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    Zelensky attacca gli alleati: “Umiliante l’aiuto su artiglieria, Ue può dare di più”

    Bruxelles – L’Unione europea fa poco. Il presidente dell’Ucraina, Volodymir Zelensky, ringrazia i capi di Stato e di governo dell’Ue per il sostegno, prezioso, ma considerato ipocrita. Di più: “Umiliante”. Perché non aiuta fino in fondo, e anzi le ‘briciole’ che l’Ue mette a disposizione per la risposta militare di Kiev all’aggressore russo aiutano il Cremlino. Irrompe nel vertice del Consiglio europeo, Zelensky, per un affondo che è un richiamo alla responsabilità. I ritardi nella consegna delle munizioni non vanno giù al leader ucraino.“Le munizioni sono una questione vitale” per rispondere all’avanzata russa, ricorda Zelensky. “Purtroppo, l’uso dell’artiglieria in prima linea da parte dei nostri soldati è umiliante per l’Europa, nel senso che l’Europa può dare di più. Ed è fondamentale dimostrarlo adesso”. Il presidente ucraino non nasconde il suo malumore per un’Europa vicina molto a parole, ma troppo poco nella pratica. L’Ue aveva promesso un milione di pezzi di artiglieria entro fino 2023, per poi ammettere di non essere in grado di tenere fede agli impegni assunti e auspicabilmente consegnare poco più della metà di quanto promesso entro fine marzo di quest’anno. L’Ucraina ha ragione da vendere, e l’irritazione di Zelensky lo stesso leader ucraino la manifesta apertamente, avvertendo i Ventisette: “Questa è la guerra della Russia non solo contro l’Ucraina, ma contro tutti noi, anche contro i vostri paesi, contro tutta la nostra Europa e lo stile di vita europeo”.Il presidente ucraino chiede uno slancio, un cambio di passo, una maggiore determinazione, un impegno vero. Non critica l’apporto avuto fin qui, comunque prezioso, consapevole che l’Ue ha scelto la via migliore per un coinvolgimento diretto nel conflitto che vorrebbe dire guerra mondiale o quasi. Critica l’entità del sostegno, insufficiente per Kiev per vincere il conflitto. Lo dice con forza quando parla della contraerea.“I sistemi di difesa aerea esistenti non sono sufficienti a proteggere l’intero nostro territorio dal terrorismo russo“, avverte Zelensky. Quello che ne deriva non è che la diretta conseguenza di un’Ucraina impreparata e debole: fornire mezzi, strumentazioni e armi necessari per fermare la guerra dell’aria che la Russia conduce assieme a quella di terra. “Sapete tutti quali sono i passi da compiere”, scandisce Zelensky, in un’implicita ma chiara richiesta di aiuto, che è anche la pretesa di tenere fede a impegni assunti dall’Ue anche in questo ambito. “Dobbiamo fornire una protezione affidabile ai cieli sopra la linea del fronte”, che l’Ucraina da sola non può garantire. “Dobbiamo far sì che Putin perda la battaglia per il cielo ucraino” perché, assicura, “se lo farà, perderà anche la terra“. Il leader ucraino è consapevole che l’Europa non ha investito nell’industria bellica perché in tempi di pace, e dunque oggi in difficoltà a far ripartire un comparto divenuto strategico e necessario, e chiede di accelerare. “Per favore, non perdete il tempo necessario per attivare la produzione della difesa“. Un invito ai Ventisette a non rinviare le decisioni che servono per finanziare la produzione a dodici stelle, senza affidarsi a terze parti. “Spero che possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che la nostra Europa ha bisogno di una reale autosufficienza in termini di difesa”, l’auspicio di Zelensky. “Ciò può essere raggiunto solo aumentando la produzione di armi e munizioni nel continente”. Esattamente uno dei punti sul tavolo del vertice, dove i leader sono divisi.Italia, Spagna, Lituania ed Estonia vedono di buon occhio l’idea di creare eurobond per la difesa, ipotesi su cui frenano invece Germania, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia. Un modo di presentarsi al cospetto del partner ucraino che non aiuta a fugare i dubbi sull’efficacia degli alleati europei e il loro “umiliante” sostegno.

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    Interferenze russe sulla vita dei cittadini Ue: il Consiglio Europeo si prepara alla difesa dalle minacce. “Ma non c’è rischio di guerra”

    Bruxelles – La guerra russa in Ucraina non ha i successi sperati, e sempre più da Mosca partono minacce, ed azioni reali, contro la vita quotidiana dei cittadini europei. E’ un ripiego, un modo per creare il massimo disturbo possibile ai Paesi che stanno sostenendo Kiev contro l’invasione. Non si tratta di minacce strettamente militari, ma gli effetti di attacchi informatici o il lancio di una forte campagna di disinformazione possono essere dirompenti nella vita quotidiana degli europei. Non c’è insomma la necessità di prepararsi a una guerra, che non è alle viste per l’Unione, assicura l’alto rappresentante per la Politica estera Josep Borrell.Al punto 18 della bozza di Conclusioni del Consiglio europeo che si svolgerà oggi e domani a Bruxelles è scritto che si “sottolinea la necessità imperativa di una preparazione militare e civile rafforzata e coordinata e di una gestione strategica delle crisi nel contesto dell’evoluzione del panorama delle minacce”.  Dunque il capi di Stato e di governo invitano i ministri competenti “a portare avanti i lavori e la Commissione, insieme all’Alto Rappresentante, a proporre azioni per rafforzare la preparazione e la risposta alle crisi a livello dell’Ue in un approccio a tutti i rischi e a tutta la società. che tenga conto delle responsabilità e delle competenze degli Stati membri, in vista di una futura strategia di preparazione”.Il fraseggio è complesso, può essere interpretato con significati anche che esulano dalla volontà del Consiglio europeo. In sostanza, ci spiega un esperto di questi dossier, i capi di Stato e di governo “considerano interferenze ibride tipo attacchi cyber e disinformazione”.  Quando si scrive “Whole of society” (le parole del testo originale delle bozze, in inglese) cioè “tutta la società” si intende, ad esempio “un attacco al sistema sanitario può portare alla morte di pazienti che dipendono da macchinari. Un attacco alla filiera alimentare – continua l’esperto – può causare proteste e caos sociale”. Inoltre sono possibili attacchi cibernetici “a sistemi bancari, amministrativi e servizi pubblici e privati”.Non bisogna poi dimenticare che mancano meno di tre mesi alle elezioni europee e dunque “c’è un forte rischio di una campagna di disinformazione mirata ad inquinare il voto”, conclude l’esperto.Borrell risponde, entrando al Consiglio europeo, a tutti quelli che hanno parlato di minaccia di guerra nell’Unione europea, cercando di abbassare i toni. Nella bozza di dichiarazione, spiega Borrell c’è “l’invito agli europei a essere consapevoli delle sfide che stanno affrontando”, il che  “è positivo”, ma, sottolinea lo spagnolo, “non dobbiamo nemmeno esagerare. La guerra non è imminente. Ho sentito alcune voci che dicevano che la guerra è imminente. Ebbene, grazie a Dio non lo è”.Borrell sostiene che “viviamo in pace, sosteniamo l’Ucraina, non siamo parte di questa guerra e dobbiamo prepararci per il futuro, aumentando la nostra capacità di difesa, ma non spaventate inutilmente le persone, la guerra non è imminente. Ciò che è imminente è la necessità che gli ucraini siano sostenuti”Ecco il testo in inglese del paragrafo 18 delle bozze:“In addition, the European Council underlines the imperative need for enhanced and coordinated military and civilian preparedness and strategic crisis management in the context of the evolving threat landscape. It invites the Council to take work forward and the Commission together with the High Representative to propose actions to strengthen preparedness and crisis response at EU level in an all-hazards and whole-of-society approach, taking into account Member States’ responsibilities and competences, with a view to a future preparedness strategy”.

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    L’Ue ha proposto di utilizzare i profitti dei beni russi congelati per armare l’Ucraina

    Bruxelles – Circa tre miliardi all’anno, a partire dal 2024. A tanto ammontano i profitti generati dagli asset russi congelati sul territorio Ue. Oggi l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha messo sul tavolo del Consiglio dell’Ue la proposta di utilizzarli per finanziare l’Ucraina. Non più la sua ricostruzione, come a Bruxelles si ipotizzava da mesi: il 90 per cento di queste risorse sarà destinato al sostegno militare alla resistenza di Kiev.“Non esiste simbolo o utilizzo migliore per quei soldi che rendere l’Ucraina e tutta l’Europa un posto più sicuro in cui vivere. Sono orgogliosa di presentare oggi questa proposta”, ha esultato in un post su X la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Una proposta che, se adottata rapidamente dal Consiglio, potrebbe garantire risorse aggiuntive all’Ucraina già “prima dell’estate”, prevede un alto funzionario Ue.Da febbraio 2022, nei Paesi Ue sono immobilizzati asset e riserve della Banca centrale russa per un valore di circa 210 miliardi di euro. Che, a seconda dei tassi di interesse, frutteranno i circa 3 miliardi di profitti all’anno che l’Ue ha individuato per dare vigore a un sostegno militare a Kiev che fatica a soddisfare le necessità del campo di battaglia. In sostanza la proposta di Borrell prevede di destinare il 90 per cento di queste entrate alla fornitura di attrezzature militari attraverso al Fondo europeo per la Pace – in aggiunta ai 5 miliardi per il solo 2024 concordati il 14 marzo -, mentre il restante 10 per cento andrà a rimpinguare la fetta di budget Ue dedicato alla ricostruzione dell’Ucraina. E per sostenere e incrementare le capacità dell’industria della difesa di Kiev.

    L’Alto rappresentante Ue Josep Borrell in conferenza stampa a margine del Consiglio di associazione Ue-Ucraina, 20/3/24 (Photo by JOHN THYS / AFP)Questa ripartizione varrebbe per il 2024, mentre negli anni successivi – nel momento in cui cambiassero le priorità – il regolamento garantirà una certa flessibilità e potrà essere “rivisto e modificato dal Consiglio dell’Ue”, chiariscono fonti Ue. La prima revisione sarebbe già prevista il 1 gennaio 2025. Le stesse fonti ammettono che “non ci sono tempistiche certe” per l’adozione della proposta, perché ora la palla passa ai Paesi membri. Ma filtra ottimismo per un rapido avanzamento dei lavori. “Auspico una rapida adozione da parte del Consiglio”, ha dichiarato Borrell in mattinata, durante il Consiglio di Associazione Ue-Ucraina in corso nella capitale europea.È arrivata immediatamente la risposta di Mosca, con il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha definito la mossa di Bruxelles “un’altra dichiarazione in linea con il movimento verso la distruzione dei fondamenti giuridici del diritto europeo e del diritto internazionale“. L’Ue – che sulla fattibilità giuridica della proposta ragiona da diverso tempo – ha precisato che i profitti in questione non sono di priorità della Russia, ma delle società di clearing (i depositari centrali di titoli) che detengono riserve e attività della Banca centrale russa.Il file finirà in mano ai capi di stato e di governo dei 27 già domani, 20 marzo, in occasione del Consiglio europeo. Saranno i leader in prima persona a cercare di raggiungere una prima intesa politica sulla proposta di Borrell. Una “discussione difficile – ha già preventivato un alto funzionario Ue -, vediamo se riusciremo a trarre delle conclusioni in merito”.

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    L’Ue studia come difendersi dalla Russia e chiede all’ex presidente finlandese di redigere un rapporto

    Bruxelles – Chi meglio della Finlandia, che con la Russia condivide 1.340 km di confine, per spiegare a Bruxelles dove intervenire per migliorare la difesa dell’Europa. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha incaricato l’ex presidente finlandese, Sauli Niinistö, di redigere un rapporto sulla preparazione, la prontezza e gli strumenti della difesa Ue.Niinistö, presidente a Helsinki dal 2012 e fino al 1 marzo 2024, è anche presidente onorario del Partito Popolare Europeo, la stessa famiglia politica della leader Ue. “Il modello finlandese è una storia di esperienze attraverso i secoli come vicino della Russia”, ha riconosciuto Niinistö. Una storia che è passata dall’indipendenza dall’Unione sovietica dichiarata nel 1917 alla Guerra d’inverno nel 1939 contro l’aggressione dell’Armata Rossa. Fino all’adesione alla Nato nell’aprile 2023 e le conseguenti minacce di Vladimir Putin di inviare truppe e “sistemi di distruzione” al confine con il Paese.Una storia che fa sì che “ogni finlandese difende il proprio Paese”. Per assicurare la pace “bisogna essere forti. Chi è forte non viene sfidato, non viene attaccato. Ecco perché l’Europa deve essere forte, più forte di quanto sia ora“, ha spronato l’Ue l’ex presidente finlandese nel punto stampa con von der Leyen a Bruxelles. Le ha fatto eco la leader Ue: “La guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina ha spento l’illusione che la pace sia permanente” e che “l’Europa, da sola, stesse facendo abbastanza in materia di sicurezza, sia essa economica o militare, convenzionale o informatica”. Ma la guerra ai confini dell’Ue ha fatto ripiombare il mondo nell’insicurezza, “pericoloso come lo è stato per generazioni”.Von der Leyen ha evidenziato le ragioni della sua scelta: il popolo finlandese “ha imparato a vivere in prossimità di un vicino così imprevedibile e aggressivo. E questo ha plasmato profondamente la vostra società”. Non solamente dal punto di vista militare: in Finlandia la difesa “è infatti una questione che riguarda l’intera società”, con una strategia di difesa civile completa, in modo che i cittadini “possano essere preparati a tutte le emergenze, comprese quelle militari, le minacce ibride e i disastri naturali“.Il rapporto, che sarà sviluppato in stretta collaborazione con l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, e con gli Stati membri, prenderà le mosse proprio da questa “mentalità specifica” di un popolo in cui “ogni parte della società è in grado di contribuire a salvaguardare le funzioni vitali in tempi di crisi, garantire l’approvvigionamento di base per la popolazione e sostenere le forze di difesa nei loro compiti”.

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    La Commissione Ue ha effettuato il primo pagamento di 4,5 miliardi con lo Strumento per l’Ucraina

    Bruxelles – Lo Strumento per l’Ucraina entra ufficialmente in funzione con il primo pagamento da Bruxelles a Kiev, a poco più di un mese dall’intesa tra le istituzioni dell’Unione Europea per la messa a terra di un supporto macro-finanziario stabile e prevedibile fino al 2027. “Abbiamo appena pagato all’Ucraina la prima tranche di 4,5 miliardi di euro in forma di finanziamento ponte, è cruciale per mantenere il funzionamento dello Stato in un momento così difficile”, è quanto annunciato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in un punto con la stampa di Bruxelles oggi (20 marzo) al fianco del primo ministro ucraino, Denys Shmyhal.

    L’esborso della prima tranche di finanziamenti dallo Strumento per l’Ucrina – che in quattro anni mobiliterà 50 miliardi di euro a sostegno di salari pubblici, pensioni e servizi pubblici di base del Paese in guerra – si iscrive nel contesto della presentazione del Piano per l’Ucraina, uno dei tre pilastri del nuovo strumento finanziario dell’Unione. “L’impegno del governo ucraino nel definire il Piano è impressionante, perché sono passati solo 19 giorni da quando è entrato in vigore lo Strumento”, ha ricordato la presidente von der Leyen, parlando del programma che “definisce come l’Ucraina tornerà a una rapida crescita e inizierà a riprendersi dalle perdite che ha comportato la guerra”. Al momento la Commissione ha potuto fornire un sostegno eccezionale – un finanziamento ponte – fino al semaforo verde per l’adozione del Piano per l’Ucraina, subordinato al soddisfacimento di condizioni politiche e di obblighi di rendicontazione: “Se arriverà una valutazione positiva, ad aprile erogheremo una seconda tranche di 1,5 miliardi di euro“, ha anticipato von der Leyen.Nel frattempo i servizi del Berlaymont dovranno iniziare a valutare “attentamente” il Piano che garantirà il flusso regolare di finanziamenti fino al 2027. Si dovrebbe trattare di un programma che presenta “lo stesso approccio sviluppato nell’Ue” e che “combina riforme e investimenti per spingere la crescita e l’avvicinamento all’Unione”, ha rimarcato von der Leyen. L’esecutivo Ue dovrà valutare anche se le misure proposte dall’Ucraina possono garantire “un livello adeguato” di protezione degli interessi finanziari dell’Unione, dopodiché arriverà una raccomandazione al Consiglio per attuare il Piano (entro un mese) con gli indicatori delle riforme e degli investimenti necessari per l’erogazione del sostegno finanziario. Alla conclusione di questo iter Kiev potrà beneficiare immediatamente di un prefinanziamento da 1,9 miliardi di euro, a cui seguiranno pagamenti trimestrali regolari: “È il più grande programma di supporto per l’Ucraina, tre volte maggiore del sostegno del Fondo Monetario Internazionale, e sarà un punto di riferimento per altri donatori”, ha sottolineato von der Leyen.A precisare come si svilupperà l’azione di Kiev secondo il Piano presentato oggi al Berlaymont è stato lo stesso premier Shmyhal: “Il Piano copre circa 70 aree attraverso riforme strutturali nel settore pubblico ed economiche per sviluppare il clima imprenditoriale nell’energia, nella logistica, nell’agricoltura, nelle materie prime critiche e nelle tecnologie dell’informazione”. Inoltre, degli oltre 50 miliardi previsti dallo Strumento per l’Ucraina, l’intenzione del governo ucraino è quella di stanziare “38,8 milioni come supporto al budget, 7 miliardi per stimolare gli investimenti per l’economia e attrarre investimenti, e 4,7 miliardi per implementare le riforme e le capacità delle autorità pubbliche”, ha messo in chiaro il primo ministro Shmyhal.Come funziona lo Strumento per l’UcrainaPer quanto riguarda gli stanziamenti previsti da Bruxelles, 17 miliardi di euro in sovvenzioni saranno mobilitati attraverso lo Strumento per l’Ucraina concordato dai 27 leader Ue nel contesto del Quadro finanziario pluriennale rivisto, mentre 33 miliardi in prestiti saranno garantiti dalla riserva di risorse proprie, proprio come fatto per il finanziamento nell’ambito dell’Assistenza macro-finanziaria Plus (Amf+) che ha mobilitato 18 miliardi in tutto il 2023. Nell’ambito del Piano per l’Ucraina, Kiev potrà richiedere un prefinanziamento fino al 7 per cento, con “una quota significativa” dei primi due pilastri destinata agli investimenti verdi e un’altra parte del Quadro per gli investimenti riservata alle piccole e medie imprese.

    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr ZelenskyConsiderato il fatto che il Paese si trova ancora in guerra sarà concessa una certa flessibilità nella gestione del bilancio, ma il prerequisito per il sostegno attraverso il nuovo strumento finanziario è sempre quello di rispettare i meccanismi democratici: sistema parlamentare multipartitico, Stato di diritto, diritti umani e delle persone appartenenti a minoranze. Il Regolamento che istituisce lo Strumento per l’Ucraina garantisce che la Verchovna Rada (il Parlamento ucraino) e le organizzazioni della società civile siano “debitamente informati e consultati” sulla progettazione e sull’attuazione del primo pilastro sulle intenzioni di ripresa e riforme per l’adesione Ue. Sul fronte Ue, in Consiglio è previsto un dibattito annuale a partire dalle apposite relazioni della Commissione sull’attuazione dello Strumento, mentre l’Eurocamera potrà invitare l’esecutivo comunitario a discuterne almeno ogni quattro mesi. A questo riguardo il Regolamento include un quadro di valutazione per rendere più semplice il monitoraggio dei progressi delle varie fasi, compresa una panoramica degli elementi sociali, economici e ambientali del Piano per l’Ucraina.

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    Intesa Ue sulla proroga allo stop dei dazi per le importazioni ucraine. Ma con tutele per gli agricoltori europei

    Bruxelles – Un altro anno di stop ai dazi sulle importazioni alimentari dall’Ucraina, nonostante le difficoltà a più riprese iniziate prima alle frontiere orientali dell’Unione nel 2023 e poi riverberatesi in quasi tutti i Paesi membri nel corso degli ultimi mesi. Dopo un ultimo breve negoziato inter-istituzionale tra Parlamento e Consiglio dell’Ue, nelle prime ore di oggi (20 marzo) i due co-legislatori sono arrivati a un’intesa provvisoria sulla proroga delle misure di liberalizzazione commerciale per l’Ucraina fino al 5 giugno 2025, ma con due ‘freni di emergenza’ nel caso di difficoltà per gli agricoltori europei.

    La sospensione temporanea dei dazi all’importazione e delle quote sulle esportazioni agricole ucraine verso l’Ue introdotta per la prima volta nell’aprile 2022 e rinnovata nel maggio dello scorso anno – seppur con alcune misure restrittive temporanee resesi necessarie per le difficoltà e le tensioni in Bulgaria, Polonia, Romania, Slovacchia e Ungheria – è motivata con la necessità di sostenere l’Ucraina nel contesto dell’invasione russa: “Questo rinnovo riafferma l’incrollabile sostegno politico ed economico dell’Ue all’Ucraina, dopo due anni di aggressione militare ingiustificata e immotivata da parte della Russia”, è quanto rimarca il Consiglio dopo l’intesa. “Il fatto che la Russia abbia preso di mira l’Ucraina e la sua produzione alimentare ha un impatto anche sugli agricoltori dell’Ue”, ha voluto sottolineare la relatrice per il Parlamento Ue, Sandra Kalniete (Ppe).

    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr ZelenskyMentre i servizi del Berlaymont stanno ragionando anche sulla possibilità di introdurre consistenti dazi sulle importazioni di grano russo, a fine gennaio è arrivata la proposta della Commissione per la seconda proroga alle importazioni dall’Ucraina con una serie di nuove misure nel caso di “perturbazioni significative del mercato dell’Ue” – anche di un solo Paese membro – per anticipare (senza successo) le dure proteste degli agricoltori europei. Il trilogo tra i negoziatori di Parlamento e Consiglio dell’Ue si è reso necessario dopo gli emendamenti alla proposta della Commissione introdotti dagli eurodeputati alla sessione plenaria di marzo ma non sostenuti dal Consiglio. Quanto emerso è un Regolamento rinnovato che si applicherà dal 6 giugno – previa approvazione di entrambe le istituzioni Ue – con cui sarà prorogata la sospensione dei dazi sull’export ucraino verso l’Unione e che allo stesso tempo permette alla Commissione di intervenire entro 14 giorni (non più 21) per l’attivazione delle salvaguardia automatiche nel caso di perturbazioni di mercato.In primis viene rafforzato il ‘freno di emergenza’ già esistente sui prodotti agricoli “particolarmente sensibili” – ovvero pollame, uova e zucchero – che prenderà ora in considerazione “qualsiasi impatto negativo sul mercato di uno o più Stati membri” e non solo sul mercato dell’Ue nel suo complesso. In secondo luogo viene esteso l’elenco a quattro ulteriori prodotti – avena, mais, semole e miele – ed è esplicito l’impegno della Commissione a rafforzare il monitoraggio delle importazioni di grano e altri cereali. Per l’attivazione dei ‘freni di emergenza’ il periodo di riferimento sarà il 2022 e il 2023. Questo significa che se le importazioni di pollame, uova, zucchero, avena, mais, semole e miele dovessero superare i volumi medi degli ultimi due anni, la Commissione Europea sarà obbligata a reintrodurre contingenti tariffari.

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    Un fronte di 7 Paesi Ue chiede di aprire subito i negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Un quarto dei Paesi membri Ue si muove con forza a sostegno della Bosnia ed Erzegovina nel suo percorso di avvicinamento all’Unione Europea, a pochi giorni da un Consiglio Europeo che potrebbe essere l’ultima chiamata per le ambizioni di Sarajevo di accelerare il processo di adesione. Per l’occasione è tornato a muoversi il gruppo ‘Amici dei Balcani Occidentali’, composto dai sette Stati membri più aperturisti per l’integrazione immediata dei Paesi della regione balcanici: Italia, Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Grecia, Slovacchia e Slovenia. “Riteniamo che sia essenziale cogliere lo slancio e la finestra attuale di opportunità e decidere di aprire i negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina“, si legge in una lettera – ottenuta da Eunews – inviata dai rispettivi ministri degli Affari Esteri (Raffaele Fitto per l’Italia) alla presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue, agli altri 20 colleghi e al commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi.La lettera è arrivata a pochi giorni dalla raccomandazione della Commissione Europea di aprire i negoziati di adesione con Sarajevo, considerati i “passi impressionanti verso di noi” del partner balcanico (parole della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, davanti all’emiciclo di Strasburgo) e il conseguente raggiungimento dei livelli richiesti di rispetto dei criteri di adesione. “Nelle ultime settimane e negli ultimi mesi la Bosnia ed Erzegovina ha realizzato riforme più sostanziali rispetto agli anni precedenti e il lavoro su ulteriori riforme è in corso”, sottolineano i sette ministri, ricordando la decisione presa durante il Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione proprio “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Gli esempi dei progressi sono evidenti, come riporta la lettera: l’adozione di emendamenti alla legge sull’Ombudsman, sulla libertà d’informazione e sugli stranieri, l’adeguamento della legge sul Consiglio superiore della magistratura e – “più recentemente” – l’adozione della legge contro il riciclaggio di denaro e il contrasto al finanziamento del terrorismo, sul conflitto di interessi e gli emendamenti alla legge sul servizio civile, oltre al via libera ai negoziati per l’accordo sullo status con Frontex e al Programma per l’integrazione nell’Ue.Un semaforo verde al Consiglio in programma giovedì e venerdì (21-22 marzo) permetterebbe alla Bosnia ed Erzegovina di “incamminarsi saldamente sulla strada dell’Unione Europea”. In caso contrario, “si indebolirebbe il ruolo dell’Ue nei Balcani Occidentali e si invierebbe un messaggio negativo all’intera regione, alla quale abbiamo promesso che il suo futuro è all’interno dell’Ue più di 20 anni fa”, mettono in guardia gli ‘Amici dei Balcani Occidentali”. In attesa dell’ultima bozza delle conclusioni del vertice dei leader Ue, al momento il capitolo 4 su ‘Allargamento e riforme’ risulta ancora vuoto “in attesa del testo”. Ma l’avvertimento era già arrivato durante il viaggio di fine gennaio di von der Leyen a Sarajevo con i primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte. “Dopo marzo, l’anno sarà pieno di temi come le elezioni e la nuova configurazione del Parlamento e della Commissione”, aveva segnalato la numero uno dell’esecutivo dell’Unione, confermando le parole ancora più esplicite del premier croato Plenković: “Se perdiamo l’occasione a marzo, il resto dell’anno andrà perso e si finirà quasi sicuramente a gennaio 2025“.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Sanzioni ai coloni israeliani violenti, l’Ue ha trovato l’accordo politico

    Bruxelles – L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, è riuscito nell’impresa di mettere d’accordo tutti i Paesi membri sulla proposta di un primo pacchetto di sanzioni ai coloni israeliani responsabili di azioni violente contro il popolo palestinese nei territori occupati. Oggi (18 marzo) alla riunione dei ministri degli Esteri dei 27 è stato trovato “l’accordo politico” e ora si proseguirà “per una piena adozione il più presto possibile”.L’ha annunciato lo stesso Borrell, in conferenza stampa a margine dei lavori. Le misure restrittive saranno individuali e consisteranno nel divieto di ingresso sul territorio comunitario e nel congelamento dei beni detenuti in Ue. Superata così l’opposizione dell’Ungheria, che aveva impedito l’unanimità necessaria per il via libera politico all’ultimo consiglio Affari esteri lo scorso 19 febbraio. Budapest “si è astenuta”, ha dichiarato Borrell. Facendosi da parte e lasciando avanzare il dossier.

    Josep Borrell al Consiglio Ue Affari Esteri, 18/03/24“Abbiamo già preparato la lista di persone da sanzionare, ora dobbiamo solo sottoporla al Coreper (il comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue, ndr) perché sia adottata“, ha proseguito il capo della diplomazia europea. In questo modo l’Ue si adeguerebbe a misure simili già intraprese da Stati Uniti e Regno Unito e unilateralmente anche da Francia e Belgio.Per cercare di aumentare la pressione sulle autorità israeliane, la cui risposta militare agli attacchi di Hamas del 7 ottobre ha causato più di 30 mila vittime e sta provocando una gravissima crisi umanitaria nella Striscia, i ministri degli Esteri dell’Ue avrebbero inoltre proposto di invitare nuovamente l’omologo israeliano, Israel Katz, al prossimo Consiglio Ue Affari Esteri. Rispondendo a una domanda su quali azioni più efficaci potrebbe intraprendere Bruxelles alla luce dell’allarme carestia a Gaza, Borrell è parso rassegnato e ha risposto: “L’unica azione è la pressione politica e diplomatica su Israele”.