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    L’Ue propone un piano da 20 miliardi di euro per il sostegno militare a lungo termine all’Ucraina fino al 2027

    Bruxelles – Cinque miliardi all’anno, per quattro anni per garantire un sostegno continuo alla difesa dell’Ucraina. Non si tratterà di un nuovo fondo da parte dell’Ue, ma di una specifica sezione dell’attuale strumento europeo per la pace (European Peace Facility), lo strumento finanziario fuori dal bilancio comunitario isitituito nel 2021 per migliorare la capacità dell’Ue di prevenire i conflitti e di finanziare azioni operative che hanno implicazioni militari o di difesa nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune.
    Dopo le indiscrezioni degli ultimi giorni, l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, ha messo oggi (20 luglio) la proposta di nuovi finanziamenti a Kiev sul tavolo dei ventisette ministri degli Esteri, riuniti a Bruxelles nell’ultimo Consiglio dell’Ue prima dell’estate. Si tratterà “sempre dello stesso strumento, l’European Peace Facility, che ha funzionato molto bene e continueremo a usarlo ma con un capitolo dedicato al suo interno, con un finanziamento specifico che può essere stimato sulle cifre che ho citato”, ha spiegato il capo della diplomazia europea in una breve conferenza stampa dopo la riunione.
    Venti miliardi di risorse extra da mobilitare fino al 2027. “Questa è la valutazione dei bisogni e delle necessità per garantire il sostegno dell’Ucraina”, ha aggiunto. A detta dell’alto rappresentante Ue i ministri dei Ventisette hanno avuto un primo scambio di idee sulla proposta, ma ne discuteranno in maniera approfondita a fine agosto, alla riunione informale dei ministri degli affari esteri nel tradizionale formato Gymnich che si terrà il 30 e 31 agosto. La proposta di Borrell fa parte di un più ampio sforzo per porre il sostegno europeo a Kiev su una base a più lungo termine, dopo più di un anno di tentativi per rispondere ai bisogni immediati dell’Ucraina a seguito dell’invasione della Russia.
    Solo di recente i due colegislatori dell’Ue, Parlamento e Consiglio, hanno trovato un accordo politico sull’Asap, il piano Ue per aumentare la consegna di munizioni e missili all’Ucraina e imprimere un cambio di passo sulla capacità di produzione bellica nei 27 Stati membri. Acronimo di ‘Act in support of ammunition production’ e di ‘As soon as possible’, il regolamento presentato dalla Commissione Ue lo scorso 3 maggio è stato in effetti finalizzato in tempo di record. Il piano prevede di mobilitare in via d’urgenza cinquecento milioni di euro dal bilancio comunitario fino a giugno 2025 per aumentare la capacità dell’industria europea di produrre munizioni, con l’obiettivo di produrre almeno un milione di pezzi all’anno, tra munizioni terra-terra, artiglieria e missili.
    Ultimo di tre pilastri di un più ampio e complesso ‘Piano per la difesa’ proposto ai Ventisette dal commissario al Mercato interno, Thierry Breton, e dall’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, per rispondere all’emergenza della fornitura di munizioni all’Ucraina, ma anche per costruire una visione di lungo termine per la difesa europea. Oltre all’Asap, il Piano per la difesa comprende un miliardo di euro mobilitato attraverso lo strumento europeo per la pace (strumento fuori bilancio comunitario) per la consegna immediata di munizioni a Kiev attraverso le scorte degli Stati membri e un altro miliardo di euro per gli acquisti congiunti di armi.

    La proposta dell’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, ai ministri degli Esteri dei 27 Stati membri, che ne discuteranno in maniera approfondita all’informale di Toledo del 30 e 31 agosto

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    L’Ue in pressing sulla Serbia per trovare una soluzione con gli organizzatori dell’EuroPride per ospitare l’evento a Belgrado

    Bruxelles – Aumentano le pressioni delle istituzioni Ue sulla Serbia dopo l’ondata di polemiche sulla posizione intransigente del presidente serbo, Aleksandar Vučić, a proposito dello svolgimento dell’Europride 2022 in programma tra il 12 e il 18 settembre a Belgrado. “Dopo l’annuncio della cancellazione, l’Unione Europea incoraggia le autorità serbe a proseguire i contatti con gli organizzatori per trovare una soluzione che consenta di ospitare l’EuroPride in pace e sicurezza”, si legge in una nota firmata dal portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano: “Attendiamo con ansia una decisione finale positiva” sullo svolgimento dell’evento che celebra quest’anno il trentesimo anniversario dall’istituzione.

    Statement by the Spokesperson on the announcements of the cancellation of EuroPride in Belgrade | EEAS Website https://t.co/yA0qK61knl
    — Belgrade Pride – EuroPride 2022 (@belgradepride) September 2, 2022

    Martedì (30 agosto) il presidente Vučić aveva ribadito che la manifestazione annuale itinerante per i diritti LGBTQ+ in programma quest’anno nella capitale serba sarà “annullata o rinviata” per “questioni urgenti”, non facendo nessuna apertura rispetto a quanto annunciato pochi giorni prima nel corso della cerimonia di conferimento del mandato di governo alla premier uscente, Ana Brnabić. “Potrà chiamare Biden, potranno chiamare Putin o Erdogan o chi volete, la decisone non cambierà”, aveva messo un punto Vučić. Ma gli organizzatori dell’EuroPride hanno continuato a confermare che l’evento non è annullato e che la marcia del 17 settembre per le strade di Belgrado si svolgerà, dal momento in cui le autorità nazionali non hanno il potere di cancellare la manifestazione una volta assegnata alla città ospitante, a meno che non si tratti di ragioni di sicurezza pubblica motivate dalle forze di polizia.
    Da Bruxelles è subito arrivato un importante sostegno alla causa dell’EuroPride 2022 in Serbia, sia con il messaggio inviato alla premier Brnabić da parte della co-presidente dell’intergruppo LGBTQ+ del Parlamento Ue, Terry Reintke, e dalla collega di partito, Viola von Cramon-Taubadel (“L’EuroPride sarà un simbolo forte contro i movimenti autoritari guidati dall’odio, marceremo a Belgrado per la democrazia e la diversità”), sia con la lettera firmata da 145 eurodeputati indirizzata anche al presidente serbo. “Siamo consapevoli delle minacce alla sicurezza dei manifestanti, ma riteniamo che vietare del tutto l’evento non sia la soluzione giusta”, è quanto sottolineato con forza nel testo, che ha esortato alla “positiva collaborazione e a sostenere gli organizzatori nella realizzazione di una Marcia dell’EuroPride sicura”. Tra gli eurodeputati italiani firmatari della lettera compaiono la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno, il membro del comitato dell’intergruppo LGBTQ+ Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle), insieme ad Alessandra Moretti,Brando Benifei, Massimiliano Smeriglio (Partito Democratico), Eleonora Evi e Rosa D’Amato (Verdi).

    🏳️‍🌈 145 MEPs signed today our joint letter calling on the 🇷🇸 #Serbian leadership (@SerbianPM/@avucic) to facilitate a safe #EuroPride2022 as scheduled.
    Our MEPs also urge authorities to deploy sufficient police protection.
    Read it below 👇 https://t.co/SsKle1gmxb pic.twitter.com/u1lFMMzC2t
    — LGBTI Intergroup (@LGBTIintergroup) August 31, 2022

    È così che, anche grazie al pressing dell’Ue, si è aperto uno spazio di dialogo tra le autorità della Serbia e gli organizzatori dell’EuroPride. Si cerca ora una soluzione che garantisca lo svolgimento della manifestazione – e in completa sicurezza – con un qualche tipo di riconoscimento della situazione delicata all’interno del Paese (in particolare sui rapporti con il Kosovo e sulla crisi energetica). Un tentativo ulteriormente supportato da Bruxelles con la messa in campo del peso diplomatico del Servizio guidato dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “L’Ue attribuisce grande importanza al fatto che questo Pride si svolga in circostanze pacifiche e con la sicurezza dei partecipanti”, si legge nel comunicato, che ricorda a Belgrado le aspettative dell’Unione nei confronti dei “nostri partner più stretti” in materia di “protezione e promozione dei diritti umani”, inclusa la “difesa dei diritti delle persone LGBTIQ+, della libertà di riunione e di espressione”. L’EuroPride, conclude il testo, “si batte per la parità di diritti delle persone LGBTIQ+ in tutta Europa, dando voce a coloro che subiscono discriminazioni, violenze o odio per motivi diversi dal loro sesso, sessualità o genere”.

    Il Servizio europeo per l’azione esterna attende “con ansia” una decisione finale “positiva” dai contatti tra autorità serbe e organizzatori della manifestazione LGBTQ+. Bruxelles attribuisce “grande importanza” allo svolgimento dell’evento “in circostanze pacifiche e in sicurezza”

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    Strasburgo striglia gli Stati Uniti sull’aborto: “Sentenza della Corte Suprema è passo indietro sui diritti delle donne”

    Strasburgo – La pratica dell’aborto non scomparirà togliendo alle donne il diritto ad abortire. Scomparirà solo il loro diritto a interrompere una  gravidanza, qualsiasi sia la ragione che le spinge a volerlo fare, in modo sicuro e senza mettersi in pericolo. E’ il messaggio che l’Aula del Parlamento europeo di Strasburgo manda a gran voce agli Stati Uniti, dove una sentenza della Corte Suprema dello scorso 24 giugno ha ribaltato la decisione (incardinata nella storica sentenza “Roe v. Wade) di garantire dal 1973 a tutte le donne l’interruzione volontaria di gravidanza sul territorio statunitense. Ribaltando i termini della decisione, la Corte Suprema ha eliminato di fatto il diritto all’aborto delle donne stabilito a livello federale, e questo significa che ogni Stato può decidere come muoversi adottando una legislazione su base individuale.
    Le preoccupazioni su quello che l’UE descrive come un passo indietro in materia di diritti, spingono l’Eurocamera a calendarizzare all’ultimo un dibattito nella sessione plenaria che prende il via questo pomeriggio (4 luglio) nella capitale alsaziana. L’ultima prima della pausa estiva delle istituzioni europee e la prima che vede la Repubblica ceca alla guida semestrale del Consiglio dell’UE a partire dal primo luglio e per i prossimi sei mesi. La sentenza della Corte statunitense è “un passo indietro notevole degli standard sulla salute riproduttiva negli Stati Uniti, cosa che impatta le donne, in particolare le più vulnerabili”, ha messo in guardia la commissaria europea per l’Eguaglianza, Helena Dalli, aprendo il dibattito in plenaria. “La sentenza ci ricorda che ci sono diritti che non possono essere dati per scontati da nessuna parte”, ha aggiunto, sottolineando l’impegno dell’UE a garantire che “le donne siano libere di scegliere per il proprio corpo”. Dalli cita alcune stime secondo cui ci sarebbero almeno una ventina di Stati (sui 50 complessivi) che “potrebbero chiedere di abolire il diritto all’aborto” anche nei casi più gravi e questo rappresenta un “passo indietro notevole degli standard riproduttivi”.
    All’intervento della commissaria fanno seguito, uno dopo l’altro, gli interventi di molti eurodeputati (in larghissima maggioranza sono donne) convinte che sia necessario ribadire che abolire il diritto all’aborto non significa eradicare l’aborto dalla società. “Significa solo togliere alle donne la possibilità di farlo in maniera sicura”, ribadisce Iratxe Garcia Perez, capogruppo dei Socialisti e Democratici (S&D). Ricorda che negli USA “non è contestato il diritto di portare armi” ma il “diritto di una donna di decidere sul proprio corpo non esiste. Vietare l’aborto non fermerà gli aborti. Li renderà solo più rischiosi. Dobbiamo combattere affinché le nostre figlie non abbiano meno diritti di quelli che avevamo noi”, ha aggiunto.  Per l’eurodeputata del Partito popolare europeo (PPE) Elissavet Vozemberg-Vrionidi, si tratta di una decisione molto pericolosa “perché non tiene conto di cosa sta succedendo in tutto il mondo, non tutte le donne hanno la possibilità” di spostarsi in un altro Stato per poter interrompere una gravidanza indesiderata in maniera legale. Per questo si ricorre alle vie illegali che spesso sono un rischio per la donna.
    Tra i pochi eurodeputati uomini a intervenire in un dibattito per lo più interlocutorio è Stéphane Sejourne, presidente del gruppo dei liberali di Renew Europe, che ha rilanciato l’idea del presidente francese Emmanuel Macron avanzata non più di qualche mese fa in quello stesso Parlamento europeo, di modificare la Carta dei diritti fondamentali dell’UE in particolare per inscrivervi il diritto all’aborto. Sarebbe un “test sincero per i nostri gruppi politici”, ha spiegato l’eurodeputato liberale. Dal momento che la stessa Unione europea si trova a combattere internamente con Stati, come la Polonia, che sulla questione dell’aborto sono tutt’altro che progressisti. La tutela della salute umana, inclusa quella donna, non rientra però tra le competenze esclusive della Commissione europea, ma è tra quelle esclusive in capo agli Stati membri.

    L’Aula di Strasburgo denuncia “passi indietro” degli USA sui diritti fondamentali. Secondo la commissaria Dalli almeno 20 Stati statunitensi pronti ad abolire il diritto all’aborto “anche nei casi più gravi” dopo la sentenza della Corte suprema che ha abolito il diritto a interrompere volontariamente una gravidanza sul territorio statunitense.

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    La Commissione Europea apre alla confisca dei beni degli oligarchi russi implicati in attività criminali

    Bruxelles – Non solo il congelamento, si apre anche la strada della confisca dei beni degli oligarchi russi vicini al regime di Vladimir Putin. “Se vengono accertate attività criminali legate a quella persona colpita dalle nostre sanzioni, è possibile non solo operare con un congelamento degli asset, ma mettere in atto una confisca“, ha messo in chiaro il commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders, nel corso dell’evento EU IDEA organizzato in collaborazione con Eunews. “Se le autorità nazionali vanno in questa direzione, chiediamo agli Stati membri di mettere i soldi ricavati in un fondo fiduciario per l’Ucraina, in modo da restituire il denaro alle vittime”.
    La strada della confisca dei beni degli oligarchi russi colpiti dai cinque pacchetti di sanzioni UE e implicati in attività criminali potrebbe risolvere uno dei problemi indiretti per i 27 Paesi membri dell’Unione Europea: le spese per il mantenimento degli stessi beni sequestrati, che attualmente sono solo congelati. Tecnicamente non si può parlare né di sequestro (misura cautelare attuata nelle fasi di indagine su un reato) né di confisca (pena definitiva comminata con una sentenza di condanna) dei beni, perché per il momento non esistono azioni penali nei confronti degli oligarchi russi.

    Quello che viene utilizzato è invece uno strumento di tipo economico: i beni congelati non possono essere messi all’asta o assegnati ad associazioni, ma rimangono proprietà degli oligarchi sanzionati. In altre parole, non possono essere utilizzati, ma rappresentano un costo per le finanze dello Stato. In Italia, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 109, la custodia, amministrazione e gestione delle risorse economiche “oggetto di congelamento” spettano all’Agenzia del demanio, che deve pagare tutte le spese legate a un bene sottoposto a questo strumento economico. Per esempio, i costi di mantenimento di una villa o di uno yacht, con tutti gli annessi: l’Agenzia del demanio può utilizzare eventuali utili prodotti dal bene, ma in caso contrario attinge a un fondo apposito del bilancio statale. Quando il bene viene ‘scongelato’ e restituito, il proprietario deve risarcire lo Stato italiano per tutte le spese sostenute.
    La confisca dei beni degli oligarchi russi implicati in attività criminali potrebbe risolvere da una parte la questione delle ingenti spese sostenute dai Ventisette per il mantenimento dei congelamenti, mentre dall’altra potrebbe avere un impatto significativo sul sostegno dell’UE all’Ucraina con un fondo fiduciario apposito. A sostenere l’azione di indagine delle autorità nazionali per “esplorare i legami tra i beni appartenenti a persone elencate nel regime di sanzioni e possibili attività criminali” – come affermato dal commissario Reynders – interverrà la task force Freeze and Seize istituita a marzo dalla Commissione Europea: “L’unità operativa sta sostenendo gli Stati membri sulla necessità di garantire l’applicazione delle sanzioni dell’Unione contro gli individui e le società russe”, ha ricordato il commissario europeo per la Giustizia. Ora per Bruxelles è arrivato il momento di fare di più.

    Lo ha affermato il responsabile per la Giustizia, Didier Reynders, durante un evento organizzato in collaborazione con Eunews: “Dopo il congelamento, se si arriva alla confisca chiediamo ai Paesi membri di destinare i soldi ricavati a un fondo fiduciario per le vittime ucraine”

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    EU IDEA project, differentiation as a tool for European integration. Reynders: “But the rule of Law is the limit”

    Brussels – The last dance. The EU IDEA project has come to an end, with a final conference that presented the project’s results and discussed the theme of differentiation and integration among researchers, EU representatives and experts. The two-day event (April 20-21) was organized in Brussels, within the framework of EU IDEA – Integration and Differentiation for Effectiveness and Accountability: it addressed all the aspects of differentiated integration as a strategic choice, as the European Union is dealing with its manifold internal and external challenges.
    The European Commissioner for Justice, Didier Reynders, at the EU IDEA final conference in Brussels (credits: Federico Baccini)
    EU IDEA is a project funded by the European Commission under the Horizon2020 programme and led by Istituto Affari Internazionali (IAI) – with the participation of Eunews as media partner – and its aim is to deepen differentiation and integration issues, in order to find viable solutions to the current challenges that the EU is facing. This is even more valid following the Russian aggression of Ukraine, considering the necessity to improve the future European security order amid persistent fragmentation and divergence in the European integration project. However, “differentiation and flexibility have no place in certain specific areas, such as the respect of the key-values of the European Union”, the European Commissioner for Justice, Didier Reynders, made it clear during his key-note speech.

    Human rights, rule of Law, solidarity, equality, independence of justice. “All Member States must align themselves with these key-principles, this is the commitment at the time of accession to the EU, not an imposition of the European Commission”, Reynders stressed, explaining why “we can work on differentiation, but not in the case of the respect of the rule of Law“. Inside and outside the EU (among those countries that want to be part of the Union), “there are many legislations and traditions, we are not asking to standardize all legal systems, but to apply the same principles for a common approach”. The Ukrainian crisis shows that “we must continue to commit in our values, if we want to be credible in the world and to demand respect for human rights from Russia“, the European Commissioner for Justice concluded.

    The final conference

    The Head of EU, politics and institutions programme at the Istituto Affari Internazionali (IAI) and EU IDEA project coordinator, Nicoletta Pirozzi, at the final conference in Brussels (credits: Federico Baccini)
    Moderated by Nicoletta Pirozzi, Head of EU, politics and institutions programme at the Istituto Affari Internazionali (IAI) and EU IDEA project coordinator, the conference first focused on how history and narratives around differentiation influence today’s state of the EU. “It emerged as a tool to cope with the different member States’ points of view and with growing heterogeneity”, Marco Brunazzo, Professor at University of Trento, stated, while his colleague at the University of Oslo John Erik Fossum pointed out that “it requires the development of some mechanisms to prevent weaknesses in the institutional system”. Differentiated integration “has two faces, one positive and one negative”, Ingrid Shikova, Professor at the Sofia University “St.Kliment Ohridski”, stressed, considering that “also in the future, who wants to do more, will do more, but who wants to do less, will do less”. Following the suggestion of Piero Tortola, Assistant Professor at the University of Groningen – “I wonder whether there is a return to unified integration narrative” – Jim Closs, TEPSA Secretary General, underlined that “every single crisis has shown that we need more integration and that basic key-values, such as the respect of rule of Law and human rights, are out of question“.
    Democracy and legitimacy are the cornerstones of a differentiated EU, in order to guarantee “an increase of effectiveness in inputs and responsibilities”, Matteo Bonomi, Research Fellow at the Istituto Affari Internazionali (IAI), stated. Funda Tekin, Director of the Institut für Europäische Politik (IEP), stressed that “the key for legitimation of differentiation policies is represented by the preferences of political elites and national public opinion” and her colleague Janis Emmanoulidis, Director of Studies, European Policy Centre (EPC), pointed out that “in the next future, we will have many more debates on these topics, because differences among Member States are becoming more evident and they have to be discussed”. Daniel Freund, Member of the European Parliament (Greens/EFA), warned that “there is not a real democratic choice on democracy, if you do not seat at the table for the decision-making process”.

    (credits: Federico Baccini)
    Differentiated integration is a process that considers also sustainability, security and solidarity inside and outside the European Union, as the Ukrainian crisis is demonstrating. “It urged a common approach in foreign affairs and military policies”, Sven Biscop, Director at the Egmont Institute, reported, echoed by Pol Morillas, Director at the Barcelona Centre for International Affairs (CIDOB): “It emerged trust between EU leader and empathy towards Member States that could suffer because of this crisis”. Even if “unity in the response is happening now”, as Juha Jokela, Programme Director at the Finnish Institute of International Affairs (FIIA), noted, “I am skeptical on how long it will last, because it concerns the effectiveness of external differentiated integration”. Eulalia Rubio, Senior Research fellow at the Jacques Delors Institute (JDI), stressed that “there are many cases of differentiation integration, that works differently inside and outside the EU”, while Reinhard Bütikofer, Member of the European Parliament (Greens/EFA), reminded that “unity in diversity is the very essence this concept”.

    At the very heart of the EU IDEA project there has always been the theme of Brexit, also considering the EU-UK Trade and Cooperation Agreement (TCA). “Foreign affairs and security policies are out of it, with an impact even on the war in Ukraine”, Ian Bond, Director of the Centre for European Reform (CER), stated. Stefan Führing, Head of Unit of the EU-UK Trade and Cooperation Agreement in the European Commission, shared the opinion that “in a broad sense, the cooperation between the two geopolitical actors is close to zero”, and Fabian Zuleeg, Chief Executive at the European Policy Centre (EPC), stressed that the TCA “is working in regulating the commercial trade, but it has a huge cost on many other aspects, such as the political cooperation”. This is “not a good relationship”, as shared also by Brigid Laffan, Former Director of the Robert Schuman Centre for Advanced Studies and Professor at the European University Institute: “We are talking about the weakest possibile solution, even if at the end Brexit has strengthen the unity inside the European Union”.

    Nicoletta Pirozzi with Herman Van Rompuy (on the right) and Vivien Schmidt (on the left) at the EU IDEA final conference (credits: Federico Baccini)
    Closing the final conference of the EU IDEA project, the coordinator Nicoletta Pirozzi summed up three years of studies and working papers: “Flexibility and differentiation can be a tool for European integration, but we have to set some limits and red lines, such as the respect of the rule of Law and the reinforcement of the EU institutions and the judicial power”. Herman Van Rompuy, President Emeritus of the European Council and EPC President, is sure that “we have to be more united on the values that characterize us” and that “there will be less space for differentiation in the future”, because “unanimity is very hard to achieve in many fields in periods of no crisis”. One of the very first turning points will be the French presidential election next Sunday (April 24): “If Marine Le Pen wins, there is the risk for differentiated disintegration on our values, the European budget and the supremacy of the EU law”, Vivien Schmidt, Professor at the Frederick S. Pardee School of Global Studies and at the Boston University, warned with great concern.

    The European Commissioner for Justice took part to the final two-day conference of the EU IDEA project, led and coordinated by Istituto Affari Internazionali (IAI): “All Member States must align themselves with our key-principles, if we want to be credible in the world”

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    Il vento nazionalista soffia ancora in Ungheria e Serbia: Orbán e Vučić stravincono le elezioni (tra le polemiche)

    Strasburgo, dall’inviato – Dentro e appena fuori i confini dell’UE, là dove l’Unione sta spingendo il processo di allargamento, non si è placato il vento dei populismi di destra, i più vicini alla Russia di Vladimir Putin. L’intensa domenica di elezioni (3 aprile) in Ungheria e Serbia ha sancito il trionfo rispettivamente del premier Viktor Orbán e del presidente Aleksandar Vučić, i due leader che stanno costruendo una forte alleanza nazionalista sull’asse Budapest-Belgrado, non completamente allineata alla politica di Bruxelles nei confronti della Russia. Due tornate elettorali particolarmente intense alla vigilia – per le aspettative di un cambiamento al vertice dei due Paesi – ma anche dopo la chiusura dei seggi, a causa delle grosse polemiche sul processo di voto e delle rivendicazioni di vittoria delle elezioni, sia in Ungheria sia in Serbia.
    Qui Budapest
    Niente da fare per l’opposizione unita guidata da Péter Márki-Zay. Nonostante il testa a testa previsto alla vigilia del voto, il partito Fidesz del premier Orbán ha conquistato il 53,13 per cento dei voti alle elezioni parlamentari, migliorando di quattro punti percentuali il risultato di quattro anni fa e assicurandosi nuovamente la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea nazionale (135 seggi su 199). Con il 98,96 per cento delle schede scrutinate, la commissione elettorale ungherese ha confermato il nuovo trionfo dell’uomo forte di Budapest, che ora riceverà il quarto mandato consecutivo per formare l’esecutivo (al potere ininterrottamente dal 29 maggio 2010).
    Alta l’affluenza, al 69,54 per cento – in leggera flessione rispetto alle elezioni del 2018 (70,22) – che però non ha premiato l’opposizione formata dai sei partiti guidati dall’economista conservatore Márki-Zay (socialisti, verdi, liberali, progressisti e conservatori): nel sistema elettorale che assegna 106 seggi ai collegi uninominali, la coalizione ne ha conquistati 56, fermandosi al 35,04 per cento dei voti. A superare la soglia di sbarramento al 5 per cento anche i nazionalisti di estrema destra del Movimento Nostra Patria (6,17 punti percentuali, per 7 deputati), più il seggio garantito alla minoranza tedesca.

    Hungary, national parliament election:
    With 99% counted, the right-wing Fidesz/KDNP (NI|EPP) alliance of Prime Minister Viktor Orbán wins a 2/3-parliamentary majority for the 3rd time in a row.
    The right-wing extremist Mi Hazánk (~NI) enters parliament for the 1st time. #Ungarn pic.twitter.com/kRkvIvJWyz
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 4, 2022

    “Abbiamo ottenuto una vittoria così grande che può essere vista anche dalla luna, e sicuramente da Bruxelles”, ha esultato il premier Orbán, polemizzando contro “la più grande forza che ha provato a schiacciarci” prima del voto: “Contro il globalismo, contro i burocrati di Bruxelles, contro Soros, contro i media mainstream europei e anche contro il presidente ucraino”, Volodymyr Zelensky, in riferimento ai rimproveri rivoltigli durante l’ultimo Consiglio Europeo. La prima dichiarazione populista del premier ungherese è servita e porta con sé una nota sinistra sui rapporti con Kiev e soprattutto con Putin, tradizionale alleato di Orbán. Dopo aver tenuto un profilo basso nell’ultimo mese di campagna elettorale, che è coinciso con l’inizio della campagna militare russa in Ucraina, ora da Budapest potrebbero arrivare picconate all’unanimità sempre raggiunta tra i leader UE sulle sanzioni e sulla lotta senza quartiere a Mosca. “Fidesz rappresenta una forza conservatrice patriottica e cristiana, è il futuro dell’Europa. Prima l’Ungheria!”, ha concluso il suo messaggio post-voto Orbán, facendo capire con quale spirito tornerà ad approcciarsi a Bruxelles.
    Il premier ungherese ha però taciuto la sconfitta personale arrivata dal referendum sulla legge anti-LGBT+, che si è tenuto sempre ieri contemporaneamente alle elezioni parlamentari. Solo il 44,46 per cento degli elettori ha espresso un voto valido, non raggiungendo il quorum richiesto per avallare la proposta legislativa del governo. Un’altra criticità ha riguardato lo svolgimento del processo elettorale, reso opaco dalle modifiche alla legge elettorale, dalle regole di registrazione degli indirizzi, dai problemi di trasparenza dei finanziamenti della campagna e dall’influenza del partito al potere sui media. Riconoscendo la sconfitta “in questo sistema”, il candidato premier dell’opposizione Márki-Zay ha ribadito che “è la propaganda ad aver vinto queste elezioni, non l’onestà, abbiamo fatto tutto quello che potevamo”.

    Hungary: national referendum today:
    “Do you support the teaching of sexual orientation to minors in public education institutions without parental consent?”
    Vote among all eligible voters
    No: 41%Yes: 3%
    Threshold to meet: 50%+ of eligible voters voting either ‘yes’ or ‘no’ pic.twitter.com/7P2F20ABIk
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 4, 2022

    Qui Belgrado
    Contemporaneamente alle elezioni in Ungheria, anche per la Serbia il 3 aprile 2022 segna una data-chiave per la riaffermazione delle forze nazionaliste legate alla Russia di Putin. Con il 90 per cento delle schede scrutinate, il presidente Vučić è proiettato alla seconda vittoria consecutiva al primo turno delle presidenziali, con il 59,55 per cento dei voti, mentre il principale candidato dell’opposizione unita, Zdravko Ponoš, si ferma al 17. Per quanto riguarda le elezioni parlamentari, il Partito Progressista Serbo di Vučić si attesta al 43,45 per cento dei voti, assicurandosi 122 deputati sui 250 dell’Assemblea nazionale: lontano il cartello di opposizione Serbia Unita, con 13 punti percentuali e 36 seggi. Sembrano tramontare anche le possibilità per l’opposizione di strappare dalle mani dei nazionalisti la capitale Belgrado: il candidato dell’SNS, Aleksandar Šapić, si sta affermando con quasi il 40 per cento delle preferenze, mentre quelli dell’opposizione Serbia Unita, Vladeta Janković, e del movimento della sinistra ecologista Moramo, Dobrica Veselinović, rispettivamente al 20 e al 10 per cento.
    Nel mezzo di un processo elettorale su cui si attende il giudizio degli osservatori internazionali anche del Parlamento Europeo per le sospette irregolarità di voto e le violenze contro i candidati dell’opposizione al Partito Progressista Serbo fuori da alcuni seggi, l’UE guarda con preoccupazione alle dichiarazioni del presidente Vučić, che ieri sera si è attribuito la vittoria dalla sede dell’SNS. “Quello che è importante per europei, russi e americani è che proseguiremo nella nostra politica di neutralità“, ha affermato, confermando che Belgrado manterrà buoni rapporti con la Russia e, implicitamente, non aderirà alle sanzioni occidentali. “Dobbiamo vedere cosa fare sul petrolio e ci saranno colloqui sul gas” russo, ha aggiunto Vučić, ribadendo con forza che “questa crisi ha scosso economie molto più forti della nostra, ma noi siamo completamente stabili”.

    Serbia (Presidential Election), 88.7% parallel count:
    Vučić (SNS+-EPP): 59% (+4)Ponoš (US-S&D): 18% (+2)Jovanović (NADA-*): 6% (+1)…
    Source: CeSID / Ipsos
    +/- vs. 2017 election result
    ➤ https://t.co/eWnraQ39P8#Izbori2022 #Srbija #Serbia #SerbiaElections pic.twitter.com/IXba6uQHet
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 3, 2022

    I due più stretti alleati di Putin in Europa, il premier ungherese e il presidente serbo, sono stati riconfermati con un’ampia maggioranza dai rispettivi elettorati. Contestazioni sul processo elettorale e sullo svolgimento del voto, oltre alle provocazioni rivolte all’UE

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    Aumento coordinato della spesa militare e investimenti nella filiera industriale: a Versailles i semi della difesa comune europea

    Bruxelles – Tra le innumerevoli reazioni che ha scatenato l’invasione russa dell’Ucraina, una ha un significato di portata storica per l’Unione Europea. Per la prima volta nella storia dell’UE, tutti i Paesi membri sono allineati sulla prospettiva di stringere sempre di più la cooperazione in ambito di difesa. È un passo in più rispetto al “tabù” venuto a cadere quasi due settimane fa (era domenica 27 febbraio) sul finanziamento di uno Stato in guerra – l’Ucraina contro l’invasione russa – da parte dell’UE e si è concretizzato con la Dichiarazione di Versailles, firmata dai 27 leader al Consiglio informale di ieri e oggi (10-11 marzo). L’Unione è pronta per una difesa comune europea, i primi semi sono stati piantati proprio là dove più di 100 anni fa si assisteva a un fallimento per l’unità europea.
    La difesa comune europea, nello specifico, è uno dei tre pilastri della Dichiarazione e del “nuovo modello di crescita e di investimento per il 2030”, come illustrato dal presidente francese, Emmanuel Macron, padrone di casa a Versailles. “Si tratta di una svolta storica importante nel progetto dell’Unione Europea“, ha dichiarato senza mezzi termini in conferenza stampa il presidente di turno del Consiglio dell’UE: “Paesi tradizionalmente neutrali come la Svezia hanno sostenuto l’Ucraina, la Germania ha deciso investimenti storici nell’ambito militare e la Danimarca ha presentato al popolo la possibilità di ritornare nel progetto europeo di sicurezza e difesa”. A questo punto vanno delineate le direttrici del rafforzamento delle capacità di difesa e gli appuntamenti decisivi saranno a fine marzo e a metà maggio.
    I presidenti di Consiglio, Charles Michel, Commissione, Ursula von der Leyen, e Consiglio dell’UE, Emmanuel Macron, a Versailles (11 marzo 2022)
    “L’imminente Bussola Strategica fornirà una guida per l’azione nelle dimensioni di sicurezza e difesa”, si legge nel testo della Dichiarazione. Il progetto è in fase di elaborazione da mesi, da quando è scoppiata la crisi in Afghanistan e l’Unione Europea si è scoperta fragile e disorganizzata di fronte agli scenari globali più instabili. La presentazione è prevista al Consiglio Europeo del 23-24 marzo e dopo l’invasione russa dell’Ucraina non ci sono più dubbi che la scadenza sarà rispettata. Ma sarà a maggio che si dovrà trovare una quadra sull’intero progetto di difesa comune europea, prima del vertice NATO di Madrid a fine giugno: al Consiglio UE straordinario si metteranno a punto “gli investimenti necessari coordinati, gli obiettivi di bilancio, le necessità a livello spaziale, informatico e marittimo, e i bisogni delle filiere industriali di difesa europee”, ha precisato Macron.
    Nello specifico, con la Dichiarazione di Versailles i 27 capi di Stato e di governo dell’Unione Europea hanno deciso di “investire di più e meglio nelle capacità di difesa comune e nelle tecnologie innovative”. Spazio allora per un “aumento sostanziale delle spese per la difesa“, in linea con quel 2 per cento del PIL approvato anche dalla Germania la settimana scorsa. La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, ha spiegato ai giornalisti che “nelle prossime settimane prepareremo un’analisi dei gap di investimenti tra Stati membri, per avere un piano chiaro entro metà maggio”. Stando a quanto si legge nella Dichiarazione, ci si dovrà concentrare sulle “carenze strategiche” e sugli investimenti “in modo collaborativo” tra i Ventisette, anche sul fronte degli acquisti dai partner e delle sinergie di ricerca e innovazione sulle tecnologie critiche ed emergenti. A questo si riferisce il presidente Macron quando parla di “rafforzamento della filiera industriale di difesa“, piccole e medie imprese comprese.
    Come ha evidenziato il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, “è innegabile che ci siamo svegliati due settimane fa in un’Europa nuova e in un mondo diverso” e che “le azioni di guerra della Russia evidenziano la necessità di una difesa comune europea con una strategia operativa e una base industriale”. I leader dell’Unione hanno ribadito senza ambiguità che il rapporto con la NATO potrà solo che rafforzarsi: “Un’Unione Europea più capace nel campo della sicurezza e della difesa comune contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica, che rimane il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri”. A livello comunitario bisognerà però aumentare gli sforzi per “proteggerci dalla sempre crescente guerra ibrida, proteggendo le nostre infrastrutture e combattendo la disinformazione”. Ma anche “accelerare gli sforzi in corso per migliorare la mobilità militare in tutta l’UE“. Ci si aspetta che entro un paio di mesi i semi della difesa comune europea piantati a Versailles diventino un progetto concreto in crescita.

    Al Consiglio UEinformale è stata trovata un’intesa tra i Ventisette per stringere sempre di più la cooperazione in ambito militare e di difesa. Gli appuntamenti decisivi a fine marzo e al vertice straordinario di maggio

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    La Commissione UE ha proposto la prima attivazione della direttiva sulla protezione temporanea per i rifugiati

    Bruxelles – La dimensione storica della proposta si era intuita già domenica (27 febbraio), quando al Consiglio Affari Interni straordinario ne era stata discussa la possibilità. Per la prima volta da quando è entrata in vigore la base legislativa e normativa per l’applicazione dei corridoi umanitari nel 2001, la Commissione UE ha proposto formalmente di attivare la Direttiva europea sulla protezione temporanea, quella che stabilisce uno status di protezione di gruppo in “situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo”.
    A rendere necessaria la proposta di attivazione (che dovrebbe essere approvata domani dal Consiglio dell’UE) è stato l’arrivo di più di 650 mila persone dall’Ucraina nei vicini Stati membri dell’Unione, dopo l’invasione russa iniziata una settimana fa. “Tutti coloro che fuggono dalle bombe di Vladimir Putin sono i benvenuti in Europa”, ha spiegato la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, sottolineando che l’Unione fornirà “protezione a coloro che cercano riparo e aiuto a coloro che cercano un modo sicuro per tornare a casa“. La direttiva sulla protezione temporanea è stata pensata specificamente per dare “protezione immediata alle persone che ne hanno bisogno e per evitare di sovraccaricare i sistemi di asilo degli Stati membri”, spiega la Commissione UE, grazie alle linee-guida operative fornite alle guardie di frontiera degli Stati membri.
    Secondo la proposta, “cittadini ucraini e persone che hanno fatto dell’Ucraina la loro casa”, sfollati o in fuga dalla guerra, avranno il diritto alla protezione in tutta l’Unione Europea. Sono inclusi – ed è bene ricordarlo – “anche i cittadini non ucraini e gli apolidi che risiedono legalmente in Ucraina e che non possono tornare nel loro Paese d’origine, come i richiedenti asilo o i beneficiari di protezione internazionale”. Nei giorni scorsi sono stati denunciati diversi casi di discriminazione razziale ed etnica alle frontiere dell’Unione sull’accoglienza di profughi in arrivo dall’Ucraina, anche dal ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, che ieri su Twitter ha messo in chiaro: “Le perone africane che cercano di essere evacuate sono nostri amici e devono avere le stesse opportunità di tornare ai loro Paesi d’origine in sicurezza”.

    Russia’s invasion of Ukraine has affected Ukrainians and non-citizens in many devastating ways. Africans seeking evacuation are our friends and need to have equal opportunities to return to their home countries safely. Ukraine’s government spares no effort to solve the problem.
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) March 1, 2022

    Considerata la “natura straordinaria ed eccezionale dell’attacco russo e l’entità dei nuovi arrivi nell’UE”, la direttiva sulla protezione temporanea fornirà tutti i diritti di protezione internazionale riconosciuti ai rifugiati: residenza, accesso al mercato del lavoro e all’alloggio, assistenza sociale e medica, mezzi di sussistenza, tutela legale e accesso all’istruzione per bambini e adolescenti. Di fondamentale importanza anche la solidarietà e la condivisione delle responsabilità tra Stati membri nell’ospitare gli sfollati ucraini o in arrivo dal Paese invaso dalle truppe di Putin: sarà attivata una piattaforma di solidarietà per lo scambio di informazioni tra i Ventisette sulle capacità di accoglienza e una redistribuzione che tenga conto anche della presenza di amici e parenti sul territorio UE delle persone in arrivo.
    Per quanto riguarda la gestione delle frontiere, le linee-guida della direttiva sulla protezione temporanea prevedono la semplificazione delle procedure alle frontiere dell’UE con l’Ucraina, con un allentamento dei controlli previsti dalle regole Schengen “in circostanze eccezionali per certe categorie di persone” (di cui sopra). In questo modo si riuscirà ad “aiutare coloro che fuggono dalla guerra a trovare riparo senza ritardi, pur mantenendo un alto livello di controlli di sicurezza”, specifica la proposta della Commissione. Per esempio, se non si riesce a stabilire l’identità di una persona, si può procedere alle verifiche di frontiera anche dopo il trasporto in un luogo sicuro e non al valico. O ancora, le guardie di frontiera possono autorizzare cittadini extra-UE a fare ingresso nello Stato membro per motivi umanitari “anche se non soddisfano tutte le condizioni di ingresso” (se non hanno un passaporto o un visto valido). Nel caso in cui le strade verso i valichi ufficiali di frontiera siano bloccate o congestionate, può essere consentito l’attraversamento da valichi temporanei per “aiutare a ridurre i ritardi”.
    La direttiva che non è mai stata attivata in più di 20 anni – nemmeno quando sei mesi fa è scoppiata la crisi in Afghanistan – prevede “accordi speciali” per facilitare entrata e uscita di servizi di soccorso, polizia e vigili del fuoco per fornire assistenza di ogni tipo alle persone in attesa di attraversare il confine, oltre alla possibilità per i rifugiati di portare effetti personali senza alcun dazio doganale e anche animali domestici. Le linee-guida raccomandano “vivamente” agli Stati membri di sfruttare il supporto delle agenzie Frontex ed Europol, rispettivamente per l’assistenza nella registrazione delle persone in arrivo dall’Ucraina e per il supporto ai controlli secondari. Una volta adottata, la protezione temporanea dell’UE durerà un anno, con la possibilità di rinnovi semestrali per un altro anno: se le condizioni dovessero rimanere critiche, il Consiglio potrà decidere a maggioranza qualificata (su proposta della Commissione), l’estensione per un terzo anno.

    Europe stands by those in need of protection.
    All those fleeing Putin’s bombs are welcome in Europe.
    We will provide protection to those seeking shelter and we will help those looking for a safe way home.
    Our proposal to support people fleeing the war in Ukraine ↓
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) March 2, 2022

    Gli oltre 650 mila profughi dall’Ucraina hanno reso necessaria la proposta dell’esecutivo UE. Saranno previsti allentamenti dei controlli di frontiera, solidarietà tra Paesi membri nell’accoglienza e facilitazioni di ingresso per chi fugge dalla guerra