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    A un anno dall’accordo di Ohrid è scarso l’impegno di Kosovo e Serbia per l’implementazione

    Bruxelles – È passato un anno, ma i rapporti tra Kosovo e Serbia non sono migliorati. Al contrario. “È deplorevole che, nonostante gli sforzi profusi dall’Ue e dalla più ampia comunità internazionale, i progressi compiuti dal Kosovo e dalla Serbia nell’attuazione degli obblighi assunti con l’Accordo di Ohrid siano stati finora molto limitati“, è il secco commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sul primo anniversario di quello che – il 18 marzo 2023 – veniva considerato un punto di svolta assolutamente positiva per la regione balcanica e per la risoluzione delle controversie tra Pristina e Belgrado.

    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il 18 marzo 2023 (Ohrid, Macedonia del Nord)Nelle 12 ore di discussione a Ohrid, sulle sponde del lago in Macedonia del Nord, un anno fa era stato dato il via libera – ma senza firma – all’allegato di attuazione della complicatissima intesa di Bruxelles raggiunta il 27 febbraio (che aveva definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo), la vera chiave di volta di tutta l’impalcatura per stabilire “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come”. Accordo e relativo allegato di attuazione sono diventati così parte integrante dei rispettivi processi di adesione all’Ue dei due Paesi balcanici, rendendo di fatto vincolante l’implementazione di tutte le misure messe nero su bianco. “L’Ue ha ricordato più volte che l’Accordo è vincolante nella sua interezza ai sensi del diritto internazionale”, ha ricordato Borrell, ribadendo che “la mancata attuazione non solo mette a rischio l’integrazione europea delle parti, ma danneggia anche la loro reputazione di partner credibili e affidabili“.A oggi non si registrano progressi se non su quei tre elementi già menzionati nell’ultima riunione di alto livello a Bruxelles il 14 settembre dello scorso anno nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado. Ovvero la dichiarazione sulle persone scomparse, l’annuncio sul comitato di monitoraggio congiunto e la presentazione della bozza sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. È proprio questo il punto su cui è ancora incagliato il dialogo Pristina-Belgrado e su cui si continuano a registrare tensioni che, nel corso del 2023, sono sfociate in pericolosi episodi di violenza: l’Accordo di Bruxelles del 2013 mai implementato sulla comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. “È giunto il momento per il Kosovo e la Serbia di interrompere l’attuale circolo vizioso di crisi e tensioni e di entrare in una nuova era, quella europea“, ha continuato l’affondo l’alto rappresentante Ue, rilanciando il dialogo di alto livello con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti: “Ci aspettiamo che i leader diano prova di responsabilità, visione e leadership facendo progressi nell’attuazione senza ulteriori ritardi”.L’annus horribilis tra Kosovo e SerbiaA soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Cordeiro (Cor): “Allargamento una sfida, non parliamo di problemi o preoccupazioni”

    dall’inviato a Mons – L’allargamento in generale e l’eventuale futuro ingresso dell’Ucraina più nello specifico, “sono una sfida, certo, ma non utilizzerei il termine ‘problema’ o ‘preoccupazione”. Vasco Cordeiro, presidente del Comitato europeo delle regioni (Cor), vuole mettere le cose in chiaro: le decisioni prese sin qui per fare di Ucraina, Georgia, Moldova, al pari di Kosovo e Bosnia-Erzegovina, sono un motivo di arricchimento. “E’ nell’interesse di tutti allargarsi”, scandisce in occasione 10° summit europeo delle città e delle regioni europee.Ci sono molte preoccupazioni attorno ad un ingresso in particolare dell’Ucraina. Si tratta di un Paese grande, con un Prodotto interno lordo inferiore alla media europea e, in prospettiva, anche da dover ricostruire. Potrebbe essere costoso, oltre a dover riconsiderare le attuali politiche dell’Unione, quella agricola (Pac) e quella per le regioni (Coesione). In generale un allargamento corposo e accelerato causa guerra russo-ucraina e imprevedibilità dello scenario geopolitico internazionale solleva dubbi sulla convenienza di accogliere nuovi membri nel club a dodici stelle, anche in Italia.Di recente il think-tank Bruegel ha provato a fare un’analisi costi-benefici del solo ingresso dell’Ucraina. All’Ue potrebbe costare circa 136 miliardi di euro, ma in termini di ritorno in termini di manodopera e sicurezza energetica. Oggi (18 marzo) è il presidente del Cor a giungere alla stessa conclusione: “Ci sono sfide, ma anche opportunità”, sottolinea Cordeiro.Anche la commissaria per la Coesione, Elisa Ferreira, invita alla calma e a evitare preoccupazioni inutili. “L’abbiamo già fatto in passato“, sottolinea, riferendosi ai tanti allargamenti che nella storia dell’integrazione europea hanno portato il numero di Stati membri da 6 a 27 Stati membri. “L’abbiamo già fatto e ha sempre funzionato“. Anche grazie alle politiche di coesione, che Ferreira difende e vede come strumento utile per tutti. “Ogni volta che ci allarghiamo la coesione aiuta a integrarsi”. Il messaggio che arriva da Mons è dunque quello di non aver paura.

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    A Gaza la carestia è imminente. Borrell attacca Israele: “Usa la fame come arma di guerra”

    Bruxelles – Secondo l’ultima valutazione dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), l’intera popolazione della Striscia di Gaza è in condizioni di grave insicurezza alimentare. Ma nel Nord dell’enclave palestinese, il 70 per cento di chi è rimasto sta già affrontando la carestia. E nei governatorati centrali e meridionali, la metà della popolazione soffre un’insicurezza alimentare catastrofica. Alla luce del rapporto, l’alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, rilancia l’accusa a Israele: “Usa la fame come arma di guerra”.Un’accusa durissima: affamare volontariamente una popolazione è un crimine di guerra, e rientra nelle azioni deliberate che costituiscono un atto di genocidio. Questa volta, accanto a Borrell – che aveva già lanciato l’accusa di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’Onu – anche il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič. I due hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui, commentando l’analisi degli esperti dell’Ipc, ribadiscono che “la fame non può essere usata come arma di guerra” e che “quello a cui stiamo assistendo non è un rischio naturale, ma un disastro provocato dall’uomo, ed è nostro dovere morale fermarlo“.

    Josep Borrell al Consiglio Ue Affari Esteri, 18/03/24Nel frattempo, a Bruxelles è in corso la riunione dei ministri degli Esteri dei 27, e la crisi umanitaria a Gaza è in agenda. Borrell, arrivando in Consiglio, ha rincarato la dose. Perché “ci sono derrate alimentari accumulate per mesi, che aspettano di entrare a Gaza, mentre al di là del confine si muore di fame”. Per il capo della diplomazia europea “prima della guerra Gaza era una grande prigione a cielo aperto, oggi è un grande cimitero a cielo aperto, anche per quello che riguarda il rispetto delle regole internazionali”.A far rabbrividire non è solo la situazione attuale fotografata dall’Ipc, in cui 2,2 milioni di persone affrontano “alti livelli di insicurezza alimentare”, ma le proiezioni per i prossimi mesi: “Da metà marzo a metà luglio, nello scenario più probabile e nell’ipotesi di un’escalation del conflitto che includa un’offensiva di terra a Rafah, metà della popolazione si troverà ad affrontare il rischio di carestia“. Nella scala da 1 a 5 utilizzata dall’Ipc, la carestia rappresenta il livello più grave dell’insicurezza alimentare acuta.

    [Fonte: Integrated Food Security Phase Classification]“È una situazione senza precedenti. Nessuna analisi dell’Ipc ha mai registrato tali livelli di insicurezza alimentare in nessuna parte del mondo“, sottolineano Borrell e Lenarčič . Nella Striscia il 50 per cento degli edifici sono stati danneggiati o distrutti. Abitazioni, negozi, ospedali e scuole, ma anche impianti idrici, igienici e le infrastrutture necessarie per la produzione e la distribuzione di cibo. Limitando notevolmente la funzionalità del sistema alimentare. Il rapporto dell’Icp snocciola anche le cifre degli ingressi di aiuti via terra: “Da una media pre-escalation di 500 camion al giorno, di cui 150 che trasportavano cibo, nel periodo tra il 7 ottobre 2023 e il 24 febbraio 2024, solo 90 camion al giorno, di cui solo 60 che trasportavano cibo, sono entrati nella Striscia di Gaza”.Dopo cinque mesi e mezzo di conflitto, Israele non ha ancora aperto tutti i varchi ai convogli umanitari e anzi, di aiuti ne entrano sempre meno. Le responsabilità di Tel Aviv sono sotto gli occhi di tutti: anche il cancelliere tedesco, Olaf Scholz – uno dei più prudenti sul denunciare le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele – ha sottolineato al premier israeliano Netanyahu che “non possiamo stare a guardare i palestinesi morire di fame”, precisando la situazione “è interamente opera dell’uomo” e deriva “da chi impedisce che il sostegno umanitario entri a Gaza“.Tajani: “Posizione non concordata”. Israele nega le accuseMa l’accusa lanciata dal capo della diplomazia europea non è condivisa da tutti a Bruxelles. A partire dal vicepremier e ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, che ha commentato: “È una posizione di Borrell, non l’ha concordata con nessuno”. A Tel Aviv invece, non l’hanno presa proprio bene: Borrell “la smetta di attaccare Israele e riconosca il nostro diritto all’autodifesa contro i crimini di Hamas”, ha replicato con un post su X il ministro degli Esteri, Israel Katz.

    Il ministro degli Esteri di Israele, Israel Katz, e Josep BorrellIn un documento che le autorità israeliane hanno sottomesso alla Corte di Giustizia Internazionale relativamente al procedimento intentato dal Sudafrica per il possibile genocidio a Gaza, Israele nega con fermezza di ostacolare l’arrivo di beni di prima necessità per la popolazione palestinese. L’insicurezza alimentare a Gaza “è una sfida seria” ma “non è una questione semplice”, sostengono i legali di Tel Aviv, ribandendo che “Israele si è impegnata, insieme a una serie di parti interessate, a compiere sforzi costanti ed estesi per affrontare questa sfida”. Un impegno che dimostrerebbe “l’esatto contrario di un intento genocida o di un tentativo di affamare la popolazione”.Anzi: Israele si starebbe prodigando per la “continua facilitazione dell’ingresso dei carichi di aiuti umanitari a Gaza e l’utilizzo di ulteriori vie di comunicazione a tale scopo e il rafforzamento della capacità di quelle esistenti”. Le autorità israeliane puntano il dito contro la “spregevole strategia di Hamas”, che “assume il controllo delle forniture umanitarie” e le “devia dalla loro destinazione civile”.

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    Ue e Svizzera avviano i negoziati per un pacchetto di misure che approfondirà le relazioni bilaterali

    Bruxelles – Unione Europea e Svizzera ci riprovano, dopo il via libera della settimana scorsa dal Consiglio dell’Unione Europea alle direttrici politiche per iniziare i negoziati per un pacchetto di misure volte ad approfondire le relazioni bilaterali tra Bruxelles e Berna. A presentare il nuovo inizio del dialogo – interrotto nel 2021 per volontà della Svizzera – sono state la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’omologa della Confederazione svizzera, Viola Amherd, nel corso di un punto stampa congiunto questa mattina (18 marzo): “Oggi è l’inizio di un nuovo capitolo delle nostre relazioni, basato su una rinnovata fiducia e sull’impegno tra partner e vicini”, ha annunciato la numero uno dell’esecutivo dell’Unione.

    Da sinistra: la presidente della Confederazione svizzera, Viola Amherd, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (18 marzo 2024)I nuovi negoziati – che a differenza del passato non prevedono un unico accordo quadro – mettono sul tavolo la negoziazione di un accordo sull’associazione della Svizzera a una serie di programmi dell’Unione, con disposizioni istituzionali che verrebbero replicate negli accordi relativi al mercato interno dell’Ue e una base per il contributo di Berna alla coesione sociale ed economica. In questo modo si dovrebbero garantire condizioni di concorrenza eque tra le imprese delle due parti che operano nel Mercato interno e la tutela dei diritti dei cittadini dell’Ue che lavorano in Svizzera. L’obiettivo dichiarato nell’intesa comune è di concludere i negoziati nel 2024, dal momento in cui “è nell’interesse comune avanzare rapidamente”, sottolinea la Commissione.Il pacchetto consiste nell’aggiornamento di cinque accordi relativi all’accesso al mercato: trasporto aereo, trasporto di merci e passeggeri per ferrovia e su strada, libera circolazione delle persone, riconoscimento in materia di valutazione della conformità, e commercio dei prodotti agricoli. Inoltre vengono rilanciati i negoziati per la conclusione di accordi sull’elettricità, sulla sicurezza alimentare e sulla salute: sarebbe così integrata “ancora di più” la rete elettrica svizzera a quella dei Ventisette, si spingerebbe sulla stabilità della rete e la sicurezza dell’approvvigionamento e sulla transizione verso un sistema energetico a emissioni nette zero. “Un accordo sulla sicurezza alimentare contribuirebbe a creare un’area di sicurezza alimentare Ue-Svizzera” e uno sulla salute “rafforzerebbe la cooperazione bilaterale in un settore di grande importanza per i cittadini”, ricorda la Commissione.

    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (18 marzo 2024)Tra i nuovi negoziati è prevista anche la partecipazione della Svizzera alle agenzie dell’Unione Europea e ai programmi dell’Unione su ricerca e innovazione, istruzione, formazione, gioventù, sport e cultura, in particolare Horizon Europe, Euratom Research & Training, International Thermonuclear Experimental Reactor, Digital Europe, Erasmus+, Creative Europe, EU4Health e Copernicus. La base di questi accordi sarebbero una serie di disposizioni istituzionali da includere negli accordi “esistenti e futuri” relativi al Mercato interno dell’Unione, “che prevedano l’allineamento dinamico al diritto dell’Ue, la sua interpretazione e applicazione uniforme e la risoluzione delle controversie”, e disposizioni sugli aiuti di Stato. Infine dovrebbe essere prevista un’intesa sul contributo finanziario “regolare e permanente” della Svizzera alla coesione sociale ed economica dell’Unione per ridurre le disparità economiche e sociali tra le regioni, “come contropartita della sua partecipazione al Mercato interno”, precisa l’esecutivo Ue.

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    Cosa prevede l’accordo da 7,4 miliardi con l’Egitto, il più sostanzioso mai siglato dall’Ue

    Bruxelles – Una “tappa storica”, l’ha definito Ursula von der Leyen. Un accordo che Bruxelles si impegna a onorare con un pacchetto finanziario e di investimenti da 7,4 miliardi di euro in quattro anni. Domenica 17 marzo la presidente della Commissione europea, accompagnata da una schiera di capi di stato e di governo dell’Ue, ha siglato con l’Egitto il memorandum d’intesa economicamente più oneroso di sempre.Al cospetto di Abdel Fattah al-Sisi, oltre a von der Leyen, la premier italiana Giorgia Meloni, il cancelliere austriaco Karl Nehammer, il presidente di Cipro Nikos Christodoulides, il primo ministro belga Alexander De Croo e l’omologo greco Kyriakos Mītsotakīs. “La presenza di sei leader europei oggi dimostra quanto sia profondo il valore delle nostre relazioni”, ha sottolineato von der Leyen al presidente egiziano. Un formato – quello definito Team Europe – già visto in occasione della firma dei memorandum d’Intesa con Tunisia e Mauritania. Con la differenza che quello firmato al Cairo prevede un piano di finanziamenti molto più sostanzioso rispetto a quello da 1,2 miliardi per Tunisi e ai 200 milioni per Nouakchott.

    Ursula von der Leyen e Abdel Fattah al-SissiSei pilastri principali, sei “aree di interesse reciproco” per l’Ue e l’Egitto. Intensificazione del dialogo politico, stabilità macroeconomica, investimenti e commercio sostenibili, migrazione e mobilità, sicurezza e sviluppo del capitale umano. Ognuno poi, dà le priorità a seconda delle proprie sensibilità politiche: Giorgia Meloni ha evidenziato che, così come nel caso del partenariato con Tunisi, questo “modello” di accordo comprensivo con i Paesi africani è “il modo migliore per affrontare il problema dell’immigrazione clandestina e combattere i trafficanti di esseri umani”. È la volontà di “riaffermare il diritto dei cittadini a non emigrare in Europa, qualcosa che possiamo ottenere solo con lo sviluppo”.I sei pilastri del Memorandum Ue-EgittoDei 7,4 miliardi complessivi, 5 saranno in forma di prestiti agevolati a sostegno del bilancio egiziano – di cui 1 miliardo immediato e approvato con procedura di emergenza perché dopo aprile il Parlamento Ue si blocca per le elezioni -, 1,8 miliardi di investimenti, 600 milioni a fondo perduto di cui 200 milioni per la gestione della migrazione. Questi ultimi, una cifra comunque maggiore dei 105 milioni mobilitati per fermare le partenze dalle coste tunisine, sosterranno un’intensificazione della protezione delle frontiere, la cooperazione nella lotta ai trafficanti, l’aumento dei rimpatri e il sistema d’accoglienza del Paese nordafricano. E parallelamente dovrebbero agevolare percorsi di migrazione regolare.I due pilastri “portanti” della struttura sono quelli che riguardano stabilità economica e investimenti. L’obiettivo di Bruxelles è garantire una crescita economica sostenibile al cruciale partner nella regione, “sulla base di priorità e obiettivi di riforma definiti congiuntamente”. L’Ue sarebbe pronta a un “aiuto tempestivo” da un miliardo di euro in sostegno al bilancio, finanziamenti agevolati e sovvenzioni per “affrontare le maggiori pressioni sulla bilancia dei pagamenti derivanti dal contesto economico globale”. Ma il blocco è “pronto a fornire sostegno sia alle esigenze di stabilizzazione a breve termine che a quelle di sviluppo economico a medio termine”.Fino a 5 miliardi di investimenti europei nella cooperazione su energie rinnovabili, l’industrializzazione avanzata, l’agricoltura, la sicurezza alimentare, la connettività e la digitalizzazione, la sicurezza idrica e la gestione delle acque. “L’Egitto ha tutte le risorse per diventare un hub delle rinnovabili, in particolare per quanto riguarda l’idrogeno rinnovabile”, ha sottolineato von der Leyen, e in Europea non mancano “investitori interessati”. La leader Ue ha poi voluto ricordare l’importanza per la sicurezza energetica dell’Ue del progetto di interconnessione elettrica Gregy, che collega l’Egitto alla Grecia.Un focus particolare è dedicato anche alla sicurezza idrica: Bruxelles riconosce “la forte dipendenza dell’Egitto dal fiume Nilo in un contesto di scarsità idrica” e si impegna con il Cairo su aree di cooperazione a livello bilaterale, regionale e internazionale nel settore, in linea con la Dichiarazione congiunta sul partenariato idrico Egitto-Ue firmata alla COP28 di Dubai.Non è tutto oro quel che luccica: non sono mancate le critiche, a Bruxelles come a Roma. L’Ecre (Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati) ha bollato il partenariato strategico come “un altro accordo che finanzierà uno Stato noto per le sue violazioni contro i migranti e la detenzione arbitraria dei suoi oppositori e di coloro che lottano per la libertà, la giustizia e il pane”. Dalla leader dell’opposizione Elly Schlein, la frecciata a Meloni sul silenzio sul caso Regeni. “Non faremmo accordi con i regimi come quello egiziano, che da anni sta coprendo gli assassini di Giulio Regeni“, ha dichiarato. La segretaria del Partito Democratico ha accusato la premier di “promettere accordi ingiusti e fallimentari come quello con la Tunisia e l’Albania” e “risorse al regime di Al-Sisi per fermare le partenze, in un Paese che non è sicuro né per gli egiziani né per tutti gli altri”.

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    Putin ha vinto le elezioni più falsate di sempre in Russia. In migliaia per la protesta nel nome di Navalny

    Bruxelles – L’autocrate russo, Vladimir Putin, ha vinto ancora le elezioni presidenziali, nel voto più scontato e prevedibile di sempre della storia della Federazione Russa. Dopo aver eliminato fisicamente o impedito la corsa ai suoi concorrenti politici più pericolosi, Putin ha ottenuto l’87,8 per cento delle preferenze alle urne ieri (17 marzo) – il record nella Russia post-sovietica – mettendo il sigillo politico al quinto mandato presidenziale e altri sei anni di potere.L’autocrate russa, Vladimir Putin (credits: Natalia Kolesnikova / Afp)Nel vuoto della competizione elettorale (il comunista Nikolai Kharitonov è arrivato secondo con il 4,3 per cento) e in assenza di missioni internazionali di osservazione dello svolgimento del voto, Putin ha rivendicato la vittoria come un sostegno unanime da parte della popolazione alla guerra d’invasione dell’Ucraina, iniziata poco più di due anni fa. Prima del voto le istituzioni dell’Unione Europea avevano optato per non rilasciare commenti sulle elezioni presidenziali, in quanto non libere e falsate dall’inizio, incluso l’assassinio del leader dell’opposizione Alexei Navalny, in una prigione nell’Artico lo scorso 16 febbraio. Solo il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, aveva provocatoriamente fatto le congratulazioni all’autocrate russo ancora prima dell’apertura dei seggi venerdì (15 marzo): “Nessuna opposizione, nessuna libertà, nessuna scelta”.“Le elezioni presidenziali tenutesi in Russia dal 15 al 17 marzo si sono svolte in un contesto estremamente ristretto, esacerbato anche dalla guerra illegale di aggressione della Russia contro l’Ucraina”, ha commentato questa mattina con un comunicato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a nome dell’Unione Europea: “Le autorità russe hanno continuato ad aumentare la sistematica repressione interna, reprimendo i politici dell’opposizione, le organizzazioni della società civile, i media indipendenti e altre voci critiche con l’uso di una legislazione repressiva e di pene detentive politicamente motivate”. Da parte di Bruxelles un accento particolare è stato posto sullo “svolgimento illegale delle cosiddette ‘elezioni’ nei territori dell’Ucraina temporaneamente occupati dalla Russia“, ovvero nella Repubblica autonoma di Crimea, nella città di Sebastopol e in alcune parti delle regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson: “L’Unione Europea ribadisce che non riconosce e non riconoscerà mai né lo svolgimento di queste cosiddette ‘elezioni’ nei territori dell’Ucraina né i loro risultati, sono nulle e non possono produrre alcun effetto giuridico“, ha messo in chiaro con forza Borrell.Yulia Navalnaya a Berlino, 17 marzo 2024 (credits: Tobias Schwarz / Afp)Nella quasi impossibilità di organizzare una qualsiasi forma di opposizione nel Paese, migliaia di persone hanno partecipato alla protesta pacifica indetta proprio da Navalny prima di morire, il ‘Mezzogiorno contro Putin’, davanti ai seggi elettorali nel Paese e nelle ambasciate russe in tutto il mondo, annullando la propria scheda elettorale (l’affluenza al voto sarebbe pari al 74,2 per cento). Anche la vedova del leader di opposizione, Yulia Navalnaya, ha partecipato alla protesta davanti all’ambasciata russa a Berlino e ha fatto sapere di aver scritto ‘Navalny’ sulla propria scheda elettorale. Proprio Navalnaya aveva definito Putin “un sanguinario mafioso, il capo di un’organizzazione criminale” nel suo intervento di tre settimane fa alla sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo.

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    Il ‘Triangolo di Weimar’ tra Scholz, Tusk e Macron riparte dal sostegno “unanime” a Kiev. Anche sulle armi

    Bruxelles – Riparte da Berlino, ma soprattutto dal sostegno “unanime” a Kiev, il Triangolo di Weimar tra Germania, Francia e Polonia. “Oggi abbiamo concordato una serie di priorità, tra cui l’immediato approvvigionamento di un numero ancora maggiore di armi per l’Ucraina sull’intero mercato mondiale”, ha annunciato il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, al termine del vertice di oggi (15 marzo) con il presidente francese, Emmanuel Macron, e il primo ministro polacco, Donald Tusk, facendo riferimento al lancio di “una coalizione degli alleati dell’Ucraina per le armi a lungo raggio“.

    Dopo le frizioni delle ultime settimane in particolare tra Scholz e Macron sul tipo di supporto da fornire a Kiev e sulla possibilità di un intervento dei soldati Nato in Ucraina per fronteggiare l’esercito russo, l’alleanza regionale tra Francia, Germania e Polonia si è rinsaldata sotto la bandiera del “non lasciare mai che la Russia vinca” la guerra in Ucraina, ha messo in chiaro Macron in conferenza stampa. Questo tuttavia non implicherà un confronto diretto tra Mosca e i Paesi dell’Unione Europea, almeno nelle intenzioni dei tre leader: “È altrettanto chiaro che non siamo in guerra con la Russia“, ha precisato Scholz, a cui ha fatto eco lo stesso presidente francese, puntualizzando che “non prenderemo mai l’iniziativa di un’escalation“.Anche se, in ogni caso, “vogliamo fare tutto il necessario, a partire da ora, per garantire che la situazione in Ucraina, nelle prossime settimane e mesi, migliori e non si deteriori“, ha sottolineato il premier polacco. Ecco perché “Putin deve sapere che il sostegno dei membri del Traingolo di Weimar a Kiev non verrà meno”, ha insistito ancora Scholz, annunciando che i Paesi europei – quella “coalizione di alleati” di Kiev – acquisteranno un maggior numero di armi per l’Ucraina sul mercato mondiale e aiuteranno Kiev ad aumentare la propria produzione. “Sarà ampliata la produzione di equipaggiamenti militari, anche attraverso la cooperazione con i partner in Ucraina”, ha spiegato Scholz a proposito delle “priorità” discusse oggi a Berlino.

    Da sinistra: il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, il primo ministro polacco, Donald Tusk, e il presidente francese, Emmanuel Macron, a Berlino (15 marzo 2024)In questo contesto giocherà un ruolo decisivo l’aumento dell’impegno nell’ambito dell’Unione Europea, “per il quale abbiamo preso decisioni molto importanti a Bruxelles questa settimana”. Un riferimento al Fondo europeo per la pace che “riceverà 5 miliardi di euro per fornire ulteriore assistenza militare a Kiev quest’anno”, ma anche al rafforzamento della missione Ue di addestramento dei soldati ucraini e all’utilizzo dei profitti “significativi” dei beni russi congelati “per sostenere finanziariamente l’acquisto di carri armati per l’Ucraina”. Infine, per fronteggiare “l’espansionismo imperialista” del Cremlino, sarà costituita una “nuova coalizione di capacità per l’artiglieria missilistica a lungo raggio nell’ambito del formato Ramstein” (il Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina guidato dagli Stati Uniti), i cui dettagli operativi saranno resi noti prossimamente.

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    L’Ue pronta a imporre sanzioni contro i coloni israeliani violenti

    Bruxelles – Il piano di imporre misure restrittive ai coloni israeliani estremisti in Cisgiordania è fermo sul tavolo dei 27 Paesi Ue da dicembre. A poco a poco si sono convinti tutti, rimaneva solo l’ostruzionismo dell’Ungheria di Viktor Orban. Ma lunedì 18 marzo i ministri degli Esteri dell’Ue dovrebbero raggiungere l’accordo politico per un primo pacchetto di sanzioni contro coloni che si sono macchiati di atti di violenza contro il popolo palestinese.Secondo quanto dichiarato da un alto funzionario europeo, l’Ue procederà parallelamente all’introduzione di nuove sanzioni contro Hamas. I due regimi dovrebbero essere approvati separatamente: prima “quello sui crimini sessuali commessi da Hamas nell’attacco del 7 ottobre”, poi il pacchetto sui coloni. Alcuni Stati membri infatti, avrebbero posto come linea rossa l’approvazione delle sanzioni contro Hamas prima di procedere con quelle dirette agli insediamenti illegali israeliani. Ma “non c’è nessuno Stato membro, al momento, che si oppone ai due regimi“, ha confermato la fonte.L’accordo politico di principio dovrebbe arrivare dunque al Consiglio Ue Affari Esteri di lunedì, per poi essere formalizzato in un secondo momento. Solo dal 7 ottobre, l’Ufficio delle Nazioni Unite Ocha-Opta ha registrato 646 attacchi di coloni israeliani contro palestinesi. Causando feriti, danni alle proprietà e 9 vittime.Dopo le sanzioni imposte da Stati Uniti, Regno Unito e Francia, che hanno vietato l’ingresso ad alcuni coloni estremisti sul proprio territorio nazionale, anche l’Ue sembra decisa a muoversi. Incalzata anche da Belgio, Spagna e Irlanda, che hanno dichiarato più volte di essere pronti a procedere in autonomia se Bruxelles non riuscisse a trovare un accordo. Proprio oggi il dipartimento di Stato americano ha aggiunto altri tre coloni alla sua lista e, per la prima volta, anche due interi insediamenti israeliani in Cisgiordania.