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    Truppe nord-coreane in Russia, l’Ue “profondamente allarmata”. E Putin non nega le immagini satellitari

    Bruxelles – L’hanno rivelato gli Stati Uniti attraverso delle immagini satellitari, lo confermano da giorni da Kiev. E nemmeno Vladimir Putin lo nega: in Russia ci sarebbero circa tre mila soldati dispiegati dalla Corea del Nord (Rpdc), pronti a un intervento in Ucraina. “Profondamente allarmata” l’Unione europea, che lo definisce “un atto ostile unilaterale da parte della Rpdc” e una “grave violazione del diritto internazionale”.In una nota a nome dei 27 Paesi membri, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha esortato per l’ennesima volta il leader autoritario Kim Jong-un a “cessare di sostenere gli sforzi bellici illegali della Russia” e ha “condannato fermamente” l’intensificarsi della cooperazione militare tra Pyongyang e Mosca. Con il dispiegamento di truppe sul suolo russo – come rivelato dal segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin -, si arriva a un punto di non ritorno.Secondo Washington i soldati nordcoreani sarebbero sbarcati via nave nella prima metà di ottobre dalla regione nordcoreana di Wonsan alla città russa di Vladivostok, prima di essere portati in tre siti di addestramento militare nella Russia orientale. “Se si schierano per combattere contro l’Ucraina, sono bersagli giusti e le forze armate ucraine si difenderanno dai soldati nordcoreani nello stesso modo in cui si difendono dai soldati russi”, ha avvertito il portavoce della Casa Bianca, John Kirby. Secondo l’intelligence ucraina, “il 23 ottobre è stata registrata la loro presenza nella regione di Kursk“, territorio russo dove le forze ucraine sono penetrate quest’estate. In un post sul suo account X, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato che – secondo le informazioni in possesso di Kiev – “i primi soldati nordcoreani dovrebbero essere schierati dalla Russia nelle zone di combattimento già dal 27-28 ottobre“.Zelensky ha lanciato un appello per “una risposta forte e di principio da parte dei leader mondiali”. Per i 27 Ue, “l’intensificarsi della cooperazione militare della Russia con la Rpdc invia un chiaro messaggio: nonostante la dichiarata disponibilità a negoziare, la Russia non è sinceramente interessata a una pace giusta, globale e duratura“. Al contrario, prosegue la nota di Bruxelles, il Cremlino starebbe “intensificando e cercando disperatamente qualsiasi aiuto per la sua guerra”.Il vertice dei Brics a Kazan, in Russia (Photo by MAXIM SHIPENKOV / POOL / AFP)Per uscire dall’isolamento diplomatico, Vladimir Putin ha riunito per tre giorni a Kazan, in Russia, i leader dei Brics. Al vertice hanno partecipato 36 Paesi, risultato che ha permesso a Mosca di definirlo “il più grande evento di politica estera mai organizzato” dalla Russia. In una conferenza stampa a margine del summit, Putin ha accusato l’Occidente di aver inasprito la guerra in Ucraina e – come riportato dal The Guardian – alla domanda di un giornalista sulle immagini satellitari che apparentemente mostrano i movimenti delle truppe nordcoreane, Putin ha risposto: “Le immagini sono una cosa seria. Se ci sono immagini, allora riflettono qualcosa”. Il presidente russo ha poi contrattaccato, accusando gli ufficiali e istruttori della Nato direttamente coinvolti nell’addestramento delle truppe in Ucraina.La lettura dell’Unione europea è che, in cambio del supporto sempre maggiore al suo sforzo bellico, la Russia abbia cambiato posizione sulla denuclearizzazione della Corea del Nord. “In questo modo, la Russia compromette le sue responsabilità come membro permanente del Consiglio di Sicurezza e come Stato membro delle Nazioni Unite”, sottolinea Borrell, che annuncia che Bruxelles “si coordinerà con i partner internazionali per quanto riguarda le risposte”.

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    “Non perdiamo lo slancio”: al Cese si discute di come preparare l’allargamento

    Bruxelles – La nuova Commissione europea dev’essere la “Commissione dell’allargamento”. È questo, in sintesi, uno dei principali messaggi che emergono dalla plenaria del Comitato economico e sociale europeo (Cese) a Bruxelles, dove tra gli ospiti spicca, oltre al presidente Oliver Röpke, il commissario uscente agli Affari sociali Nicolas Schmit. E mentre il capo dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen continua il suo tour nei Balcani occidentali, nella capitale Ue i rappresentanti della società civile sottolineano l’importanza del coinvolgimento delle parti sociali dei Paesi candidati per preparare al meglio l’adesione.Il dibattito al CeseSono settimane intense per i nove Stati insigniti dello status di candidati all’ingresso in Ue (Albania, Georgia, Kosovo, Macedonia del nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina), e soprattutto per i cinque nei Balcani occidentali che giusto ieri si sono visti sbloccare l’esborso della prima tranche di fondi nel quadro del Piano per la crescita ideato da Bruxelles.Oggi (24 ottobre) nella capitale europea il Cese ospita il Forum di alto livello sull’allargamento, nel secondo giorno della sua 591esima plenaria, con una serie di ospiti d’onore tra cui il commissario Schmit, il suo collega titolare dell’Allargamento Olivér Várhelyi (che ha inviato un messaggio pre-registrato) e una serie di ministri con deleghe al Lavoro e agli Affari sociali: la greca Niki Kerameus e il tedesco Rolf Schmachtenberg in rappresentanza degli Stati membri dell’Unione e, in quota Paesi candidati, la montenegrina Naida Nišić e l’albanese Olta Majani.Il fulcro dei dibattiti, che si sono inoltrati nel pomeriggio con tre sessioni tematiche, è ruotato intorno alla partecipazione attiva della società civile nel preparare la strada all’adesione degli Stati candidati all’ingresso. Si tratta di un tema su cui il Cese sta insistendo da tempo: l’idea, in sostanza, è di permettere a questi Paesi di predisporre in anticipo – cioè prima dell’adesione formale al club europeo – le strutture democratiche, socio-economiche e culturali che si riveleranno fondamentali per la vita nell’Unione. E così, per la prima volta, oltre 140 rappresentanti della società civile dagli Stati in questione sono stati accolti ad una sessione plenaria dell’istituzione, nel contesto dell’iniziativa pilota Enlargement candidate members (Ecm).Allargamento dal bassoNelle parole di Röpke, è un modo “per fare in modo che l’allargamento sia un successo per tutti”: per i nuovi arrivati e per i membri esistenti, “e per renderlo quanto più inclusivo e partecipato possibile” tramite lo sforzo per “costruire un ponte tra la società civile e il policy-making europeo”. “Non si tratta di espandere l’Ue“, ha spiegato, “ma di preparare i futuri Stati membri a partecipare attivamente nel plasmare l’Unione, assicurandoci che siano pienamente equipaggiati per fronteggiare le sfide che ci aspettano“. Sulla stessa linea anche Schmit: “L’allargamento riguarda il coinvolgimento dei popoli e delle società, nei Paesi candidati come negli Stati membri”, ha dichiarato in un punto stampa ai margini del Forum, sottolineando l’importanza di “avvicinare la società civile e le parti sociali dei Paesi candidati ai processi politici e decisionali dell’Ue”.Una “integrazione graduale” che parta dal basso, insomma. Ad esempio, un punto fondamentale affrontato durante il convegno riguarda i mercati del lavoro nazionali dei Paesi candidati, che vanno progressivamente armonizzati con quelli degli Stati membri: si tratta di un lavoro tanto complesso quanto importante, perché, come ricordato da tutti gli ospiti, l’obiettivo della prosperità economica all’interno del mercato unico a dodici stelle deve andare di pari passo con la protezione sociale e la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori.Chiaramente, non c’è un calendario predefinito per l’allargamento: alcuni Paesi si sono dati unilateralmente un obiettivo specifico (ad esempio l’Albania ha fissato il 2030 come obiettivo per l’adesione, e la viceministra Manjani ha assicurato che “entrare nell’Ue è il sogno degli albanesi fin dagli anni Novanta”), ma è fondamentale mantenere un forte impegno e offrire “segnali chiari” alle opinioni pubbliche in questione perché percepiscano concretamente i benefici dell’appartenenza all’Unione, ancora prima di entrare ufficialmente nel club a dodici stelle. “C’è bisogno di storie di successo”, ha sottolineato il presidente del Cese, “e i Paesi che ottengono successi vanno ricompensati” con effettivi avanzamenti nel loro percorso di avvicinamento a Bruxelles.La dimensione geopoliticaMa, ha avvertito Schmit, “l’allargamento dev’essere un successo anche per ragioni geopolitiche”: come dimostrato dalle recenti elezioni moldave (dove, ha assicurato Röpke, la disinformazione ha raggiunto livelli inauditi) ma anche dalla situazione in Ucraina e in Georgia, Mosca ha tutto l’interesse a destabilizzare l’area tra i suoi confini e quelli dell’Ue per impedire che altri Paesi imbocchino la traiettoria europea (“l’unica possibile per noi”, secondo la ministra montenegrina Nišić). “I tempi sono cambiati”, ha scandito il commissario uscente, e “nuove divisioni stanno emergendo in Europa” decenni dopo la dissoluzione della Cortina di ferro: la sfida, di fronte alla “fatica dell’allargamento che la Russia sta sfruttando” è quella di “mantenere il messaggio positivo” dei benefici dell’ingresso nella famiglia europea, di “mantenere lo slancio e mostrare a questi Paesi che l’Europa porta a termine i propri impegni”.È anche questo, del resto, il senso del nuovo Piano per la crescita che, con una dotazione di 6 miliardi di euro, mira a stimolare le economie dei Balcani occidentali con investimenti mirati (ad esempio sulla produzione energetica da fonti rinnovabili e sulla mobilità sostenibile) che puntano alla convergenza socio-economica degli Stati della regione con il resto dell’Ue. Come ribadito dalla stessa von der Leyen, che nella seconda tappa del suo tour balcanico ha toccato Skopje.Parlando ai giornalisti accanto al primo ministro Hristijan Mickoski, la presidente della Commissione ha dichiarato che l’obiettivo di Bruxelles è “aprire i negoziati sul cluster dei capitoli fondamentali al più presto”, non appena la Macedonia del nord avrà apportato le modifiche alla sua Costituzione richieste dai Ventisette circa la protezione della minoranza linguistica bulgara. Il premier ha detto di aspettarsi “sforzi condivisi, cooperazione , dialogo e comprensione reciproca” dai partner europei.Il cammino di Skopje verso l’Ue è tuttavia stato rallentato recentemente da alcuni passi falsi, culminati con la vittoria alle elezioni dello scorso maggio del partito conservatore Vmro-Dpmne di Mickoski, la cui retorica nazionalista ha reso più tesi i rapporti con Sofia e Atene. Fino a quando Bruxelles ha deciso il mese scorso di spacchettare il percorso di adesione della Macedonia del nord da quello dell’Albania, che sta ora procedendo più spedita rispetto al proprio vicino orientale.

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    Alla conferenza sul Libano raccolto un miliardo per aiuti umanitari e militari. Borrell: “Rafforziamo Unifil e l’esercito regolare”

    Bruxelles – L’appello delle Nazioni Unite a raccogliere 426 milioni di dollari per assistere la popolazione civile libanese è stato raccolto. Più che raddoppiato: Parigi ha annunciato che la conferenza internazionale sul Libano tenutasi oggi (24 ottobre) nella capitale francese ha permesso di mettere insieme più di 800 milioni di aiuti umanitari e 200 milioni per sostenere l’esercito regolare. La comunità internazionale “è stata all’altezza della sfida”, ha esultato il ministro per gli Affari esteri Jean-Noel Barrot. Il capo della diplomazia Ue, Josep Borrell, ha promesso 80 milioni da Bruxelles per l’assistenza ai civili e 60 milioni per l’esercito entro il 2025.A dare il buon esempio il padrone di casa, Emmanuel Macron, che aprendo i lavori ha annunciato un pacchetto “massiccio” da 100 milioni di euro per Beirut. A cui ha fatto seguito il governo tedesco, che si è impegnato a “fornire un totale di 96 milioni di euro aggiuntivi per far fronte alla crisi in Libano”. Alla conferenza di Parigi hanno partecipato ministri e diplomatici da oltre 70 Paesi e una quindicina di organizzazioni internazionali. Per l’Italia era presente il Sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli, su delega del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato oggi a Pescara per il G7 Sviluppo a guida italiana.Il primo ministro libanese, Najib Mikati, e Emmanuel Macron (Photo by ALAIN JOCARD / POOL / AFP)Macron ha inaugurato la conferenza ribadendo l’appello per un cessate il fuoco “il prima possibile”, perché “più, bombe, devastazione e vittime non permetteranno di sconfiggere il terrorismo e di assicurare la sicurezza di nessuno”. Il presidente francese ha attaccato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, affermando che “si parla molto di guerra di civiltà”, ma “non sono sicuro che si difenda una civiltà seminando la barbarie“. Al suo fianco, il primo ministro libanese Najib Mikati ha snocciolato i tristi numeri del conflitto tra Hezbollah e Israele: 2400 vittime libanesi e 1,2 milioni di sfollati, di cui 500 mila minori. Ma anche “gravi danni alle infrastrutture” ed attacchi mirati a “presidi medici che mostrano una chiara violazione della Convenzioni di Ginevra”.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha ribadito il “pieno sostegno alla nazione libanese per ripristinare la sua sovranità” e sottolineato la totale assenza di proporzionalità nell’azione militare di Israele. Alla conferenza, Borrell ha presentato i punti per un effettivo sostegno a Beirut. Prima di tutto il cessate il fuoco, per il quale serve “combattere l’impunità” e far sì che “tutti gli attori rispettino il diritto internazionale”. Fondamentale che la leadership politica libanese “si assuma le proprie responsabilità ed elegga il presidente della Repubblica”, dal momento che il mandato di Michel Aoun è scaduto da più di due anni.Parallelamente, Borrell è determinato a rafforzare l’esercito libanese, che “dopo il cessate il fuoco dovrà essere dispiegato nel sud del Paese”. Per realizzare il piano annunciato da Beirut e aumentare di 6 mila unità le proprie truppe, l’Ue è pronta a mettere sul piatto 20 milioni di euro già entro la fine dell’anno e 40 milioni per il 2025. Il capo della diplomazia Ue è convinto che bisogna allo stesso tempo rafforzare la missione delle Nazioni Unite Unifil, vittima di continue provocazioni e attacchi da parte delle forze israeliane. “Alla frontiera abbiamo dieci mila uomini – ha affermato Borrell -, ma potremmo averne fino a 15 mila, il numero autorizzato da Unifil”.Alla conferenza è intervenuto da remoto anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha chiarito un’altra volta che “gli attacchi contro i caschi blu sono totalmente inaccettabili” e “possono costituire un crimine di guerra”. D’altra parte, Guterres ha invitato “i leader libanesi ad adottare misure risolute per garantire il corretto funzionamento delle istituzioni statali al fine di affrontare le urgenti sfide politiche e di sicurezza del Paese”.

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    L’Eurocamera condanna la Cina per le esercitazioni e le provocazioni militari contro Taiwan

    Bruxelles – Mentre la tensione nello Stretto di Taiwan continua a salire, arriva puntuale la condanna del Parlamento europeo alle “continue provocazioni militari” della Cina contro l’isola. L’emiciclo di Strasburgo ha approvato oggi (24 ottobre) a larghissima maggioranza una risoluzione in cui respinge fermamente “qualsiasi modifica unilaterale dello status dello Stretto”.Nel testo, adottato con 432 voti a favore, 60 contrari e 71 astensioni, l’esplicito riferimento alle esercitazioni militari “ingiustificate” della Cina del 14 ottobre scorso, quando Pechino aveva tra l’altro dichiarato che “non si impegnerà mai a rinunciare all’uso della forza” verso la riunificazione con Taiwan. I tentativi “con la forza o la coercizione, non saranno accettati e incorreranno in una reazione decisa e ferma“, è la risposta dell’Eurocamera.  La risoluzione, pur reiterando l’impegno a favore della politica ‘una sola Cina’ come fondamento delle relazioni Ue-Cina, sottolinea che “solo il governo democraticamente eletto di Taiwan può rappresentare il popolo taiwanese a livello internazionale”.Secondo il Parlamento europeo la Cina “distorce la storia e le norme internazionali”, reinterpretando la risoluzione 2758 dell’Assemblea generale dell’Onu, che nel 1971 riconobbe la Repubblica Popolare Cinese come l’unico legittimo rappresentante della Cina presso le Nazioni Unite. Quella risoluzione, sostengono gli eurodeputati, “non prende alcuna posizione su Taiwan”. Pechino invece la utilizza nei suoi “costanti sforzi per bloccare la partecipazione di Taiwan alle organizzazioni multilaterali”. La stessa accusa lanciata da Lai Ching-te, presidente della piccola nazione insulare dal 20 maggio, secondo cui l’interpretazione che fa Pechino della risoluzione 2758 non serve solo come “base legale per l’aggressione militare contro Taiwan”, ma anche per cercare di isolarla diplomaticamente.L’Eurocamera ha invitato l’Ue e gli Stati membri a “sostenere la partecipazione significativa” di Taiwan alle organizzazioni internazionali, quali l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale, l’Organizzazione internazionale della polizia criminale (Interpol) e la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.Per far fronte al comportamento “sempre più aggressivo della Cina”, secondo l’emiciclo di Strasburgo “l’Ue e i suoi Stati membri dovrebbero rafforzare le proprie capacità marittime nella regione“. Un invito che non è condiviso dal Movimento 5 Stelle, che insieme al suo gruppo politico europeo, la Sinistra, si è opposto alla risoluzione.

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    Von der Leyen annuncia l’esborso di 6 miliardi di euro per i Balcani occidentali

    Bruxelles – Comincia dall’Albania la visita di Ursula von der Leyen nei Balcani occidentali, che da mercoledì (23 ottobre) durerà fino a sabato (26 ottobre). Ad accoglierla il premier Edi Rama, con il quale la presidente dell’esecutivo comunitario ha lodato i progressi di Tirana nel suo percorso di avvicinamento all’Ue, che potrebbe essere più veloce di quello degli altri partner regionali.Nonostante il controverso accordo stipulato con l’Italia per l’esternalizzazione della gestione delle procedure d’asilo sia finito al centro della bufera giudiziaria nostrana e dello scontro politico europeo, il premier albanese Edi Rama può comunque presentarsi alla propria opinione pubblica rivendicando un altro successo. Vale a dire l’inizio del processo di adesione all’Ue, avviato ufficialmente lo scorso 15 ottobre con l’apertura del primo cluster sui capitoli fondamentali.A sentire von der Leyen, che ha partecipato ad una conferenza stampa congiunta con il capo dell’esecutivo albanese al termine del loro bilaterale, “potremmo aprire tutti i cluster (dei negoziati, ndr) entro la fine dell’anno prossimo”, anche se ha ammesso che, più che fissare scadenze rigide, è importante portare a termine le riforme propedeutiche all’adesione. “La prossima settimana avremo il rapporto sullo stato dell’arte dell’allargamento”, ha aggiunto, sottolineando che “i risultati dell’Albania sono eccellenti”, come certificato anche dal Comitato economico e sociale europeo.Oggi (23 ottobre) è arrivata anche l’approvazione, da parte della Commissione, delle agende di riforme nazionali da cui dipende l’esborso dei 6 miliardi di euro del Piano per la crescita dei Balcani occidentali elaborato da Bruxelles per stimolare l’economia e promuovere la convergenza dei sei partner dell’area (Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del nord, Montenegro e Serbia), come promesso lo scorso 14 ottobre al summit di Berlino dalla stessa von der Leyen.Rama ha ribadito di fronte ai giornalisti l’impegno del suo Paese verso l’ingresso nel club a dodici stelle: “Noi albanesi siamo divisi su quasi ogni argomento”, ha detto di fronte ai giornalisti, “ma c’è solo una cosa che gli albanesi non mettono mai in discussione, ed è che il nostro posto è nell’Unione europea e che il futuro dei nostri figli va costruito nell’Unione europea”. Al suo fianco, von der Leyen ha assicurato che “l’allargamento rimarrà una massima priorità” nel suo secondo mandato alla guida dell’esecutivo comunitario.La presidente della Commissione è tornata sul Piano per la crescita, annunciando che l’Ue dovrebbe inviare a Tirana i primi 64 milioni entro la fine dell’anno su un totale di 920 milioni previsti per l’Albania. Von der Leyen ha inoltre ricordato come il Paese abbia già ricevuto da Bruxelles 1,4 miliardi nel quadro del Piano di investimenti per i Balcani occidentali, che serve tra le altre cose a incentivare lo sviluppo economico della regione in linea con gli obiettivi climatici dell’Ue. Il terzo punto toccato dalla leader tedesca è stato l’inaugurazione della nuova sede del College of Europe nella capitale albanese, mentre sulla questione bollente dei centri di rimpatrio italiani in Albania (una “soluzione innovativa” per il futuro della politica migratoria targata Ue su cui lei stessa si è espressa favorevolmente solo la settimana scorsa) si è limitata a osservare che trattandosi di un accordo bilaterale “non lo commenteremo, ma ne monitoreremo lo sviluppo”.Von der Leyen incontrerà domani (24 ottobre) il presidente albanese Bajram Begaj e partirà poi alla volta di Skopje, dove avrà colloqui con il premier nord-macedone Hristijan Mickoski e la presidente Gordana Siljanovska-Davkova. Si recherà quindi in Bosnia-Erzegovina, dove visiterà Jablanica, un’area colpita dalle recenti alluvioni, mentre venerdì (25 ottobre) incontrerà a Sarajevo la premier Borjana Krišto e la presidenza tripartita del Paese (composta da Denis Bećirović, Željka Cvijanović e Željko Komšić). A Belgrado, lo stesso giorno, von der Leyen incontrerà il presidente serbo Aleksander Vučić e il premier Miloš Vučević, per spostarsi sabato (26 ottobre) a Pristina per incontrare la presidente kosovara Vjosa Osmani e il primo ministro Albin Kurti. Terminerà infine il suo tour a Podgorica insieme al presidente montenegrino Jakov Milatović e il premier Milojko Spajić.

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    Tra cessate il fuoco e l’embargo sulle armi a Israele, il Libano infiamma gli eurodeputati italiani

    Bruxelles – Il Libano continua a far preoccupare in Unione Europea. Dopo le conclusioni del Consiglio dell’Ue della scorsa settimana, con ferma condanna degli attacchi israeliani alla missione Unifil e la reiterata richiesta di cessate il fuoco, la palla passa alla plenaria dell’Europarlamento.“Il Consiglio europeo ha ricordato la necessità di assicurare che i civili siano protetti in ogni momento, che le infrastrutture civili non siano prese di mira e che il diritto internazionale sia rispettato”, ha dichiarato in plenaria il Commissario per la gestione delle crisi, Janez Lenarcic, aggiungendo: “I recenti incidenti che hanno colpito la popolazione civile e Unifil rendono ancora più urgente il cessate il fuoco“. Lenarcic ha ricordato l’impegno europeo nella zona, che comprende la richiesta di attivazione del Meccanismo di protezione civile Ue e il rilascio di 10 milioni di euro per i civili colpiti dall’escalation nell’area.“È ora di avviare un’iniziativa europea per la pace con un impegno diretto e di altissimo livello: rilascio immediato degli ostaggi israeliani, cessate il fuoco a Gaza e in Libano a tutela di tutte le popolazioni, per riaprire un processo diplomatico e costruire una soluzione politica, unica garanzia per una pace duratura”, è il commento di Nicola Zingaretti, eurodeputato di S&d, capo delegazione del Pd. L’escalation in Medio Oriente, per Zingaretti, è un atto che “minaccia le stesse fondamenta, anche giuridiche, dell’attuale sistema internazionale”.“Pretendiamo da tutti il rispetto delle truppe Unifil“, dice Carlo Fidanza di Ecr. La condanna agli attacchi alle truppe Onu è chiara, come anche il supporto alla richiesta di cessate il fuoco per ridurre la tensione nell’area. Da Ecr, arriva una stoccata sulla migrazione, tema tanto caro alla destra italiana e tanto discusso negli ultimi giorni in Ue. “L’Ue deve farsi carico della situazione drammatica non soltanto degli sfollati interni al Libano, ma anche dei rifugiati siriani, ai quali dobbiamo assicurare un pronto e sicuro ritorno in Siria, per scongiurare una nuova ondata di immigrazione”, che, per Fidanza, l’Ue allo stato di cose attuali non potrebbe gestire.Sempre da Ecr, arriva il commento di Giovanni Crosetto: “Gli attacchi alle basi Onu preconfigurano violazioni del diritto internazionale”. L’eurodeputato ribadisce il fermo supporto al “diritto di esistere” di Israele e la condanna al terrorismo islamico, dovendo al contempo garantire ad Unifil di poter “esercitare deterrenza” per permettere all’Onu di non perdere la propria credibilità. Posizione difficile da articolare per la destra italiana, che si deve barcamenare tra il supporto a Israele e quello ad Unifil, mentre il primo deliberatamente attacca i caschi blu dell’Onu.La diplomazia e il ruolo dell’Ue come potenziale forza stabilizzatrice in Medio Oriente sono al centro della visione del gruppo dei popolari. Il diritto alla difesa di Israele deve essere bilanciato rispetto al diritto internazionale, per l’europarlamentare di Ppe Salvatore De Meo. “La scomparsa del capo di Hamas (n.d.r., Yahya Sinwar, ucciso pochi giorni fa) rappresenta un’opportunità per spingere per il cessate il fuoco”, dice De Meo, che ribadisce l’importanza di “una soluzione a lungo termine”, cioè quella dei due stati.Una critica forte alla maggioranza dell’Europarlamento arriva dalla Sinistra. L’europarlamentare Danilo Della Valle chiede in plenaria: “Cosa deve accadere ancora prima che l’Unione Europea decida chiaramente di smettere il velo dell’ipocrisia e dei doppi standard?“.“L’Unione Europea deve approvare l’embargo di armi ad Israele e deve sostenere la Corte di giustizia internazionale”, dice Della Valle, che richiama l’attenzione sull’assenza di una risoluzione che apertamente si schieri contro il governo Netanyahu.  La critica all’ambiguità delle posizioni Ue nei confronti di Israele è una linea netta per il gruppo della Sinistra. In altri interventi, è emersa la perplessità che aleggia attorno agli stretti rapporti commerciali Ue-Israele, che si uniscono all’assenza di azioni (si legga, condanne e prese di posizione nette) da parte di Bruxelles.Discussione impegnativa alla plenaria, che il Commissario Lenarcic chiude facendo dei chiarimenti. Respinta qualsiasi illazione sul finanziamento dell’Unione ad Hamas, che Lenarcic definisce “un’accusa molto grossolana”. E in modo altrettanto secco arriva la risposta sull’intervento della Commissione riguardo all’embargo di armi a Israele: “La cooperazione militare tra gli Stati membri e gli stati terzi non rientra nelle competenze dell’Unione“. In sostanza, la questione va risolta a livello nazionale.Molti europarlamentari soffrono la posizione soft dell’Unione Europea. Lascia con l’amaro in bocca la domanda di Lynn Boylan della Sinistra: “Come siamo arrivati al punto in cui bruciare vivi i pazienti nei loro letti d’ospedale non è una linea rossa per l’Ue? Dov’è la bussola morale dell’Ue?”. Ancora più amara, è la constatazione della compiacenza europea, che ha chiuso un occhio (anche due) sulle violazioni dei diritti umani in Medio Oriente per più di un anno e si è scossa dal torpore ora, proprio quando Netanyahu ha dimostrato di non temere nemmeno l’Onu.

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    Allargamento, il Cese: “L’integrazione sia graduale, coinvolgendo la società civile”

    Bruxelles – L’allargamento è un “investimento strategico” per l’Unione, ma la “precondizione” perché funzioni è coinvolgere la società civile. A dirlo è Oliver Röpke, presidente del Comitato economico e sociale europeo (Cese), l’organo consultivo dell’Ue in cui sono rappresentati gli interessi delle organizzazioni dei lavoratori, dei datori di lavoro, del terzo settore e, in generale, le istanze delle organizzazioni della società civile. L’austriaco, che guida il Comitato dall’anno scorso, insiste perché l’integrazione dei Paesi candidati sia “graduale”, permettendo loro di partecipare già prima del loro ingresso formale alla vita comunitaria.La società civile al centroAd un incontro con la stampa martedì (22 ottobre), Röpke ha spiegato l’approccio che la sua istituzione sta seguendo in materia di allargamento, un tema destinato ad assumere un’importanza centrale nei prossimi anni, a partire dal ciclo istituzionale che si è aperto con le europee dello scorso giugno. “Vediamo l’allargamento come un investimento strategico” e una “storia di successo”, ha dichiarato ai giornalisti, specificando che “la precondizione” per realizzarlo correttamente è quella di “avere un coinvolgimento della società civile e dei partner sociali” che sia il più strutturata possibile.“I problemi reali”, ha sottolineato il presidente del Cese, sono da individuarsi nelle “strutture” democratiche dei Paesi candidati: ad esempio quelle “per tutelare lo Stato di diritto, per proteggere lo spazio civico e per avere un robusto dialogo” tra le parti sociali che porti, tra le altre cose, ad una contrattazione collettiva soddisfacente. Dovremmo cioè “cominciare a rafforzare queste strutture nei Paesi candidati già ora”, anche se il loro ingresso nell’Unione avverrà in un secondo momento.L’integrazione graduale dei Paesi candidatiLa soluzione, per Röpke, è quella che ha definito “integrazione graduale”: permettere cioè ai Paesi cui Bruxelles riconosce lo status di candidati di partecipare, in qualità di osservatori, al funzionamento dell’Unione, come avviene già ad esempio con le riunioni informali del Consiglio. Il contributo del Cese a questo movimento di progressiva inclusione si è concretizzato nel progetto pilota ribattezzato Enlargement candidate members (Ecm), tramite cui il Comitato ha coinvolto 146 rappresentanti della società civile dei Paesi candidati nelle proprie attività per contribuire alla stesura di una dozzina di opinioni riguardanti tra le altre cose la politica di coesione, il mercato unico, la sostenibilità, il settore agrifood e lo Stato di diritto. Un’iniziativa che dovrebbe concludersi a fine anno ma che è piaciuta molto ai diretti interessati, come sottolineato dal premier albanese Edi Rama secondo cui questo modello andrebbe esteso anche all’Eurocamera, e che Röpke si è impegnato a trasformare da estemporanea a permanente.Del resto, si tratta della medesima strada indicata dalla presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, nelle lettere d’incarico inviate ai commissari designati: lì “viene menzionato esplicitamente che ogni commissario deve promuovere l’integrazione graduale dei Paesi candidati”, ha sottolineato Röpke, il che coincide appunto con una delle richieste principali del Cese “per vedere cosa ogni istituzione può fare per integrare passo dopo passo gli Stati candidati già prima l’adesione completa all’Ue”.I progressi verso l’adesioneDiverse cancellerie tra le nove in questione (Albania, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Macedonia del nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia ed Ucraina) vorrebbero centrare l’obiettivo dell’adesione entro la fine del decennio, ma bisognerà vedere come procederà il loro percorso. Per ora, Röpke ha registrato “non solo il supporto dei partner sociali e della società civile ma anche una grande volontà da parte almeno di alcuni governi di impegnarsi” per “migliorare le proprie strutture” al fine di “soddisfare i criteri” per entrare nel club europeo. Alcuni dei progressi migliori, secondo il presidente del Cese, si sono visti in Albania e in Macedonia del nord (anche se il cammino di Tirana e Skopje verso Bruxelles è stato recentemente spacchettato), mentre ci sono stretti contatti con governo e società civile serbi e con la società civile georgiana.Quanto alla Moldova, un grosso problema – soprattutto in alcune regioni, come la Gagauzia – è la pervasività della disinformazione russa, che è quasi riuscita a far vincere il “no” al referendum popolare celebratosi domenica scorsa che interrogava i cittadini sull’opportunità di includere l’obiettivo dell’adesione all’Ue nella Costituzione nazionale. Alla fine, ha prevalso il fronte del “sì”, il che secondo il capo del Comitato è un “risultato notevole” dati i pronostici, ma nel Paese balcanico c’è “ancora molto da fare” per consolidare le strutture democratiche di cui si parlava.L’incontro di stamattina è servito tra le altre cose a Röpke per presentare alla stampa il Forum di alto livello sull’allargamento che si terrà il prossimo 24 ottobre a Bruxelles sotto il patrocinio del Cese (che sarà in sessione plenaria il 23 e 24 ottobre) e della Commissione, in cui verranno discussi con una serie di politici (sia dei Paesi candidati che degli Stati membri), accademici e rappresentanti della società civile i temi sociali che saranno al centro della prossima stagione di espansione del club europeo. A sua volta, questo evento anticiperà la pubblicazione, da parte dell’esecutivo Ue, del rapporto annuale sull’allargamento (anche noto come enlargement package), che quest’anno cadrà il prossimo 31 ottobre.

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    Il doppio voto in Moldova avvicina Chisinau all’Europa

    Bruxelles – Per il rotto della cuffia i cittadini moldavi hanno deciso che il futuro del loro Paese è quello di entrare nell’Unione europea. Il “sì” al referendum popolare sull’adesione è passato in testa lunedì mattina (21 ottobre), il giorno dopo la chiusura delle urne, e pare che la volata sia stata tirata dai residenti all’estero. Ma domenica si è votato anche per le presidenziali: la presidente uscente Maia Sandu, un’europeista che ha ripetutamente denunciato ingerenze russe nel processo democratico nazionale, è in vantaggio, ma dovrà andare al ballottaggio tra due settimane.Chisinau verso BruxellesSembrava fosse già l’ora di intonare il de profundis delle ambizioni europee della Moldova, con il fronte contrario all’ingresso nell’Ue del piccolo Paese esteuropeo sembrava in netto vantaggio fino alle prime ore di lunedì. Ma all’ultimo miglio dello scrutinio si è registrato il sorpasso, spinto dal voto della diaspora che è stato conteggiato solo alla fine e a quello della Capitale Chisinau, arrivato all’alba di oggi. Per tutta la notte tra domenica e lunedì era rimasto saldamente in testa (con una percentuale che oscillava tra il 55 e il 57) il “no” al referendum, ma poi la situazione si è ribaltata – almeno stando ai dati preliminari forniti dalla commissione elettorale centrale.Il distacco tra i due schieramenti corre sulla lama di un rasoio, ma sarebbe sufficiente a far vincere il fronte europeista: 50,39 contro 49,61 per cento con oltre il 99 per cento dei voti scrutinati. Lo scarto sarebbe di poche migliaia di voti, poco più di 11mila su una popolazione totale da 2 milioni e mezzo di abitanti. L’affluenza è stata ampiamente superiore alla soglia necessaria ai fini della validità del referendum (33,3 per cento), con oltre la metà degli aventi diritto (51,68 per cento) che si sono recati alle urne.Nel quesito referendario si chiedeva ai cittadini se inserire nella carta fondamentale l’impegno dell’ex repubblica sovietica verso l’integrazione nel club europeo. Nello specifico, il preambolo della Costituzione dovrebbe ora venire arricchito da due nuovi paragrafi per “riconfermare l’identità europea del popolo della Repubblica di Moldova e l’irreversibilità del percorso europeo” e per “dichiarare l’integrazione nell’Unione Europea un obiettivo strategico della Repubblica di Moldova”.Ombre russeSecondo molti osservatori, il successo del fronte anti-Ue sarebbe dovuto anche ad una pesante campagna di interferenza orchestrata da Mosca, che ha tutto l’interesse a tenere la Moldova lontana da Bruxelles. Quando il “no” al referendum era ancora in vantaggio, Sandu ha accusato “gruppi criminali” legati al Cremlino di aver interferito con il voto, per impedire all’ex repubblica sovietica di abbandonare l’orbita russa. “Abbiamo prove chiare che questi gruppi criminali hanno tentato di comprare 300mila voti”, ha dichiarato, con l’obiettivo “di minare un processo democratico” e di “diffondere paura e panico nella società”.Da Bruxelles le ha fatto eco il portavoce per gli Affari esteri dell’esecutivo comunitario, Peter Stano: “Abbiamo notato che questa votazione si è svolta sotto un’interferenza e un’intimidazione senza precedenti da parte della Russia” e di altri attori riconducibili alla Federazione, ha dichiarato durante una conferenza stampa, “con l’obiettivo di destabilizzare i processi democratici nella Repubblica di Moldova”. Del resto, non si tratta certo di un fulmine a ciel sereno. “Questa interferenza straniera e manipolazione delle informazioni” da parte del Cremlino “ha molti volti, e sta accadendo in molte forme non solo pochi giorni prima del voto”, ha aggiunto Stano, parlando di “uno sforzo a lungo termine” che è finito nel mirino della Commissione “molto tempo fa”.Le autorità moldave avevano già smantellato un massiccio schema di compravendita di voti a inizio mese, che avevano ricondotto alle ingerenze dell’oligarca Ilan Shor, vicino a Mosca e attualmente residente in Russia. La settimana scorsa, hanno sventato un altro complotto in cui erano coinvolti oltre un centinaio di giovani che avrebbero ricevuto un addestramento da parte di gruppi militari privati russi su come creare disordini in occasione del doppio voto di domenica scorsa.Le aspirazioni europee della leadership in caricaUn’ex repubblica sovietica, la Moldova è guidata dal 2021 da un governo filo-occidentale e dalla presidente pro-Ue Maia Sandu eletta l’anno precedente.Esecutivo e capo dello Stato stanno cercando di sganciare la nazione balcanica da quella che il presidente russo Vladimir Putin continua a considerare la “sfera d’influenza” della Federazione. Da decenni Chisinau è alle prese con i separatisti della Transnistria, un lembo di terra al confine con l’Ucraina che si è autoproclamata indipendente nel 1990 e continua a sfidare la sovranità e l’integrità territoriale moldave grazie all’appoggio della Russia.Nel marzo 2022 la Moldova ha fatto domanda per entrare in Ue insieme all’Ucraina ed ha ottenuto lo status di Paese candidato nel giugno di quello stesso anno, sempre in tandem con Kiev. Lo scorso dicembre, il Consiglio europeo ha dato il via libera per avviare formalmente i negoziati di adesione, una decisione concretizzatasi a giugno di quest’anno con la prima conferenza intergovernativa.Ballottaggio presidenzialeMa l’appuntamento elettorale di domenica era doppio. Oltre ad esprimersi sul futuro europeo di Chisinau, i moldavi erano anche chiamati a scegliere il nuovo capo dello Stato, che si dovrà insediare alla scadenza del mandato della presidente uscente, la 52enne Sandu (il prossimo dicembre).L’attuale presidente (la prima donna a ricoprire tale incarico, già prima ministra per qualche mese nel 2019) ha ottenuto il 42,31 per cento dei consensi a scrutinio quasi completo, che la posizionano saldamente in testa ma non le hanno permesso di centrare il bis al primo turno. Ora dovrà sfidare il candidato filorusso Alexandr Stoianoglo (che ha preso il 26,09 per cento) al ballottaggio in calendario per il 3 novembre.