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    Serbia, Bruxelles al nuovo governo: “Le nostre richieste in linea con quelle degli studenti”

    Bruxelles – Dopo mesi di ambiguità, la Commissione europea coglie l’opportunità del nuovo governo in Serbia per mettere le cose in chiaro e fissare alcune linee rosse: ciò che l’Ue chiede al Paese candidato all’adesione di lunga data è “strettamente in linea con le richieste dei cittadini che protestano“, ha dichiarato la responsabile per l’Allargamento, Marta Kos, rivolgendosi al neo-premier Djuro Macut e ad una delegazione degli studenti che da novembre alimentano l’ondata di proteste contro l’autoritario presidente Aleksandar Vučić.Nella prima visita nel Paese balcanico da quando, lo scorso 7 aprile, Vučić ha consegnato l’esecutivo in mano al sessantunenne medico e professore universitario Macut – che non ha alcuna esperienza politica e non è iscritto ad alcun partito, ma ha sostenuto in passato il Partito Progressista Serbo (SNS) del presidente -, Kos ha voluto lanciare un messaggio. Dopo gli incontri istituzionali a Belgrado con Vučić e Macut, si è recata alla stazione di Novi Sad per deporre un mazzo di rose nel luogo dell’incidente in cui, lo scorso 1 novembre, persero la vita 15 persone. Ha incontrato organizzazioni della società civile, studenti, professori e delegazioni dei partiti d’opposizione.La commissaria Ue per l’Allargamento, Marta Kos, a Novi Sad, 30/4/25In un post su X indirizzato agli “studenti di Novi Sad”, ha affermato: “Vi capisco. Voglio ribadire che ciò che l’Ue chiede alla Serbia è strettamente in linea con le richieste dei cittadini che protestano. Ma la cosa più importante è che voi, le giovani generazioni, possiate beneficiare delle numerose opportunità che l’Ue ha da offrire“. Un’offerta presentata dalla stessa Kos al premier e reiterata a favore di telecamere: “La nostra offerta al popolo serbo è la seguente – ha dichiarato la commissaria -: collaborate con noi alle riforme necessarie per rendere possibile la vostra adesione all’Ue, collaborate con noi per istituire un sistema giudiziario indipendente e in grado di combattere la corruzione, collaborate con noi per mettere in campo leggi e istituzioni che garantiscano la libertà e l’indipendenza dei vostri media, collaborate con noi per istituire un quadro elettorale che assicuri che sia la volontà del popolo serbo e solo la sua volontà a decidere le maggioranze”.Una mano tesa verso gli studenti, l’altra verso il governo di Macut, di cui Kos “sente l’energia a collaborare con noi”. Nel tentativo di riconciliare un Paese che rischia di perdere un treno che passa “una volta in una generazione”, quello per “completare l’unificazione dell’Europa”. In un intervento deciso, Kos ha sottolineato che “molti paesi candidati se ne sono resi conto e stanno attuando riforme più rapidamente che mai”. Lo stesso non si può dire per Belgrado, impantanata in un regime sempre più impopolare e autoritario, oltre che disallineato con Bruxelles in politica estera. “Mi piacerebbe che lo stesso accadesse in Serbia – ha aggiunto -. Senza questi cambiamenti, la Serbia non può progredire nel suo percorso verso l’Ue“.Marta Kos e, alla sua destra, il neo premier serbo Djuro Macut, 29/04/25Non ha più mani da tendere invece verso Vučić, l’uomo al potere dal 2014 e principale responsabile dell’allontamento della Serbia dal percorso europeo. Il leader nazionalista, che ha rafforzato i legami con Vladimir Putin negli ultimi anni, è atteso a Mosca il 9 maggio, per partecipare alle celebrazioni del Giorno della vittoria, anniversario della sconfitta del nazismo e della fine della seconda guerra mondiale. Secondo quanto affermato da un portavoce della Commissione europea, Kos ha trasmesso al presidente filo-russo “un messaggio condiviso anche da molti Stati membri”, e cioè che la sua eventuale partecipazione alla parata del 9 maggio “avrà un impatto sul percorso” della Serbia nell’Ue.D’altro canto, Vučić ha descritto l’incontro con Kos come una “buona conversazione sulle sfide e le opportunità chiave del nostro percorso europeo”, e sottolineato “la piena disponibilità ad accelerare le riforme, non per esigenze burocratiche, ma perché crediamo che esse portino una vita migliore ai nostri cittadini”. Forse Vučić non si riferiva a quei 47 cittadini che hanno adito la Corte europea dei diritti dell’uomo, denunciando il presunto utilizzo di un cannone sonico – illegale in Serbia – per disperdere i manifestanti in occasione dell’enorme protesta dello scorso 15 marzo a Belgrado. Oggi la Cedu, sottolineando che fino a 4 mila persone hanno riportato l’accaduto, ha accolto parzialmente le richieste dei ricorrenti e indicato una misura provvisoria al governo serbo: “Fino a nuovo ordine, qualsiasi uso di dispositivi sonori a fini di controllo delle folle deve essere impedito in futuro”.To the students of Novi Sad: I hear you.I want to reiterate that what the EU asks from Serbia closely aligns with the demands of the citizens protesting.Most importantly, I want you, the young generation to benefit from the many opportunities the EU has to offer. pic.twitter.com/Ff6FiQcA6J— Marta Kos (@MartaKosEU) April 30, 2025

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    Guerra Russia-Ucraina, niente compensazioni Ue agli agricoltori sui fertilizzanti azotati

    Bruxelles – Guerra russa in Ucraina e sanzioni Ue ai fertilizzanti ‘made in Russia’, la Commissione europea non contempla interventi a sostegno degli agricoltori europei. Il motivo è la possibilità di mercato di reperire alternative ai prodotti che arrivano da est, e non ci sono dunque condizioni né, ancora meno, per dare indennizzi agli operatori del settore primario. A mettere in chiaro le cose è Maros Sefcovic, commissario per il Commercio, nella risposta all’interrogazione parlamentare che arriva dal Ppe.La popolare spagnola Esther Herranz García, vicepresidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo, guarda con preoccupazione le ultime sanzioni annunciate contro la Russia in risposta all’invasione dell’Ucraina, nello specifico per le parte che riguarda dazi alle importazioni di fertilizzanti azotati nell’UE da Russia e Bielorussia. “Di conseguenza, si prevede un aumento del prezzo di tali fertilizzanti, aumentando la pressione sugli agricoltori dell’Ue”, lamenta l’europarlamentare, che non trova però sponde dalla Commissione europea.“Sono disponibili forniture alternative, e i dati di mercato indicano che queste alternative entrano nel mercato dell’UE a livelli di prezzo paragonabili a quelli dei fertilizzanti russi”, replica Sefcovic. Nella sua risposta alle manovre del presidente russo Vladimir Putin, perciò, l’esecutivo comunitario prevede che la misura restrittiva contro i fertilizzanti azotati russi “comporti una sostituzione graduale e ordinata con alternative, compresi quelli di produzione nazionale, a condizioni di mercato analoghe e in volumi e qualità comparabili, senza modificare gli attuali impatti ambientali”. Di conseguenza, la Commissione non prevede la necessità di compensare gli agricoltori dell’Ue o di concedere deroghe ai sensi della direttiva sui nitrati“.La questione dei fertilizzanti russa non è nuova, con la Commissione consapevole della dipendenza da quelli al fosforo che non intende colpire con sanzioni proprio perché più difficili da sostituire con produttori e fornitori alternativi. Viceversa, i fertilizzanti azotati possono essere rimpiazzati e per questo l’Ue li ha messi nel mirino.

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    Dazi, per Sefcovic (ancora) niente intesa Ue-Stati Uniti. Giovedì Meloni a Washington

    Bruxelles – Nessun accordo commerciale con gli Stati Uniti, non ancora almeno, e neppure un accordo su un regime di dazi zero per l’industria. Il commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic, non riesce nell’impresa di eliminare definitivamente lo spettro di una guerra dei dazi con la controparte americana. La sua missione a Washington serve per ribadire la disponibilità a dodici stelle a negoziare e trovare un accordo condiviso, amichevole, tale da evitare l’imposizione delle tariffe sui rispettivi beni da esportare da una sponda all’altra dell’Atlantico. Per ora però niente da fare. L’amministrazione Trump non cede, ma l’Ue non demorde.Non è una missione semplice quella di Sefcovic, e lui stesso ne è ben consapevole. Trovare un’intesa al primo tentativo negoziale sarebbe stato un enorme successo, e dunque si mantengono calma e determinazione. “L’Ue rimane costruttiva e pronta a raggiungere un accordo equo, che preveda anche la reciprocità attraverso la nostra offerta tariffaria 0 a 0 sui beni industriali e il lavoro sulle barriere non tariffarie”, sottolinea Sefcovic, conscio del fatto che “raggiungere questo obiettivo richiederà un significativo sforzo congiunto da entrambe le parti”. Certo, adesso che gli Usa hanno respinto le offerte di pace dell’Ue, dovrà essere la Casa Bianca ad avanzare una controproposta.In D.C., met with Secretary @howardlutnick and Ambassador @jamiesongreer for negotiations, seizing the 90-day window for a mutual solution to unjustified tariffs. 1/2 pic.twitter.com/P0eMgZSudQ— Maroš Šefčovič (@MarosSefcovic) April 14, 2025A Bruxelles non si fanno drammi. Ci sono 90 giorni di tempo a partire da ieri (15 aprile) per tentare di trovare un’intesa. Bocche cucite quindi, e non sorprende. Il momento è tanto delicato quanto decisivo, e si preferisce lavorare con chi di dovere – gli Stati Uniti – senza mettere tutto sulla pubblica piazza. Il messaggio ribadito è che “ci si muove lungo due binari: negoziati e preparazione al peggio qualora i negoziati non dovessero produrre un accordo”, la specifica di Olof Gill, portavoce dell’esecutivo comunitario per le questioni commerciali. Non è cambiato nulla, in sostanza, rispetto all’approccio già trovato.Un contributo in questa delicata materia potrebbe arrivare da Giorgia Meloni, che in questi giorni ha sentito spesso Ursula von der Leyen, secondo quanto è stato fatto trapelare a Roma. La presidente del Consiglio domani (16 aprile) è attesa a Washington, dove incontrerà il presidente Usa. Inevitabile un confronto sui dazi, con la Commissione che guarda all’appuntamento istituzionale e precisa che il capo di governo italiano non ha ricevuto alcun mandato. “Ogni contributo è benvenuto, ma la competenza sul commercio è della Commissione europea, come previsto dai trattati“, taglia corto Gill.

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    Eurodeputati del Pd: “Stop all’accordo di associazione tra Ue e Israele”

    Bruxelles – “Se aspettiamo ulteriormente a intraprendere azioni concrete per fermare il governo di Netanyahu, non sarà rimasto nulla da salvare”. Lo affermano gli eurodeputati del Pd Cecilia Strada, Annalisa Corrado, Alessandro Zan, Camilla Laureti, Sandro Ruotolo, Brando Benifei e Marco Tarquinio, in un comunicato che chiede a gran voce la cessazione del sostegno europeo ad Israele.Sottolineando che il Paese impedisce l’accesso degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza da oltre un mese e continua a mietere vittime nella popolazione civile, il gruppo ha fatto appello alle istituzioni europee, invitandole ad “intervenire immediatamente con tutti gli strumenti a disposizione per far valere il diritto internazionale e supportare la popolazione civile palestinese, a partire dall’immediata sospensione dell’Accordo di cooperazione con Israele e l’embargo sulle armi verso Israele”, richiesta condivisa dalla capogruppo del gruppo Socialisti & democratici Iratxe Garcia Perez e dalla segretaria del Pd Elly Schlein.I deputati hanno inoltre attaccato l’atteggiamento del governo italiano nei confronti del mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti di Netanyahu: “Riteniamo gravissimo che l’aereo con a bordo il Presidente Netanyahu” diretto a Washington “abbia sorvolato il suolo italiano deviando la rotta di viaggio per evitare lo spazio aereo di alcuni Paesi che avrebbero potuto applicare il mandato d’arresto emesso dalla Cpi nei suoi confronti” proseguono gli europarlamentari. In merito al sorvolo, questa mattina (10 aprile) il Partito democratico ha presentato a Roma una interrogazione parlamentare per chiedere al governo di Giorgia Meloni attraverso quali procedure questo sia stato autorizzato.

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    Dazi mirati e prove di dialogo, l’Ue cerca la risposta a Trump. Alleanze con la Cina sullo sfondo

    Bruxelles – Rispondere, ma senza forzare la mano, e creare nuove alleanze, anche inedite, per mettere sotto pressione gli Stati Uniti e produrre un effetto boomerang tale da costringere il presidente Usa, Donald Trump, a fare retromarcia sui dazi imposti all’Europa e non solo. La strategia dell’Ue c’è e inizia a delinearsi. In un club a dodici stelle preoccupato al punto da dedicare alle relazioni trans-atlantiche la riunione dei ministri responsabili per il commercio, la linea è tracciata e serve solo l’accordo, esattamente quello che si cerca nella riunione in corso a Lussemburgo.E’ la Svezia a svelare le carte in tavola. “I contro-dazi Ue devono essere ben mirati e proporzionati“, evidenzia Benjamin Dous, ministro per il Commercio con l’estero di Stoccolma. E’ questa la precondizione di una risposta che deve mirare a costringere Washington e l’amministrazione Trump a tornare sulle decisioni prese e mettere la Casa Bianca in un angolo. “Quando nei prossimi giorni Ue, Canada e Cina imporranno contro-tariffe la pressione sugli Stati Uniti aumenterà“, continua Dous, che lascia intendere come uno degli effetti prodotti da Trump e le sue stesse scelte è spingere la Repubblica popolare cinese, che l’Europa considera ostile e nemica, tra le braccia dell’Europa. “Certo, restano questioni importanti da risolvere quali le condizioni di reciprocità, ma è fuori dubbio che la Cina resta un partner commerciale importante“, sottolinea e conferma la ministra per il Commercio con l’estero dei Paesi Bassi, Reinette Klever.L’obiettivo finale è e resta una soluzione amichevole e concordata. E’ la linea prevalente attorno al tavolo. “Non possiamo essere noi quelli che portano la guerra commerciale su un livello più elevato“, la linea espressa dal ministro della Lettonia che, a ben vedere, è la stessa della presidenza polacca di turno del Consiglio Ue. “Fin qui l’approccio è stato: ‘prima agiamo e poi discutiamo’, ci piacerebbe invertire il paradigma“, sottolinea Michał Baranowski, sottosegretario per lo Sviluppo economico della Polonia. E’ questo, con ogni probabilità, l’indicazione che i 27 daranno alla Commissione europea.Risposte mirate, per non far vedere che l’Ue resta a guardare, con eventuali contromisure più muscolari solo per un secondo momento. Una linea sposata anche dall’Italia. “Dobbiamo lavorare per evitare assolutamente una guerra commerciale, che sarebbe esiziale per gli Usa e per le nostre imprese”, sottolinea il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “Dobbiamo trattare, lo deve fare l’Ue unita”. In questo, continua il leader di Forza Italia, l’Italia “sosterrà tutte le iniziative del commissario [per il Commercio] Sefcovic, nel quale riponiamo estrema fiducia”, aggiunge per quella che è una frecciata agli alleati di maggioranza della Lega, viceversa intenzionati a un negoziato bilaterale e separato italo-statunitense.La questione dei dazi voluti da Trump, comunque vada a finire, mette in mostra un allontanamento generale dalle logiche tradizionali adottato sin qui da un modello che su entrambe le sponde dell’Atlantico appare superato. Trump non accetta che il modello tanto difeso e promosso dagli Stati uniti sia rivolto contro gli interessi a stelle e strisce: il ‘business as usual’ va bene finché la bilancia commerciale sorride all’America, altrimenti il resto del mondo deve pagare. Dall’altra parte c’è quantomeno una parte di Europa che considera il libero scambio in modo analogo, fruttuoso solo a fasi alterne.“Non vogliamo dazi, vogliamo più commercio. Il commercio è sempre positivo“, le considerazioni rese in pubblico dal ministro della Svezia. Esternazioni che stridono con il modo in cui è stato accolto l’accordo tra Ue e Mercosur, avvolto da critiche. Segno che il commercio non è più considerato questa grande conquista. Certo è che malumori in Europa non mancano, e quello tedesco è uno dei principali.Robert Habeck, ministro uscente dell’Economia della Germania, commenta le dichiarazioni di Elon Musk, che ora immagina un’area di libero scambio Ue-nord America a dazi zero: “E’ segno di debolezza e di paura. Forse dovrebbe recarsi da Trump e dirgli che prima di parlare di dazi deve risolvere questo pasticcio che ha creato”.

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    In America latina l’Ue è arrivata tardi e male, e ora sconta la forte presenza della Cina

    Bruxelles – L’Unione europea ‘riscopre’ l’America latina. Nuove ragioni rilanciano la necessità di nuove relazioni che sono nei fatti nuovi riposizionamenti su uno scacchiere dove la Cina ha iniziato però a muovere le proprie mosse da tanto, e in modo costante. Per quanto la Commissione europea esulti per i risultati raggiunti con i Paesi del Mercosur (Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay, Uruguay più il Venezuela sospeso), e per quanto si prodighi per cercare sponde sul versante caraibico, l’Ue arriva tardi e male in una zona del mondo dove Pechino guarda da tempi non sospetti e investe, in relazioni commerciali e politiche.E’ il centro studi e ricerche del Parlamento europeo a fare la lista degli errori strategici dell’Ue, con tanto di relazione che mette in luce i limiti di un’Unione europea che ha tanto da perdere in questa corsa alla presenza nel continente. Il primo errore è politico: “L’Ue ha perso l’occasione di tenere un summit con la regione per otto anni, dal 2015 al 2023”. Nel frattempo la Repubblica popolare tesseva la sua tela. Tra il 2013 e il 2024 il presidente Xi Jinping si è recato sei volte di persona in America Latina, con i cui Paesi la Cina ha firmato in questo stesso lasso temporale circa mille accordi commerciali bilaterali.Il presidente della Cina, Xi Jinping (foto d’archivio)Il secondo errore dell’Ue è di metodo. Gli analisti del Parlamento europeo fanno notare come il tanto sbandierato accordo di libero scambio Ue-Mercosur non offre certezze, in quanto ci sono resistenze di alcuni Paesi (Francia e Polonia) e parlamenti nazionali che scalpitano per affossarlo. Viceversa, la Cina non ha bisogno di conferme su quanto già sottoscritto. Ancora, durante la pandemia di Covid la Cina ha rifornito prima e di più di vaccini, con l’Ue arrivata dopo. E poi la sostenibilità: il regolamento sulla deforestazioni “è stato percepito come protezionistico”, in particolare in Brasile e Argentina, Paesi non proprio marginali.L’Argentina può offrire accesso al litio tramite l’accordo di libero scambio Ue-Mercosur, ma c’è molto di più di quello: antimonio, niobio, bauxite, manganese, grafite, metallo di silicio, tantalio e vanadio. Tutte materie prime critiche di cui l’America Latina è ricca e di cui la Cina, attraverso la sua presenza nella regione, vuole garantirsi approvvigionamento e controllo, così da influenzare mercati ed economie globali. La Repubblica popolare sta giocando silenziosamente e pazientemente la sua partita per un nuovo ordine mondiale all’insegna cinese.Una dimostrazione pratica della rinnovata potenza cinese è rappresentata dall’orientamento su Taiwan. Nel 2017 sui 33 Paesi dell’area America Latina e Caraibi, 18 riconoscevano l’isola di Formosa come Stato sovrano, mentre oggi solo sette mantengono relazioni diplomatiche con Taipei (Belize, Guatemala, Haiti, Paraguay, Saint Kitts and Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent and Grenadine). Pechino dunque sta erodendo il sostegno internazionale attorno a Taiwan, considerata parte integrante della Repubblica popolare. Una mossa che è in aperto contrasto alle posizioni dell’Ue, che riconosce ‘due Cine’ mentre per Pechino la Cina è una sola, con Taiwan. La presenza cinese in America Latina contribuisce dunque anche a sminuire l’agenda internazionale Ue.Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump [foto: archivio]La politica dell’Ue verso l’America latina si mostra dunque miope. Da un punto di vista commerciale la Cina è il secondo partner commerciale per la regione dietro agli Stati Uniti, che potrebbero essere scalzati nel 2035. In questo flussi commerciale enorme e crescente, Pechino è l’acquirente principale delle materie prime dei Paesi della regione: nel 2023  un terzo delle materie prime esportate dall’America latina (34 per cento) finivano nella Repubblica popolare. Considerando che delle 34 materie prime critiche contenute nell’allegato 2 della proposta di regolamento in materia ben 25 sono estratte in America Latina, l’Unione europea sta già perdendo la corsa agli approvvigionamenti e ancora di più rischia di perderla.L’accresciuta presenza della Cina in America latina si deve anche alla prima presidenza di Donald Trump (2017-2021). Con lui alla testa degli Stati Uniti l’impostazione protezionistica ha prodotto come risultato quello di spingere i governi dei Paesi della regione verso Pechino, che a differenza degli Usa si è mostrato più conciliante. La seconda presidenza Trump, contraddistinta da una politica dei dazi facili, potrebbe aiutare la Cina a rompere ancor di più le uova europee nel paniere centro-americano.

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    L’alleanza Iran-Venezuela in chiave pro-Putin preoccupa l’Ue

    Bruxelles – Cooperazione militare, commercio di greggio, scambi volti ad aggirare le sanzioni contro la Russia: l’alleanza Iran-Venezuela inquieta, e non poco, il Parlamento europeo. L’intera delegazione spagnola del gruppo dei popolari (Ppe) non vede di buon occhio i legami sempre più stretto tra regime degli ayatollah e presidente venezuelano de facto, e la Commissione europea deve riconoscere che questi timori sono tutt’altro infondati.“Il riavvicinamento tra Caracas, Mosca e Teheran è motivo di preoccupazione“, riconosce ‘Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas. Il motivo di questa preoccupazione è “il potenziale impatto sulla stabilità democratica nella regione dell’America Latina e dei Caraibi e sul partenariato” tra l’Ue e i Paesi di questa regione. L’Unione europea ha già condannato l’assistenza industriale-commerciale dell’Iran alla Russia per la fornitura di tecnologia e prodotti militari, in particolare i droni. L’elemento nuovo di questa alleanza è l’estensione sudamericana al Venezuela di un Maduro mai riconosciuto dall’Ue come legittimo presidente, con quest’ultimo che ha dato il proprio via libera alla creazione di una base di produzione di droni iraniani su suolo nazionale, in Venezuela. L’Unione europea intende fermare tutto questo. Eccessivo parlare di un rovesciamento del governo di Maduro, ma l’agenda a dodici stelle prevede la delegittimazione del regime e l’erosione del consenso attraverso il sostegno agli oppositori. “E’ fondamentale continuare a sostenere le aspirazioni democratiche del popolo venezuelano, promuovere un ambiente favorevole per la società civile e sostenere i diritti umani”, sostiene Kallas, che chiama a raccolta gli alleati: “Lavorare insieme ai principali partner internazionali e regionali è essenziale”.

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    Le università Ue offrono “asilo scientifico” ai ricercatori americani colpiti dai tagli di Trump

    Bruxelles – Da quando l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è insediata a Washington a fine gennaio, la università e i ricercatori americani hanno incontrato sempre maggiori ostacoli. In nome del contrasto alla cultura woke che propugna l’abbattimento delle disuguaglianze sociali ed economiche e all’interno di una tanto vasta quanto controversa campagna di efficientamento dei fondi federali, il governo federale Usa ha sospeso e persino interrotto il sostegno a centinaia di programmi di ricerca scientifica, specialmente negli ambiti della diversità, dello sviluppo di alcuni tipi di vaccini e di qualsiasi progetto collegato alla crisi climatica. E’ proprio in un periodo tanto ostile che le università dell’Unione europea stanno attivamente offrendo ai talenti a stelle e strisce un rifugio sicuro.“Vediamo come un nostro compito il venire in aiuto dei nostri colleghi americani. Le università americane e i loro ricercatori sono le più grandi vittime di questa interferenza politica e ideologica” ha dichiarato Jan Danckaert, rettore della Vrije Universiteit Brussel (Vub). L’ateneo belga ha infatti aperto 12 posizioni post-dottorato per studiosi internazionali, con un’attenzione particolare a quelli statunitensi, ed in questo non è affatto solo: diverse istituzioni nel vecchio continente hanno avviato campagne di reclutamento, offrendosi come la soluzione per tutti coloro che fuggono dallo smantellamento del sistema accademico americano.Fonte: amUIn prima linea in questa iniziativa si sono schierate le università francesi a partire dal lancio, da parte dell’Università Aix-Marseille, del programma ‘Safe place for science’, che ha messo a disposizione fondi per oltre due dozzine di ricercatori d’oltreoceano per tre anni. In sole due settimane, l’ateneo ha ricevuto più di cento domande di ammissione, con studiosi provenienti dalla Nasa, Yale e Standford. “Speravamo di non doverlo fare” ha detto Éric Berton, il presidente dell’università: “Ma siamo indignati da quello che sta accadendo e sentiamo che i nostri colleghi negli Usa stanno attraversando una catastrofe. Volevamo offrire una sorta di asilo scientifico a coloro la cui ricerca sta venendo ostacolata”.La direttrice dell’Istituto Pasteur di Parigi, Yasmine Belkaid, ha annunciato di essere già al lavoro per reclutare esperti americani nel campo delle malattie infettive e dello studio dell’origine delle malattie. “Potreste chiamarla un’opportunità triste” ha dichiarato la professoressa al giornale La Tribune, parlando delle richieste di ammissione dei colleghi a stelle e strisce, preoccupati per la propria libertà: “Ma è pur sempre un’opportunità”. Nella stessa direzione si è mosso anche Philippe Baptiste, ministro francese per l’Istruzione superiore e la ricerca, che ha esortato le istituzioni scientifiche del Paese ad inviare proposte per attrarre più efficacemente i talenti d’oltre oceano.I Paesi Bassi non hanno fatto mancare il loro interesse a rimanere al passo coi tempi e sfruttare quest’opportunità, annunciando di voler aprire un fondo per il reclutamento di menti di altre nazionalità. Nonostante il programma non sia orientato specificatamente agli americani, il ministro olandese dell’Istruzione, Eppo Bruins, nell’annunciarlo, ha alluso alle tensioni createsi nel mondo accademico dall’altre parte dell’Atlantico: “Il clima geopolitico sta cambiando, il che sta aumentando la mobilità internazionale degli scienziati. Diversi Paesi europei stanno rispondendo a questo con sforzi volti ad attrarre talento internazionale, voglio che i Paesi Bassi rimangano all’avanguardia in questi sforzi”.Con già decine di università americane con sedi stanziate sul territorio dell’Ue e la comparsa di sempre più progetti di ricerca nel settore energetico, industriale e della difesa, la fuga dei cervelli statunitensi potrebbe aiutare il rilancio qualitativo del nostro continente, se questo riuscirà a cogliere al volo l’opportunità.