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    Mar Rosso, la missione Aspides ha respinto 11 attacchi in meno di due mesi. L’Ue punta ad “aumentarne le capacità”

    Bruxelles – Una media di quasi due attacchi sventati alla settimana. Dal 19 febbraio – giorno del lancio di Aspides – a oggi, la missione navale europea nel Mar Rosso ha respinto undici volte le offensive delle milizie yemenite filo-iraniane degli Houthi. Finora, le 4 fregate dispiegate nell’area hanno scortato 68 navi mercantili lungo l’arteria commerciale che collega il Mediterraneo all’Oceano Indiano. Tutte le richieste di protezione sono state raccolte, ma “se il numero aumenta, dovranno crescere anche i nostri asset presenti nell’area“, avvertono i vertici dell’operazione.Dalla capitale Ue, l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell, e il comandante strategico di Aspides, il contrammiraglio Vasileos Gryparis, hanno tirato le prime somme della missione a guida greco-italiana a salvaguardia delle compagnie di navigazione e del commercio internazionale. Messo a repentaglio dagli Houthi, che in risposta allo scoppio del conflitto a Gaza hanno dichiarato guerra a tutte le navi mercantili che si dirigono verso Israele.L’Alto rappresentante Ue Josep Borrell con il contrammiraglio Vasileios Gryparis, 8/04/24 (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Le azioni militari del gruppo sciita che governa parte dello Yemen hanno costretto molte navi a circumnavigare l’Africa e doppiare il Capo di Buona Speranza per raggiungere l’Oriente, rendendo i viaggi per l’Oriente più lunghi di quasi due settimane. “Il costo di un container dalla Cina all’Europa è raddoppiato. L’assicurazione sulle spedizioni è aumentata del 60 per cento”, ha ricordato Borrell. E così, mentre prima della crisi il 13 per cento del commercio mondiale passava per il Mar Rosso, “oggi solo la metà delle 70 navi al giorno che normalmente utilizzavano il canale di Suez” sceglie ancora quella rotta.In totale, 19 Paesi dell’Ue stanno contribuendo alla missione con personale impiegato nel quartier generale a Larissa, in Grecia, o nell’area delle operazioni, sotto la guida del contrammiraglio della Marina militare italiana, Stefano Costantino. Un’area vastissima, “due volte il territorio dei 27 Stati membri”, ha dichiarato Gryparis. Dal Mar Rosso, passando per il Golfo di Aden, il Mare Arabico, il Mare di Oman e parte dell’Oceano Indiano. “Per andare da un estremo all’altro dell’area ci vogliono dieci giorni, per oltrepassare la zona più rischiosa due giorni”, ha spiegato il contrammiraglio greco. Impossibile per quattro fregate batterla tutta: ecco perché per ora Aspides si è concentrata “nell’area ad alto rischio”, nella parte meridionale del Mar Rosso.Ma intanto, come sottolineato da Borrell, Aspides coopera con altre operazioni già dispiegate sul posto. Le altre missioni Ue Agenor e Atalanta, con cui “collabora strettamente”, ma anche con Prosperity Guardian, la missione statunitense sostenuta anche da alcune capitali Ue. Borrell ha rimarcato ancora una volta il mandato prettamente difensivo di Aspides: “Non è impegnata in alcuna operazione contro gli Houthi a terra”, ha dichiarato, come a voler prendere ancora una volta le distanze dai raid che la coalizione internazionale guidata da Washington aveva lanciato su diverse basi Houthi quest’inverno. Per Borrell la missione Ue è “la prova evidente della nostra volontà e capacità di rafforzare la sicurezza internazionale, un esempio concreto di come l’Ue agisca come fornitore di sicurezza”.Secodo Gryparis c’è già stata una “piccola riduzione degli attacchi”, ma è “ancora presto per dire se Aspides abbia avuto un impatto sulla situazione”. Sicuramente, se le compagnie marittime riprendessero fiducia, aumenterebbero le richieste di protezione. Ecco perché è già stata avviata una riflessione sulla necessità di “aumentare la capacità” dell’operazione, con il contrammiraglio che ha precisato di aver già avanzato “richieste di capacità specifiche” agli Stati membri dell’Ue, in particolare sul “supporto logistico“. A cui Borrell ha aggiunto la volontà di aumentare le capacità mediche, “in caso di necessità”. Per il mandato iniziale di un anno, il Consiglio dell’Ue ha stanziato 8 milioni di euro per coprire i costi comuni della missione.

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    L’Ue sta preparando un Piano di resilienza e crescita per l’Armenia da 270 milioni di euro

    Bruxelles – L’Unione Europea cerca di diventare il partner di fiducia dell’Armenia, per togliere alla Russia anche l’ultimo alleato nella regione caucasica. “Stiamo rispettando la promessa fatta a ottobre di stare a fianco dell’Armenia e di fornire una visione per il nostro partenariato”, ha assicurato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso di un punto stampa con il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della riunione di alto livello di oggi (5 aprile) a Bruxelles.

    Da sinistra: il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken (5 aprile 2024)Un partenariato che “sarà plasmato su un Piano di resilienza e crescita da 270 milioni di euro in sovvenzioni per i prossimi quattro anni“, è l’annuncio di von der Leyen, che ha promesso che l’Unione investirà su “economia e società armena”. A partire dalle piccole e medie imprese, fino a “progetti di infrastrutture-chiave, produzione di rinnovabili in Armenia e migliori interconnessioni con la Georgia”. Come rende noto lo stesso esecutivo Ue, il Piano di resilienza e crescita per l’Armenia sosterrà la diversificazione degli scambi commerciali, rafforzerà la cooperazione settoriale con l’Unione Europea e “contribuirà a soddisfare le esigenze a lungo termine degli sfollati” dal Nagorno-Karabakh. Proprio su questa “priorità” si è soffermata anche la presidente von der Leyen, ricordando che “dallo scorso settembre abbiamo erogato oltre 30 milioni di euro a sostegno dei rifugiati e siamo pronti a fare di più per sostenere l’integrazione a lungo termine”.L’esodo della popolazione di etnia armena verso Yerevan (oltre 100 mila profughi riversatisi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti) è iniziato dopo la presa dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh da parte dell’esercito azero il 20 settembre 2023. Da allora non hanno fatto progressi i contatti tra Bruxelles, Yerevan e Baku per arrivare a quell’accordo di pace generale che il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, dall’Aula di Strasburgo aveva prospettato per fine 2023 se solo il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, avesse deciso di non ostacolare il processo come aveva invece fatto al terzo vertice della Comunità Politica Europea del 5 ottobre in Spagna (quando aveva disertato il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron). La tensione è rimasta sempre alta, fino all’episodio più grave lo scorso 13 febbraio, quando quattro soldati armeni sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con le forze di Baku lungo il confine.Il conflitto tra Armenia e AzerbaigianTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre 2022. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio 2023 è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev.Esplosioni in Nagorno-KarabakhL’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dal 20 febbraio 2023 in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che – per la sproporzione di forze in campo – ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert, con la presa totale del controllo da parte dei soldati di Baku.

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    Gaza, l’Ue prende nota degli annunci di Netanyahu su nuovi corridoi umanitari. “Attuare tutto e in fretta”

    Bruxelles – Ben vengano gli annunci sull’apertura di nuovi corridoi umanitari per la popolazione palestinese a Gaza, ma “occorre attuarli in pieno e rapidamente”. La Commissione europea accoglie con favore le intenzioni del primo ministro israeliano, Benjamin Netahyahu, di aprire il porto di Ashdod e il valico di Erez per consentire il flusso diretto degli aiuti nel nord di Gaza. Ma pretende che non restino parole vuote. Per il momento, dunque, a Bruxelles “si prende nota” delle parole del leader israeliano, ma non ci si limita a quello.Certo, il ruolo dell’Unione europea risulta ridimensionato, visto che l’annuncio di Netanyahu arriva dopo una telefonata con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a riprova di ruolo e peso diversi nella regione e nella gestione della crisi in Medio Oriente.L’esecutivo comunitario coglie comunque l’occasione per tornare a fare pressioni sullo Stato ebraico, rinnovando l’appello a “proteggere i civili innocenti e gli operatori umanitari, in linea con il diritto umanitario internazionale“. Un richiamo che si aggiunge alla condanna per l’uccisione, in un raid condotto dalle forze armate israeliane, di sette operatori della Ong World Central Kitchen. Un episodio che ha probabilmente segnato il punto più basso nelle relazioni tra Israele e i suoi partner.Proprio la prospettiva di nuove vie di aiuti umanitari spiega la Commissione europea a ricordare come e quanto siano fondamentali organizzazione non governative e Nazioni Unite, inclusa l’Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa) che Israele ha rimesso in discussione dopo il sospetto che funzionari abbiano partecipato agli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso. “La Commissione europea continuerà il suo intenso lavoro con i partner regionali e globali, le Nazioni Unite e le ONG partner”, fa sapere l’esecutivo comunitario. Un modo per mandare un messaggio a Tel Aviv.

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    C’è l’accordo tra i co-legislatori Ue sul nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi

    Bruxelles – Il nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali prende sempre più forma e con la legislatura europea agli sgoccioli si indirizza verso la sua conclusione anche l’iter legislativo per la messa a terra dello Strumento che dovrebbe portare all’erogazione di 6 miliardi di euro a supporto delle economie di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia. Il Parlamento e il Consiglio dell’Ue hanno trovato oggi (4 aprile) l’intesa provvisoria sulla proposta della Commissione Europea per lo Strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali, composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 in prestiti agevolati.

    “Accolgo con favore il fatto che questo mandato parlamentare abbia rafforzato l’allargamento, riportandolo in agenda, e questo accordo lo conferma”, ha sottolineato il co-relatore croato per il Parlamento Europeo Tonino Picula (S&D), rimarcando con forza che i negoziati hanno portato all’inclusione tra gli obiettivi-chiave per l’erogazione dei finanziamenti anche “il pieno allineamento alla politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, comprese le misure restrittive“, un segnale “chiaro” per Paesi come la Serbia. A confermare la portata dell’intesa con la presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue anche il collega – anche lui croato – Karlo Ressler (Ppe), che ha messo in evidenza come questo sia “un ulteriore importante strumento che avvicinerà questi Paesi all’Ue” a strettissimo giro dalla “storica apertura dei colloqui di adesione con la Bosnia ed Erzegovina” durante l’ultimo Consiglio Europeo.Anche considerate alcune perplessità evidenziate dalla Corte dei Conti Europea, è stato incluso nel Piano di crescita per i Balcani Occidentali l’approccio ‘prima i fondamentali’, vale a dire il collegamento tra Stato di diritto, lotta alla corruzione e diritti fondamentali con le altre due aree cruciali del processo di adesione Ue: la governance economica e il rafforzamento delle istituzioni democratiche e della riforma della pubblica amministrazione. Inoltre è stata rafforzata la supervisione parlamentare con un dialogo regolare ad alto livello con la Commissione Europea per monitorare i progressi dello Strumento, mentre sul piano della trasparenza i dati aggiornati sui destinatari finali che ricevono finanziamenti superiori a 50 mila euro cumulativamente per un periodo di quattro anni dovranno essere resi disponibili su una pagina web apposita. A questo punto l’intesa provvisoria deve essere solo approvata dalla plenaria del Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Ue, prima dell’entrata in vigore.Cos’è il Piano di crescita per i Balcani OccidentaliIl Piano di crescita per i Balcani Occidentali è stato largamente anticipato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e illustrato ai diretti interessati nel corso del suo ultimo tour autunnale nella regione, prima della presentazione ufficiale lo scorso 8 novembre in parallelo con la pubblicazione del Pacchetto Allargamento Ue 2023. “È qualcosa di eccezionale, sappiamo che il miracolo della prosperità arriva con l’accesso al Mercato unico e stiamo già iniziando questo processo, non stiamo aspettando la decisione finale sull’adesione politica“, aveva rivendicato la numero uno dell’esecutivo comunitario, illustrando i 4 pilastri di un Piano che dovrebbe sia “chiudere il gap economico e sociale” tra Ue e regione balcanica sia permettere “l’integrazione sul campo anche prima che entrino formalmente come Paesi membri”.

    Il primo pilastro è proprio l’integrazione economica nel Mercato unico in sette settori fondamentali, a condizione di un allineamento alle regole Ue e dell’apertura dei settori pertinenti ai Paesi vicini: libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi e dei lavoratori, accesso all’Area unica dei pagamenti in euro (Sepa), facilitazione del trasporto su strada, integrazione e de-carbonizzazione dei mercati energetici, mercato unico digitale e integrazione nelle catene di approvvigionamento industriale. Il secondo pilastro è quello dell’integrazione economica interna attraverso il Mercato regionale comune (basato su regole e standard Ue): Bruxelles stima che solo questo fattore potrebbe potenzialmente aggiungere un 10 per cento alle economie dei Sei balcanici. Il terzo pilastro riguarda le riforme fondamentali, che nel Piano di Bruxelles andranno da una parte a sostenere il percorso dei Balcani Occidentali verso l’adesione Ue e dall’altro sosterranno gli investimenti esteri e il rafforzamento della stabilità regionale.A proposito di investimenti, è qui che si inserisce il quarto pilastro dell’assistenza finanziaria Ue alle riforme per tutti i sei partner. Si tratta nello specifico di un nuovo strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro per il periodo 2024-2027, i cui pagamenti saranno vincolati all’attuazione delle riforme socio-economiche concordate (esattamente come Next Generation Eu per i Ventisette). Con la revisione intermedia del Quadro finanziario pluriennale Ue 2021-2027 è stato dato il via libera allo strumento composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni (finite nel bilancio Ue senza modifiche alla proposta della Commissione) e 4 miliardi in prestiti agevolati, per la cui messa a terra servirà prima che ciascuno dei sei Paesi presenti un’agenda di riforme basata sulle raccomandazioni del Pacchetto Allargamento e dei Programmi di riforma economica (Erp).Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (31 ottobre 2023)Va infine segnalato che per Serbia e Kosovo c’è una clausola supplementare: “Devono impegnarsi in modo costruttivo nel dialogo sulla normalizzazione delle relazioni”, ha specificato la presidente von der Leyen. In altre parole, senza progressi nel dialogo Pristina-Belgrado, rimarranno in stallo – o andranno perduti – i finanziamenti previsti dal Piano. Lo stesso discorso vale per la Bosnia ed Erzegovina in caso di mancata implementazione delle riforme fondamentali: “Le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo, questo è un forte incentivo ad andare avanti in modo attivo”, ha avvertito la numero uno della Commissione nella sua tappa del primo novembre a Sarajevo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il governo della Georgia ci riprova con la legge sugli agenti stranieri. L’Ue vuole il “ritiro incondizionato”

    Bruxelles – Ci risiamo. Nonostante le proteste popolari che avevano già fermato il progetto nel marzo 2023 e nonostante le condizioni previste dallo status di Paese candidato all’adesione Ue concesso quattro mesi fa, il governo della Georgia ci riprova con il controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria prima dello scioglimento del Parlamento in vista della tornata elettorale del prossimo 26 ottobre. E sono già pronte nuove proteste di massa per le strade della capitale Tbilisi, supportate da Bruxelles come un anno fa. “L’Unione Europea ricorda l’impegno pubblico assunto dal governo georgiano e dal partito al governo di ‘ritirare incondizionatamente’ tale legge“, è il monito arrivato oggi (4 aprile) dal portavoce per il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, in risposta all’annuncio del partito al potere Sogno Georgiano: “L’Ue si rammarica del fatto che sia stata nuovamente presa in considerazione nonostante le forti reazioni pubbliche e internazionali” dello scorso anno.

    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro della Georgia, Irakli Kobakhidze (20 febbraio 2024)È stata la stessa leadership di Sogno Georgiano (oggi guidata dall’ex-premier Irakli Garibashvili) a rendere noto nel pomeriggio di ieri (3 aprile) in Parlamento che proverà a fare un altro tentativo per approvare la legge, dopo aver emendato un solo passaggio del progetto di legge: tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovranno registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’ e non come ‘agente di influenza straniera’. Per i gruppi pro-democrazia di opposizione nel Paese e per Bruxelles la sostanza comunque non cambia e si teme ancora un allineamento a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre del 2022. “Creare e mantenere un ambiente favorevole alle organizzazioni della società civile e garantire la libertà dei media è il fulcro della democrazia”, ha messo in chiaro il portavoce del Seae Stano, avvertendo che è anche “fondamentale per il processo di adesione all’Unione Europea“.

    Le proteste dei manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 7 marzo 2023È proprio su questo piano che Bruxelles vuole spingere la questione per far desistere il neo-premier della Georgia, Irakli Kobakhidze, che poco più di un mese fa aveva assicurato all’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che “entro il 2030 la Georgia sarà pronta più di qualsiasi altro Paese candidato per l’adesione”. Proprio lo status di Paese candidato all’adesione Ue concesso il 14 dicembre dello scorso anno dal Consiglio Europeo è condizionato dal “compiere i passi pertinenti” indicati nella raccomandazione della Commissione nel Pacchetto Allargamento 2023, incluse le raccomandazioni sul fatto che “la società civile possa operare liberamente” e sulla “lotta alla disinformazione contro l’Ue e i suoi valori”, ricorda Stano: “La trasparenza non dovrebbe essere usata come strumento per limitare la capacità della società civile di operare liberamente“.Intanto nella capitale Tbilisi si preparano nuove manifestazioni di massa sulla falsariga del 7-8 marzo 2023, quando – dopo l’approvazione della legge in prima lettura da parte del Parlamento – decine di migliaia di cittadini georgiani erano scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea, gridando slogan come Fuck Russian law e tappezzando la città di insulti a Putin. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano aveva ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa, come dimostrano gli eventi di un anno più tardi. “Il cammino europeo della Georgia non può essere fermato, nessuno può ripristinare il passato“, ha attaccato il governo con un post su X la presidente della Repubblica, Salomé Nino Zourabichvili, aggiungendo che “nessuna legge russa, né alcuna altra politica distruttiva, può impedire a una nazione determinata di raggiungere il proprio obiettivo”. Ovvero l’ingresso nell’Unione Europea, come la stessa leader georgiana aveva messo in chiaro dal podio del Parlamento Europeo a Bruxelles lo scorso anno.Il complesso rapporto tra Ue e GeorgiaNonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino). Non solo è evidente la difficoltà a implementare le riforme richieste dal cammino di avvicinamento all’Unione, ma nel corso degli ultimi due anni si sono registrati episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano – il cui fondatore è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Ue che chiede sanzioni personali nei suoi confronti. Per esempio, nel maggio dello scorso anno sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica per una serie di viaggi nell’Unione Europea che che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.

    Le proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)A cavallo della decisione di Bruxelles di giugno 2022 di non concedere ancora alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Prima dello scoppio delle dure proteste popolari nel marzo 2023 – appoggiate da Bruxelles – che almeno fino a oggi hanno portato all’accantonamento del controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’.In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.

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    La Nato sta discutendo di un fondo da 100 miliardi di dollari per cinque anni per sostenere l’Ucraina

    Bruxelles – Ora è la Nato a riflettere sulla possibilità di un fondo per il sostegno dell’Ucraina, anche in ottica di un’eventuale elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Il vertice ministeriale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord di oggi (3 aprile) è ruotato attorno alla proposta del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, di “trasformare il pacchetto di assistenza globale all’Ucraina in un programma di assistenza pluriennale”, che potrebbe toccare i 100 miliardi di dollari per cinque anni. “Dobbiamo renderlo più solido e prevedibile, perché crediamo fermamente che il sostegno all’Ucraina debba dipendere meno dalle offerte volontarie a breve termine e più dagli impegni a lungo termine” dei 32 membri dell’Alleanza Atlantica.

    Il vertice dei 32 ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord a Bruxelles (3 aprile 2024)L’idea di “istituzionalizzare maggiormente” il supporto attuale fornito a Kiev è trapelato nel pomeriggio di ieri (2 aprile) ed è stato confermato questa mattina dal ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, nel suo intervento al Parlamento Europeo, prima di partecipare al vertice Nato: “Esamineremo questa idea, dobbiamo capire bene cosa significa nei contenuti, anche se dobbiamo ricordare che non siamo in guerra con la Russia e non invieremo un solo solato italiano in Ucraina”. Facendo ingresso al quartier generale della Nato, è stato lo stesso segretario generale Stoltenberg a spiegare che “un ruolo più forte dell’Alleanza nel coordinare e fornire supporto è il modo per porre fine a questa guerra, in modo che l’Ucraina prevalga“, specificando solo che l’idea è quella di “garantire una maggiore prevedibilità e fiducia nel fatto che il supporto arriverà ogni mese e ogni anno per un lungo periodo”. In ogni caso “non ci sarà alcuna finalizzazione durante l’incontro di oggi e domani”, ha messo in chiaro Stoltenberg: “Speriamo di procedere verso il consenso e di avere un accordo entro il vertice Nato” in programma a Washington il 9-11 luglio.

    Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg (3 aprile 2024)La proposta del segretario generale Stoltenberg – che dovrebbe prevedere contributi nazionali “in base al prodotto interno lordo dei Paesi membri” dell’Alleanza, ha reso noto la ministra degli Esteri belga, Hadja Lahbib – risponde alle difficoltà sul terreno per l’esercito ucraino, ma anche a una potenziale situazione di crisi del supporto occidentale in futuro. “La situazione sul campo di battaglia è grave, vediamo che la Russia sta spingendo e tenta di vincere questa guerra” grazie al supporto “fondamentale” degli alleati del Cremlino, ha continuato Stoltenberg: “La Cina sostiene l’economia di guerra della Russia, in cambio Mosca sta ipotecando il suo futuro a Pechino”, mentre “Corea del Nord e Iran forniscono ingenti forniture di armi e munizioni e in cambio Pyongyang e Teheran ricevono tecnologie russe che li hanno aiutati a migliorare le capacità missilistiche e nucleari”.

    (credits: Nikolay Doychinov / Afp)Ma se da una parte è necessario “difendere un ordine globale governato dalla legge e non dalla forza”, dall’altro va considerato il rischio del ritorno di Trump alla Casa Bianca e il suo impatto sul sostegno armato all’Ucraina. Considerato il continuo stallo del pacchetto di aiuti militari statunitensi da 60 miliardi di dollari al Congresso per l’opposizione repubblicana, è evidente il timore degli alleati europei di Washington di cosa comporterebbe una nuova amministrazione Trump sul fronte dell’invio di armi a Kiev per la difesa dall’invasione che dura da oltre due anni (oltre ai rischi stessi per la tenuta dei principi fondanti della Nato di fronte alle minacce russe). Ecco perché il vero obiettivo di Stoltenberg – prima di dare l’addio definitivo all’Alleanza Atlantica entro l’autunno – è quello di assicurare il futuro delle relazioni tra la Nato e l’Ucraina, a partire dalla tenuta stessa dell’afflusso degli aiuti militari. Con la proposta del fondo da 100 miliardi di dollari sarebbero i 32 alleati nel loro insieme ad assumere il coordinamento delle forniture di armi a Kiev, che invece al momento è gestito prevalentemente dagli Statu Uniti nel quadro del formato Ramstein.

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    L’Ue critica Israele: “Spaventoso l’attacco su operatori umanitari”

    Bruxelles – Niente scuse, Israele deve rispettare il diritto internazionale ed evitare incidenti come quelli avvenuti a danno dei sette operatori dell’ong americana World Central Kitchen, rimasti uccisi da raid israeliani mentre stavano distribuendo beni di prima necessità. L’Unione europea non ci sta, e la reazione di condanna e di presa di distanza arriva da più parti. Per la Commissione Ue a parlare sono l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per le Crisi, Janez Lenarcic. Quanto avvenuto “è spaventoso”, sostengono in una nota congiunta. Qui richiamano lo Stato ebraico all’ordine, che è giuridico e internazionale.La risoluzione 2728 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha richiesto “un cessate il fuoco immediato che porti a un cessate il fuoco sostenibile e duraturo”, ricordano i due membri del Collegio dei commissari. “Anche la Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha ordinato misure provvisorie vincolanti per le parti. L’Ue si aspetta la loro piena, immediata ed efficace attuazione“. Quindi il pro-memoria, che suona da accusa implicita di violazione di regole valide per tutti. “Ricordiamo l’obbligo israeliano, ai sensi del diritto internazionale umanitario, di proteggere gli operatori umanitari in ogni momento“. Cosa che non sta avvenendo, visto che, accusano Borrell e Lenarcic, “un elevato numero di operatori umanitari ha perso la vita dall’inizio della guerra a Gaza“.Non diversa nei toni e nelle esortazioni la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. “Siamo inorriditi per la morte degli operatori umanitari” a Gaza, riconosce pubblicamente. E, sempre pubblicamente, “a nome del Parlamento ho chiesto un’indagine imparziale sulla morte degli operatori umanitari”. Una richiesta che fa il paio con quella avanzata dall’esecutivo comunitario, che l’indagine la pretende “approfondita” così da fare piena luce sull’accaduto.

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    Israele, bombe sugli operatori umanitari e sul consolato iraniano a Damasco: il giorno in cui (forse) il mondo ha perso la pazienza

    Bruxelles – Nell’arco di ventiquattro ore, due decisioni fatali che aumentano la distanza tra Tel Aviv e l’Occidente. Le reazioni all’uccisione dei sette operatori dell’ong americana World Central Kitchen e all’attacco al consolato iraniano a Damasco sono forti. Tanto che anche Netanyahu promette che “verificherà fino in fondo i fatti”.Le vittime del raid israeliano all’ospedale Al-Aqsa, durante la distribuzione degli aiuti arrivati con difficoltà via mare da Cipro, non sono i primi cooperanti che perdono la vita nell’enclave palestinese. Anzi, secondo l’alto funzionario delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari a Gaza, Jamie McGoldrick, “almeno 196 operatori umanitari sono stati uccisi” dal 7 ottobre 2023 al 20 marzo. Ma questa volta di mezzo c’è una richiesta vincolante del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per un cessate il fuoco immediato che sta rimanendo inascoltata. E c’è la nazionalità di almeno tre delle vittime: i passaporti trovati appartengono a Gran Bretagna, Australia e Polonia.

    La vettura dell’ong World Central Kitchen colpita dai bombardamenti israeliani (Photo by AFP)La Commissione europea ha chiesto “un’indagine approfondita” sulla vicenda. “Gli operatori umanitari devono essere sempre protetti, in linea con il diritto umanitario internazionale”, ha scritto l’esecutivo Ue su X. Dai leader Ue il solito pattern: Ursula von der Leyen si limita a “rendere omaggio” agli operatori uccisi, Charles Michel sostiene che “è necessario già da molto tempo fermare il massacro di civili innocenti e di operatori umanitari”, Josep Borrell “condanna l’attacco e sollecita un’indagine”. Nel frattempo il governo britannico ha convocato l’ambasciatore israeliano a Londra e il segretario di Stato a stelle e strisce, Antony Blinken, ha chiesto un’indagine “rapida e imparziale”.Se sull’accaduto Netanyahu si è giustificato affermando che “può succedere in guerra”, come se fosse frutto di un errore – anche se da tempo l’Unrwa denuncia di essere bersaglio di bombardamenti israeliani nonostante condivida in anticipo le coordinate dei luoghi scelti per la distribuzione degli aiuti -, lo stesso non può dire sulla decisione di attaccare e distruggere il consolato iraniano a Damasco, in Siria. In spregio alle più antiche regole del diritto internazionale, che sanciscono l’inviolabilità dei siti diplomatici e consolari.

    I resti del palazzo del consolato iraniano a Damasco (Photo by Louai Beshara / AFP)Secondo la Repubblica islamica, il bilancio dell’attacco è di 13 morti, tra cui sette membri delle Guardie della Rivoluzione. L’Iran ha già promesso che Israele sarà “punito” e ha attribuito la responsabilità anche agli Stati Uniti. L’attacco alla sede diplomatica di una potenza imprevedibile come l’Iran rischia di provocare un pericoloso allargamento del conflitto: il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha chiesto “a tutte le parti interessate di esercitare la massima moderazione e di evitare un’ulteriore escalation”, ammonendo sul fatto che “qualsiasi errore di calcolo potrebbe portare a un conflitto più ampio in una regione già instabile, con conseguenze devastanti per i civili che già assistono a sofferenze senza precedenti”.Incurante del rischio, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato al Parlamento ebraico che Israele “lavora ovunque per impedire il rafforzamento dei nostri nemici”. Mentre sulla morte dei sette di World Central Kitchen, che ha causato inoltre la sospensione degli impegni da parte dell’ong, in una nota diffusa da Tel Aviv ha fatto riferimento alla “tragica natura dell’incidente” e ha sottolineato l’importanza di “condurre un’indagine approfondita e professionale”.Sullo sfondo, proseguono le trattative per in Egitto per un cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Ma le due parti restano lontanissime. A una settimana dalla fine del Ramadan, non resta più nulla della soddisfazione espressa il 25 marzo per la risoluzione con cui l’Onu chiedeva la fine delle ostilità almeno fino alla fine del mese sacro per l’Islam. Ma la consapevolezza che né Israele né Hamas intendono ascoltare gli ordini vincolanti della comunità internazionale.