More stories

  • in

    Salpano verso Gaza le navi italiane della Global Sumud Flotilla. Scuderi: “La popolazione ci ringrazia, i governi si attivino”

    Bruxelles – Dopo giorni di attesa, sciolgono gli ormeggi le decine di imbarcazioni che dall’Italia si uniranno alla Global Sumud Flotilla nel tentativo di rompere il blocco israeliano e consegnare aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Raggiunta da Eunews a Siracusa, l’eurodeputata Benedetta Scuderi, del gruppo dei Verdi, ha raccontato le fasi concitate prima della partenza: “Le persone ci ringraziano, speriamo che i governi si attivino se i nostri diritti verranno violati”.Il primo gruppo di barche, ancorate al porto di Sidi Bou Said, nei pressi di Tunisi, ha issato le vele ieri. Tra loro, le due imbarcazioni colpite da ordigni incendiari lanciati da piccoli droni nelle scorse notti. In un comunicato, gli equipaggi della Flotilla si dicono “ancora più determinati nel portare avanti” la missione dopo questi attacchi intimidatori. Dopo una conferenza stampa  – prevista alle 14:00 – ed un presidio alla marina di Ortigia, sarà il turno di tutte le barche riunitesi in Sicilia nei giorni scorsi da vari porti d’Italia.La Family Boat e altre imbarcazioni della Global Sumud Flotilla ancorate a Sidi Bou Said, Tunisi (Photo by FETHI BELAID / AFP)“Imbarcazioni abbastanza piccole, dagli 11 ai 15 metri, a vela, civili e non commerciali”, che in sostanza “hanno la possibilità di navigare in acque territoriali”, spiega Scuderi. Sulla sua, a bordo saranno in 11. Oltre agli aiuti umanitari caricati ieri al porto di Augusta. “L’obiettivo è quello di far arrivare gli aiuti, c’è la volontà effettiva di creare il corridoio umanitario“, aggiunge. Per questo le due eurodeputate italiane – Scuderi e la dem Annalisa Corrado – e i due parlamentari nazionali – Marco Croatti (M5S) e Arturo Scotto (Pd) – a bordo, hanno chiesto “fin dall’inizio il supporto del governo e del ministero degli Esteri”.Da Roma, finora “quel che è stato detto è stato detto a singhiozzi”, denuncia Scuderi. La premier Meloni ha affermato inizialmente che “tutelerà i cittadini”, il ministro degli Esteri Tajani ha chiesto oggi al suo omologo israeliano, Gideon Sa’ar, di garantire i diritti degli italiani sulla Flotilla. “Siamo ben lontani dalla protezione diplomatica” annunciata da Madrid per i cittadini spagnoli a bordo, ammette l’eurodeputata, ma “spero che il governo si attivi se dovesse succedere qualcosa”.Gli scenari sono diversi, alcuni molto rischiosi, e gli equipaggi ne sono stati messi al corrente prima della partenza. Nel 2010, i militari israeliani avevano aperto il fuoco su un’imbarcazione della Freedom Flotilla e ucciso 10 attivisti. Negli ultimi due tentativi, a giugno e luglio del 2025, le navi Madleen e Handala sono state intercettate e abbordate dalla marina israeliana, e i membri dell’equipaggio trattenuti ed in seguito espulsi da Tel Aviv.Il ministro israeliano per la Sicurezza nazionale, l’estremista religioso Itamar Ben-Gvir, ha avvertito che Israele “tratterà gli attivisti alla stregua di terroristi“. Vuol dire che saranno trattenuti in celle d’isolamento, senza accesso a privilegi speciali come tv, radio e cibo specifico. “È un altro tentativo di intimidazione”, commenta Scuderi, sottolineando che “trattare persone che vogliono portare aiuti umanitari come terroristi sarebbe un comportamento gravissimo”.Pochi giorni fa, un portavoce della Commissione europea ha negato il supporto di Bruxelles alla missione civile, affermando anzi che “azioni di questo genere rischiano di portare a un’escalation”. Ieri, di fronte al Parlamento europeo, per la prima volta dopo due anni di conflitto Ursula von der Leyen ha annunciato che proporrà una sospensione parziale dell’accordo di Associazione Ue-Israele e sanzioni contro i ministri israeliani più estremisti (tra cui Ben-Gvir) . “Un ritardo che non ha giustificazioni“, sottolinea Scuderi, e proposte “inferiori a quanto si dovrebbe fare. Proposte in ogni caso figlie di “tutta la pressione della Flotilla, della mobilitazione dal basso, e di una mozione di sfiducia nei suoi confronti” anche a causa della complicità con Israele.

  • in

    Gaza, von der Leyen si allontana da Israele (e si nasconde dietro le divisioni degli Stati membri)

    Bruxelles – Sospensione del sostegno bilaterale a Israele, sanzioni a ministri del governo di Benjamin Netanyahu e ai coloni violenti, sospensione parziale dell’accordo di Associazione che lega Bruxelles a Tel Aviv. Tre misure invocate a gran voce da milioni di cittadini europei, organizzazioni non governative e rappresentanti politici in diversi Stati membri. A metterle sul piatto, oggi (10 settembre), per la prima volta, “l’amica di lunga data del popolo israeliano”, come lei stessa si definisce: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.Bersaglio di pesanti critiche a causa dei prolungati silenzi, del mancato supporto a chi da mesi denuncia le atrocità israeliane a Gaza, degli interventi poco felici a fianco di un governo guidato da un criminale di guerra ricercato da una corte internazionale, von der Leyen ha scelto il discorso annuale sullo stato dell’Unione, di fronte all’Eurocamera, per divincolarsi. Alla vigilia del giorno in cui la stessa Aula di Strasburgo metterà per la prima volta ai voti una risoluzione per chiedere un’azione più decisa per fermare il conflitto.“Quello che sta accadendo a Gaza ha scosso la coscienza del mondo. Persone uccise mentre chiedevano cibo. Madri che stringono tra le braccia i propri figli senza vita. Queste immagini sono semplicemente catastrofiche”, ha esordito la leader Ue, accusando Israele di “un cambiamento sistematico inaccettabile”. Il “soffocamento finanziario” dell’Autorità palestinese, i piani di insediamento per isolare Gerusalemme Est dalla Cisgiordania occupata, le azioni e le dichiarazioni di ministri “che incitano alla violenza”. È tutto alla luce del sole, e nemmeno von der Leyen può voltare più le spalle, anche se “davvero addolorata nel pronunciare queste parole”.Il calcolo politico fa la sua parte, perché von der Leyen è consapevole che “per molti cittadini l‘incapacità dell’Europa di concordare una linea comune da seguire è altrettanto dolorosa”. Il rischio è che su questo file l’Unione europea – e inevitabilmente, la sua leader – perdano definitivamente ogni credibilità agli occhi degli elettori e del mondo. Finora, la Commissione aveva proposto solamente una parziale sospensione dei finanziamenti a Israele per la ricerca, attraverso il programma Horizon. Proposta bloccata in Consiglio dell’Ue da un manipolo di Paesi membri.“Non possiamo permetterci di rimanere paralizzati”, ha proseguito von der Leyen, assicurando che da ora in avanti “la Commissione farà tutto il possibile da sola“. Può farlo nel caso del sostegno bilaterale: “Interromperemo tutti i pagamenti in questi settori, senza compromettere la nostra collaborazione con la società civile israeliana o con Yad Vashem (il museo sull’Olocauso, ndr)”, ha annunciato. Un portavoce ha poi specificato che, nell’ambito dello strumento Ue di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI), Israele avrebbe dovuto ricevere “in media 6 milioni all’anno tra il 2025 e il 2027“. Oltre alla sospensione delle dotazioni annuali rimanenti, la Commissione congelerà “circa 14 milioni di euro destinati a progetti in corso”. Progetti di cooperazione istituzionale e programmi di gemellaggio.Lo spazio di manovra dell’esecutivo si ferma qui, dopodiché la Commissione proporrà ai Paesi membri di adottare sanzioni nei confronti dei “ministri estremisti” e dei coloni violenti e di sospendere parzialmente l’accordo di associazione per quanto riguarda le questioni commerciali.“Sono consapevole che sarà difficile trovare una maggioranza” e che “qualsiasi azione sarà eccessiva per alcuni e insufficiente per altri”, ha ammesso von der Leyen, chiamando Parlamento e Consiglio ad “assumersi le proprie responsabilità“. Dopo 23 mesi di conflitto e 64 mila vittime palestinesi, von der Leyen ha iniziato a farlo oggi. E la prima reazione da Tel Aviv è già arrivata: il ministro degli Esteri, Gideon Sa’ar, ha definito “deplorevoli” le parole di von der Leyen, che “fanno eco alla falsa propaganda di Hamas e dei suoi alleati”.

  • in

    Tusk: La Polonia non è in guerra, ma i droni russi sul nostro territorio superano il limite delle normali provocazioni

    Bruxelles – Il sorvolo dei droni russi nei cieli della Polonia la scorsa notte “è una violazione senza precedenti dello spazio aereo polacco e al rischio che ne deriva, ovvero il rischio di un conflitto aperto”. Il premier polacco Donald Tusk ha riferito oggi al Parlamento (Sejm) su quanto accaduto nella notte, insistendo più volte sull’unità della risposta delle diverse istituzioni del Paese, nel quale il presidente della Repubblica, il nazionalista euroscettico Karol Nawrocki, è espressione dell’opposizione parlamentare, con la quale il dialogo è di norma quasi inesistente.Tusk ha spiegato che “ieri, alle 22:06, l’esercito ha ricevuto le prime informazioni sull’inizio di un massiccio attacco aereo da parte della Federazione Russa contro l’Ucraina. Non ci sarebbe nulla di insolito in questo – ha aggiunto -, se non fosse per la portata dell’attacco e il numero di droni e missili coinvolti”. Nella zona sono stati inviati: due aerei F-35, due F-16 e elicotteri MI-24, MI-17 e Black Hawk. Verso le 23:30 è stata registrata la prima violazione dello spazio aereo del Paese. L’ultima è avvenuta intorno alle 6:30, “il che – ha detto il primo ministro – dà un’idea della portata di questa operazione. Sono state registrate e localizzate con precisione diciannove incursioni specifiche nel nostro spazio aereo”, ma i dati non sono ancora definitivi.La novità “nel senso peggiore del termine, è la direzione da cui provenivano i droni che hanno violato lo spazio aereo polacco. Per la prima volta durante questa guerra, non provenivano dall’Ucraina a causa di errori, ma una parte significativa di questi droni è volata in Polonia direttamente dalla Bielorussia”, ha denunciato Tusk. I droni abbattuti sono stati almeno tre, e non ci sono informazioni che qualcuno sia rimasto ferito o ucciso a seguito dell’azione russa “secondo quanto risulta al momento”.Tusk ha dunque spiegato che “l’abbattimento di quei droni che minacciavano direttamente la nostra sicurezza è ovviamente un successo delle nostre forze armate e di quelle della NATO, ma cambia la situazione politica. Pertanto ha annunciato il premier sono state avviate consultazioni con gli alleati che “hanno assunto la forma di una richiesta formale di invocare l’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico”. Un salto di qualità, in una situazione che “ci avvicina tutti a un conflitto aperto, più vicino che mai dalla Seconda guerra mondiale”.L’articolo 4 recita: “Le Parti si consulteranno ogni volta che, a giudizio di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle Parti sarà minacciata”.Il premier ha poi ringraziato i partner per la solidarietà espressa dopo la notte di attacchi, però “le parole di solidarietà sono necessarie, ma non bastano. Oggi bisogna dirlo a voce alta e chiara a tutto il mondo occidentale, a tutti i nostri alleati. L’articolo 4 è solo l’introduzione a una cooperazione più profonda per la sicurezza del nostro cielo e del nostro confine, che è il confine della NATO. E dalle consultazioni politiche tra le capitali ci aspettiamo un sostegno decisamente maggiore”.Pr quanto riguarda la Polonia, politicamente profondamente divisa, Tusk ha sottolineato che “uno degli obiettivi politici (della Russia, ndr) è quello di influenzare la situazione interna del Paese attaccato o provocato. Il fatto che oggi – e spero anche in futuro – siamo in grado di presentare una posizione politica assolutamente uniforme su queste questioni è la nostra grande risorsa e riduce al minimo i rischi legati alle attività sovversive e alla disinformazione”.Comunque il premier ha voluto tranquillizzare i suoi concittadini: “Voglio sottolineare con forza che oggi non c’è motivo di affermare che siamo in stato di guerra. Ma non c’è dubbio che questa provocazione superi i limiti precedenti e sia incomparabilmente più pericolosa dal punto di vista della Polonia rispetto a tutte le altre, tutte quelle precedenti”.Però, sottolinea Tusk, “abbiamo già qualcosa che supera il limite delle normali provocazioni qui, nel nostro cielo. E forse oggi dobbiamo dire ancora una volta molto forte e chiaro: la Polonia oggi ha un nemico politico che non nasconde le sue intenzioni ostili oltre il nostro confine orientale. Dobbiamo concentrare i nostri sforzi, tutta la nostra attenzione, tutte le nostre capacità sulla difesa della Polonia dal vero nemico, dalla vera minaccia”.Il compito che si assegna Tusk è ora “la mobilitazione totale di tutto l’Occidente, affinché la Polonia non si ritrovi mai più in una situazione in cui ci sembrava di avere alleanze reali e poi si è scoperto che erano alleanze di carta”. Questa, ha insistito, “è una responsabilità comune di tutta la NATO, di tutti gli alleati, dell’intera Unione Europea”.Comunque “la Polonia sarà con l’Ucraina, la Polonia sosterrà l’Ucraina, perché oggi è l’Ucraina a sopportare il peso principale della resistenza alla politica aggressiva della Russia. Ricordiamolo. È importante per noi, è molto importante per la nostra sicurezza”.

  • in

    La risoluzione su Gaza divide l’Aula di Strasburgo. È scontro sul termine genocidio

    Bruxelles – Che redigere un testo comune sulla tragedia umanitaria in atto a Gaza fosse un compito difficile, lo dimostra il fatto che – a quasi due anni dal 7 ottobre 2023 – il Parlamento europeo si è sempre finora sottratto dall’incombenza. I gruppi politici metteranno per la prima volta ai voti una risoluzione giovedì 11 settembre, e le negoziazioni sono serrate. Il rischio di incagliarsi su punti di vista inconciliabili è altissimo, a partire dalla questione ‘genocidio sì’ o ‘genocidio no’.A insistere per riconoscere l’intento genocidario dell’azione militare israeliana è la famiglia socialista. A costo di fratture con la destra moderata. L’eurodeputata del Partito Democratico, Lucia Annunziata, l’ha affermato chiaramente in Aula: “Se per uscire dall’impasse in cui siamo oggi dobbiamo dividerci sul genocidio, dividiamoci pure”. Che gli oltre 64 mila morti palestinesi, il blocco agli aiuti umanitari, le evacuazioni forzate e le occupazioni coatte costituiscano un genocidio, ne è sicura anche la capogruppo S&d, Iratxe Garcia Perez, che tuttavia mantiene una certa cautela: “Quello che sta succedendo è un genocidio. Se ci sono problemi con il modo in cui lo chiamiamo, negozieremo. Sono disposta a negoziare”, ha aperto in mattinata la socialista spagnola.Chi non sembra disposto a scendere a compromessi, sono i 46 del gruppo della Sinistra europea: “Quello che vogliamo è una condanna chiara al genocidio, sostegno alla Corte penale internazionale” e “sanzioni a Netanyahu”, ha elencato il copresidente Martin Schirdewan. Nel testo depositato dal gruppo compaiono anche una dura critica ai leader delle istituzioni europee, colpevoli di “silenzi prolungati e mancanza di chiare condanne” dei crimini commessi da Israele, la richiesta di un embargo totale sulle armi a Tel Aviv e la “cessazione immediata” dell’accordo Ue-Israele nella sua interezza.La capogruppo S&D Iratxe García Pérez e il capogruppo Ppe Manfred Weber (foto: EP)Numeri alla mano, è difficile che l’ambizioso testo proposto dalla sinistra radicale venga accolto dall’Aula. D’altra parte, le mozioni messe sul tavolo dai gruppi di destra ed estrema destra – Conservatori (Ecr) e Patrioti (PfE) – non contengono nessun elemento capace di aumentare la pressione sul governo di Netanyahu. Anzi, Ecr chiede che il Parlamento “respinga le accuse infondate secondo cui Israele starebbe commettendo un genocidio a Gaza”, ed entrambi incoraggiano una “continua cooperazione” con Tel Aviv nell’ambito dell’Accordo di associazione.Verosimilmente, il compromesso sarà raggiunto al centro, tra Popolari e Socialisti, con l’appoggio dei liberali di Renew e del gruppo dei Verdi. Sulla questione genocidio, la linea ufficiale dei primi è che “non spetta al Parlamento europeo decidere“, ma alle “procedure in corso presso organismi internazionali”, mentre il negoziatore dei Verdi per la risoluzione, Villy Søvndal, ha preferito parlare di “spargimento di sangue”, senza ricorrere al termine genocidio. Per il resto, i paletti fissati da liberali ed ecologisti ricalcano quelli indicati da S&d: sanzioni ai ministri estremisti israeliani, la sospensione del pilastro commerciale dell’accordo di associazione Ue-Israele e lo stop alla vendita e al trasferimento di armi verso Tel Aviv. Oltre che un cessate il fuoco immediato e l’ingresso di aiuti umanitari in larga scala nella Striscia di Gaza.Nessuno di questi punti è però presente nel testo redatto dal Ppe. Il suo leader, Manfred Weber, ha affermato questa mattina che “non aiuta avere un dibattito sulla formulazione, sulla parola genocidio o no”, ma che “quello che conta è trovare unità, trovare un approccio comune”. Per i popolari, il Parlamento europeo deve limitarsi a lanciare un appello per “un cessate il fuoco immediato, per il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas e per un flusso senza ostacoli di generi alimentari e aiuti umanitari per la popolazione di Gaza”, ha spiegato il relatore Michael Gahler. Aggiungendo che “non deve esserci alcuna evacuazione forzata dei civili che vivono nella città di Gaza”.L’esercito israeliano ha però già ordinato l’evacuazione immediata di Gaza City. E per quanto riguarda le altre richieste, i capi di Stato e di governo dell’Ue e l’Alta rappresentante le ripetono come un disco rotto da mesi, senza che abbiano sortito alcun effetto. Il rischio è, come paventato dalla leader socialista Perez, il Ppe metta gli altri gruppi di fronte a una “risoluzione vuota”, che “dice la stessa cosa che abbiamo sentito negli ultimi mesi, ovvero niente”. In definitiva, che l’Eurocamera si scopra effettivamente incapace di fare la propria parte per mettere fine alla sofferenza di oltre un milione di civili palestinesi. Genocidio o no.

  • in

    Ucraina, per Commissione e Parlamento è ora di aprire i negoziati di adesione sul ‘cluster 1’

    Bruxelles – Sostegno all’Ucraina, militare, economico e ancor più politico. Di fronte a un conflitto russo-ucraino ancora in corso e dagli scenari di difficile definizione, il Parlamento europeo chiede l’apertura dei negoziati di adesione per mettere ancora più sotto pressione l’aggressore russo e ribadire che il Paese non è zona d’influenza del Cremlino. A mettere sotto assedio il Consiglio e il consesso degli Stati membri, che sul tema devono deliberare all’unanimità, è l’Aula dell’europarlamento e la Commissione europea, unite nel chiedere un cambio di passo.“E’ tempo di aprire i negoziati sul cluster 1“, scandisce l’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Kaja Kallas. Il cluster 1 è l’insieme dei capitoli che riguardano i diritti fondamentali (giustizia, magistratura, appalti, controllo finanziario, statistiche) e da cui solitamente si inizia il processo vero e proprio di avvicinamento all’Unione europea. “L’adesione dell’Ucraina all’UE è una questione di sopravvivenza e di sicurezza di lungo periodo“, aggiunge Marta Kos, la commissaria per l’Allargamento che si rivolge all’Aula immediatamente dopo Kallas. “In questo momento un segnale di sostegno non è solo simbolico ma strategico“, insiste Kos.Il dibattito d’Aula sull’Ucraina [Strasburgo, 9 settembre 2025]L’invito ad avviare i negoziati viene sostenuto dalle principali forze politiche all’interno dell’emiciclo. Popolari (PPE), socialisti (S&D) e conservatori (ECR) si esprimono a favore dell’apertura dei primi capitoli negoziali, con Verdi e liberali (RE) che pur non esprimendosi direttamente a favore non hanno nulla da obiettare e anzi insistono sulla necessità di “sostegno” a Kiev. Alla fine a pronunciarsi contro le richieste di Commissione UE e resto dell’Aula sono i sovranisti (PfE) e i nazionalisti euro-scettici (ESN).Dalle fila de laSinistra ‘no’ anche del Movimento 5 Stelle: “Voteremo contro contro il rapporto sull’adesione dell’Ucraina in UE“, anticipa Danilo Della Valle. La relazione, ricorda per spiegare le ragioni della contrarietà dei pentastellati, “ribadisce la richiesta di una maggiore assistenza militare e cooperazione in materia di difesa, compresa l’integrazione dell’industria degli armamenti ucraina nei quadri dell’UE e della NATO. Non prevede nessuna richiesta di cessate il fuoco o di apertura formale dei negoziati”.Il dibattito d’Aula su un tema che comunque mostra posizioni diverse registra anche nuovi, ennesimi, malumori contro l’Ungheria di Viktor Orban. Nella necessaria ricerca di un consenso unanime sul tema dell’allargamento è Budapest che punta i piedi, fin dal primo momento dal via libera per poter procedere ai negoziati con Kiev. Una linea non più accettabile per Pekka Toveri e il suo PPE: “L’Ungheria lavora con la Russia per sabotare il processo di adesione dell’Ucraina“, denuncia. Contrattacca Kinga Gal (PfE), ungherese di Fidesz, partito di governo di Orban: “L’Ucraina è lontana dall’essere pronta. L’adesione è un errore politico“.Metsola: “Per l’Ucraina adesione all’UE e pace, ma non ad ogni costo”Nell’emiciclo tutt’altro che gremito di Strasburgo i toni del dibattito si surriscaldano quando dai banchi dei liberali Petras Austrevivius propone di “estendere il sistema di difesa, ampliare l’esercito comune”, realizzare “cielo sicuro in Ucraina” e lo “schieramento di soldati in Ucraina“. Richieste che trovano la sponda di Sandra Kalniete (PPE): “Continuiamo ad armare l’Ucraina, e integriamola nell’industria della difesa” europea, propone. Parole che producono la levata di scudi dell’ultra-destra: “L’unico motivo di sicurezza per l’Europa è un ritorno dell’Ucraina alla neutralità”, sostiene Hans Neuhoff (ESN). Mentre Kinga Gal avverte: “Così si avvicina la guerra” all’Unione europea.Thijs Reuten, a nome dei socialisti, chiede all’Unione europea tutta un cambio di passo vero. Questo implica accesso di Kiev nel club a dodici stelle, certo, perché “il nostro sostegno alla sua adesione è incrollabile”. Ma “è tempo che l’Europa non si limiti a sostenere, ma assuma un ruolo guida”. Perché fin qui, lamenta, “il ciclo è sempre lo stesso: gli Stati Uniti accennano alla pressione, Putin finge i negoziati, l’Europa esita, e quindi Putin intensifica la sua azione”.

  • in

    Norvegia: laburisti confermati al governo, la destra non sfonda

    Bruxelles – I laburisti vincono ma la destra avanza più del previsto. Il centrosinistra del premier uscente Jonas Gahr Støre ha ottenuto nelle elezioni legislative di ieri in Norvegia un numero sufficiente di seggi per continuare a governare. Sull’altra sponda il partito populista di destra di Silvy Listhaug ha superato le previsioni, ottenendo il 24 per cento delle preferenze, miglior risultato di sempre. La destra non è riuscita a sfondare perché i conservatori di Erna Solberg hanno ridotto i consensi.I più votati restano i laburisti, con il 28 per cento, leggero incremento rispetto alle precedenti votazioni. La coalizione di governo che si delinea sarà composta da 53 parlamentari laburisti, 10 del partito di centro, 18 provenienti da due partiti di sinistra e 8 ai Verdi. Proprio i Verdi potrebbero rappresentare la spina nel fianco del primo ministro. La loro opposizione alle attività di estrazione petrolifera è in contrasto con la volontà del primo ministro.La Norvegia, dopo l’invasione russa in Ucraina, ha aumentato la quantità di energia esportata verso i Paesi dell’Unione. La sua economia rimane a forte trazione petrolifera: settore che ha reso il Paese uno più ricchi del mondo. Il governo di Jonas Gahr Støre per garantisti stabilità darà un ruolo rilevante all’ex segretario Nato Jens Stoltenberg, nei mesi precedenti ministro dell’economia. Nonostante il successo i laburisti dovranno però fare i conti con alleati più deboli: i centristi sono stati dimezzati dal voto mentre l’opposizione a destra è più forte. Il Partito del Progresso di Silvy Listhaug ha ottenuto un forte consenso tra i giovani, dimostrazione del fatto che conterà anche in futuro.

  • in

    Elezioni in Norvegia: i laburisti alle urne contro la “Meloni norvegese”

    Bruxelles – La Norvegia in bilico tra la sua storica socialdemocrazia e la destra. Il Paese nordico oggi si è recato alle urne, per le elezioni parlamentari. I candidati forti sono il laburista e Premier uscente Jonas Gahr Støre contro la paladina di destra Sylvi Listhaug. Entrambi hanno un curriculum di peso: Støre è Primo Ministro dal 2021, mentre Listhaug è stata ministra della Giustizia nel 2018. La “Meloni norvegese”, come l’ha definita Le Figaro, ha riportato sulla ribalta il Partito del Progresso, ora secondo raggruppamento nazionale.La sfida è serrata. I sondaggi danno i Labour intorno al 27 per cento, mentre l’estrema destra di Listhaug al 21 per cento. Le possibili coalizioni avvicinano però i due contendenti: Listhaug dovrebbe poter beneficiare dei voti dei conservatori dell’ex premier Erna Solberg, arrivando così intorno agli 81 seggi, poco sotto la soglia degli 85 necessari alla maggioranza.Støre resta il favorito, visto l’aiuto in extremis ricevuto da Jens Stoltenberg, ex Segretario generale della NATO e Ministro dell’Economia uscente. Per la stampa è stato lo “Stoltenback” a riportare entusiasmo nel centrosinistra dopo un inizio di 2025 negativo. Nonostante i favori del pronostico, il rischio per i laburisti è quello di dover creare una coalizione molto ampia, includendo, oltre ai già presenti Partito di Centro agrario e Sinistra socialista, anche il Partito Rosso di estrema sinistra e i Verdi, fino ad oggi estromessi dall’esecutivo.Per i 5 milioni di abitanti della Norvegia, le elezioni arrivano in un momento caratterizzato dall’inflazione. Uno dei motivi è l’aumento del prezzo del gas. L’incremento è dovuto in parte al fatto che la Norvegia è membro dello Spazio Economico Europeo (SEE). Dal 2022, Oslo è stata obbligata ad aumentare i prezzi dell’elettricità per rispettare le regole comunitarie in materia di mercato dell’energia. Un paradosso per un Paese che non ha nessun problema di approvvigionamento energetico. I norvegesi si sono sentiti beffati e obbligati a pagare un aumento in bolletta mentre l’azienda energetica statale Statkraft ha raddoppiato i ricavi.Proprio per questo motivo, in questo momento, gli abitanti della Norvegia non guardano con favore un adesione all’Unione Europea. I leader di partito hanno infatti lasciato il tema sullo sfondo durante la campagna elettorale, consapevoli del fatto che secondo alcune ricerche, più della metà (55 per cento) si oppone a un ingresso nell’UE.L’eventuale successo del Partito del Progresso metterebbe ancora più nel cassetto l’argomento, vista la manifesta contrarietà di Listhaug. La leader ha paventato l’idea di poter rinegoziare le regole di partecipazione allo Spazio Economico Europeo (SEE), che garantiscono la libera circolazione delle merci tra Norvegia e UE. L’ipotesi suggerita dalla “Meloni norvegese” probabilmente resterà solo nei manifesti elettorali. Oslo esporta verso gli Stati membri circa il 66 per cento dei suoi beni e non può permettersi una riduzione. L’ex premier è stato, invece, più dialogante: “L’Europa ha bisogno della Norvegia e la Norvegia ha bisogno dell’Europa”, anche se questo non significa entrare a farne parte.I primi risultati elettorali saranno disponibili dopo la chiusura delle urne, alle 21:00. L’ex premier laburista sembra indirizzato verso la riconferma, ma in Norvegia, come nel resto d’Europa, l’ultradestra aumenterà senza dubbio i suoi consensi.

  • in

    L’opposizione iraniana a Bruxelles: “Basta concessioni, sostenete la popolazione”

    Bruxelles – ‘Stop alle esecuzioni in Iran!’, ‘attivate il meccanismo di sanzioni ora!’. Sono decine di migliaia (la polizia belga parla di 10mila persone in tutto), arrivano da tutta Europa, per gridare e manifestare l’indignazione per un regime, quello al potere in Iran, lasciato ancora troppo libero di agire. L’opposizione iraniana in esilio chiede all’Unione europea un cambio di passo: la fine dell’appeasement – vale a dire dialogo e concessioni in cambio di nessuno scontro – per una politica di sostegno della popolazione, così da rovesciare il potere dall’interno. “La società iraniana è in uno stato di instabilità e l’unica soluzione è la Terza Opzione, né pacificazione né guerra, ma un cambio di regime da parte del popolo e della sua resistenza organizzata”, scandisce Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI), che esorta l’UE a “designare le Guardie Rivoluzionarie (IRGC) come organizzazione terroristica”. Ancora: “Non tardate oltre a far rispettare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro i progetti nucleari del regime”, l’altro suggerimento alla politica a dodici stelle. Perché, spiega, “concedere più tempo a questo regime porterà ancora una volta alla guerra, e questo non deve mai essere permesso”.Iran, l’opposizione al regime degli Ayatollah sfila a Bruxelles: “L’Ue riconosca le Guardie della rivoluzione come terroristi”Il discorso viene pronunciato sotto l’Atomium, la grande struttura realizzata per l’esposizione universale del 1958 e tra i luoghi simbolo di Bruxelles. E’ qui che si sono ritrovati gli iraniani esuli proveniente da Germania, Francia, Italia, e tutta Europa. Ed è da qui che poi le persone hanno sfilato verso il centro città.  “Questa immensa presenza di iraniani provenienti da fuori l’Iran dimostra che esiste effettivamente un’alternativa democratica al regime crudele e criminale dei mullah”, il commento di Guy Verhofstadt, ex primo ministro belga e parlamentare europeo di lungo corso, presente al raduno. Verhofstadt chiede all’UE di agire nei confronti dell’Iran come fatto con la Russia: non solo sanzioni individuale ma pure “sui suoi rami vitali finanziari, come le banche e il settore petrolifero“.Il consiglio nazionale della resistenza iraniana viene visto come “alternativa” possibile e credibile all’attuale regime al potere in Iran. Non a caso Verhofstad chiede un “dialogo strutturato” con il CNRI. Il piano in dieci punti che vuole fare del Paese una repubblica allineata ai valori occidentali (parità di genere vera, con libertà di abbigliamento e uguale carriera, rispetto dei diritti umani con tanto di sottoscrizione della dichiarazione universale, separazione tra Stato e religione) rappresenta le garanzie per un Iran a prova di futuro. Gli iraniani arrivano a Bruxelles per dire all’UE e ai suoi Stati che esiste un altro Iran, ma che serve il contributo europeo.