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    Mar Rosso, Gentiloni avverte l’Ue: “Le conseguenze potrebbero materializzarsi nelle prossime settimane”

    Bruxelles – Le acque del Mar Rosso sono sempre più agitate. Né il raid coordinato dagli Stati Uniti a cavallo tra l’11 e il 12 gennaio, né la dura condanna delle Nazioni Unite nella risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 10 gennaio, sono serviti da deterrente contro gli attacchi che gli Houthi conducono sistematicamente dallo Yemen alle navi cargo che attraversano il canale di Suez. Il mondo teme un ulteriore escalation della crisi in Medio Oriente e un duro contraccolpo economico. E da Bruxelles il commissario Ue agli Affari Economici, Paolo Gentiloni, avverte: “Le conseguenze potrebbero materializzarsi nelle prossime settimane”.Il blocco Ue per ora non ha ancora individuato una strategia comune, in attesa dell’incontro dei corpi diplomatici dei 27 nel Comitato Politico e di Sicurezza (Cops), previsto per domani (16 gennaio). Anzi, se Germania, Paesi Bassi e Danimarca hanno firmato una dichiarazione congiunta a sostegno della rappresaglia a guida Usa, la Spagna di Pedro Sanchez ha escluso un suo possibile coinvolgimento in missioni militari nella regione. E Italia e Francia, seppure già inserite nell’operazione Prosperity Guardian lanciata da Washington a metà dicembre con l’obiettivo di garantire la sicurezza delle navi commerciali e delle petroliere che transitano nel mar Rosso, aspettano di valutare la proposta dell’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, per una missione navale europea.Paolo GentiloniIl piano su cui sta lavorando il Servizio europeo di Azione Esterna (Seae), potrebbe vedere la luce in occasione del Consiglio Affari Esteri del 22 gennaio. Ma il tempo stringe, perché anche se Gentiloni ha dichiarato oggi che per il momento la crisi “non sta apparentemente creando conseguenze sui prezzi dell’energia e sull’inflazione“, il vicepremier italiano, Antonio Tajani, ha disegnato un quadro più drammatico. Secondo Tajani “il danno economico è già iniziato per i nostri porti, soprattutto quelli del Sud, ma anche quello di Genova”.E i dati lo confermano: le navi che oggi attraversano il Canale di Suez sono circa 250, rispetto alle oltre 400 di prima delle tensioni con le milizie sciite degli Houthi. “I rischi sono soprattutto economici, perché un viaggio facendo il periplo dell’Africa costa molto più di uno che attraversa il Canale di Suez, aumentano i costi delle assicurazioni delle navi e dei prodotti che vengono esportati o importati e noi siamo un Paese esportatore, visto che l’export è il 40 per cento del nostro Pil”, ha spiegato il vicepremier. Se le navi continuassero a essere costrette a circumnavigare l’Africa, il rischio a medio termine è quello di una perdita di centralità del Mediterraneo nel commercio internazionale, e di conseguenza dei porti italiani.In attesa delle discussioni su un’eventuale missione navale europea, che secondo un documento del corpo diplomatico Ue dovrebbe prevedere l’invio di “almeno tre cacciatorpediniere o fregate antiaeree con capacità multi-missione per almeno un anno”, il portavoce del Seae, Peter Stano, ha chiarito la linea di Bruxelles durante il briefing quotidiano con la stampa internazionale. “Gli attacchi Houthi sono completamente ingiustificabili. Sono attacchi di missili e droni contro navi commerciali, in nessun modo possono essere legali”, ha dichiarato Stano, esprimendo totale sostegno alla risoluzione con cui l’Onu ha chiesto agli Houthi di fermarsi immediatamente.La linea tracciata dall’Ue vuole tenere slegate le due crisi, quella Israelo-palestinese e quella del Mar Rosso, nonostante gli Houthi rivendichino di agire in solidarietà con il popolo palestinese e chiedano come precondizione per ristabilire la libertà di navigazione nel Mar Rosso un cessate il fuoco a Gaza. “Quello che gli Houthi stanno facendo – che sia secondo loro legato al conflitto a Gaza o meno – è illegale e va fermato”, ha precisato ancora Peter Stano.

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    Mar Rosso, l’Ue alla finestra di fronte all’aggravarsi della crisi. Borrell lavora su una missione congiunta

    Bruxelles – L’Ue, per ora, sta alla finestra. Spettatore interessato e preoccupato dell’escalation di ostilità in Medio Oriente, con la nuova rogna degli assalti alle navi cargo nel Mar Rosso da parte delle milizie yemenite Houthi e la risposta militare messa sul campo nella notte da una coalizione di Paesi guidata dagli Stati Uniti. All’orizzonte, un piano per l’invio di una forza navale europea a protezione delle imbarcazioni commerciali che attraversano il canale di Suez.Il problema è che le conseguenze in Europa iniziano già a farsi sentire. Lo stretto egiziano rappresenta il 12 per cento del commercio mondiale in termini di transito di merci in commercio internazionale, un dato che aumenta fino al 30 per cento se si considerano i container. Da qui passa ciò che serve per il settore primario: il 14,6 per cento dell’import mondiale di prodotti cerealicoli passa da Suez, al pari del 14,5 per cento dei fertilizzanti usati in agricoltura. Oggi Tesla ha annunciato che sospenderà la maggior parte della sua produzione in Germania per due settimane, a causa della carenza di componenti dovuta all’allungamento delle rotte di trasporto. Molte compagnie stanno circumnavigando l’Africa per evitare possibili attacchi nel Mar Rosso.Un miliziano Houthi di guardia alla Grande Moschea Al-Saleh a Sana’a, Yemen (Photo by MOHAMMED HUWAIS / AFP)Il bombardamento di diversi siti militari – circa una settantina – usati dai ribelli Houthi in Yemen, che Washington ha coordinato con Londra e con il supporto di Australia, Canada, Paesi Bassi e Barhein, rischia solo di aggravare la situazione. La Nato ha dichiarato che “questi attacchi erano difensivi e progettati per preservare la libertà di navigazione in una delle vie d’acqua più vitali del mondo”, mentre il presidente Usa, Joe Biden, li ha definiti “un chiaro messaggio che gli Stati Uniti e i suoi partner non tollereranno attacchi al loro personale né permetteranno ad attori ostili di mettere in pericolo la libertà di navigazione”.Ma se l’intento era quello di scoraggiare le rappresaglie della milizia sciita, che ha intrapreso i suoi attacchi in aperta opposizione ai bombardamenti di Israele contro la popolazione palestinese, a giudicare dalle prime reazioni potrebbe essere stato un buco nell’acqua. Funzionari degli Houthi hanno già avvertito che Stati Uniti e Regno Uniti “pagheranno un prezzo pesante” per questa “palese aggressione” e che continueranno a prendere di mira le navi nel Mar Rosso. Da Teheran, che foraggia le milizie yemenite, la constatazione che “questi attacchi arbitrari non faranno altro che alimentare l’insicurezza e l’instabilità nella regione”.Mar Rosso, una guardia Houthi su una nave con bandiera della Bahamas, sequestrata in un porto yemenita (Photo by AFP)Ha preso immediatamente posizione anche la Russia, che ha chiesto la convocazione di una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. “La Russia ritiene che l’attacco degli Stati Uniti e del Regno Unito contro le posizioni del movimento sciita Houthi, dominante nel nord e nel centro dello Yemen, costituisca una minaccia diretta alla pace e alla sicurezza globale“, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Mosca ha chiesto alla comunità internazionale di “condannare fermamente l’attacco allo Yemen da parte di un gruppo di Paesi senza mandato delle Nazioni Unite”. La riunione del Consiglio di Sicurezza si terrà intorno alle ore 16 – le 22 italiane – a New York.Italia, Francia e Spagna non partecipano, Borrell studia una missione europeaI 27 dell’Ue, come di fronte alla deflagrazione del conflitto israelo-palestinese, sembrano inermi e soprattutto divisi. Mentre la Germania sta valutando se partecipare alle operazioni di sicurezza a guida americana dispiegando nel Mar Rosso la fregata Hessen, per ora Francia, Spagna e Italia hanno precisato di non aver partecipato al raid notturno. Fonti di Palazzo Chigi precisano che “l’Italia sta lavorando per mantenere bassa la tensione nel Mar Rosso ed è impegnata nella coalizione europea per garantire la circolazione delle navi”. L’Italia sarebbe stata informata “con largo anticipo dell’attacco”, ma non si è nemmeno posta la questione di partecipare all’offensiva, perché – come spiegato in mattinata dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, “non possiamo mettere in atto azioni di guerra senza un dibattito parlamentare”.Ma la preoccupazione c’è anche a Roma: la sola Italia ha in ballo valori per 154 miliardi di euro, a tanto ammonta il valore dell’import-export italiano marittimo che transita per il canale di Suez. Parliamo del 40 per cento del commercio marittimo del Paese. Non solo gli attacchi degli Houthi stanno facendo salire i costi, ma un possibile scenario – disegnato dal centro studi SRM, è che le navi potrebbero non entrare nel Mediterraneo sbarcando nel Nord Europa, con conseguenti danni ai porti italiani. “Il rischio a medio-lungo termine è la perdita di centralità del Mediterraneo ed il conseguente contraccolpo molto serio per la portualità italiana”, avverte l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle, Fabio Massimo Castaldo.A Bruxelles si è messo in moto l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che sta elaborando una proposta per svolgere un ruolo più attivo nella regione. I 27 potrebbero discuterne già martedì 16 gennaio, quando si riunirà il Comitato Politico e di Sicurezza (Cps) dell’Unione: in ballo ci sarebbe l’invio di una forza navale europea per supportare la protezione delle navi commerciali nel Mar Rosso. Almeno tre cacciatorpediniere o fregate antiaeree per il prossimo anno. Ma ora che la tensione è già a salita a un livello superiore, il piano del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae), rischia di essere già da buttare via.Secondo Massimo Salini, eurodeputato di Forza Italia, “il percorso avviato drammaticamente dagli Stati uniti questa notte implica necessariamente un dibattito politico all’interno dell’Ue per definire una strategia”, che non può più evitare la possibilità di un intervento militare. Tenendo separati la crisi del Mar Rosso e il conflitto tra Israele e Hamas: “Se la precondizione per dare una soluzione ipotetica allo scenario sul Mar Rosso significa un arretramento su Israele, questo vorrebbe dire cedere alla strategia iraniana e non possiamo permettercelo”, sostiene Salini. Perché gli Houthi agiscono “per procura” di Teheran e in definitiva “strumentalizzano” la causa palestinese. Ne è convinto Fabio Massimo Castaldo: “Non credo che questo tipo di assalti a navi civili possa essere chiamata solidarietà con i palestinesi, ma anzi continuano a ledere lo slancio necessario per un cessate il fuoco duraturo a Gaza”.

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    Gli aiuti allo sviluppo dell’Ue sono un problema per l’Africa

    Bruxelles – Gli aiuti dell’UE all’Africa non aiutano il continente e i suoi Stati. Al contrario, per come sono concepiti, accrescono i problemi, soprattutto economici, dei Paesi in cui l’azione concepita per portare contributi utili allo sviluppo. La strategie dell’Unione europea per i Paesi più poveri, soprattutto africani, dovrebbero essere dunque riviste. Il Parlamento europeo accende i riflettori su partenariati che, così, come sono, finiscono per produrre effetti contrari a quelli desiderati.La nota di accompagnamento alla relazione per la cooperazione allo sviluppo dell’Ue a sostegno dell’accesso all’energia nei paesi in via di sviluppo, che l’Aula del Parlamento europeo, da calendario, discuterà il 17 gennaio in occasione della prima sessione plenaria del nuovo anno, evidenzia le carenze dell’azione a dodici stelle.Tra il 2014 e il 2020, recita il passaggio allegato al testo legislativo, l’insieme dei Ventisette ha fornito 13,8 miliardi di euro complessivi di assistenza all’Africa per lo sviluppo sostenibile. Innanzitutto l’importo “non è ancora sufficiente e occorre compiere maggiori sforzi” se si vuole permettere una crescita sostenibile da un punto di vista climatico-ambientale. Ma, soprattutto, “il 53 per cento degli esborsi è avvenuto sotto forma di prestiti”, il che si traduce in “debito aggiuntivo che riduce la capacità di questi paesi di investire negli obiettivi di sviluppo sostenibile”.Aumenta in sostanza il debito dei Paesi africani, che si trovano in una situazione di difficoltà. Tanto che, viene messo in risalto, risulta che  “21 paesi africani a basso reddito si trovano o sono a rischio di sofferenza debitoria nel 2023“.C’è un’ulteriore considerazione da fare, e che viene fatta. La cooperazione allo sviluppo dell’UE, per com’è concepita, non è a misura di Green Deal europeo. “La maggior parte dei progetti finanziati dall’UE mirano a promuovere grandi infrastrutture di generazione elettrica e l’interconnessione delle reti di trasmissione per creare mercati elettrici integrati, che hanno un impatto minimo sulla promozione dell’accesso all’elettricità per coloro che non ce l’hanno”. C’è da ripensare l’intera architettura della politica per lo sviluppo. La relazione che sta per approdare in Aula chiede perciò agli Stati membri dell’UE di aumentare l’importo dell’aiuto pubblico allo sviluppo destinato al settore energetico in Africa, “dando priorità alle sovvenzioni rispetto ai prestiti nei paesi a rischio di indebitamento“. C’è di più. Perché si suggerisce di cambiare il modello di business condotto fin qui. “Per superare la povertà energetica in Africa, i finanziamenti dell’UE dovrebbero essere ri-orientati verso i paesi con tassi di accesso all’elettricità più bassi”.Un altro, poi, riguarda l‘idrogeno verde, quello prodotto attraverso le energie rinnovabili. L’Africa non appare una regione ottimale per spingere per questo particolare tipo di investimenti. “Sebbene possa potenzialmente svolgere un ruolo significativo” nel raggiungimento degli obiettivi internazionali di sostenibilità incardinati negli accordi di Parigi , allo stesso tempo “potrebbe innescare conflitti sull’uso del territorio e aggravare la povertà“. Questo perché produrre idrogeno verde implica estrazione mineraria e uso di materie prime e terre rare, che richiedono grandi quantità di acqua dolce e generano inquinamento idrico. Per il sud del mondo, povero di acqua e sistemi di raccolta, l’idrogeno verde “può avere impatti sociali e ambientali negativi”. L’UE, insomma, sta sbagliando calcoli e strategie, e dovrebbe correggere il tiro.

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    L’Ue: “Soluzione a due Stati in Medio Oriente”. Ma solo 9 su 27 riconoscono la Palestina come Stato

    Bruxelles – Soluzione a due Stati in Medio Oriente, con Israele da una parte e Palestina dall’altra . L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell, sta insistendo sul fatto che solo questa sia la soluzione al conflitto arabo-israeliano. Una linea sposata anche dall’Italia e dal governo in carica, ma che appare tutt’altro che semplice. Perché oggi appena un terzo degli Stati membri dell’UE riconosce la Palestina come Stato. Appena nove su Ventisette, più un decimo che si è aggiunto in corso d’opera.Bulgaria, Cipro, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria. Sono loro ad aver riconosciuto la Palestina come Stato secondo i confini del 1967 (Cisgiordania, striscia di Gaza e Gerusalemme est). Solo la Svezia ha riconosciuto uno stato palestinese da membro UE, mentre gli altri l’hanno fatto prima di entrare nel club a dodici stelle. Recentemente, sulla scia dell’operazione lanciata di Hamas su vasta scala innescando il conflitto tutt’ora in corso, il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato di essere pronto a compiere il passo mai compiuto finora, portando così a dieci gli Stati membri dell’Ue a riconoscere la Palestina come Stato.Risultano evidenti dunque cortocircuito e contraddizione dell’UE, che da una parte chiede un qualcosa che non può avvenire finché i singoli governi non nazionali ottengono ciò che serve. Sulla ‘questione Palestina’ c’è un braccio di ferro inter-istituzionale che si trascina da almeno un decennio. Il Parlamento europeo chiede che venga riconosciuto uno stato palestinese almeno dal 2014, sempre sulla base di una situazione a due stati con frontiere del 1967. Adesso torna a spingere anche la Commissione europea, attraverso Borrell, per la stessa cosa, ma il vero nodo è in Consiglio.Tanto è vero che l’europarlamentare spagnola Ana Miranda (Verdi), con tanto di interrogazione urgente, chiede di riconoscere “con urgenza” la Palestina come Stato invitando il consiglio Affari generali, che riunisce i ministri per gli Affari europei dei 27 Stati membri dell’UE, di mettere sul tavolo l’argomento. La richiesta originariamente era indirizzata alla Spagna, presidente di turno fino al 31 dicembre 2023, ma essendo stata presentata il 13 dicembre questa interrogazione ora finirà all’attenzione del Belgio, presidente di turno dal primo gennaio.“L’Unione deve adottare una nuova posizione e riconoscere lo Stato di Palestina“, esorta l’europarlamentare spagnola. Ma perché ciò sia possibile occorre che tutti i 27 Stati membri riconoscano la Palestina come Stato. Altrimenti le dichiarazioni resteranno prive di fondamento e credibilità. Il sostegno all’Autorità nazionale palestinese da solo non basta.

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    Borrell: “Avanti con il rifornimento di munizioni all’Ucraina”. In primavera attesa la svolta

    Bruxelles – Avanti con il rifornimento di munizioni all’Ucraina. L’Unione europea non intende abbandonare l’alleato-partner nel conflitto con la Russia, e il piano per accelerare produzione industriale e forniture non solo non è rimesso in discussione ma dovrebbe iniziare a produrre i propri effetti entro la primavera di quest’anno. E’ la data che fornisce l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, nella risposta fornita ad un’interrogazione parlamentare in materia.Ci sono tre linee d’azione per il potenziamento della produzione industriale di difesa: consegna immediata dalle scorte o ridefinizione delle priorità degli ordini, acquisto congiunto di munizioni calibro 155 mm, e aumento della capacità industriale europea. Per quanto riguarda i primi due rami dell’agenda a dodici stelle, sostiene Borrell, “la consegna di 1 milione di munizioni da artiglieria all’Ucraina continua ad essere un importante obiettivo politico“, anche alla luce della mancata promessa di farle avere a Kiev e alla sue forze armate entro fine 2023. Adesso si conta di farle avere “entro marzo 2024”, dopo aver già consegnato, sottolinea Borrell, “oltre 300mila munizioni terra-terra e 3.200 missili da febbraio 2023”.Anche sul fronte dei proiettili calibro 155 l’obiettivo temporale è quello del cambio di stagione. “Si stima che la capacità produttiva europea sia già aumentata del 20-30 per cento da febbraio 2023, e si prevede che raggiungerà la capacità di 1 milione l’anno nella primavera del 2024″. Un’evoluzione che si collega agli acquisti congiunti per rifornire l’Ucraina. “Secondo le stime attuali – dice sempre l’Alto rappresentante – sarebbero già ordinate circa 180mila munizioni per il periodo 2023-2024″, e inoltre “si prevedono ulteriori ordini nei prossimi mesi”.Al netto di questo, l’impegno dell’Ue è pronto a essere profuso anche in altri ambiti, sempre di difesa e sostegno all’Ucraina. Borrell tiene a precisare, nella sua risposta alle domande sollevate dai banchi del gruppo dei popolari (PPE), che tra Stati membri e di concerto con l’Ucraina “sono attualmente in corso discussioni sui futuri impegni di sicurezza dell’UE nei confronti dell’Ucraina e su come garantire un sostegno militare sostenibile e prevedibile all’Ucraina“. Un messaggio per Mosca. L’UE non cede.

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    L’UE arma l’Ucraina: “Avanti con munizioni, missili e sistemi anti-aerei”

    Bruxelles –  Avanti con il sostegno militare all’Ucraina, come già stabilito fin qui e anche con più e rinnovati sforzi. Il che vuol dire più munizione, missili e sistemi anti-aerei. Nel giorno in cui Kiev ottiene l’avvio dei negoziati per l’adesione all’Unione europea tanto richiesto dal presidente Volodymyr Zelensky, i Ventisette confermano e rilanciano l’assistenza in senso anti-russo.  Il messaggio messo nero su bianco nelle conclusioni del vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE è che “l’Unione europea e i suoi Stati membri continueranno a rispondere alle pressanti esigenze militari e di difesa dell’Ucraina“.I leader dei Ventisette sono determinati a garantire, da qui in avanti, “un sostegno militare tempestoso, prevedibile e sostenibile all’Ucraina”. Per raggiungere questo obiettivo si intende ricorrere al Fondo europeo per la pace (European Peace Facility, EPF), missione di assistenza militare dell’UE, e l’assistenza bilaterale diretta degli Stati membri che potrà essere fornita singolarmente.In questo rinnovato slancio, si intende tenere fede quanto prima alla promessa di rifornire le forze armate ucraine di quanto serve. Si avverte, in particolare, “l’urgente necessità di accelerare la consegna di missili e munizioni, in particolare nell’ambito dell’iniziativa di munizioni per artiglieria, e di fornire all’Ucraina maggiori sistemi di difesa aerea”.Il messaggio per il presidente russo, Vladimir Putin, è che l’UE è decisa a tenere il punto e contribuire alla difesa e alla controffensiva dell’armata russa. “L’Unione europea e i suoi Stati membri continuano a impegnarsi a contribuire, a lungo termine e insieme ai partner, agli impegni in materia di sicurezza nei confronti dell’Ucraina“. Un passaggio che sta a significare che la mobilitazione a dodici stelle per Kiev non sarà né un fenomeno isolato né limitato a questo preciso momento storico. L’Ucraina è ormai nell’orbita comunitaria e non più in quella del Cremlino: questo il senso geopolitico di questo passaggio. Questi impegni politici e militari di lungo termine “aiuteranno l’Ucraina a difendersi, a resistere agli sforzi di destabilizzazione e a scoraggiare in futuro atti di aggressione”.

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    Il freddo riavvicinamento tra Ue e Cina. Von der Leyen: “Rapporto complesso che dobbiamo far funzionare”

    Bruxelles – Il 24esimo vertice tra Ue e Cina, il primo di persona dal 2019, va in archivio con un nulla di fatto. Rimane la consapevolezza  – nelle parole di Ursula von der Leyen – di un rapporto “complesso che abbiamo la responsabilità di far funzionare“. Le distanze sono troppo profonde per un vero riavvicinamento, il legame troppo forte per spezzare la corda.Dopo mesi di contatti e bilaterali, sul piatto del vertice c’era un’agenda fittissima: l’invasione russa in Ucraina e il conflitto tra Israele e Hamas, i rapporti commerciali da riequilibrare, la cooperazione per l’agenda sul clima. E poi la questione di Taiwan e il rispetto dei diritti umani. Troppi forse, per tornare a Bruxelles con qualcosa di concreto. Nemmeno sul punto più importante: quello dello squilibrio commerciale tra i due partner e rivali.Uno squilibrio diventato “insostenibile”, secondo von der Leyen: il deficit dell’Ue nei confronti del gigante asiatico ha raggiunto i 400 miliardi di euro, dieci volte in più di quanto non fosse solo vent’anni fa. “Se si guarda solo agli ultimi due anni il deficit commerciale è raddoppiato e questo è motivo di grande preoccupazione per molti europei”, ha dichiarato a margine del vertice la presidente della Commissione europea. Nessuna novità, la bilancia commerciale che pende nettamente da una parte è cosa arcinota a Bruxelles così come a Pechino: “Ci aspettiamo che la Cina prenda azioni più concrete per migliorare l’accesso al mercato e agli investimenti per le aziende straniere”, ha dichiarato Charles Michel. Che forse si aspettava che qualche misura potesse essere concordata già oggi.Charles Michel, Xi Jinping e Ursula von der LeyenLa retorica dell’Ue sulla Cina irrita però il presidente della Repubblica Popolare, che l’ha bollata come un atteggiamento “protezionista”. Von der Leyen ha chiarito a Xi Jinping che l’Ue non cerca un improbabile disaccoppiamento dalla Cina, quanto piuttosto di perseguire un approccio di de-risking. Che significa “affrontare le dipendenze eccessive e diversificare le catene di approvvigionamento”. D’altronde – ha fatto notare von der Leyen – la Cina ha da sempre lo stesso approccio, quello dell’autosufficienza.Se sul dossier economico la strada sembra ancora lunga e irta, “la lotta al cambiamento climatico è un’area dove l’Ue e Cina stanno cooperando in modo molto costruttivo”, ha cercato di tamponare von der Leyen. La leader Ue si è congratulata con Xi per aver aderito all’impegno globale sul metano, che prevede di ridurre del 30 per cento le emissioni globali di metano entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020. “È un grande passo avanti, ma sarebbe un messaggio forte da parte della Cina aderire anche all’impegno globale sulle energie rinnovabili”, ha rilanciato von der Leyen. Un impegno a cui nella prima settimana della Cop28 “si sono uniti 125 Paesi.Anche nella corsa per l’agenda sul clima però permangono degli attriti. “Siamo molto preoccupati dell’aumento dell’utilizzo di centrali a carbone in Cina. Sappiamo che uno dei temi più difficili è liberarsi dei combustibili fossili, ma vogliamo che la Cina prenda una posizione forte sull’eliminazione dei combustibili fossili entro il 2050”, ha messo in chiaro von der Leyen. La Cina nel 2023 ha infatti dato il via a decine di nuovi progetti per impianti a carbone.

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    E’ corsa per gli armamenti, da Ue ed Eda impegno per la base industriale della difesa

    Bruxelles – Avanti con l’industria della difesa, come non mai, più che mai. I ministri della Difesa dei 27 rilanciano l’industria militare, e lo fanno con un documento congiunto al consiglio direttivo dell’Agenzia europea per la difesa (EDA) che pone l’accento sul potenziamento della base industriale e tecnologica di difesa europea. “La capacità dell’Ue di contribuire alla sicurezza europea e internazionale dipende dalla forza, dalla competitività e dalla resilienza della base industriale e tecnologica di difesa europea (EDTIB)“, recita il preambolo del documento programmatico di quattro pagine.Qui si sottolinea come la base industriale “svolge un ruolo unico nel sostenere l’efficacia operativa delle forze armate europee e nel consentire all’Ue di fornire sostegno sia letale che non letale a partner come l’Ucraina quando necessario”. Alla luce della guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina, dunque, emerge la necessità tutta nuova di rilanciare un comparto considerato sempre più strategico e non sviluppato a sufficienza.Se l‘Ue è in ritardo nella fornitura di munizioni all’esercito ucraino è perché la capacità produttiva non basta alle rinnovate esigenza. “Fin qui più di 300mila munizioni sono state consegnate”, sottolinea l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell. “Arrivano dagli stock [nazionali] e dal riorientamento di esportazioni”. Gli Stati stanno rimanendo senza munizioni, e la produzione non serve né ricostituire le riserve nazionali né a rispondere alle esigenze strategiche. Borrell quindi chiede di far attendere altri partner. “L’Ue esporta molto verso Paesi terzi” in termini di munizioni e materiale militare, e data la situazione “invito i governi a vendere meno ai Paesi terzi e dare priorità all’Ucraina“.Il tema è affrontato nel documento Eda-Ue. Il paragrafo numero 4 stabilisce in modo inequivocabile come “la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina ha dimostrato che capacità di produzione e linee di rifornimento reattive e resilienti sono fondamentali per ricostituire le scorte di armamenti degli Stati membri e sostenere i partner dell’UE impegnati in operazioni ad alta intensità di autodifesa”. Avanti dunque, su ogni fronte.Il documento congiunto Ue-Eda accompagna l’approvazione delle Priorità di sviluppo delle capacità di difesa. Si tratta di un ampio programma di sviluppo dei programmi operativi “entro l’Ue e oltre” l’Ue, quindi anche di cooperazione e collaborazione con la Nato. E’ convinzione dei ministri della Difesa dei Ventisette “i persistenti sotto-investimenti e l’insufficiente cooperazione europea hanno creato sostanziali lacune nelle capacità di difesa”. Da qui la necessità di stabilire una tabella di marcia per l’immediato futuro.Impegno di precisione a terra, difesa aerea e missilistica integrata, Guerra subacquea/dei fondali marini, logistica, addestramento militare: questi i cinque ambiti militari su cui si pone l’accento. In termini di sviluppo industriale e di spesa. “E’ il momento di tradurre queste priorità in progetti concreti di cooperazione in materia di difesa per garantire forze armate europee più resilienti, agili e robuste, pronte ad affrontare le minacce presenti e future”, scandisce Borrell. L’Ue avverte Mosca. E non solo.
    La riunione dei minsitri responsabili produce anche un piano per le priorità di investimento, finanziario, di impresa e militare. Borrell: “L’export militare ai Paesi terzi sia dirottato per dare priorità all’Ucraina”