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    Von der Leyen e Michel in trasferta in Islanda al Consiglio d’Europa. L’Ue sostiene il ‘Registro danni’ per la guerra a Kiev

    Bruxelles – Portare in giudizio la Russia e renderla ‘responsabile’ legalmente dei crimini di guerra in Ucraina, iniziando a raccogliere prove in un registro dei danni. Sono mesi ormai che l’Unione europea porta avanti il lavoro per istituire un tribunale speciale ad hoc per far pagare alla Russia i crimini di aggressione e di guerra contro l’Ucraina, una volta che l’invasione sarà finita. E questa volta è tempo di portare il tema in un consesso internazionale.
    “Sosterrò con forza la creazione di un tribunale dedicato per portare in giudizio il crimine di aggressione della Russia. Decideremo anche di istituire un registro dei danni all’Aia. Sarà un primo passo, ma un ottimo passo, verso la compensazione russa”, ha dichiarato Ursula von der Leyen, in una conferenza stampa che questa mattina ha visto la presidente della Commissione europea al fianco del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, per presentare le priorità dell’Unione europea alla vigilia di tre importanti appuntamenti di diplomazia internazionale. Domani e mercoledì si terrà nella capitale islandese Reykjavik il vertice del Consiglio d’Europa, principale organismo che lavora come osservatorio dei diritti umani del continente (che non fa parte delle istituzioni comunitarie), che sarà seguito da un incontro dei leader del G7  dei Paesi più industrializzati (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti)del mondo a Hiroshima, in Giappone, da venerdì 19 a domenica 21 maggio. All’inizio della prossima settimana i leader dell’Ue saranno poi a Seul per il Vertice Corea-Ue.

    An important sequence of summits starts tomorrow – @coe in Reykjavik, @G7 in Hiroshima and 🇪🇺🇰🇷 in Seoul.
    Many themes will connect them.
    And first, our united response to the Russian invasion of Ukraine and our support to this brave nation ↓https://t.co/brwgW9c5Xg
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) May 15, 2023

    Tre le priorità più urgenti su cui l’Unione europea porrà l’accento durante i tre appuntamenti internazionali, sintetizzati da von der Leyen in conferenza stampa: Ucraina (con particolare riferimento all’ultimo pacchetto di sanzioni), i rapporti internazionali con la Cina e la corsa alle tecnologie pulite. “Continueremo a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario”, ha ribadito von der Leyen, spiegando che le dichiarazioni “devono tradursi in un sostegno finanziario stabile anche oltre il 2023 e in un sostegno militare accelerato”. La presidente ha aggiunto di aspettarsi che i leader siano uniti di fronte a due questioni fondamentali: il “primo principio è che continueremo a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario” e poi che “niente sull’Ucraina senza l’Ucraina”. A significare che il processo di pace dovrà garantire che Kiev abbia un ruolo di primo piano da protagonista.
    Nella conferenza stampa von der Leyen ha anche sostenuto la creazione di un tribunale speciale per tenere conto dei crimini di guerra della Russia e ha affermato di voler sostenere la creazione di un “Registro dei danni” all’Aia per iniziare a tenerne traccia a livello internazionale per quando sarà il momento di usarli. “Sarà un primo passo, ma un ottimo passo, verso la compensazione russa”, ha assicurato. Dei tre appuntamenti internazionali sarà il Vertice di domani e mercoledì nella capitale islandese quello più importante per iniziare a discuterne. “I responsabili devono essere chiamati a rispondere della violazione del diritto internazionale e dell’ordine multilaterale basato sulle regole. Per questo sosteniamo con forza l’istituzione del Registro dei danni, che è il primo passo verso un meccanismo internazionale per la riparazione di danni, perdite o lesioni in Ucraina”, le ha fatto eco anche il presidente del Consiglio europeo Michel. Alla due giorni di Vertice parteciperanno i Capi di Stato e di governo dei 46 Stati membri (tutti i Ventisette) che fanno parte del Consiglio d’Europa, l’organizzazione che promuove democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa. Alla cerimonia di apertura interverrà anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

    Il primo dei tre appuntamenti internazionali che questa settimana vedrà la presidente della Commissione europea e il presidente del Consiglio europeo impegnati in un tour di diplomazia internazionale. I leader sosterranno la creazione di un registro dei danni come prima tappa per istituire un tribunale speciale ad hoc. Da venerdì a domenica leader impegnati al G7 di Hiroshima

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    A Bruxelles è iniziato il lavoro sull’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – A Bruxelles è iniziato il lavoro sull’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, che – dopo aver preso di mira carbone e petrolio importati dal Cremlino – potrebbe includere l’industria nucleare di Mosca. Gli Stati membri Ue hanno iniziato questa settimana a discutere con la Commissione europea del prossimo pacchetto di misure restrittive contro la Russia, l’undicesimo in tutto da quando è iniziata la guerra di aggressione ai danni dell’Ucraina il 24 febbraio dell’anno scorso.
    A quanto si apprende da fonti diplomatiche, oggi inizieranno i colloqui tra l’esecutivo europeo e gli ambasciatori dell’Ue sul contenuto del pacchetto (attraverso i cosiddetti ‘confessionali’ tra la Commissione e gruppi di ambasciatori), con l’idea di raccogliere umori e considerazioni da parte dei governi nell’ottica di arrivare a presentare una proposta concreta nelle prossime settimane. Una proposta, spiegano ancora le fonti, che non si aspetta in tempi rapidi, sicuramente non entro la fine del mese. Il tema aveva trovato i governi europei divisi a febbraio scorso mentre erano alle prese con la preparazione del decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, quando a insistere sulla necessità di colpire l’industria nucleare di Mosca nelle sanzioni era stato in primis il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che il 9 febbraio era a Bruxelles per prendere parte al Vertice Ue insieme ai leader dei 27. A quel punto i governi erano ancora reticenti all’idea e l’industria dell’atomo non è finita nel pacchetto.
    Kiev ha ribadito che è necessario prendere di mira con più sanzioni non solo l’industria dell’atomo, ma anche nel settore dei diamanti e in quello finanziario, su cui le discussioni vanno avanti da tempo, ma senza fare progressi. Questa volta a insistere sull’inserimento dell’industria nucleare civile è anche la Germania, che sta facendo pressioni insieme alla Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania e Irlanda che spingono sullo stesso fronte di Berlino. Altri come l’Ungheria frenano. Il nuovo pacchetto di sanzioni dovrebbe concentrarsi in particolare su come rafforzare misure anti-elusione delle misure restrittive esistenti. Kiev chiede di prendere di mira in particolare Rosatom, il colosso di stato russo, fondato nel 2007, che controlla l’energia nucleare civile e l’arsenale di armi dell’atomo del Paese, oltre che l’attuale gestore della centrale nucleare occupata di Zaporizhzhia, nell’Ucraina orientale. L’Unione europea dipende dalla Russia anche per le importazioni di uranio, una componente essenziale per la produzione di energia nucleare. Secondo le ultime stime disponibili dell’agenzia di approvvigionamento di Euratom (la Comunità europea dell’energia atomica), nel 2020 il 20 per cento dell’uranio naturale importato in Ue arrivava proprio da Mosca, seconda solo al Niger.
    L’agenzia Euratom stima inoltre che il 26 per cento dell’uranio arricchito, usato nel processo di produzione dell’energia nucleare, arrivi dalla Russia, con un calo deciso rispetto all’anno precedente (circa il 25 per cento) ma che ancora testimonia una forte dipendenza tra la Russia e l’Ue nel settore della tecnologia nucleare. Bruxelles importa da Mosca anche reattori nucleari e parti di reattori. Ad oggi, ci sono 18 reattori nucleari nella Ue che fanno affidamento sulle barre di combustibile esagonali in arrivo dalla Russia: due in Bulgaria, sei nella Repubblica Ceca, due in Finlandia, quattro in Ungheria e quattro in Slovacchia. Secondo i dati del think tank Bruegel, Mosca nel 2019 ha esportato beni nucleari per un valore di circa 3 miliardi di dollari (circa 2,7 miliardi di euro), con il 60 per cento delle sue esportazioni di materiale nucleare e tecnologia rappresentato da uranio arricchito e plutonio (utilizzabile anche come combustibile nei reattori) in Germania, Francia, Paesi Bassi e Svezia e gli Stati Uniti. Complessivamente, il think tank di Bruxelles stima che la Russia rappresenta il 33 per cento delle esportazioni mondiali di uranio arricchito usato per i reattori nucleari.

    Sul tavolo anche il nucleare russo. Al via i colloqui tra l’esecutivo europeo e gli ambasciatori dell’Ue sul contenuto del pacchetto (attraverso i cosiddetti ‘confessionali’ tra la Commissione e gruppi di ambasciatori), con l’idea di raccogliere umori e considerazioni da parte dei governi nell’ottica di arrivare a presentare una proposta concreta nelle prossime settimane

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    Fumata nera sul decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, mentre Kiev spinge per colpire l’industria nucleare di Mosca

    Bruxelles – Fumata nera. A poche ore dalla scadenza del 24 febbraio, quando ricorrerà il primo anniversario dell’inizio dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, gli ambasciatori dei 27 Stati membri ancora non riescono a trovare un accordo sul decimo pacchetto delle sanzioni e rimandano a domani. I rappresentanti permanenti presso l’Ue si sono riuniti questa mattina al Coreper, il comitato in cui si riuniscono, per approvare il nuovo pacchetto di misure restrittive annunciate da Ursula von der Leyen lo scorso 15 febbraio che prenderanno di mira non solo Mosca, ma anche Teheran.
    Tra le altre cose, le sanzioni proposte prevedono nuovi divieti commerciali su componenti di macchinari, pezzi di ricambio per camion e motori che possono essere diretti alle forze armate della Russia e “restrizioni all’esportazione di 47 componenti elettronici utilizzati nei sistemi armati russi, come droni, missili, elicotteri, ma anche tecnologie a duplice uso presenti sui campi di battaglia. Il valore del blocco delle esportazioni, secondo von der Leyen, è di circa 11 miliardi di euro. Per la prima volta Bruxelles colpisce anche la macchina della propaganda russa, elencando “i propagandisti di Putin così come altri comandanti militari e politici” nella lista nera Ue.
    A quanto si apprende, restano ancora dei punti di distanza, in particolare sul nuovo criterio di designazione dei familiari di persone già oggetto di sanzioni, richiesto da Polonia e Paesi baltici, e sugli obblighi di informativa dettagliata del settore finanziario sugli asset e riserve della Banca Centrale Russa (e relative sanzioni pecuniarie per il mancato rispetto dell’obbligo di informativa dettagliata), con l’obiettivo di rafforzare il monitoraggio su asset immobilizzati e congelati. Una misura fortemente voluta dalla Commissione Ue, ma su cui alcune delegazioni hanno continuato a sollevare dubbi sulla realizzabilità. Pur con queste distanze, a quanto si apprende, è comunque stata riconfermata la volontà dei Ventisette di dare un segnale di unità con un accordo sul decimo pacchetto entro la data simbolica del 24 febbraio, e dunque la discussione è stata riaggiornata a domani pomeriggio con un nuovo Coreper. Nel frattempo proseguiranno contatti bilaterali dell’Esecutivo comunitario con gli Stati membri per definire gli ultimi dettagli rimasti da chiarire.
    Mentre i governi Ue fanno fatica a raggiungere la quadra politica sul decimo pacchetto di sanzioni, gli ambasciatori dei Ventisette sono stati raggiunti nelle discussioni questa mattina dalla vicepremier ucraina e ministro dell’Economia, Yulia Svyrydenko. La ministra di Kiev è tornata a insistere sulla necessità di colpire l’industria nucleare di Mosca nelle sanzioni, una questione riportata sul tavolo anche dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky che il 9 febbraio era a Bruxelles per prendere parte al Vertice Ue insieme ai leader dei 27.“Credo che sia importante persuadere i nostri partner sull’inserimento dell’industria nucleare e l’azienda russa Rosatom”, ha detto parlando in un punto stampa al termine della riunione. Si è detta consapevole del fatto che l’industria nucleare di Mosca ha un impatto globale su molti Paesi “ma questo non può essere una ragione per evitare le sanzioni sull’industria nucleare russa”. La vicepremier ha incalzato Ue e Usa sull’industria nucleare, altrimenti Mosca “continuerà a comportarsi da Stato terrorista”. Per Kiev è necessario prendere di mira con più sanzioni non solo l’industria dell’atomo, ma anche nel settore dei diamanti e in quello finanziario, su cui le discussioni vanno avanti da tempo, ma senza fare progressi.
    Rosatom è il colosso di stato russo, fondato nel 2007,che controlla l’energia nucleare civile e l’arsenale di armi dell’atomo del Paese, oltre che l’attuale gestore della centrale nucleare occupata di Zaporizhzhia, nell’Ucraina orientale. L’Unione europea dipende dalla Russia anche per le importazioni di uranio, una componente essenziale per la produzione di energia nucleare. Secondo le ultime stime disponibili dell’agenzia di approvvigionamento di EURATOM (la Comunità europea dell’energia atomica), nel 2020 il 20 per cento dell’uranio naturale importato in UE arrivava proprio da Mosca, seconda solo al Niger.
    ’agenzia EURATOM stima inoltre che il 26 per cento dell’uranio arricchito, usato nel processo di produzione dell’energia nucleare, arrivi dalla Russia, con un calo deciso rispetto all’anno precedente (circa il 25 per cento) ma che ancora testimonia una forte dipendenza tra la Russia e l’UE nel settore della tecnologia nucleare. Bruxelles importa da Mosca anche reattori nucleari e parti di reattori. Ad oggi, ci sono 18 reattori nucleari nella UE che fanno affidamento sulle barre di combustibile esagonali in arrivo dalla Russia: due in Bulgaria, sei nella Repubblica Ceca, due in Finlandia, quattro in Ungheria e quattro in Slovacchia.
    Secondo i dati del think tank Bruegel, Mosca nel 2019 ha esportato beni nucleari per un valore di circa 3 miliardi di dollari (circa 2,7 miliardi di euro), con il 60 per cento delle sue esportazioni di materiale nucleare e tecnologia rappresentato da uranio arricchito e plutonio (utilizzabile anche come combustibile nei reattori) in Germania, Francia, Paesi Bassi e Svezia e gli Stati Uniti. Complessivamente, il think tank di Bruxelles stima la Russia rappresenta il 33 per cento delle esportazioni mondiali di uranio arricchito usato per i reattori nucleari.
    Tra i governi Ue per ora non c’è consenso sulla questione, con Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania e Irlanda che spingono su questo fronte, mentre altri come l’Ungheria frenano. “Le sanzioni a Rosatom minaccerebbero la sicurezza nucleare globale, dato si tratta di uno dei principali attori dell’industria nucleare mondiale”, ha ribadito oggi il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, in conferenza stampa al termine dell’incontro a Budapest con Rafael Grossi, direttore generale della Agenzia internazionale per l’energia atomica. Il ministro ha poi sottolineato la necessità di “intraprendere un’azione energica per garantire che le sanzioni dell’Ue non influiscano in alcun modo sul settore nucleare russo, poiché – ha aggiunto – questo potrebbe danneggerebbe gli interessi nazionali fondamentali dell’Ungheria, minacciando al contempo anche la sicurezza nucleare globale”.

    Giovedì nuova riunione degli ambasciatori al Coreper per approvare il decimo pacchetto di sanzioni entro la data simbolica del 24 febbraio, quando sarà trascorso un anno dall’inizio dell’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina

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    Prove di distensione tra Bruxelles e Washington sul piano di sovvenzioni verdi degli Usa

    Roma – Prove distensione tra Unione europea e Stati Uniti sul controverso piano contro l’inflazione varato da Washington, che rischia di incrinarne i rapporti. In una nota pubblicata ieri (29 dicembre) in tarda serata, la Commissione europea ha accolto le linee guida adottate dagli Usa in cui viene assicurato che le aziende europee potranno beneficiare del regime di credito solo (per ora) per i veicoli commerciali puliti previsti dell’Inflation Reduction Act statunitense, “senza richiedere modifiche ai modelli di business consolidati o previsti dei produttori dell’Ue”.
    Per Bruxelles si tratta “di un vantaggio per entrambe le parti” e anche un tentativo di ricucire lo strappo, anche se ancora restano elementi da chiarire e il resto del piano di Biden contiene ancora misure “discriminatorie” nei confronti delle aziende europee. L’Inflation Reduction Act (IRA) è il massiccio piano di investimenti da 369 miliardi varato dall’amministrazione Usa di Joe Biden per le tecnologie verdi, che ha fatto preoccupare l’Ue perché potrebbe svantaggiare le imprese europee dal momento che prevede sgravi fiscali per acquistare prodotti Made in Usa tra cui automobili, batterie ed energie rinnovabili.
    L’amministrazione statunitense ha esteso alle aziende dell’Ue la possibilità di beneficiare di uno (quello per gli operatori commerciali) dei due programmi di credito di imposta previsti per i veicoli puliti, l’altro riguarda i consumatori privati. Così – commenta Bruxelles nella nota – “i contribuenti statunitensi potranno trarre vantaggio da veicoli e componenti elettrici altamente efficienti prodotti nell’Ue, mentre le aziende europee che forniscono ai propri clienti tramite leasing veicoli puliti all’avanguardia possono beneficiare degli incentivi previsti dall’IRA”. Restano però molte preoccupazioni da parte di Bruxelles sul piano, che andranno approfondite nel quadro della task force istituita tra Bruxelles e Washington. “Ulteriori lavori sono in corso nell’ambito della task force UE-USA – assicura la nota – sulla riduzione dell’inflazione per trovare soluzioni alle preoccupazioni europee, ad esempio trattando l’UE allo stesso modo di tutti i partner degli accordi di libero scambio degli Stati Uniti”.
    Questo regime “continua a destare preoccupazione per l’UE, in quanto contiene disposizioni discriminatorie che di fatto escludono dal beneficio le imprese dell’UE” e “discriminare i veicoli puliti prodotti nell’UE viola il diritto commerciale internazionale”. Di fronte al piano statunitense di incentivi per la transizione Made in Usa l’Ue non vuole farsi trovare impreparata. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha già delineato al Consiglio europeo del 15 dicembre le 4 linee programmatiche su cui verterà la risposta europea all’Ira statunitense, di cui proposte concrete arriveranno nel 2023. Il piano von der Leyen è quello di lavorare con l’amministrazione Biden sui punti più critici del suo piano contro l’inflazione; adeguare le norme europee per gli aiuti di stato; potenziare gli investimenti europei per accelerare la transizione verde, nel breve periodo attraverso ‘RepowerEu’ e, nel lungo, attraverso un nuovo fondo europeo per la sovranità (ancora da chiarire come dovrà essere finanziato); e accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili.
    Già a gennaio arriverà la revisione del quadro di norme sugli aiuti di stato, per renderli più semplici e veloci. L’equivalente europeo delle agevolazioni fiscali sono gli aiuti di Stato e dunque Bruxelles interverrà lì. Oltre a modificare le regole sui sussidi, von der Leyen punta a potenziare gli investimenti nelle tecnologie verdi: nel breve termine, attraverso il piano ‘RepowerEu’ presentato a maggio scorso per affrancare l’Ue dai combustibili fossili russi, e a medio termine, con la prospettiva di dare vita a un fondo di sovranità per l’industria, da finanziare con risorse comuni europee, e su cui si prevedono scontri tra i governi. Secondo la Commissione europea, l’occasione di presentare una proposta in tal senso sarà la revisione di metà termine del bilancio a lungo termine (il Qfp – 2021-2027) che arriverà in estate. La ‘ricetta’ prevede quindi da una parte il potenziamento dei sussidi statali alle imprese, dall’altra dar vita a un Fondo di sovranità europeo con cui finanziare un politica industriale dell’Ue e affrontare così il problema dell’asimmetria tra Paesi Ue che hanno o non hanno spazio fiscale per approvare aiuti di stato a pioggia (come nel caso italiano).

    In risposta ai timori di Bruxelles di vedersi svantaggiare l’industria auto, Washington estende alle aziende europee la possibilità di beneficiare del regime di credito per i veicoli commerciali puliti previsti dell’Inflation Reduction Act, il piano contro l’inflazione varato dall’amministrazione Biden che rischia di gelare i rapporti con l’Ue

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    Ue e Stati Uniti preoccupati per le tensioni nel nord del Kosovo. L’appello congiunto alla de-escalation

    Bruxelles – Bruxelles e Washington preoccupate dalla crescente tensione in Kosovo. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno rilasciato questo pomeriggio (28 dicembre) una dichiarazione congiunta in cui sollevano preoccupazioni “per la persistente situazione di tensione nel nord del Kosovo” e chiedono di “esercitare la massima moderazione” e allentare le tensioni degli ultimi giorni.

    🇪🇺and 🇺🇸 call for maximum restraint and immediate de-escalation in north Kosovo. We are working with Ptd Vučić and PM Kurti to find a political solution in the interest of stability, safety and well-being of all local communities. Full statement 👉 https://t.co/SiknNws9HZ
    — Nabila Massrali (@NabilaEUspox) December 28, 2022

    Dopo lo scontro sulle targhe e l’intesa trovata in extremis a fine novembre, le tensioni tra Kosovo e Serbia si sono intensificate molto negli ultimi mesi ed esplose dopo che un ex poliziotto serbo del Kosovo è stato arrestato lo scorso 10 dicembre per aver aggredito un agente di polizia in servizio. L’arresto ha innescato proteste e manifestazioni da parte della minoranza serba del Kosovo, soprattutto nella parte settentrionale del territorio kosovaro. Pristina ha annunciato oggi la chiusura del più grande valico di frontiera con la Serbia dopo che il governo serbo ha annunciato a inizio settimana l’intenzione di mettere in stato d’allerta il proprio esercito per le crescenti tensioni.
    “Stiamo lavorando con il presidente (serbo Aleksandar) Vučić il primo ministro (kosovaro Albin) Kurti per trovare una soluzione politica al fine di disinnescare le tensioni e concordare la via da seguire nell’interesse della stabilità, della sicurezza e del benessere di tutte le comunità locali”, si legge nella nota congiunta di Bruxelles e Washington, in cui si accoglie “con favore le assicurazioni della leadership del Kosovo che confermano che non esistono elenchi di cittadini serbi del Kosovo da arrestare o perseguire per proteste/barricate pacifiche. Allo stesso tempo, lo stato di diritto deve essere rispettato e qualsiasi forma di violenza è inaccettabile e non sarà tollerata”.La dichiarazione prosegue assicurando che gli Stati Uniti “sosterranno il lavoro dell’Unione europea attraverso la missione sullo Stato di diritto in Kosovo”, EULEX, che “continuerà a monitorare da vicino tutte le indagini e i successivi procedimenti per promuovere il rispetto dei diritti umani. Ci aspettiamo inoltre che il Kosovo e la Serbia tornino a promuovere un ambiente favorevole alla riconciliazione, alla stabilità regionale e alla cooperazione a beneficio dei loro cittadini”.

    Dichiarazione congiunta di Bruxelles e Washington per invitare Pristina e Belgrado a una rapida de-escalation delle tensioni, che hanno portato il Kosovo alla chiusura del più grande valico di frontiera con la Serbia

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    Il 3 febbraio vertice Ue-Ucraina, Zelensky invitato nella capitale d’Europa

    Bruxelles – Il 12 ottobre di un anno fa calava il sipario a Kiev il 23° vertice tra l’Unione europea e l’Ucraina con il fermo sostegno di Bruxelles all’indipendenza e territoriale del Paese e l’estensione le sanzioni economiche contro la Russia per l’annessione illegale della Crimea del 2014. Oggi (22 dicembre) fonti europee confermano che il prossimo vertice tra Bruxelles e Kiev si terrà nella capitale belga il 3 febbraio e il formato sarà lo stesso: Ursula von der Leyen, a nome della Commissione europea, Charles Michel in rappresentanza del Consiglio europeo, e Volodymyr Zelenskyy a nome dell’Ucraina.
    A essere diverso sarà lo scenario, perché da quel 12 ottobre tutto è cambiato per l’Ucraina e per i rapporti tra Unione europea e Kiev. Sullo sfondo del futuro Summit la guerra di Russia in Ucraina, iniziata con l’invasione del territorio di Kiev il 24 febbraio scorso. Visto il contesto in cui prenderà le mosse il Summit, per il momento nessuna conferma su dove avrà luogo il Summit. A quanto si apprende, Michel avrebbe invitato il presidente Zelensky a visitare la capitale belga anche se la visita non sarebbe collegata al Vertice. Il summit non sarà con tutti i leader dei 27 Stati membri, ma manterrà il formato tradizionale con i presidenti del Consiglio e della Commissione europea.
    Non è difficile immaginare che le conseguenze della guerra, sul piano economico, energetico e della ricostruzione, saranno al centro del Summit di Bruxelles. Ma lo scenario sarà diverso anche perché dallo scorso giugno, Kiev è ufficialmente un Paese candidato all’adesione all’UE, in quello che è stato un decisionale mai così veloce da parte della Commissione, accelerato senza dubbio dalla guerra.

    Il vertice non sarà con tutti i leader dei 27 Stati membri, ma manterrà il formato tradizionale con i presidenti del Consiglio europeo, Charles Michel, e della Commissione europea, Ursula von der Leyen. La presenza a Bruxelles del presidente ucraino ancora non confermata

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    Iran, bilaterale tra Borrell e il ministro degli esteri di Teheran a causa del “deterioramento dei rapporti” con l’Ue

    Bruxelles – Un incontro vis à vis, dopo i ripetuti colloqui telefonici delle ultime settimane. L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il Ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, hanno sfruttato la seconda conferenza di Baghdad per la cooperazione e il partenariato per discutere in un bilaterale le forti divergenze che allontanano sempre di più Bruxelles e Teheran. La brutale repressione delle proteste interne messa in atto dal regime dell’ayatollah Khamenei, la vendita di droni militari alla Russia, la trattativa decennale sul nucleare iraniano: questi i temi sollevati da Borrell a margine del summit regionale, che si è tenuto oggi (20 dicembre) nella capitale del regno di Giordania, Amman.

    Necessary meeting w Iranian FM @Amirabdolahian in Jordan amidst deteriorating Iran-EU relations Stressed need to immediately stop military support to Russia and internal repression in IranAgreed we must keep communication open and restore #JCPOA on basis of Vienna negotiations
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) December 20, 2022

    Un faccia a faccia “reso necessario a causa del deterioramento delle relazioni Ue-Iran“, ha dichiarato in un tweet il capo della diplomazia europea: negli ultimi mesi la Repubblica islamica e le istituzioni europee si sono sfidate a colpi di sanzioni, in un’escalation che ha toccato il punto più alto con la decisione, presa lo scorso 23 novembre dalla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, di interrompere qualsiasi contatto tra gli europarlamentari e i loro omologhi di Teheran.
    Come ha ribadito il portavoce della Commissione europea responsabile per gli Affari esteri, Peter Stano, l’Iran “è entrato nell’agenda degli ultimi tre vertici dei 27 ministri degli Esteri Ue”, dato significativo per capire i venti che soffiano a Bruxelles sul dossier iraniano. Nell’ultimo Consiglio Affari esteri Ue, il 12 dicembre, i 27 Paesi membri hanno deciso di aggiungere alle misure restrittive anche gli alti gradi dei Pasdaran, le guardie della Rivoluzione islamica, e l’emittente televisiva statale del regime, l’Irib: ora nella lista nera di Bruxelles figurano ben 155 individui e 12 entità, soggetti al congelamento dei beni e al divieto di viaggio in territorio Ue.
    Peter Stano ha assicurato che “in ogni meeting con i partner l’Ue si prende tutto il tempo necessario per veicolare i propri messaggi”: sempre su twitter, Borrell ha reso noto di aver insistito affinché Teheran metta fine immediatamente al supporto militare al Cremlino e alla brutale repressione interna, che, secondo l’ultimo bollettino dell’ong Iran Human Rights, ha già provocato 469 vittime, tra cui 63 minori e 32 donne.
    Le trattative sul nucleare iraniano
    L’Alto rappresentante Ue avrebbe cercato di lavorare i fianchi di Amirabdollahian anche su un terzo punto: la ripresa dei dialoghi sul JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action), l’accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015 a Vienna dall’Unione europea, dall’Iran e dal gruppo dei 5+1 (Stati Uniti, Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia e Germania), messo in stand-by nel 2018, quando gli Stati Uniti dell’allora presidente Donald Trump hanno deciso unilateralmente di ritirarsi. “Ci siamo trovati d’accordo nel mantenere aperta la comunicazione e ripristinare il JCPOA sulla base dei negoziati di Vienna”, ha dichiarato ancora Borrell.
    Le trattative sull’intesa, che pone significative restrizioni al programma nucleare iraniano in cambio della cessazione delle sanzioni economiche imposte dalle Nazioni Unite a Teheran, sono lentamente riprese a novembre 2021 grazie al cambio di amministrazione a Washington, ma lo sforzo diplomatico per avvicinare le parti è soprattutto a carico di Bruxelles: come ha sottolineato il portavoce Peter Stano, “Borrell è il coordinatore del JCPOA, quindi è logico che incontri tutte le parti dell’accordo, specialmente nel momento in cui si cerca di riportare l’intesa a un pieno funzionamento”.

    Il capo della diplomazia europea ha incontrato Hossein Amirabdollahian a margine della seconda conferenza di Baghdad per la cooperazione e il partenariato: sul tavolo la violenta repressione delle proteste nel Paese, il sostegno militare di Teheran al Cremlino e la ripresa dei dialoghi sul programma nucleare iraniano

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    Scattano il ‘price cap’ e l’embargo europeo sul petrolio russo

    Bruxelles – Da una parte, il tetto a 60 dollari al barile sulla vendita a Paesi terzi di petrolio russo e servizi collegati. Dall’altro, l’embargo europeo sul petrolio russo in arrivo via mare deciso nel sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’aggressione dell’Ucraina. E’ a partire da oggi (5 dicembre) che diventano operative entrambe le misure restrittive stabilite sul piano interno e internazionale per andare a colpire le entrate con cui il Cremlino finanzia la guerra.
    Il tetto massimo al prezzo del petrolio russo è stato stabilito a livello europeo nel quadro dell’ottavo pacchetto di sanzioni contro la Russia e sarà imposto insieme ai Paesi G7 (Canada, Francia, Italia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti) dall’Unione Europea e dall’Australia, riuniti nella “Price Cap Coalition”. Sul prezzo effettivo del tetto l’intesa a livello europeo è arrivata venerdì sul filo di lana, dopo aver convinto anche la Polonia che ha spinto per giorni per un tetto molto più basso. Nei fatti, l’imposizione del ‘cap0 consente al petrolio russo di essere spedito a Paesi terzi utilizzando petroliere dei Paesi G7 e dell’UE solo se il carico viene acquistato al di sotto della soglia dei 60 dollari al barile, anche se il prezzo di mercato è più alto (attualmente si aggira intorno agli 80 euro).
    Il tetto entra in vigore oggi per il greggio russo, mentre sarà operativo dal 5 febbraio 2023 anche per i prodotti raffinati del petrolio (su cui il livello di ‘cap’ dovrà essere stabilito in un secondo momento). Anche una volta fissato il tetto a 60 dollari al barile, la cifra può essere modificata in ogni momento, l’intesa prevede un meccanismo di revisione del funzionamento del price cap ogni due mesi. Mosca ha già fatto sapere che il tetto al prezzo del petrolio russo deciso dai “Paesi occidentali non avrà alcun impatto sull’offensiva di Mosca in Ucraina”, ha ribadito il ​​portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, sottolineando che l’economia russa “ha tutte le capacità necessarie” per finanziare l’offensiva militare, ha precisato mettendo in guardia contro una “destabilizzazione” del mercato energetico mondiale.
    Contestualmente al tetto sul petrolio, entra in vigore oggi anche il divieto di importazione dell’UE sul greggio e ai prodotti petroliferi russi trasportati via mare, ovvero l’embargo stabilito a giugno con il via libera al sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina. Il divieto riguarda tutto il petrolio russo trasportato via mare in Europa ma, dopo settimane di negoziati difficili a livello europeo, ha previsto una esenzione sulle importazioni di petrolio che arrivano in Europa attraverso gli oleodotti che trasportano il greggio in Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca, ovvero i Paesi più dipendenti dalla Russia in termini di petrolio e senza sbocco sul mare. Data la “specifica esposizione geografica” è prevista una deroga temporanea speciale fino alla fine del 2024 per la Bulgaria che potrà continuare a importare petrolio greggio e prodotti petroliferi trasportati via mare, mentre la Croazia potrà inoltre autorizzare fino alla fine del 2023 l’importazione di gasolio sottovuoto russo, necessario per il funzionamento della sua raffineria.
    Secondo le stime di Bruxelles, nel 2021 l’UE ha importato dalla Russia circa 48 miliardi di euro di petrolio greggio e 23 miliardi di euro di prodotti petroliferi raffinati, come la benzina. Venerdì, dopo l’accordo tra i Ventisette sul tetto al prezzo del petrolio russo, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha salutato l’intesa come un passo per “ridurre in maniera significativa le entrate di Mosca”.

    The EU agreement on an oil price cap, coordinated with G7 and others, will reduce Russia’s revenues significantly.
    It will help us stabilise global energy prices, benefitting emerging economies around the world. pic.twitter.com/3WmIalIe5y
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 2, 2022

    Entrano in vigore le misure restrittive su cui i governi europei si sono accordati nel sesto e ottavo pacchetto di sanzioni contro la Russia: il divieto di importare greggio russo via mare (con eccezioni) e il tetto a 60 dollari al barile per il trasporto in Paesi terzi concordato nel quadro G7