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    Interferenze russe sulla vita dei cittadini Ue: il Consiglio Europeo si prepara alla difesa dalle minacce. “Ma non c’è rischio di guerra”

    Bruxelles – La guerra russa in Ucraina non ha i successi sperati, e sempre più da Mosca partono minacce, ed azioni reali, contro la vita quotidiana dei cittadini europei. E’ un ripiego, un modo per creare il massimo disturbo possibile ai Paesi che stanno sostenendo Kiev contro l’invasione. Non si tratta di minacce strettamente militari, ma gli effetti di attacchi informatici o il lancio di una forte campagna di disinformazione possono essere dirompenti nella vita quotidiana degli europei. Non c’è insomma la necessità di prepararsi a una guerra, che non è alle viste per l’Unione, assicura l’alto rappresentante per la Politica estera Josep Borrell.Al punto 18 della bozza di Conclusioni del Consiglio europeo che si svolgerà oggi e domani a Bruxelles è scritto che si “sottolinea la necessità imperativa di una preparazione militare e civile rafforzata e coordinata e di una gestione strategica delle crisi nel contesto dell’evoluzione del panorama delle minacce”.  Dunque il capi di Stato e di governo invitano i ministri competenti “a portare avanti i lavori e la Commissione, insieme all’Alto Rappresentante, a proporre azioni per rafforzare la preparazione e la risposta alle crisi a livello dell’Ue in un approccio a tutti i rischi e a tutta la società. che tenga conto delle responsabilità e delle competenze degli Stati membri, in vista di una futura strategia di preparazione”.Il fraseggio è complesso, può essere interpretato con significati anche che esulano dalla volontà del Consiglio europeo. In sostanza, ci spiega un esperto di questi dossier, i capi di Stato e di governo “considerano interferenze ibride tipo attacchi cyber e disinformazione”.  Quando si scrive “Whole of society” (le parole del testo originale delle bozze, in inglese) cioè “tutta la società” si intende, ad esempio “un attacco al sistema sanitario può portare alla morte di pazienti che dipendono da macchinari. Un attacco alla filiera alimentare – continua l’esperto – può causare proteste e caos sociale”. Inoltre sono possibili attacchi cibernetici “a sistemi bancari, amministrativi e servizi pubblici e privati”.Non bisogna poi dimenticare che mancano meno di tre mesi alle elezioni europee e dunque “c’è un forte rischio di una campagna di disinformazione mirata ad inquinare il voto”, conclude l’esperto.Borrell risponde, entrando al Consiglio europeo, a tutti quelli che hanno parlato di minaccia di guerra nell’Unione europea, cercando di abbassare i toni. Nella bozza di dichiarazione, spiega Borrell c’è “l’invito agli europei a essere consapevoli delle sfide che stanno affrontando”, il che  “è positivo”, ma, sottolinea lo spagnolo, “non dobbiamo nemmeno esagerare. La guerra non è imminente. Ho sentito alcune voci che dicevano che la guerra è imminente. Ebbene, grazie a Dio non lo è”.Borrell sostiene che “viviamo in pace, sosteniamo l’Ucraina, non siamo parte di questa guerra e dobbiamo prepararci per il futuro, aumentando la nostra capacità di difesa, ma non spaventate inutilmente le persone, la guerra non è imminente. Ciò che è imminente è la necessità che gli ucraini siano sostenuti”Ecco il testo in inglese del paragrafo 18 delle bozze:“In addition, the European Council underlines the imperative need for enhanced and coordinated military and civilian preparedness and strategic crisis management in the context of the evolving threat landscape. It invites the Council to take work forward and the Commission together with the High Representative to propose actions to strengthen preparedness and crisis response at EU level in an all-hazards and whole-of-society approach, taking into account Member States’ responsibilities and competences, with a view to a future preparedness strategy”.

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    Contro le ingerenze straniere: la Commissione Ue presenta il pacchetto ‘Difesa della democrazia’

    Bruxelles – In vista dell’appuntamento elettorale di giugno 2024, la Commissione europea cerca riparo dalle ingerenze straniere indebite. Oggi (12 dicembre) la vicepresidente Vera Jourová ha presentato all’Eurocamera di Strasburgo una proposta legislativa per mettere sotto i riflettori dell’opinione pubblica le attività di lobbying per conto di Paesi terzi.“È giunto il momento di portare alla luce l’influenza straniera nascosta”, ha dichiarato Jourová in aula. Perché, complici l’eco mediatica dello scandalo di presunta corruzione denominato Qatargate e una situazione geopolitica sempre più polarizzata, oltre l’80 per cento dei cittadini europei ritiene che l’ingerenza straniera nei nostri sistemi democratici sia un problema serio che deve essere affrontato.Le norme proposte dalla Commissione mirano a dare al pubblico, ai media e alla società civile un migliore accesso alle informazioni per capire chi sta cercando di influenzare ciò che vedono o leggono. Attraverso una serie di obblighi per organizzazioni non governative e agenzie che svolgono attività di rappresentanza: l’iscrizione ad un registro per la trasparenza, la conservazione di registri delle informazioni e del materiale relativo alle attività di lobbying per un periodo di quattro anni dopo la fine di tale attività, l’obbligo di rendere accessibili al pubblico gli elementi chiave del proprio lavoro di rappresentanza. Ad esempio, gli importi annuali ricevuti e i Paesi terzi interessati.Uno strumento che “in poche parole propone regole armonizzate per la trasparenza dei servizi di rappresentanza di interessi finanziati da Paesi terzi con lo scopo di influenzare le nostre politiche e i nostri processi decisionali e, in breve, il nostro spazio democratico”, ha spiegato la vicepresidente della Commissione europea. La minaccia ha almeno un nome e un cognome: “Non dobbiamo permettere a Vladimir Putin o a qualsiasi altro autocrate di interferire segretamente nel nostro processo democratico, non possiamo permettere che si nascondano”, ha aggiunto.Nonostante la proposta preveda alcune garanzie per evitare conflitti con diritti fondamentali come la libertà di espressione o di associazione – come la possibilità di derogare alla pubblicazione delle informazioni in casi “debitamente giustificati”-, all’emiciclo di Strasburgo non sono mancate alcune critiche. Per l’eurodeputata olandese Sophie in ‘t Veld, dei liberali di Renew, il pacchetto della Commissione “etichetta le ong come potenziali agenti stranieri“, senza peraltro affrontare gli attacchi alla democrazia che arrivano dal territorio comunitario.Il riferimento al braccio di ferro tra l’Ue e l’Ungheria di Viktor Orban sul conflitto in Ucraina si fa più esplicito nell’intervento del pentastellato Fabio Massimo Castaldo, che ha avvertito la Commissione di “guardarsi da tutti i rischi, perché spesso i più pericolosi arrivano dall’interno”, da “ambigui leader nazionali che continuano a mistificare la realtà strizzando l’occhio a presidenti autoritari”.

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    La crisi in Medio Oriente ridisegna l’agenda del Vertice Ue. Michel richiama i Ventisette all’unità

    Bruxelles – Garantire “con urgenza” la fornitura di aiuti umanitari e l’accesso ai bisogni più elementari, “impegnarci, in un fronte unito e coerente” con i partner per evitare una pericolosa escalation regionale del conflitto e “rilanciare il processo di pace basato sulla soluzione dei due Stati”. Tre le linee di azione che domani e venerdì  (26 e 27 ottobre) orienteranno le discussioni tra i capi di stato e governo  al Vertice Ue sul conflitto in Medio Oriente tra Hamas e Israele.Un dibattito che, senza alcun dubbio, prenderà le mosse dalle tensioni in Medio Oriente e dal conflitto tra Hamas e Israele, che ha restituito ancora una volta l’immagine di un’Unione europea poco unita di fronte alla politica estera e di sicurezza. “Il nostro incontro avviene in un momento di grande instabilità e insicurezza globale, esacerbata più recentemente dagli sviluppi in Medio Oriente”, ammette il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nella tradizionale lettera di invito ai capi di stato e governo dell’Ue pubblicata questa mattina.Non è difficile immaginare che i leader dell’Ue passeranno ore a discutere cosa includere e cosa no nel testo finale delle conclusioni, se chiedere una “pausa umanitaria” (come si legge nell’ultima bozza di conclusioni) per garantire un accesso “umanitario continuo, rapido e senza ostacoli o inserire qualcosa di più incisivo.  Se da un lato la crisi mediorientale sarà di certo centrale nel dibattito tra i leader, Michel si impegna a non “distrarci dal nostro continuo sostegno all’Ucraina. La nostra responsabilità è restare uniti e coerenti e agire in linea con i nostri valori sanciti dai trattati”, si legge nella lettera che anticipa i temi che saranno trattati. Quanto all’Ucraina, i capi di stato e governo affronteranno in particolare il problema di come accelerare la fornitura di sostegno militare, i progressi nei piani sull’uso delle risorse immobilizzate della Russia e l’intensificazione del contatto diplomatico per garantire il più ampio sostegno internazionale per un una pace globale, giusta e duratura. Alla riunione spazio anche per un aggiornamento sulla revisione del quadro finanziario pluriennale (Qfp), nell’ottica di raggiungere rapidamente un accordo e sulla competitività dell’industria europea. “Il capo del Consiglio europeo non cita la Cina, ma il riferimento è quello. “La competitività dell’UE si è sempre basata sulla sua economia di mercato aperta, con al centro il mercato unico. Ora dobbiamo posizionarci collettivamente in un mondo in cui altri attori e partner internazionali sovvenzionano pesantemente la loro industria e le loro aziende”, si legge nella lettera d’intenti. Bruxelles ha da poco avviato un’indagine anti sussidi sulle batterie per i veicoli elettrici prodotti in Cina.La seconda giornata di venerdì sarà dedicata principalmente al Vertice dell’area euro, a cui “si uniranno a noi i presidenti della Banca centrale europea e dell’Eurogruppo”, ricorda Michel, “per discutere della situazione economica e finanziaria e del continuo stretto coordinamento e governance delle nostre politiche macroeconomiche. I leader dei Ventisette insieme a Christine Lagarde e Paschal Donohoe valuteranno inoltre i progressi compiuti nell’Unione dei mercati dei capitali e nell’Unione bancaria, nonché i lavori avviati sull’euro digitale.
    Garantire “con urgenza” la fornitura di aiuti umanitari e l’accesso ai bisogni più elementari, “impegnarci, in un fronte unito e coerente” con i partner per evitare una pericolosa escalation regionale del conflitto e “rilanciare il processo di pace basato sulla soluzione dei due Stati”. La tradizionale lettera di invito del presidente del Consiglio europeo prima del Vertice Ue che si terrà domani e venerdì a Bruxelles

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    A Granada i leader Ue hanno iniziato a discutere dell’agenda strategica per l’allargamento e le riforme interne

    Bruxelles – È un punto di partenza, almeno per i leader dei 27 Paesi membri Ue. Tra i corposi contorni della crisi energetica, della politica di migrazione e asilo e della competitività economica, il piatto forte del Consiglio Europeo informale andato in scena oggi (6 ottobre) a Granada è stato il confronto sul futuro allargamento Ue e sulle riforme interne all’Unione per preparsi ad accogliere nuovi membri (fino a 10, quanti sono i Paesi che almeno hanno fatto richiesta di aderire). “Quello di oggi è il punto di inizio di un’agenda strategica basata su tre punti“, ha rivendicato con orgoglio il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Le nostre priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo per le iniziative”.I capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue e i leader delle istituzioni comunitarie al Consiglio Europeo informale di Granada (6 ottobre 2023)In altre parole, dopo aver salutato i partner arrivati a Granada ieri (5 ottobre) per il terzo vertice della Comunità Politica Europea, i Ventisette si sono ritrovati da soli a discutere in modo coerente “per la prima volta a così alto livello” di cosa sarà l’Unione Europea del futuro: prospettive dell’allargamento Ue, graduale abbandono dell’unanimità in Consiglio e distribuzione dei fondi del budget comunitario nello scenario di un’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi Kosovo e Georgia). “Allargamento significa che i candidati hanno riforme da fare e dal nostro lato che dobbiamo prepararci”, ha puntualizzato Michel. Come si legge nella dichiarazione di Granada, l’allargamento Ue “è un motore per migliorare le condizioni economiche e sociali dei cittadini europei, ridurre le disparità tra i Paesi e promuovere i valori su cui si fonda l’Unione” e, in vista di una nuova fase, “gli aspiranti membri devono intensificare i loro sforzi di riforma, in particolare nel settore dello Stato di diritto”, e “parallelamente l’Unione deve porre le basi e le riforme interne necessarie“.Rieccheggia nella Dichiarazione di Granada l’eco della recente proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione Europea a un suo futuro allargamento, che costituisce al momento la base di partenza più dettagliata e approfondita per le discussioni tra i leader. Il viaggio è cominciato oggi in Spagna e come tappa decisiva per un aggiornamento si può già segnare in calendario l’estate 2024, quando “sotto presidenza belga” del Consiglio dell’Ue (prima del primo luglio, dunque) saranno presentati “degli orientamenti” per “identificare e convergere” su obiettivi e progressi di breve e medio termine, ha precisato ancora Michel. A proposito di date, nonostante lo scetticismo della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il numero uno del Consiglio ha rivendicato l’utilità di fornire una scadenza per “essere pronti” all’allargamento Ue: “Il 2030 è condiviso da molti Stati membri perché è un incoraggiamento, abbiamo visto troppe procrastinazioni negli ultimi 20 anni”.A proposito di ciò che la Commissione Europea sta facendo a riguardo, la presidente von der Leyen ha messo in chiaro a Granada che “lavoreremo a diverse revisioni delle politiche in diversi campi all’interno dei Trattati“, sia per quanto riguarda “i compiti che devono fare i Paesi candidati, sia quelli che dobbiamo fare noi come Unione “Europea”. È centrale il fatto che “l’esperienza dell’allargamento Ue è stata sempre estremamente vantaggiosa per entrambe le parti”, fermo restando che “coloro che vogliono aderire devono essere pronti per entrare nel Mercato unico”. Anche dalla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, è arrivato un appello a “non lasciare indietro nessuno”, ovvero che “una volta soddisfatte tutte le condizioni con report positivi, dovremmo essere in grado di avviare i negoziati di adesione“. In attesa del Pacchetto Allargamento Ue 2023 – che sarà pubblicato l’8 novembre dalla Commissione – anche l’Unione stessa deve “avviare un dialogo per chiederci cosa dobbiamo fare per riformarci”, ha esortato Metsola: “Ciò che funziona attualmente per i Ventisette, non funzionerà per i 32, 33 o 35” futuri Paesi membri. Sulla stessa linea il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che ha puntato il dito soprattutto contro il processo decisionale interno: “Abbiamo cercato di chiarire che in politica estera o in politica fiscale non può sempre esserci unanimità, dobbiamo anche essere in grado di prendere decisioni a maggioranza qualificata”.Il vertice di Granada oltre l’allargamento UeIn un vertice in cui Polonia e Ungheria hanno posto il veto sull’inserire nel testo congiunto il capitolo sulla migrazione – pubblicato separatamente come una striminzita ‘dichiarazione del presidente del Consiglio Europeo’, esattamente come successo al vertice di giugno – i 27 leader hanno dato il via libera a un documento molto generico, a partire dalla questione Ucraina: “Abbiamo confermato che il futuro dei nostri aspiranti membri e dei loro cittadini è all’interno dell’Unione Europea“, anche se il premier ungherese, Viktor Orbán, ha sollevato alcuni dubbi (“non è mai successo un allargamento con un Paese in guerra, non sappiamo quali sono i confini veri”). Allo stesso modo i Ventisette promettono che “rafforzeremo la nostra preparazione alla difesa e investiremo nelle capacità sviluppando la nostra base tecnologica e industriale” a partire da “mobilità militare, resilienza nello spazio e contrasto alle minacce cibernetiche e ibride e alla manipolazione delle informazioni straniere”.Da sinistra: il primo ministro spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Pedro Sánchez, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (6 ottobre 2023)Non più incisivo il capitolo sulla competitività. “Lavoreremo sulla nostra resilienza e sulla nostra competitività globale a lungo termine, assicurandoci che l’Ue abbia tutti gli strumenti necessari per garantire una crescita sostenibile e inclusiva e una leadership globale in questo decennio cruciale“, si legge nel testo, che parla di “affrontare le vulnerabilità e rafforzare la nostra preparazione alle crisi” in particolare “nel contesto dei crescenti rischi climatici e ambientali e delle tensioni geopolitiche”. Con l’obiettivo di “garantire la sostenibilità del nostro modello economico, senza lasciare indietro nessuno“, il lavoro si concentrerà su “efficienza energetica e delle risorse, circolarità, decarbonizzazione, resilienza alle catastrofi naturali e adattamento ai cambiamenti climatici”. La questione riguarda anche il tema dell’energia: “Garantiremo l’accesso a prezzi accessibili, aumenteremo la nostra sovranità e ridurremo le dipendenze esterne in altri settori chiave” in cui l’Unione “deve costruire un livello sufficiente di capacità per garantire il suo benessere economico e sociale”. Si tratta di “tecnologie digitali e a zero emissioni, farmaci, materie prime essenziali e agricoltura sostenibile“, specifica la dichiarazione, che ribadisce la necessità di “rafforzare la nostra posizione di potenza industriale, tecnologica e commerciale”.
    Al vertice informale i capi di Stato e di governo si sono confrontati su “priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo”, ha spiegato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. In arrivo nell’estate 2024 “orientamenti” su obiettivi e progressi di breve/medio termine

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    Da Strasburgo il presidente ceco incalza i governi sull’allargamento: “Il successo dei Paesi candidati sarà anche nostro”

    Bruxelles – “L’anno prossimo segnerà il ventesimo anniversario dell’adesione all’Ue di dieci Stati membri, tra cui la Repubblica ceca. In un certo senso, abbiamo recentemente raggiunto la maggiore età come membri della famiglia europea. Non siamo né nuovi né inesperti”, ha ricordato il presidente della Repubblica Ceca Petr Pavel, durante la seduta plenaria del Parlamento europeo di oggi (4ottobre) a Strasburgo.
    Potrebbe essere di questi giorni, secondo Politico, la decisione della Commissione di iniziare i colloqui di adesione dell’Ucraina all’Unione europea a fine anno, a conferma del fatto che il tema dell’allargamento è molto discusso in questo periodo. Proprio il progetto dell’Unione europea di allargarsi ad altri Paesi europei è stato uno dei temi chiave del discorso di Pavel all’Eurocamera: “L’allargamento dovrebbe essere visto come un’opportunità per ricalibrare l’idea europea. Dovrebbe essere vista come un’opportunità per realizzare un’Unione più unificata ed efficiente. Un’Unione che resta ambiziosa e competitiva. Un’Unione più flessibile e proattiva. Un’Unione in grado di reagire rapidamente quando necessario. Un’Unione di cui siamo tutti orgogliosi”.
    Ed è proprio l’Ucraina a fornire al presidente ceco l’esempio per dimostrare l’importanza dell’allargamento, ricordando come aprire le porte dell’Ue alle zone a est può significare anche più sicurezza per i cittadini comunitari, come sta dimostrando l’invasione russa: “Ora è più evidente che mai che la garanzia della pace non può limitarsi solo ai nostri confini. Sono infatti convinto che tutti i paesi dei Balcani occidentali e del Trio associato debbano perseguire una piena prospettiva europea. Non è solo un nostro dovere morale. Nel lungo termine, si tratta di un investimento nella sicurezza e nella resilienza dell’Europa e dei suoi cittadini. Abbiamo già perso troppo tempo. È nel nostro interesse che i paesi candidati abbiano successo. Il loro successo sarà il nostro stesso successo“, ha aggiunto. L’allargamento è il processo che consente agli Stati di aderire all’Unione europea, dopo che questi hanno soddisfatto una serie di condizioni politiche ed economiche. Qualsiasi Stato europeo che rispetti i valori democratici dell’Unione e si impegni a promuoverli può presentare domanda di adesione all’Ue. Nel 2004 si è compiuta la più grande fase di allargamento della storia dell’Unione europea, che ha visto l’adesione di dieci Paesi: Polonia, Ungheria, Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Cipro e Malta.

    A vent’anni dall’ingresso della Repubbblica Ceca nell’Unione europea, Petr Pavel ha ricordato di fronte all’Eurocamera che allargare i confini ad altri Stati è “un’opportunità”

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    Tutto ciò che c’è da sapere sulla proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione Europea a un suo futuro allargamento

    Bruxelles – Un lavoro iniziato otto mesi fa sotto gli auspici del presidente francese, Emmanuel Macron, e del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, per coniugare due dei temi più caldi per il futuro dell’Unione Europea: l’allargamento Ue e la riforma dei Trattati fondanti della stessa Unione. “Per ragioni geopolitiche, l’allargamento Ue è in cima all’agenda politica, ma l’Unione non è ancora pronta ad accogliere nuovi membri, né dal punto di vista istituzionale né da quello politico“, è quanto mette nero su bianco il Gruppo dei Dodici nel suo rapporto su cui si fonda la proposta franco-tedesca per il rinnovamento dell’Unione Europea e che oggi (19 settembre) è stato presentato a Bruxelles ai ministri degli Affari europei.
    Un report di 58 pagine particolarmente denso, in cui vengono trattate nel dettaglio le priorità imprescindibili dell’Unione – a partire dallo Stato di diritto – le aree di riforma con le rispettive esigenze di modifica dei Trattati – dal processo decisionale in Consiglio al numero di seggi al Parlamento Ue e di membri del Collegio dei commissari – le implicazioni per il bilancio comunitario, la possibile creazione di un’integrazione europea basata su quattro livelli e i principi-guida per il processo di allargamento Ue. “Riconoscendo la complessità di allineare le diverse visioni degli Stati membri sull’Unione Europea, il rapporto raccomanda un processo di riforma e di allargamento Ue flessibile”, si legge nel testo redatto da 12 esperti indipendenti, che mettono in guardia sul fatto che “le istituzioni e i meccanismi decisionali non sono stati concepiti per un gruppo di 37 Paesi“. Ovvero gli attuali 27 membri più i 10 partner che si sono avviati sulla strada dell’adesione: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina.
    La riforma delle istituzioni
    Il punto di partenza è la protezione dello Stato di diritto. In primis rendendo il meccanismo di condizionalità uno strumento contro le violazioni da poter estendere anche a fondi futuri. E come seconda soluzione perfezionare la procedura secondo l’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea (quella che sospende il diritto di voto in Consiglio), introducendo una maggioranza di quattro quinti del Consiglio per farla scattare (al posto di unanimità meno uno) e includendo limiti di tempo per costringere i capi di Stato e di governo a prendere una decisione.
    Tutte le istituzioni comunitarie sono interessate dalla riforma dell’Unione. Il Parlamento manterrebbe il limite di 751 “o meno” eurodeputati (quindi meno rappresentanti per Stato membro), con l’adozione di un nuovo sistema di assegnazione dei seggi, basato su una formula che bilancia il diritto di ogni membro a essere rappresentato e la necessità di ridurre le distorsioni demografiche. Anche per la Commissione si considerano le dimensioni del Collegio, con due opzioni: o una riduzione del numero di commissari (non più uno per Stato membro) o una differenziazione tra “commissari guida” e “commissari”, in cui solo i primi hanno il diritto di voto. Il Consiglio dell’Ue dovrebbe invece essere riorganizzato da un formato a tre a un quintetto di presidenza che copra metà di un ciclo istituzionale (sei mesi per membro). Il Consiglio è l’istituzione più delicata da riformare, con l’idea fondante di “generalizzare il voto a maggioranza qualificata” a tutte le decisioni “politiche”, con salvaguardie come una “rete di sicurezza per la sovranità”, il calcolo delle quote di voto riequilibrato da 65/55 a 60/60 e opt-out per i settori politici interessati.
    Democrazia, poteri e bilancio
    Per salvaguardare la democrazia europea dovranno essere armonizzate le leggi elettorali, “almeno entro il 2029” (per il rinnovo dell’Eurocamera), ma serve una decisione “prima delle prossime elezioni” del 2024 anche sulla nomina del presidente della Commissione: o come accordo inter-istituzionale o come accordo politico. I cittadini dovranno essere coinvolti più da vicino con strumenti partecipativi legati al processo decisionale e a quello di allargamento Ue, mentre un nuovo Ufficio indipendente per la trasparenza e la probità dovrebbe monitorare le attività di tutti gli attori che lavorano nelle – o per le – istituzioni comunitarie. Va a braccetto la questione della definizione delle competenze, con la necessità di “rafforzare le disposizioni su come affrontare gli sviluppi imprevisti”, includendo meglio il Parlamento e creando una Camera congiunta delle più alte giurisdizioni dell’Ue come dialogo non vincolante tra le giurisdizioni europee e quelle degli Stati membri.
    Ma in questo capitolo l’attenzione è tutta rivolta al bilancio comunitario, di fronte a un potenziale aumento dei membri e delle politiche da finanziare collettivamente. Nel prossimo periodo di bilancio (2028-2034) dovrà essere aumentato il budget “sia in termini nominali sia in relazione al Pil”. Serviranno nuove risorse proprie per limitare l’ottimizzazione fiscale, l’elusione e la concorrenza, mentre le decisioni di bilancio dovranno essere prese per maggioranza qualificata (o in alternativa con una cooperazione più intensa tra gruppi più piccoli di Stati membri per finanziare insieme le politiche). Dovrà poi essere condotta una revisione per ridurre o aumentare le dimensioni di determinate aree di spesa e viene sancito il principio secondo cui l’Ue dovrebbe poter emettere debito comune in futuro. Dal 2034 – quando le due scadenze si allineeranno – il ciclo istituzionale avrà il compito di stabilire un nuovo quadro finanziario pluriennale della durata di 5 anni (e non più 7).
    Integrazione differenziata e processo di allargamento Ue
    L’ultima parte del rapporto del Gruppo dei Dodici è legato all’allargamento Ue vero e proprio, ma anche alle forme di integrazione che l’Unione dovrebbe assumere su diversi livelli. Prima di tutto viene considerato come modificare i Trattati, con sei opzioni sul tavolo: attivazione dell’articolo 48 del Tue (procedura di revisione ordinaria), una procedura di revisione semplificata, l’attivazione dell’articolo 49 del Tue (trattati di adesione di nuovi membri che modificano quelli istitutivi), “trattato quadro di allargamento e riforma” redatto dagli Stati membri, coinvolgimento di una Convenzione e – “in caso di stallo” – trattato di riforma supplementare tra gli Stati membri disposti a farlo.
    Alla riforma dei Trattati si accompagna la definizione dei 5 principi di integrazione differenziata all’interno dell’Ue: rispetto dell’acquis comunitario e dell’integrità delle politiche e delle azioni Ue, uso delle istituzioni comunitarie, apertura a tutti i membri, condivisione dei poteri decisionali, dei costi e dei benefici, e avanzamento da parte dei “volenterosi” che vogliano spingere oltre l’integrazione. Mentre agli Stati non cooperativi o non disposti a collaborare vengono offerti opt-out (opzioni di non partecipazione) nel nuovo Trattato – fatto salvo l’acquis comunitario e i valori fondanti – il futuro dell’integrazione europea viene immaginato su quattro livelli distinti: una cerchia interna di membri Schengen, dell’Eurozona e di altre “coalizioni di volenterosi”, l’Unione Europea con membri vecchi e nuovi, i membri associati al Mercato unico (come Norvegia e Svizzera) e – fuori dal perimetro dello Stato di diritto – la Comunità Politica Europea 2.0 che abbia al centro la convergenza geopolitica e strutturata su accordi bilaterali con l’Ue.
    In tutto questo deve rimanere chiaro l’obiettivo di essere pronti per l’allargamento Ue entro il 2030, così come anticipato dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel – mentre parallelamente i Paesi candidati dovranno lavorare per soddisfare tutti i criteri di adesione entro la stessa data (e già si sono detti disponibili a farlo). Nel rapporto viene stimolata la nuova leadership politica dopo le elezioni del 2024 a impegnarsi per questo obiettivo e concordare sulla preparazione per l’allargamento Ue entro la fine del decennio. Il discorso riguarda però da vicino anche lo stesso processo di allargamento Ue, a partire dalla suddivisione dei cicli di adesione in gruppi più piccoli di Paesi (ciascuno di questi definito ‘regata’). Nove principi dovrebbero guidare poi le future strategie di allargamento Ue: ‘prima le basi’, geopolitico, risoluzione dei conflitti, supporto tecnico e finanziario aggiuntivo, legittimità democratica, eguaglianza, ‘sistematizzazione’, reversibilità e voto a maggioranza qualificata.

    Riforma delle istituzioni, risorse comuni, integrazione differenziata e nuovo processo di adesione dei candidati. I governi hanno iniziato a discutere sulle proposte del Gruppo dei Dodici per mettere l’Unione nelle condizioni di non farsi trovare impreparata all’appuntamento del 2030

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    Il destino intrecciato dell’allargamento Ue e della riforma dei Trattati nel discorso sullo stato dell’Unione di von der Leyen

    Bruxelles – Non c’è allargamento Ue senza ripensamento sui meccanismi interni dell’Unione, non c’è riforma dei Trattati senza aspirazione a “completare la nostra Unione Europea” con i nuovi Paesi che hanno iniziato il percorso di avvicinamento all’adesione. Parola della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dal podio nell’emiciclo del Parlamento Ue a Strasburgo per l’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione di questi cinque anni di mandato per il suo gabinetto: “È giunto il momento per l’Europa di pensare ancora una volta in grande e di scrivere il nostro destino”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo (13 settembre 2023)
    L’allargamento Ue occupa un posto di notevole rilievo nell’ora di intervento della presidente von der Leyen alla sessione plenaria dell’Eurocamera questa mattina (13 settembre): “Il futuro dell’Ucraina, dei Balcani Occidentali, della Moldova è nella nostra Unione, e so bene quanto sia importante la prospettiva europea per molti abitanti della Georgia”. In un mondo in cui potenze come la Russia “cercano di eliminare i Paesi uno ad uno”, la numero uno dell’esecutivo comunitario ha ricordato che “non possiamo permetterci di lasciare indietro i nostri concittadini europei” – ucraini, balcanici, moldavi, georgiani – anche perché “è chiaramente nell’interesse strategico e di sicurezza dell’Europa”. Prima di ogni azione è però necessario “delineare una visione per un allargamento di successo”, per non snaturare un’Unione “libera, democratica e prospera” in cui Stato di diritto e i diritti fondamentali “saranno sempre il fondamento” degli Stati membri attuali e “in quelli futuri”. Ecco perché tra gli annunci dello Stato dell’Unione sui nuovi tavoli aperti dalla Commissione c’è anche quello sulle relazioni sullo Stato di diritto “a quei Paesi in via di adesione che si aggiorneranno ancora più rapidamente”, per metterli “sullo stesso piano degli Stati membri” e “sostenere i loro sforzi di riforma”.
    Ripensare alla struttura dell’Unione di fronte alla prospettiva di allargamento Ue che al momento conta 10 ‘ospiti’ a varie fasi di avvicinamento – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina – significa riflettere già ora a “come funzioneranno le nostre istituzioni, come saranno il Parlamento e la Commissione“, ma anche al “futuro del nostro bilancio, cosa finanzia, come lo finanzia e come viene finanziato”. Tutte questioni che “dobbiamo affrontare oggi se vogliamo essere pronti per il domani”, è l’esortazione della numero uno della Commissione Europea, annunciando che “presenteremo le nostre idee alla discussione dei leader sotto la presidenza belga” del Consiglio dell’Ue nel primo semestre del 2024: “Dobbiamo rispondere alle domande su come funzionerà in pratica un’Unione di oltre 30 Paesi e in particolare sulla nostra capacità di agire”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo (13 settembre 2023)
    Sul rapporto tra allargamento Ue e riforma dei Trattati la presidente von der Leyen non potrebbe essere più chiara: “Non si tratta di approfondire l’integrazione o di allargare l’Unione, possiamo e dobbiamo fare entrambe le cose“. In altre parole, “dobbiamo superare i vecchi dibattiti binari sull’allargamento”, anche considerato il fatto che “ogni ondata di allargamento è stata accompagnata da un approfondimento politico”: dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio alla piena integrazione economica, fino alla “vera e propria Unione di popoli e Stati” dopo la caduta della Cortina di Ferro. “Abbiamo dimostrato di poter essere un’Unione geopolitica e di poterci muovere velocemente quando siamo uniti, credo che Team Europe funzioni anche a più di 30″ Paesi membri, così come l’Unione della Salute e l’Unione Europea della Difesa “iniziate a 27 e potremo portarle a termine a più di 30”. L’impegno di von der Leyen è quello di “sostenere questa Assemblea e tutti coloro che vogliono riformare l’Unione” per farla funzionare meglio: “E sì, questo significa anche modificare la Convenzione europea e il Trattato se e dove è necessario”.
    Nel discorso sullo Stato dell’Unione la presidente della Commissione non fa promesse su una data per la fine del processo dell’allargamento Ue – come fatto in maniera piuttosto controversa dal leader del Consiglio Ue, Charles Michel – ma dà indicazioni politiche piuttosto nette: “Non possiamo – e non dobbiamo – aspettare la modifica del Trattato per procedere con l’allargamento Ue“, perché un’Unione adatta a questo scopo “può essere realizzata più rapidamente”. La “buona notizia” su cui si può partire è che “ad ogni allargamento Ue è stato dimostrato che chi diceva che ci avrebbe reso meno efficienti si sbagliava”. Il Next Generation Eu, l’acquisto di vaccini anti-Covid, le sanzioni contro la Russia e l’acquisto congiunto di gas – “non solo a 27, ma anche in Ucraina, Moldova e Serbia” – parlano da sé. Ma ora bisogna fare un passo oltre: “Dobbiamo esaminare più da vicino ogni politica e vedere come verrebbe influenzata da un’Unione più ampia” e con questo obiettivo “la Commissione inizierà a lavorare su una serie di revisioni delle politiche pre-allargamento Ue, per vedere come ogni settore dovrebbe essere adattato”. Segnali di apertura a quell’idea di “processo più rapido, graduale e reversibile” avanzata dal presidente del Consiglio Ue, anche se “l’adesione è basata sul merito e la Commissione difenderà sempre questo principio”, ha messo in chiaro senza mezzi termini von der Leyen dal podio di Strasburgo.
    A che punto è l’allargamento Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, e della presidente moldava Sandu. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.

    La presidente della Commissione Europea ha annunciato che “presenteremo le nostre idee alle discussioni dei leader sotto la presidenza belga” nel primo semestre 2024. Il “completamento dell’Unione” è una priorità strategica che “non può aspettare” la fine del rinnovamento interno

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    Zelensky ‘a caccia’ di F-16: Paesi Bassi e Danimarca si impegnano a fornire decine di aerei all’Ucraina

    Bruxelles – Un impegno e la prima vera promessa di fornire caccia F-16 alle forze armate ucraine. Danimarca e Paesi Bassi muovono i primi passi sulle forniture di aerei da combattimento per Kiev, dopo l’apertura del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e hanno annunciato ieri (20 agosto) che forniranno diversi F-16 a Kiev, che contribuiranno a rimpolpare le difese aree ucraina e la controffensiva contro l’invasione della Russia, iniziata il 24 febbraio di un anno fa.
    L’occasione per annunciare il dispiegamento di forze armate è stata la visita del presidente ucraino Volodomyr Zelenskyj, ai rispettivi premier di Danimarca e Paesi Bassi, Mette Frederiksen e Mark Rutte. “Gli F-16 instilleranno nuova fiducia e motivazione sia nei guerrieri che nei comuni cittadini. Produrranno nuovi risultati per l’Ucraina e il resto d’Europa”, ha scritto su X (precedentemente Twitter) il presidente ucraino, riferendo di una giornata “potente e fruttuosa” sul fronte degli armamenti. 

    F-16s will instill fresh confidence and motivation in both warriors and ordinary citizens. They will produce fresh results for Ukraine and the rest of Europe.
    I thank you once again, dear @MinPres Mark, @Statsmin Mette, your teams, and the peoples of the Netherlands and Denmark. pic.twitter.com/ffSdtMHkfI
    — Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) August 20, 2023

    Coalizione F-16
    Copenaghen e Amsterdam muovono i primi passi in quella che dovrebbe diventare una vera coalizione, a cui i due premier europei invitano anche gli altri 25 Stati membri Ue a prendere parte. La Danimarca, come riferito da Frederiksen, consegnerà 19 arei caccia da combattimento in totale, con i primi sei che dovrebbero essere spediti in Ucraina intorno a Capodanno e che saranno seguiti da otto nel 2024 e cinque nel 2025. Quanto ai I Paesi Bassi hanno 42 F-16 disponibili in tutto, ma devono ancora decidere se verranno donati tutti, ha detto domenica il primo ministro olandese Mark Rutte, quando Zelenskiy ha visitato il paese.
    Prima i carri armati tedeschi, ora quella dei caccia aerei. La fornitura dei cosidetti fighter jets ha sollevato in Ue non poche divisioni e non meno remore tra i Paesi dell’Unione. Nonostante le divisioni a dodici stelle, una svolta è arrivata a fine maggio con la decisione del presidente americano Joe Biden di consentire ai Paesi che lo vorranno di fornire aerei caccia da guerra Made in USA F-16 all’Ucraina. Dopo mesi di richieste da parte di Zelensky, Biden – l’occasione era la riunione dei leader G7 a Hiroshima, in Giappone – ha comunicato agli altri leader riuniti nel formato G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti e Unione europea) che gli Stati Uniti sosterranno anche gli sforzi di addestramento dei piloti ucraini sugli F-16, che potrebbero coinvolgere anche l’Italia. Roma è insieme alla Grecia, Paesi Bassi, Danimarca, Romania, Portogallo tra i Paesi Ue a disporre di questi velivoli.

    Dopo l’apertura di Biden, da Paesi Bassi e Danimarca arriva la prima promessa ufficiale a fornire a Kiev aerei caccia F-16 che contribuiranno a rafforzare le difese aree ucraine e la controffensiva contro l’invasione della Russia. “Una giornata potente e fruttuosa”, annuncia il presidente ucraino, in visita domenica nei due Paesi Ue