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    La nuova agenda rinnovata tra Ue e America Latina-Caraibi tra transizione e materie critiche

    Bruxelles – Passare dall’essere semplici partner naturali a diventare ‘partner di scelta’. E’ un’agenda rinnovata con l’America Latina e i Caraibi in sei aree di cooperazione (con una serie di azioni chiave per contribuire a realizzarne gli obiettivi) quella adottata oggi (7 giugno) dalla Commissione europea e dall’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, attraverso una comunicazione congiunta.
    Una comunicazione che arriva, strategicamente, a poche settimane dal vertice Ue-Celac che si terrà a Bruxelles il 17 e 18 luglio e propone un partenariato strategico più forte e modernizzato, attraverso un impegno politico rafforzato, la promozione del commercio e degli investimenti e maggiori investimenti attraverso ‘Global Gateway’, l’iniziativa da quasi 300 miliardi di euro che per l’area latinoamericana e caraibica ha in mente un’agenda ambiziosa che comprende attività che vanno dall’estensione del 5G alle aree remote, ai green bond, a sistemi di trasporto più ecologici, all’energia pulita all’idrogeno e a migliori infrastrutture sanitarie, fino all’incremento della ricerca congiunta. Politica, commercio, investimenti di Global Gateway per accelerare una transizione verde e digitale; giustizia e la lotta alla criminalità organizzata transnazionale; pace, sicurezza e diritti, e partnership tra persone: queste le aree di intervento per rafforzare il partenariato messe in evidenza dalla Commissione europea.

    “Oggi il partenariato strategico Ue e America Latina e Caraibi è più importante che mai. Siamo alleati chiave per rafforzare l’ordine internazionale basato sulle regole, difendere insieme la democrazia, i diritti umani e la pace e la sicurezza internazionali. Abbiamo anche interesse a rafforzare il nostro partenariato politico e il nostro impegno, combattere il cambiamento climatico e portare avanti una trasformazione digitale inclusiva e incentrata sull’uomo. Il nostro Global Gateway stimolerà anche gli investimenti e una più stretta cooperazione”, ha riconosciuto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
    Proprio il vertice di luglio sarà il momento per attuare l’agenda comune per gli investimenti, mobilitando risorse tra gli altri, per l’energia rinnovabile e l’idrogeno verde, le materie prime critiche, la decarbonizzazione e i progetti di infrastrutture di trasporto, il 5G e la connettività dell’ultimo chilometro, la digitalizzazione dei servizi pubblici, la gestione sostenibile delle foreste, la produzione sanitaria, l’istruzione e le competenze e la finanza sostenibile. In particolare, Bruxelles guarda alla dimensione commerciale della partnership con America Latina e Caraibi, tanto che a presentare l’agenda in conferenza stampa insieme a Borrell c’era il vicepresidente esecutivo con delega al commercio, Valdis Dombrovskis. L’Ue stima che grazie a questi accordi, gli scambi bilaterali di beni sono aumentati del 40 per cento dal 2018 al 2022, con un totale di scambi bilaterali di beni e servizi pari a 369 miliardi di euro nel 2022.
    Sono in corso gli sforzi per firmare e ratificare l’accordo aggiornato con il Cile e per finalizzare quello con il Messico, ma resta in ballo anche l’accordo con il blocco del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) le cui trattative sono in stallo dal 2019. Il rafforzamento dei partenariati commerciali per l’Ue è la chiave per non perdere la corsa all’approvvigionamento di materie prime critiche per la transizione, che passa anche attraverso il rafforzamento degli accordi commerciali. Bruxelles sta lavorando per rafforzare partnership commerciali strategiche con quei Paesi che possono aiutare l’Unione nella corsa alle materie prime. Il Cile, ad esempio, è il secondo produttore al mondo di litio, che viene usato per la produzione delle batterie. L’Unione europea e la regione latinoamericana e caraibica “scambiano già ogni giorno beni e servizi per un valore di un miliardo di euro, ma ora vogliamo passare al livello successivo, ad esempio con partnership reciprocamente vantaggiose su materie prime critiche per diversificare le nostre catene di approvvigionamento”, ha confermato Dombrovskis, sottolineando che finalizzare l’accordo con il Mercosur “rafforzerebbe notevolmente i legami tra le due regioni”.

    Una comunicazione che arriva a poche settimane dal vertice Ue-Celac che si terrà a Bruxelles il 17 e 18 luglio e propone un partenariato strategico più forte e modernizzato, attraverso un impegno politico rafforzato, la promozione del commercio e degli investimenti e maggiori investimenti attraverso ‘Global Gateway’

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    Energia, trasporti e digitale. L’Unione europea integra l’Ucraina nel Meccanismo per collegare l’Europa

    Bruxelles – Ucraina sempre più integrata energeticamente e digitalmente all’Europa attraverso i trasporti. La commissaria europea per i trasporti, Adina Vălean, e il vice primo ministro per il restauro dell’Ucraina e il ministro per le comunità, i territori e lo sviluppo delle infrastrutture Oleksandr Kubrakov, hanno firmato oggi (6 giugno) a Leopoli, in Ucraina, un accordo per associare l’Ucraina al programma europeo Connecting Europe Facility (CEF), lo strumento finanziario per collegare l’Europa attraverso i trasporti, l’energia e il digitale.
    Un modo per permettere ai promotori di progetti ucraini di richiedere finanziamenti all’Unione europea per realizzare progetti di interesse comune nei settori dei trasporti, dell’energia e del digitale, migliorando ulteriormente la connettività dell’Ucraina con i suoi vicini dell’Ue. Il CEF è uno strumento di finanziamento pensato per promuovere investimenti infrastrutturali mirati a livello europeo e si articola in questi tre settori: trasporto, energia e digitale.

    Bruxelles spiega in una nota che per quanto riguarda i trasporti, le autorità e le imprese ucraine potranno richiedere finanziamenti nell’ambito dei futuri bandi CEF sui trasporti già nell’attuale periodo di programmazione (2021-2027) e il prossimo invito dovrebbe essere lanciato a settembre 2023. Quanto all’energia, i progetti infrastrutturali ucraini collegati con gli Stati membri dell’UE hanno già la possibilità di richiedere lo status di progetti di interesse reciproco (PMI), ma grazie all’accordo siglato oggi i nuovi finanziamenti diventeranno accessibili a questi progetti in Ucraina.
    La Commissione pubblicherà il prossimo elenco dell’Unione di progetti di interesse comune (PIC) a novembre 2023, includendo per la prima volta PMI con paesi terzi. In ultimo, la parte digitale del Meccanismo per collegare l’Europa fornisce sostegno a progetti di connettività di interesse comune, in particolare per le reti dorsali che collegano l’Ue con i paesi terzi. Una volta lanciati i prossimi inviti CEF Digital, le entità in Ucraina potranno richiedere il cofinanziamento per progetti volti ad aumentare la capacità, la sicurezza e la resilienza della connettività digitale tra l’Ucraina e i suoi vicini dell’Ue.
    Il programma sta “già finanziando diversi progetti con un impatto diretto sull’Ucraina: la ricostruzione di una pista all’aeroporto di Rzeszów-Jasionka, in Polonia, l’ammodernamento di un terminal di trasbordo a Košice, in Slovacchia, la costruzione del ponte Ungheni e lo sviluppo dell’hinterland collegamenti e potenziamenti per il porto romeno di Constanta”, ha fatto il punto la commissaria Valean commentando l’intesa. “Con l’accordo odierno, l’Ucraina sarà ora in grado di presentare domande autonomamente, aprendo la porta a progetti che contribuiranno a modernizzare le infrastrutture dell’Ucraina e a migliorare la sua connettività con l’Ue, come gli investimenti nei valichi di frontiera con l’UE. Si tratta di un passo concreto per potenziare ulteriormente le corsie di solidarietà e sostenere la ricostruzione dell’Ucraina”. Per Thierry Breton, commissario europeo per il Mercato intero, l’integrazione annunciata oggi segna un passo decisivo per l’adesione di Kiev all’Unione europea. “L’Ucraina è nostro vicino e nostro partner e sta per diventare un membro della nostra Unione. L’odierna associazione dell’Ucraina al Connecting Europe Facility segna un passo importante in questo percorso. Rafforzerà la capacità e la resilienza delle reti dorsali digitali che collegano l’Europa all’Ucraina e offrirà ai cittadini e alle imprese ucraini i vantaggi della transizione digitale”.

    La commissaria europea per i trasporti, Adina Vălean, e il vice primo ministro per il restauro dell’Ucraina e il ministro per le comunità, i territori e lo sviluppo delle infrastrutture Oleksandr Kubrakov, hanno firmato a Leopoli un accordo per associare l’Ucraina al programma europeo Connecting Europe Facility (CEF), lo strumento finanziario per collegare l’Europa attraverso i trasporti, l’energia e il digitale

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    Dall’Europa a 45 il “messaggio di unità” contro Putin. Dalla Moldavia Zelensky preme per l’adesione alla NATO

    Bruxelles – Sicurezza, energia, connettività. Sono tre le chiavi della cooperazione rafforzata che unisce l’Europa alle prese con il tentativo di mandare un messaggio di unità contro la guerra di aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina. E’ nella cornice del castello di Mimi a Bulboaca, in Moldavia, che si è tenuto oggi il secondo vertice della Comunità politica europea, il forum informale dell’Europa ‘allargata’ lanciato su idea francese nel maggio 2022 dopo l’aggressione russa in Ucraina. Una risposta politica alla guerra di Putin e un tentativo di rafforzare, se pure informalmente, la cooperazione del Continente.
    Il primo incontro si è tenuto a Praga, in Repubblica ceca, in ottobre, prima del Vertice europeo informale ospitato dalla presidenza ceca del Consiglio. Oggi la riunione ha messo allo stesso tavolo i capi di Stato e governo di 45 Paesi (su 47 in tutto invitati, San Marino e Turchia alla fine non hanno partecipato), tra cui tutti Ventisette gli Stati membri dell’Ue e l’Ucraina. Per conto dell’Unione europea presenti i vertici di Commissione, Parlamento e Consiglio europeo, rispettivamente Ursula von der Leyen, Roberta Metsola e Charles Michel.
    Come previsto, il vertice non ha portato ad alcuna dichiarazione scritta e a nessuna decisione concreta. Ma è stato soprattutto un vertice simbolico e un modo per mandare un chiaro messaggio politico di unità a Putin. Lo indica la scelta stessa di tenere la riunione in Moldavia. “Dobbiamo considerarlo dal punto di vista geopolitico. Se vi sedete a Mosca e vedete 47 Paesi nelle immediate vicinanze che si riuniscono insieme, questo è, a mio avviso, un messaggio importante, anche se si tratta di una cooperazione soft, anche se si tratta di scambi, è un segnale importante”, aveva spiegato una fonte diplomatica alla vigilia del vertice. E questo è quanto è stato ribadito da tutti i capi di stato e governo che hanno sfilato nella passerella, dal presidente Michel alla ‘padrona di casa’ Maia Sandu.
    “Siamo 45 Paesi rappresentati qui in Moldavia, un messaggio simbolico forte della comune volontà di coordinarci e cooperare nel campo dell’energia, della sicurezza, delle infrastrutture. Cerchiamo di costruire una convergenza politica per difendere alcuni dei nostri interessi in comune”, ha spiegato Michel, al suo arrivo a Chișinău. “A venti chilometri dal confine con la Russia abbiamo riaffermato di dover essere uniti a sostegno dell’Ucraina”, ha detto Sandu nella conferenza stampa che ha chiuso la riunione, al fianco del premier ceco Petr Fiala e del premier spagnolo Pedro Sanchez. Passato, presente e futuro della Comunità politica. Si è scelto infatti di fare ospitare gli incontri della Comunità a turno da uno dei partecipanti: a ottobre è stato il turno della Repubblica ceca, e dopo la Moldavia sarà la volta della Spagna che ospiterà gli oltre quaranta capi di stato e governo a Granada, come confermato da Sanchez.
    Sandu ha ammesso senza indugio di essere consapevole che senza la resistenza di Kiev, la guerra sarebbe ora alle porte del suo Paese. Ed è anche per questo che è significativa la scelta del luogo in cui ospitarla, un messaggio di sostegno tanto all’Ucraina quanto alla Moldavia, per ribadirgli la promessa che il loro futuro è dentro l’Unione europea. L’adesione all’Unione europea – cui Ucraina e Moldova sono Paesi candidati – non è l’unica adesione su cui ha insistito il presidente ucraino Zelensky. “L’Ucraina è pronta per entrare nella Nato” e alla riunione dei capi di stato e di governo che si terrà l’11 e 12 luglio a Vilnius “è necessario ci sia un chiaro invito per l’Ucraina ad aderire all’Alleanza proprio come sono necessarie garanzie di sicurezza sul cammino verso l’adesione in futuro. Ed è necessaria una chiara decisione positiva sull’adesione dell’Ucraina alla Ue”, ha detto. Poi però ha aggiunto: “Siamo pronti per quando la Nato sarà pronta”. I leader dell’Ue si sono mostrati cauti sull’adesione, compresa la premier Giorgia Meloni. “Tutto ciò non ha effetti sugli aiuti militari, che continueranno, recita il mantra condiviso, fino a quando necessario, ma ha effetti politici evidenti sia sul percorso che potrebbe portare alla fine della guerra (sulla Russia) sia sugli assetti politici continentali futuri. Rutte ha specificato che da una parte c’è pieno sostegno all’Ucraina, anche militare, nella lotta contro i russi, e dall’altra l’azione per tracciare il percorso verso il futuro”. E che si tratta anche capire bene “che cosa significherà per l’Ucraina un giorno unirsi alla Nato”, ha detto la premier, tornata in Italia prima della fine dei lavori.
    Un incontro informale senza decisioni. Ma non passa inosservato che grande assente, insolitamente, è stata la voce sulla passerella rossa di Ursula von der Leyen, che non ha preso parola in entrata né in uscita. E che a un solo tweet ha affidato la sintesi della giornata. “Unità e forza. Questo è ciò che dimostrano i leader europei riuniti oggi in Moldavia. Insieme difendiamo i nostri valori. E ci battiamo per l’Ucraina”.

    La seconda riunione della Comunità politica europea, il forum informale lanciato dopo l’aggressione della Russia in Ucraina. Una risposta politica alla guerra di Putin e un tentativo di rafforzare, se pure informalmente, la cooperazione del Continente

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    A l’Aia il primo ‘Registro dei danni’ causati dalla guerra di Russia in Ucraina (finanziato anche dall’Ue)

    Bruxelles – Raccogliere prove e informazioni su danni, perdite o lesioni causati dall’aggressione russa contro l’Ucraina in un unico ‘Registro dei danni’. Leader compatti contro l’impunità di Mosca alla seconda giornata di Vertice del Consiglio d’Europa in corso a Reykjavik, in Islanda, dove 43 Paesi e l’intera Unione europea hanno annunciato l’istituzione del Registro dei danni causati dalla guerra di Russia in Ucraina. Un primo ma significativo passo per iniziare a tenerne traccia e a far mettere radice all’idea di dar vita a un Tribunale speciale ad hoc per i crimini di guerra del Cremlino una volta che la guerra sarà finita.
    La due giorni di Vertice si chiuderà questa sera con la firma di una Dichiarazione Politica incentrata sul sostegno a un’azione collettiva e internazionale che assicuri responsabilità per i crimini della Russia. Per il Consiglio d’Europa – principale organismo che lavora come osservatorio dei diritti umani del continente (ma che non fa parte delle istituzioni comunitarie) – è il quarto Vertice in tutto da quando è stato istituito 74 anni, nel 1949. E questo dà la misura di quanto la guerra di aggressione della Russia iniziata ormai più di un anno fa abbia scosso il mondo, non solo il continente europeo.
    Una guerra che da tutto il consesso internazionale riunito viene definita “un esempio estremo di arretramento democratico”, tanto da portarli a sostenere l’istituzione del Registro dei danni causati dall’aggressione dell’esercito russo attraverso un accordo parziale allargato. L’Unione europea e tutti gli Stati membri (la Bulgaria ha espresso l’intenzione di aderire) hanno aderito all’accordo, insieme a Canada, Giappone e Stati Uniti. Mosca “deve essere ritenuta responsabile e il registro dei danni può e svolgerà un ruolo importante”, ha sottolineato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento al Vertice dei leader che si è tenuto oggi. 
    L’Unione Europea, rappresentata da von der Leyen e dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha fornito un contributo “sostanziale” ai costi iniziali del progetto, come spiega in una nota l’organizzazione. Il Registro avrà sede all’Aia (Paesi Bassi), con un ufficio satellite in Ucraina e il premier Mark Rutte ha sottolineato che “la Russia deve essere ritenuta responsabile, anche per i danni subiti dall’Ucraina e dal suo popolo. Siamo quindi orgogliosi che la sede del Registro dei Danni sarà all’Aia, capitale legale del mondo”. Il registro è istituito per un periodo iniziale di tre anni e funzionerà come un vero e proprio registro delle prove e informazioni sui reclami su danni, perdite o lesioni causati dall’aggressione russa contro l’Ucraina. “Il Registro è una pietra miliare importante sulla strada della giustizia e dei risarcimenti per l’Ucraina e per gli ucraini che hanno tanto sofferto per questa guerra”, ha commentato il ministro ucraino per la giustizia, Denys Shmyhal, incalzando i partecipanti a “garantire che il Registro diventi presto operativo, in modo che le vittime dell’aggressione russa possano presentare le loro richieste”.

    We want to strengthen our Union’s democratic foundations like never before.
    And for this we need a stronger partnership with @coe.
    Today I want to confirm the EU’s intention to join the European Convention on Human Rights as soon as possible. https://t.co/YbCHV5k5UL
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) May 17, 2023

    La seconda giornata del Vertice di Reykjavik del Consiglio d’Europa si chiude con l’accordo da 43 Paesi e l’Unione europea per dar vita a un elenco per raccogliere prove e informazioni su danni, perdite o lesioni dovuti all’invasione del Cremlino. Avrà una durata iniziale di tre anni

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    Von der Leyen e Michel in trasferta in Islanda al Consiglio d’Europa. L’Ue sostiene il ‘Registro danni’ per la guerra a Kiev

    Bruxelles – Portare in giudizio la Russia e renderla ‘responsabile’ legalmente dei crimini di guerra in Ucraina, iniziando a raccogliere prove in un registro dei danni. Sono mesi ormai che l’Unione europea porta avanti il lavoro per istituire un tribunale speciale ad hoc per far pagare alla Russia i crimini di aggressione e di guerra contro l’Ucraina, una volta che l’invasione sarà finita. E questa volta è tempo di portare il tema in un consesso internazionale.
    “Sosterrò con forza la creazione di un tribunale dedicato per portare in giudizio il crimine di aggressione della Russia. Decideremo anche di istituire un registro dei danni all’Aia. Sarà un primo passo, ma un ottimo passo, verso la compensazione russa”, ha dichiarato Ursula von der Leyen, in una conferenza stampa che questa mattina ha visto la presidente della Commissione europea al fianco del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, per presentare le priorità dell’Unione europea alla vigilia di tre importanti appuntamenti di diplomazia internazionale. Domani e mercoledì si terrà nella capitale islandese Reykjavik il vertice del Consiglio d’Europa, principale organismo che lavora come osservatorio dei diritti umani del continente (che non fa parte delle istituzioni comunitarie), che sarà seguito da un incontro dei leader del G7  dei Paesi più industrializzati (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti)del mondo a Hiroshima, in Giappone, da venerdì 19 a domenica 21 maggio. All’inizio della prossima settimana i leader dell’Ue saranno poi a Seul per il Vertice Corea-Ue.

    An important sequence of summits starts tomorrow – @coe in Reykjavik, @G7 in Hiroshima and 🇪🇺🇰🇷 in Seoul.
    Many themes will connect them.
    And first, our united response to the Russian invasion of Ukraine and our support to this brave nation ↓https://t.co/brwgW9c5Xg
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) May 15, 2023

    Tre le priorità più urgenti su cui l’Unione europea porrà l’accento durante i tre appuntamenti internazionali, sintetizzati da von der Leyen in conferenza stampa: Ucraina (con particolare riferimento all’ultimo pacchetto di sanzioni), i rapporti internazionali con la Cina e la corsa alle tecnologie pulite. “Continueremo a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario”, ha ribadito von der Leyen, spiegando che le dichiarazioni “devono tradursi in un sostegno finanziario stabile anche oltre il 2023 e in un sostegno militare accelerato”. La presidente ha aggiunto di aspettarsi che i leader siano uniti di fronte a due questioni fondamentali: il “primo principio è che continueremo a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario” e poi che “niente sull’Ucraina senza l’Ucraina”. A significare che il processo di pace dovrà garantire che Kiev abbia un ruolo di primo piano da protagonista.
    Nella conferenza stampa von der Leyen ha anche sostenuto la creazione di un tribunale speciale per tenere conto dei crimini di guerra della Russia e ha affermato di voler sostenere la creazione di un “Registro dei danni” all’Aia per iniziare a tenerne traccia a livello internazionale per quando sarà il momento di usarli. “Sarà un primo passo, ma un ottimo passo, verso la compensazione russa”, ha assicurato. Dei tre appuntamenti internazionali sarà il Vertice di domani e mercoledì nella capitale islandese quello più importante per iniziare a discuterne. “I responsabili devono essere chiamati a rispondere della violazione del diritto internazionale e dell’ordine multilaterale basato sulle regole. Per questo sosteniamo con forza l’istituzione del Registro dei danni, che è il primo passo verso un meccanismo internazionale per la riparazione di danni, perdite o lesioni in Ucraina”, le ha fatto eco anche il presidente del Consiglio europeo Michel. Alla due giorni di Vertice parteciperanno i Capi di Stato e di governo dei 46 Stati membri (tutti i Ventisette) che fanno parte del Consiglio d’Europa, l’organizzazione che promuove democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa. Alla cerimonia di apertura interverrà anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

    Il primo dei tre appuntamenti internazionali che questa settimana vedrà la presidente della Commissione europea e il presidente del Consiglio europeo impegnati in un tour di diplomazia internazionale. I leader sosterranno la creazione di un registro dei danni come prima tappa per istituire un tribunale speciale ad hoc. Da venerdì a domenica leader impegnati al G7 di Hiroshima

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    A Bruxelles è iniziato il lavoro sull’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – A Bruxelles è iniziato il lavoro sull’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, che – dopo aver preso di mira carbone e petrolio importati dal Cremlino – potrebbe includere l’industria nucleare di Mosca. Gli Stati membri Ue hanno iniziato questa settimana a discutere con la Commissione europea del prossimo pacchetto di misure restrittive contro la Russia, l’undicesimo in tutto da quando è iniziata la guerra di aggressione ai danni dell’Ucraina il 24 febbraio dell’anno scorso.
    A quanto si apprende da fonti diplomatiche, oggi inizieranno i colloqui tra l’esecutivo europeo e gli ambasciatori dell’Ue sul contenuto del pacchetto (attraverso i cosiddetti ‘confessionali’ tra la Commissione e gruppi di ambasciatori), con l’idea di raccogliere umori e considerazioni da parte dei governi nell’ottica di arrivare a presentare una proposta concreta nelle prossime settimane. Una proposta, spiegano ancora le fonti, che non si aspetta in tempi rapidi, sicuramente non entro la fine del mese. Il tema aveva trovato i governi europei divisi a febbraio scorso mentre erano alle prese con la preparazione del decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, quando a insistere sulla necessità di colpire l’industria nucleare di Mosca nelle sanzioni era stato in primis il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che il 9 febbraio era a Bruxelles per prendere parte al Vertice Ue insieme ai leader dei 27. A quel punto i governi erano ancora reticenti all’idea e l’industria dell’atomo non è finita nel pacchetto.
    Kiev ha ribadito che è necessario prendere di mira con più sanzioni non solo l’industria dell’atomo, ma anche nel settore dei diamanti e in quello finanziario, su cui le discussioni vanno avanti da tempo, ma senza fare progressi. Questa volta a insistere sull’inserimento dell’industria nucleare civile è anche la Germania, che sta facendo pressioni insieme alla Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania e Irlanda che spingono sullo stesso fronte di Berlino. Altri come l’Ungheria frenano. Il nuovo pacchetto di sanzioni dovrebbe concentrarsi in particolare su come rafforzare misure anti-elusione delle misure restrittive esistenti. Kiev chiede di prendere di mira in particolare Rosatom, il colosso di stato russo, fondato nel 2007, che controlla l’energia nucleare civile e l’arsenale di armi dell’atomo del Paese, oltre che l’attuale gestore della centrale nucleare occupata di Zaporizhzhia, nell’Ucraina orientale. L’Unione europea dipende dalla Russia anche per le importazioni di uranio, una componente essenziale per la produzione di energia nucleare. Secondo le ultime stime disponibili dell’agenzia di approvvigionamento di Euratom (la Comunità europea dell’energia atomica), nel 2020 il 20 per cento dell’uranio naturale importato in Ue arrivava proprio da Mosca, seconda solo al Niger.
    L’agenzia Euratom stima inoltre che il 26 per cento dell’uranio arricchito, usato nel processo di produzione dell’energia nucleare, arrivi dalla Russia, con un calo deciso rispetto all’anno precedente (circa il 25 per cento) ma che ancora testimonia una forte dipendenza tra la Russia e l’Ue nel settore della tecnologia nucleare. Bruxelles importa da Mosca anche reattori nucleari e parti di reattori. Ad oggi, ci sono 18 reattori nucleari nella Ue che fanno affidamento sulle barre di combustibile esagonali in arrivo dalla Russia: due in Bulgaria, sei nella Repubblica Ceca, due in Finlandia, quattro in Ungheria e quattro in Slovacchia. Secondo i dati del think tank Bruegel, Mosca nel 2019 ha esportato beni nucleari per un valore di circa 3 miliardi di dollari (circa 2,7 miliardi di euro), con il 60 per cento delle sue esportazioni di materiale nucleare e tecnologia rappresentato da uranio arricchito e plutonio (utilizzabile anche come combustibile nei reattori) in Germania, Francia, Paesi Bassi e Svezia e gli Stati Uniti. Complessivamente, il think tank di Bruxelles stima che la Russia rappresenta il 33 per cento delle esportazioni mondiali di uranio arricchito usato per i reattori nucleari.

    Sul tavolo anche il nucleare russo. Al via i colloqui tra l’esecutivo europeo e gli ambasciatori dell’Ue sul contenuto del pacchetto (attraverso i cosiddetti ‘confessionali’ tra la Commissione e gruppi di ambasciatori), con l’idea di raccogliere umori e considerazioni da parte dei governi nell’ottica di arrivare a presentare una proposta concreta nelle prossime settimane

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    Fumata nera sul decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, mentre Kiev spinge per colpire l’industria nucleare di Mosca

    Bruxelles – Fumata nera. A poche ore dalla scadenza del 24 febbraio, quando ricorrerà il primo anniversario dell’inizio dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, gli ambasciatori dei 27 Stati membri ancora non riescono a trovare un accordo sul decimo pacchetto delle sanzioni e rimandano a domani. I rappresentanti permanenti presso l’Ue si sono riuniti questa mattina al Coreper, il comitato in cui si riuniscono, per approvare il nuovo pacchetto di misure restrittive annunciate da Ursula von der Leyen lo scorso 15 febbraio che prenderanno di mira non solo Mosca, ma anche Teheran.
    Tra le altre cose, le sanzioni proposte prevedono nuovi divieti commerciali su componenti di macchinari, pezzi di ricambio per camion e motori che possono essere diretti alle forze armate della Russia e “restrizioni all’esportazione di 47 componenti elettronici utilizzati nei sistemi armati russi, come droni, missili, elicotteri, ma anche tecnologie a duplice uso presenti sui campi di battaglia. Il valore del blocco delle esportazioni, secondo von der Leyen, è di circa 11 miliardi di euro. Per la prima volta Bruxelles colpisce anche la macchina della propaganda russa, elencando “i propagandisti di Putin così come altri comandanti militari e politici” nella lista nera Ue.
    A quanto si apprende, restano ancora dei punti di distanza, in particolare sul nuovo criterio di designazione dei familiari di persone già oggetto di sanzioni, richiesto da Polonia e Paesi baltici, e sugli obblighi di informativa dettagliata del settore finanziario sugli asset e riserve della Banca Centrale Russa (e relative sanzioni pecuniarie per il mancato rispetto dell’obbligo di informativa dettagliata), con l’obiettivo di rafforzare il monitoraggio su asset immobilizzati e congelati. Una misura fortemente voluta dalla Commissione Ue, ma su cui alcune delegazioni hanno continuato a sollevare dubbi sulla realizzabilità. Pur con queste distanze, a quanto si apprende, è comunque stata riconfermata la volontà dei Ventisette di dare un segnale di unità con un accordo sul decimo pacchetto entro la data simbolica del 24 febbraio, e dunque la discussione è stata riaggiornata a domani pomeriggio con un nuovo Coreper. Nel frattempo proseguiranno contatti bilaterali dell’Esecutivo comunitario con gli Stati membri per definire gli ultimi dettagli rimasti da chiarire.
    Mentre i governi Ue fanno fatica a raggiungere la quadra politica sul decimo pacchetto di sanzioni, gli ambasciatori dei Ventisette sono stati raggiunti nelle discussioni questa mattina dalla vicepremier ucraina e ministro dell’Economia, Yulia Svyrydenko. La ministra di Kiev è tornata a insistere sulla necessità di colpire l’industria nucleare di Mosca nelle sanzioni, una questione riportata sul tavolo anche dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky che il 9 febbraio era a Bruxelles per prendere parte al Vertice Ue insieme ai leader dei 27.“Credo che sia importante persuadere i nostri partner sull’inserimento dell’industria nucleare e l’azienda russa Rosatom”, ha detto parlando in un punto stampa al termine della riunione. Si è detta consapevole del fatto che l’industria nucleare di Mosca ha un impatto globale su molti Paesi “ma questo non può essere una ragione per evitare le sanzioni sull’industria nucleare russa”. La vicepremier ha incalzato Ue e Usa sull’industria nucleare, altrimenti Mosca “continuerà a comportarsi da Stato terrorista”. Per Kiev è necessario prendere di mira con più sanzioni non solo l’industria dell’atomo, ma anche nel settore dei diamanti e in quello finanziario, su cui le discussioni vanno avanti da tempo, ma senza fare progressi.
    Rosatom è il colosso di stato russo, fondato nel 2007,che controlla l’energia nucleare civile e l’arsenale di armi dell’atomo del Paese, oltre che l’attuale gestore della centrale nucleare occupata di Zaporizhzhia, nell’Ucraina orientale. L’Unione europea dipende dalla Russia anche per le importazioni di uranio, una componente essenziale per la produzione di energia nucleare. Secondo le ultime stime disponibili dell’agenzia di approvvigionamento di EURATOM (la Comunità europea dell’energia atomica), nel 2020 il 20 per cento dell’uranio naturale importato in UE arrivava proprio da Mosca, seconda solo al Niger.
    ’agenzia EURATOM stima inoltre che il 26 per cento dell’uranio arricchito, usato nel processo di produzione dell’energia nucleare, arrivi dalla Russia, con un calo deciso rispetto all’anno precedente (circa il 25 per cento) ma che ancora testimonia una forte dipendenza tra la Russia e l’UE nel settore della tecnologia nucleare. Bruxelles importa da Mosca anche reattori nucleari e parti di reattori. Ad oggi, ci sono 18 reattori nucleari nella UE che fanno affidamento sulle barre di combustibile esagonali in arrivo dalla Russia: due in Bulgaria, sei nella Repubblica Ceca, due in Finlandia, quattro in Ungheria e quattro in Slovacchia.
    Secondo i dati del think tank Bruegel, Mosca nel 2019 ha esportato beni nucleari per un valore di circa 3 miliardi di dollari (circa 2,7 miliardi di euro), con il 60 per cento delle sue esportazioni di materiale nucleare e tecnologia rappresentato da uranio arricchito e plutonio (utilizzabile anche come combustibile nei reattori) in Germania, Francia, Paesi Bassi e Svezia e gli Stati Uniti. Complessivamente, il think tank di Bruxelles stima la Russia rappresenta il 33 per cento delle esportazioni mondiali di uranio arricchito usato per i reattori nucleari.
    Tra i governi Ue per ora non c’è consenso sulla questione, con Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania e Irlanda che spingono su questo fronte, mentre altri come l’Ungheria frenano. “Le sanzioni a Rosatom minaccerebbero la sicurezza nucleare globale, dato si tratta di uno dei principali attori dell’industria nucleare mondiale”, ha ribadito oggi il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, in conferenza stampa al termine dell’incontro a Budapest con Rafael Grossi, direttore generale della Agenzia internazionale per l’energia atomica. Il ministro ha poi sottolineato la necessità di “intraprendere un’azione energica per garantire che le sanzioni dell’Ue non influiscano in alcun modo sul settore nucleare russo, poiché – ha aggiunto – questo potrebbe danneggerebbe gli interessi nazionali fondamentali dell’Ungheria, minacciando al contempo anche la sicurezza nucleare globale”.

    Giovedì nuova riunione degli ambasciatori al Coreper per approvare il decimo pacchetto di sanzioni entro la data simbolica del 24 febbraio, quando sarà trascorso un anno dall’inizio dell’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina

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    Prove di distensione tra Bruxelles e Washington sul piano di sovvenzioni verdi degli Usa

    Roma – Prove distensione tra Unione europea e Stati Uniti sul controverso piano contro l’inflazione varato da Washington, che rischia di incrinarne i rapporti. In una nota pubblicata ieri (29 dicembre) in tarda serata, la Commissione europea ha accolto le linee guida adottate dagli Usa in cui viene assicurato che le aziende europee potranno beneficiare del regime di credito solo (per ora) per i veicoli commerciali puliti previsti dell’Inflation Reduction Act statunitense, “senza richiedere modifiche ai modelli di business consolidati o previsti dei produttori dell’Ue”.
    Per Bruxelles si tratta “di un vantaggio per entrambe le parti” e anche un tentativo di ricucire lo strappo, anche se ancora restano elementi da chiarire e il resto del piano di Biden contiene ancora misure “discriminatorie” nei confronti delle aziende europee. L’Inflation Reduction Act (IRA) è il massiccio piano di investimenti da 369 miliardi varato dall’amministrazione Usa di Joe Biden per le tecnologie verdi, che ha fatto preoccupare l’Ue perché potrebbe svantaggiare le imprese europee dal momento che prevede sgravi fiscali per acquistare prodotti Made in Usa tra cui automobili, batterie ed energie rinnovabili.
    L’amministrazione statunitense ha esteso alle aziende dell’Ue la possibilità di beneficiare di uno (quello per gli operatori commerciali) dei due programmi di credito di imposta previsti per i veicoli puliti, l’altro riguarda i consumatori privati. Così – commenta Bruxelles nella nota – “i contribuenti statunitensi potranno trarre vantaggio da veicoli e componenti elettrici altamente efficienti prodotti nell’Ue, mentre le aziende europee che forniscono ai propri clienti tramite leasing veicoli puliti all’avanguardia possono beneficiare degli incentivi previsti dall’IRA”. Restano però molte preoccupazioni da parte di Bruxelles sul piano, che andranno approfondite nel quadro della task force istituita tra Bruxelles e Washington. “Ulteriori lavori sono in corso nell’ambito della task force UE-USA – assicura la nota – sulla riduzione dell’inflazione per trovare soluzioni alle preoccupazioni europee, ad esempio trattando l’UE allo stesso modo di tutti i partner degli accordi di libero scambio degli Stati Uniti”.
    Questo regime “continua a destare preoccupazione per l’UE, in quanto contiene disposizioni discriminatorie che di fatto escludono dal beneficio le imprese dell’UE” e “discriminare i veicoli puliti prodotti nell’UE viola il diritto commerciale internazionale”. Di fronte al piano statunitense di incentivi per la transizione Made in Usa l’Ue non vuole farsi trovare impreparata. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha già delineato al Consiglio europeo del 15 dicembre le 4 linee programmatiche su cui verterà la risposta europea all’Ira statunitense, di cui proposte concrete arriveranno nel 2023. Il piano von der Leyen è quello di lavorare con l’amministrazione Biden sui punti più critici del suo piano contro l’inflazione; adeguare le norme europee per gli aiuti di stato; potenziare gli investimenti europei per accelerare la transizione verde, nel breve periodo attraverso ‘RepowerEu’ e, nel lungo, attraverso un nuovo fondo europeo per la sovranità (ancora da chiarire come dovrà essere finanziato); e accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili.
    Già a gennaio arriverà la revisione del quadro di norme sugli aiuti di stato, per renderli più semplici e veloci. L’equivalente europeo delle agevolazioni fiscali sono gli aiuti di Stato e dunque Bruxelles interverrà lì. Oltre a modificare le regole sui sussidi, von der Leyen punta a potenziare gli investimenti nelle tecnologie verdi: nel breve termine, attraverso il piano ‘RepowerEu’ presentato a maggio scorso per affrancare l’Ue dai combustibili fossili russi, e a medio termine, con la prospettiva di dare vita a un fondo di sovranità per l’industria, da finanziare con risorse comuni europee, e su cui si prevedono scontri tra i governi. Secondo la Commissione europea, l’occasione di presentare una proposta in tal senso sarà la revisione di metà termine del bilancio a lungo termine (il Qfp – 2021-2027) che arriverà in estate. La ‘ricetta’ prevede quindi da una parte il potenziamento dei sussidi statali alle imprese, dall’altra dar vita a un Fondo di sovranità europeo con cui finanziare un politica industriale dell’Ue e affrontare così il problema dell’asimmetria tra Paesi Ue che hanno o non hanno spazio fiscale per approvare aiuti di stato a pioggia (come nel caso italiano).

    In risposta ai timori di Bruxelles di vedersi svantaggiare l’industria auto, Washington estende alle aziende europee la possibilità di beneficiare del regime di credito per i veicoli commerciali puliti previsti dell’Inflation Reduction Act, il piano contro l’inflazione varato dall’amministrazione Biden che rischia di gelare i rapporti con l’Ue