenti investigativi utilizzati dalla magistratura. Nel 2010, il governo Berlusconi ha promosso una riforma della giustizia, nota come “legge Alfano”, che ha introdotto alcune disposizioni volte a limitare l’uso della custodia cautelare in carcere.    Una sequenza che porta alla riforma Nordio che sembra già proiettarsi, in un secondo annunciato step, verso ulteriori strette alla pubblicazione delle intercettazioni e all’utilizzo dell’avviso di garanzia. E in prospettiva, nell’ambito di una riforma radicale del processo penale in chiave accusatoria, anche verso un intervento sull’istituto “irragionevole” dell’imputazione coatta e una limitazione degli ‘ascolti’ ai reati più gravi,Per arrivare poi a mettere mano alla Costituzione, con l’introduzione della separazione delle carriere di giudici e pm. I limiti ai giornalisti sono nella riforma approvata il 15 giugno scorso dal Consiglio dei ministri in omaggio a Silvio Berlusconi, ora in attesa della firma del capo dello Stato per poter iniziare il suo iter parlamentare.

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    Addio ad Arnaldo Forlani, l’ultimo del Caf

    Addio ad Arnaldo Forlani. L’ex leader democristiano si è spento serenamente nella sua casa, a Roma, a quasi 98 anni. Era nato a Pesaro l’8 dicembre del 1925. Per lui Palazzo Chigi proclama il lutto nazionale e i funerali di Stato che si terranno lunedì a Roma.
    È stato uno dei massimi esponenti della Democrazia Cristiana, politico di rango che ha ricoperto diversi incarichi apicali non solo come segretario della Balena Bianca ma anche nel governo.
    Dopo essere stato per molti anni il principale collaboratore di Amintore Fanfani nella corrente politica “Nuove Cronache”, la abbandonò agli inizi degli anni ottanta e diede vita con Antonio Gava e Vincenzo Scotti alla corrente “Azione Popolare” (o “Grande centro”). Fu presidente e vicepresidente del Consiglio, ministro degli esteri, della difesa e delle partecipazioni statali. E’ stato segretario della Democrazia Cristiana dal 1969 al 1973, poi nel triennio 1989-1992.Per un lungo periodo è stato presidente del Consiglio nazionale del partito. Candidato alla presidenza della Repubblica nel 1992, fu ostacolato dal fuoco amico all’interno della Dc. Il “coniglio mannaro”,come lo definì Gianfranco Piazzesi, scrittore e giornalista, nonché collaboratore de “Il Giornale” di Indro Montanelli, è diventato comunque uno dei politici italiani più longevi. Nel 1980 fu tra gli artefici della vittoria al Congresso scudocrociato di una maggioranza moderata che elesse come segretario Flaminio Piccoli e pose fine all’esperienza della collaborazione con il PCI, rilanciando la formula del centro-sinistra. Dal 18 ottobre 1980 al 26 giugno 1981 è stato Presidente del Consiglio guidando un quadripartito formato da DC, PSI, PSDI e PRI. Lo scandalo della loggia massonica P2 lo portò alle dimissioni.
    Il XVIII Congresso nazionale del partito elesse nuovamente Arnaldo Forlani alla segreteria. Gestì da segretario la lunga crisi di governo che seguì alle dimissioni del 19 maggio 1989 dell’Esecutivo guidato da Ciriaco De Mita dopo i forti contrasti con Bettino Craxi.A luglio nacque il sesto governo Andreotti e prese corpo il cosiddetto CAF, l’asse politico tra Craxi, Andreotti e Forlani,che fu il perno della politica italiana per la restante parte della legislatura fino alle elezioni del 1992.
    Il 1992 vide anche l’inizio delle inchieste della Procura di Milano (Tangentopoli) che colpiranno prima il PSI e poi la DC, determinandone la crisi e la dissoluzione. In questo clima si tennero le elezioni politiche del 5 aprile 1992,con la Democrazia Cristiana che perse quasi il 5% alla Camera. In un momento di crisi generale della politica nacque l’ultimo Esecutivo con il sostegno del quadripartito, guidato dal socialista Giuliano Amato. Ebbe così fine l’esperienza del CAF e il declino della carriera di Forlani, sconfitto dai franchi tiratori nella corsa al Quirinale,costretto alle dimissioni da segretario e poi sottoposto a procedimenti giudiziari nell’ambito dell’inchiesta Mani pulite. Proseguì la sua attività di deputato in modo defilato e non si presentò alle elezioni politiche del 1994 dopo una permanenza nel Parlamento per nove legislature, dal 1958.    

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    Veronica Lario, ex moglie di Berlusconi: ‘Non sapevo del testamento del 2006’

    Veronica Lario non era a conoscenza del testamento redatto da Silvio Berlusconi nell’ottobre 2006 e non ne ha saputo niente ‘fino a due giorni fa’. Lo fa sapere l’ex moglie del fondatore di Fininvest, sottolineando che non è dovuto quindi al testamento l’annuncio del divorzio nel 2009.    ‘Smentisco categoricamente quanto affermato da Repubblica di oggi che ipotizza una correlazione fra la volontà testamentaria di Silvio Berlusconi dell’ottobre 2006 e la lettera con la quale nel maggio del 2009 presi le distanze dai comportamenti del mio ex marito. Non ero assolutamente a conoscenza allora del testamento olografo registrato dal notaio Arrigo Roveda nell’ottobre 2006, cosi come non ne ero a conoscenza fino a due giorni fa’, afferma Lario.    ‘Le ragioni del divorzio non sono mai state legate a presunte volontà testamentarie di cui – conclude – ribadisco sono venuta a conoscenza in queste ore attraverso la lettura dei giornali’.

    Agenzia ANSA

    ‘A nessuno il controllo solitario della holding’. Un legato di 100 milioni a Marta Fascina, un altro al fratello Paolo, a Dell’Utri uno di 30. La lettera ai figli: ‘Tanto amore a tutti voi’. Così nel testamento di Silvio Berlusconi che l’ANSA ha potuto visionare in anteprima. Da quali società è composta la galassia Fininvest. I titoli di famiglia in calo (ANSA)

           

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    Ok del Senato, stop al taglio dei vitalizi per ex senatori ante 2012

    Via libera del consiglio di garanzia del Senato a una delibera che prevede il ripristino dei vitalizi tagliati per gli ex senatori. Si tratta di quelli relativi a prima del 2012 quando, adeguandosi alla riforma pensionistica, è stato deciso che venisse applicato anche ai parlamentari il sistema contributivo e non più retributivo. La decisione,anticipata da Repubblica e dal Fatto,è arrivata con un voto che – secondo quanto viene riferito da fonti parlamentari – ha visto il no dei componenti di Lega e FdI,il si di un componente del consiglio ex M5s e l’astensione del Pd, mentre il presidente,l’azzurro Luigi Vitali,ha votato sì.La delibera è stata votata nell’ultima seduta dell’organismo parlamentare che è stato rinnovato con la nuova legislatura ed era finora composto da Luigi Vitali (ex senatore FI), Ugo Grassi (ex M5s), Alberto Balboni di Fdi, Pasquale Pepe della Lega e Valeria Valente del Pd. In base a una sentenza della Corte Costituzionale, che ha fatto riferimento alle pensioni d’oro – viene riferito – la delibera ha deciso per la temporaneità dell’applicazione del taglio, facendolo finire con l’avvio della nuova legislatura.