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    L’Ue cerca (ancora) di distendere la tensione tra Armenia e Azerbaigian. Ma è scambio di accuse sul Nagorno-Karabakh

    Bruxelles – L’Unione Europea ci riprova, per la seconda volta in due mesi. Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha convocato sabato (15 luglio) il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, per un nuovo round di negoziati di alto livello tra i due Paesi da anni in conflitto, a bassa o alta intensità. “Il nostro è stato l’ultimo di una serie di intensi e produttivi incontri che hanno coinvolto i leader dell’Armenia e dell’Azerbaigian, i vice-premier e i ministri degli Esteri dall’inizio di maggio a Bruxelles, Chișinău, Washington, Mosca e sul confine bilaterale“, ha reso noto al termine del confronto lo stesso leader del Consiglio, facendo riferimento all’intensificazione degli sforzi diplomatici multilaterali che hanno ormai l’Unione come motore propulsore.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan (15 luglio 2023)
    Dopo la ripresa delle discussioni tra il premier azero e il presidente azero a Bruxelles lo scorso 14 maggio, l’obiettivo dei negoziatori Ue ora è quello di mantenere salda la presa sulle due parti, nonostante l’assenza di reali passi avanti e una retorica che rimane incendiaria. “Stiamo attraversando una delle fasi più complete e vigorose dei negoziati tra Armenia e Azerbaigian“, ha voluto ribadire Michel, riconoscendo però che l’incontro “si è svolto nel contesto di un preoccupante aumento delle tensioni sul terreno”. La dimostrazione è arrivata dalle accuse del ministro degli Esteri azero, Jeyhun Bayramov, all’indirizzo di Yerevan di non aver rispettato “molte disposizioni” del cessate il fuoco del 2020 e contro la Russia – tradizionale mediatrice nella guerra che prosegue tra alti e bassi dal 1992 – per non aver garantito la “piena attuazione della dichiarazione nell’ambito dei suoi obblighi”.
    È dal 1992 che si protrae in quest’area del Caucaso meridionale un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. È per questo tra le questioni più complesse c’è la questione dell’integrità territoriale – “il territorio dell’Armenia copre 29.800 chilometri quadrati e quello dell’Azerbaigian 86.600”, ha ricordato Michel – e della delimitazione dei confini, con la volontà di “intensificare e accelerare il lavoro delle due commissioni di confine” dopo la riunione di mercoledì scorso (12 luglio): “Le discussioni sulle basi della delimitazione sono avanzate”. Preoccupa da mesi la situazione della popolazione che abita l’enclave cristiana del Nagorno-Karabakh nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) e più nello specifico lo stato “chiaramente non sostenibile” nell’area attorno al corridoio di Lachin: “Ho sottolineato la necessità di aprire la strada e ho preso atto della disponibilità dell’Azerbaigian di fornire aiuti umanitari attraverso Aghdam”. Il presidente del Consiglio Ue ha fatto poi sapere dell’intenzione di convocare una nuova riunione di alto livello a Bruxelles “dopo l’estate” e un nuovo un incontro a cinque – “con la partecipazione anche dei leader di Francia e Germania” – a margine del prossimo vertice della Comunità Politica Europea in programma il 5 ottobre a Granada.
    La mediazione Ue tra Armenia e Azerbaigian
    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio dello scorso anno il presidente Michel ha cercato di rendere sempre più frequenti i contatti diretti con il leader azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan. La priorità dei colloqui di alto livello è sempre stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, sul terreno non si è mai allentata la tensione. Nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale (attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati) il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Da 154 giorni su questa strada sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile, e gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la risposta secca dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh devono essere sempre garantiti”.

    Secondo vertice in due mesi voluto dal numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, con il presidente azero, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan. Sul tavolo le discussioni su confini e corridoio di Lachin, sullo sfondo di una retorica che non agevola i colloqui di pace

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    Semiconduttori, energie pulite e abolizione delle restrizioni ai prodotti alimentari da Fukushima al vertice Ue-Giappone

    Bruxelles – Una riunione di alto livello per approfondire una cooperazione sempre più stretta tra due alleati distanti geograficamente ma vicinissimi sul piano strategico. Il 29° vertice Ue-Giappone è stato un’occasione per i leader dell’Unione e del Paese asiatico per mettere in fila le priorità del partenariato, dalle materie prime critiche all’Alleanza verde, dai semiconduttori alle tecnologie per l’energia pulita, fino all’eliminazione delle restrizioni europee sulle importazioni alimentari dopo l’indicente nucleare di Fukushima.
    Da sinistra: il primo ministro del Giappone, Fumio Kishida, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (13 luglio 2023)
    “La cooperazione Ue-Giappone è più forte e positiva che mai, Tokyo è uno degli alleati più stretti nell’area dell’Indo-pacifico e oggi abbiamo concordato di lavorare per garantire più sicurezza e di lavorare per generare più opportunità per le nostre imprese”, ha aperto la conferenza stampa post-vertice il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Parole confermate dalla numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “È stato un ottimo summit con risultati tangibili, siamo più vicini che mai”. In primis sul piano del digitale e della tecnologia d’avanguardia, considerato il lavoro del partenariato digitale Ue-Giappone: “Accelereremo la nostra cooperazione sulla trasformazione digitale“, con attenzione particolare sulle “infrastrutture di comunicazione aperte, sicure, innovative e resilienti” e la “mitigazione dei rischi e la governance dell’intelligenza artificiale”, si legge nella dichiarazione congiunta del vertice. La presidente della Commissione ha anche ricordato gli “ottimi progressi sulla connettività, che stanno portando a risultati significativi”, come per esempio il cavo sottomarino artico di 14 mila chilometri che permetterà di bypassare la Russia e il Canale di Suez.
    Al fianco dell’agenda digitale c’è l’Alleanza verde che sta spingendo il lavoro congiunto sulla transizione climatica ed energetica. Gli obiettivi  sono stati definiti al vertice Ue-Giappone dello scorso anno e adesso è il momento della messa a terra degli impegni, come dimostrato dal Memorandum di cooperazione sull’idrogeno firmato nel dicembre 2022. “Intensificheremo la cooperazione in settori quali le tecnologie di rete, l’efficienza energetica, l’idrogeno a basse emissioni di carbonio e rinnovabile, l’eolico off-shore e tecnologie di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio“, hanno messo in chiaro i tre leader nella dichiarazione congiunta, che specifica anche un lavoro ad hoc sulle catene di approvvigionamento, l’uso e il riciclaggio sostenibile delle batterie. “Siamo motori della protezione del pianeta“, ha rivendicato Michel, mentre von der Leyen ha ricordato anche il lavoro dei due partner “in tutto il mondo con il Global Gateway e le iniziative da parte giapponese”, come i progetti idroelettrici in Vietnam “per liberare la regione dal carbone”.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il primo ministro del Giappone, Fumio Kishida, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (13 luglio 2023)
    Per la transizione energetica sono però vitali le materie prime critiche e i semiconduttori, su cui “mostriamo dipendenze simili“, ha sottolineato la numero uno della Commissione: “Abbiamo bisogno di de-risking sulla catena di approvvigionamento soprattutto dalla Cina per prodotti che sono vitali per le nostre economie, come per esempio le materie prime critiche”. Ecco perché è cruciale non solo il dialogo bilaterale sull’economia Ue-Giappone, ma anche il rafforzamento della cooperazione ad hoc su materie prime e semiconduttori. “L’accordo rappresenta un’opportunità per approfondire la cooperazione su questioni essenziali per la transizione verde e digitale delle nostre industrie“, si legge nel testo finale del vertice a proposito della collaborazione sulle materie prime, che “consentirà di condividere informazioni e approfondire le rispettive conoscenze in materia di gestione dei rischi della catena di approvvigionamento, innovazione, riciclaggio e circolarità”. Sui semiconduttori è invece in atto una “cooperazione approfondita su un meccanismo di allerta precoce” in caso di carenze, grazie al memorandum di cooperazione Ue-Giappone siglato il 12 maggio 2022 a Tokyo.
    Il commercio alimentare Ue-Giappone ristabilito
    A margine del vertice Ue-Giappone è arrivata anche una notizia particolarmente attesa da Tokyo, ovvero l’eliminazione delle restrizioni europee all’importazione di prodotti alimentari a seguito dell’incidente nucleare di Fukushima. “Permetterà la ripresa dei territori colpiti dal disastro”, ha spiegato in conferenza stampa il primo ministro giapponese, Fumio Kishida. La revoca delle misure “deriva dai risultati positivi dei controlli effettuati sui prodotti dalle autorità giapponesi e dagli Stati membri”, si legge nella nota dell’esecutivo Ue.
    Dopo l’incidente del 2011 l’Unione Europea aveva adottato misure per proteggere la salute dei cittadini comunitari dalla possibile contaminazione radioattiva di alimenti e mangimi importati dal Giappone e ha imposto test approfonditi di radioattività sui prodotti alimentari prima dell’esportazione. Le misure sono state riesaminate ogni due anni e a oggi (dopo l’ultima revisione del 2021) erano rimaste restrizioni solo a funghi selvatici, specie ittiche e piante commestibili selvatiche. “È una decisione basata sulla scienza e sulle evidenze dell’Agenzia per l’energia nucleare”, ha messo in chiaro von der Leyen al termine del vertice Ue-Giappone, sottolineando che il sistema di monitoraggio “rigoroso” delle autorità giapponesi dal 2011 è “un’altra dimostrazione di affidabilità” dei rapporti di Bruxelles con Tokyo. Ora che le restrizioni sono state completamente abolite, “è importante che il governo giapponese continui a monitorare la produzione nazionale per verificare la presenza di radioattività”, incluso il pesce, i prodotti della pesca e le alghe marine “vicine al sito di rilascio dell’acqua di raffreddamento contaminata”, specifica la Commissione Ue.

    Al centro dell’ultima riunione di alto livello tra i leader dell’Unione e di Tokyo è stata rafforzata la cooperazione in campo digitale e delle tecnologie per la transizione verde, con l’attenzione rivolta soprattutto alla catena di approvvigionamento di materie prime critiche e all’Alleanza verde

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    Niente invito all’adesione, ma garanzie di sicurezza G7 e un Consiglio ad hoc. I risultati del vertice Nato sull’Ucraina

    Bruxelles – È andato tutto come previsto, nonostante le forti pressioni del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky. Al vertice di Vilnius dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato) non è arrivato un invito a Kiev per l’adesione, né sotto forma di una tabella di marcia né di tempistiche definite. Perché sono pochi gli alleati che si vogliono sbilanciare sull’ingresso del Paese mentre continua la guerra con la Russia, anche se nessuno rinnega il processo considerato ormai praticamente irreversibile di avvicinamento dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica. Eppure c’è stato qualcosa di più, proprio per rendere manifesto al leader ucraino che il futuro ingresso è a portata, ma serve tempo. Parallelamente al comunicato del secondo giorno di vertice Nato, i leader del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti) hanno pubblicato una dichiarazione in cui si impegnano a fornire “garanzie di sicurezza a lungo termine” a Kiev, anche nel caso si ripeta un’aggressione al Paese.
    La foto di famiglia del vertice Nato di Vilnius (12 luglio 2023)
    “Oggi l’Ucraina è più vicina che mai alla Nato“, ha messo in chiaro oggi (12 luglio) il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, in conferenza stampa congiunta con il presidente Zelensky, ribandendo però che il processo di adesione dell’Ucraina potrà iniziare solo “quando tutti gli alleati decideranno che le condizioni sono state soddisfatte”. Da Vilnius arriva comunque “il messaggio di unità più forte possibile” e anche le garanzie di sicurezza del G7 “vanno in questa direzione”, ha assicurato Stoltenberg.
    Proprio nella dichiarazione del Gruppo dei Sette si legge che sarà garantita la “fornitura continua” di equipaggiamento militare moderno, con “priorità alla difesa aerea, all’artiglieria e al fuoco a lungo raggio, ai veicoli blindati e ad altre capacità chiave, come l’aviazione da combattimento”. Sarà sostenuto lo sviluppo della base industriale ucraina e l’addestramento delle forze militare, oltre alla cooperazione in materia di intelligence. Nel caso di un nuovo futuro attacco armato russo, “intendiamo consultarci immediatamente con l’Ucraina per determinare i passi successivi più appropriati”, mettono in chiaro i sette leader. Da parte di Kiev, invece, è richiesta la prosecuzione dell’attuazione delle riforme delle forze dell’ordine, del sistema giudiziario, della lotta alla corruzione, della governance aziendale, dell’economia, del settore della sicurezza e della gestione dello Stato, ma anche la modernizzazione del settore della difesa “rafforzando il controllo civile democratico delle forze armate”. Questo sforzo “sarà portato avanti mentre l’Ucraina persegue un percorso verso la futura adesione alla comunità euro-atlantica“, è l’ulteriore rassicurazione fornita al presidente Zelensky dopo le dure critiche per l’assenza di un riferimento netto all’ingresso Nato del Paese nelle conclusioni del vertice di Vilnius.
    Da sinistra: il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, il primo ministro del Giappone e presidente di turno del G7, Fumio Kishida, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky (credits: Andrew Caballero-Reynolds / Afp)
    “Questa dichiarazione è aperta a tutti i Paesi che vogliono supportare l’Ucraina“, ha messo in chiaro il primo ministro giapponese e presidente di turno del G7, Fumio Kishida, annunciando la dichiarazione dei leader dei sette Paesi più industrializzati al mondo. Parole confermate dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che ha precisato come “non possiamo aspettare per impegnarci sul lungo termine per rendere sicura l’Ucraina contro qualsiasi aggressione”. Per l’inquilino della Casa Bianca “il futuro dell’Ucraina è nella Nato, non è una sorpresa per nessuno, ma serve un percorso per l’adesione mentre intraprende il percorso riforme”. Nonostante non abbia raggiunto il risultato dichiarato di vedere l’invito ad aderire all’Alleanza Atlantica, il presidente ucraino Zelensky è sembrato piuttosto rassicurato dall’impegno del Gruppo dei Sette: “È un pacchetto importante di garanzie di sicurezza sul lungo termine, ora ci coordineremo con il G7 per estendere l’accordo con altri partner-chiave”, ha rimarcato il numero uno di Kiev davanti ai sette leader e ai rappresentanti delle istituzioni Ue.
    “L’Unione Europea sarà un partner fondamentale in questo sforzo”, è la rassicurazione della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, commentando la dichiarazione dei leader del G7: “Abbiamo fornito al coraggioso popolo ucraino sostegno umanitario, assistenza finanziaria sostanziale, armi e addestramento, oggi ci impegniamo per la sicurezza a lungo termine e la prosperità economica dell’Ucraina all’interno della comunità euro-atlantica”. Da parte di Bruxelles ci sarà il continuo rafforzamento delle sanzioni contro la Russia e il sostegno degli “ammirevoli sforzi di riforma” che sbloccheranno anche l’adesione di Kiev all’Ue. “La nuova realtà geopolitica sfida l’ordine internazionale basato sulle regole, l’Ue e la Nato stanno rafforzando la loro cooperazione e sono unite a sostegno dell’Ucraina”, ha twittato il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel.
    Il nuovo Consiglio Nato-Ucraina
    La prima riunione del Consiglio Nato-Ucraina a Vilnius, 12 luglio 2023 (credits: Ludovic Marin / Afp)
    “Buon pomeriggio, benvenuti a questa prima riunione del Consiglio Nato-Ucraina“, sono le prime parole pronunciate dal segretario generale Stoltenberg nel corso dell’inaugurazione del nuovo format che porterà i 31 alleati e Kiev a stringere sempre di più i rapporti nell’ottica del futuro allargamento dell’Alleanza Atlantica: “Questo è davvero un momento storico, siamo seduti fianco a fianco come pari per affrontare la nostra visione comune della sicurezza euro-atlantica“. Alla sessione inaugurale del Consiglio hanno partecipato tutti i leader dell’Alleanza e il presidente ucraino Zelensky, che ha voluto rimarcare come il nuovo format “non è uno strumento di partecipazione, ma di integrazione” del Paese nell’Alleanza.
    Perché un organismo di collegamento tra l’Alleanza Atlantica e Kiev già esisteva – la commissione Nato-Ucraina – ma da mesi non era più considerato sufficiente per gli obiettivi comuni. Secondo quanto si legge nel comunicato finale del vertice di Vilnius, il Consiglio è “un nuovo organismo congiunto in cui gli alleati e l’Ucraina siedono come membri paritari per promuovere il dialogo politico, l’impegno, la cooperazione e le aspirazioni euro-atlantiche dell’Ucraina all’adesione Nato. Le stesse parole sono state utilizzate dal segretario generale Nato nel corso della prima riunione di oggi: “Ci incontriamo da pari a pari, attendo con ansia il giorno in cui ci incontreremo come alleati“, perché durante il vertice nella capitale lituana “abbiamo riaffermato che l’Ucraina diventerà un membro dell’Alleanza”.

    Nonostante le insistenze del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, al summit dell’Alleanza Atlantica di Vilnius non sono state definite tempistiche per l’ingresso. Ma l’avvicinamento di Kiev è dato dal nuovo format “da pari” e dal sostegno militare “a lungo termine” del Gruppo dei Sette

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    Il vertice dei leader Ue dà il via libera alla nuova strategia dell’Unione sulla Cina: de-risking e relazioni equilibrate

    Bruxelles – In un Consiglio Europeo dominato dalla questione migrazione, il capitolo sulla Cina rimane quasi ai margini, almeno se confrontato con le attese fino a un mese fa. Eppure il contenuto è un orientamento strategico dell’Unione non di poco conto, che costituirà per il prossimo futuro la base di partenza su cui impostare qualsiasi discorso e confronto con Pechino: “Nonostante i diversi sistemi politici ed economici, l’Unione Europea e la Cina hanno un interesse comune a perseguire relazioni costruttive e stabili, ancorate al rispetto dell’ordine internazionale basato sulle regole, all’impegno equilibrato e alla reciprocità”, si legge nelle conclusioni del vertice dei leader Ue.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (29 giugno 2023)
    Come affermato per la prima volta nel discorso programmatico della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sulle direttrici strategiche per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina lo scorso 30 marzo, i Ventisette confermano che l’Unione “continuerà a impegnarsi con la Cina per affrontare le sfide globali”, ma soprattutto incoraggia Pechino a “intraprendere azioni più ambiziose in materia di cambiamenti climatici e biodiversità, salute e preparazione alle pandemie, sicurezza alimentare, riduzione delle catastrofi, riduzione del debito e assistenza umanitaria”. La discussione strategica tra i 27 capi di Stato e di governo si è dimostrata un lavoro “rapido” sia nel lavoro per avere “una posizione unica”, ma anche per concordare conclusioni che mettessero in chiaro come Pechino sia “contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico” e che gli Stati membri devono tenere un “approccio politico multiforme”.
    Questo discorso riguarda prima di tutto l’aspetto economico e commerciale: “L’Unione Europea cercherà di garantire condizioni di parità, in modo che le relazioni commerciali ed economiche siano equilibrate, reciproche e reciprocamente vantaggiose”. L’obiettivo dichiarato è quello di “ridurre le dipendenze e le vulnerabilità critiche, anche nelle catene di approvvigionamento”, così come “diversificare dove necessario e appropriato”. La stella polare – discussa anche nel confronto del 6 aprile a Pechino tra la presidente della Commissione Ue von der Leyen, quello francese, Emmanuel Macron, e quello cinese, Xi Jinping – rimane il fatto che “l’Unione Europea non intende disaccoppiarsi o ripiegarsi su se stessa“. O, come ripete la numero uno dell’esecutivo comunitario, “de-risking, non disaccoppiamento”, che significa “ridurre le vulnerabilità dal punto di vista delle nostre relazioni economiche” come sulle materie prime critiche necessarie per la produzione di tecnologia pulita. Un tema su cui “c’è ampio consenso sia tra i governi Ue sia con i nostri partner G7”, ha messo in chiaro von der Leyen.

    Ue e Cina su politica estera e interna (cinese)
    Ma nelle conclusioni del vertice rientrano anche tematiche di natura puramente politica. In primis quella del controverso rapporto tra Pechino e Mosca, che Bruxelles sta cercando di spezzare per assicurarsi un alleato di peso per spingere la Russia a cessare la sua invasione dell’Ucraina: “In qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha una responsabilità speciale nel sostenere l’ordine internazionale basato sulle regole”, ricordano i leader Ue, facendo riferimento alla “pressione” che Xi Jinping dovrebbe esercitare su Vladimir Putin perché “cessi la sua guerra di aggressione e ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente le sue truppe dall’Ucraina”. Sempre sul piano delle relazioni esterne viene messo nero su bianco il fatto che “i mari della Cina orientale e meridionale sono di importanza strategica per la prosperità e la sicurezza regionale e globale” e che l’Unione “è preoccupata per le crescenti tensioni nello Stretto di Taiwan“. In questo senso il Consiglio “si oppone a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione” e “riconferma la coerente politica di una sola Cina”.
    In ultima istanza non manca il riferimento al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, con un riferimento alla ripresa del dialogo sui diritti umani con la Cina. In ogni caso i Ventisette ribadiscono le preoccupazioni per “il lavoro forzato, il trattamento dei difensori dei diritti umani e delle persone appartenenti a minoranze e la situazione in Tibet e nello Xinjiang“, ma anche il rispetto dei “precedenti impegni della Cina in materia di impegni assunti dalla Cina in relazione a Hong Kong”.

    Nelle conclusioni del Consiglio Europeo trova spazio anche il capitolo sulle relazioni con Pechino, sulla base dei risultati del viaggio Macron-von der Leyen del 6 aprile: “È contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico, serve un approccio politico multiforme”

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    La rimonta dell’opposizione turca fallisce. L’Ue si congratula con Erdoğan per l’ennesima rielezione alla presidenza

    Bruxelles – Le speranze già flebili dell’opposizione turca di mettere fine al potere di Recep Tayyip Erdoğan sono arrivate al capolinea. Al ballottaggio delle elezioni presidenziali in Turchia, il leader in carica ha vinto ancora, mettendo fine all’illusione di quasi metà della popolazione di un cambio al vertice, dopo 20 anni quasi da capo assoluto del Paese. Erdoğan ha vinto, non trionfato, e questo mostra una Turchia molto divisa soprattutto tra città e aree rurali.
    La mappa delle circoscrizioni elettorali in Turchia vinte da Recep Tayyip Erdoğan (in giallo) e da Kemal Kılıçdaroğlu (in rosso)
    Chiamati al secondo turno di voto ieri (28 maggio), gli elettori turchi hanno riconfermato la fiducia nel presidente in carica, che ha conquistato il 52,16 per cento dei voti. Tre punti percentuali in più rispetto al primo turno, abbastanza per garantirsi la rielezione alle spese dello sfidante Kemal Kılıçdaroğlu, che ha tentato la rimonta impossibile e si è fermato al 47,84 per cento delle preferenze nel testa a testa. Ribaltati completamente i sondaggi di sole poche settimane fa, quando una vittoria del candidato unico dell’opposizione turca veniva dato alle stesse percentuali (se non leggermente più alte) di quelle conquistate ieri da Erdoğan. Una vittoria che – nonostante non sia arrivata già al primo turno come invece accaduto nelle tornate del 2018 e del 2014 – può sancire definitivamente l’aura di invincibilità del ‘sultano’ turco.
    Perché sei partiti di opposizione si erano uniti nella cosiddetta ‘Tavola dei Sei’ per esprimere un candidato comune e aumentare le possibilità di scalzare il leader del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) dalla presidenza del Paese. I sondaggi avevano evidenziato una reale occasione per Kılıçdaroğlu, economista dai toni pacati e leader del Partito popolare repubblicano (Chp), il principale partito d’opposizione fondato nel 1923 dal primo presidente turco, Mustafa Kemal Atatürk. La prima doccia fredda è arrivata al primo turno del 14 maggio, quando Erdoğan è riuscito a mettere il sigillo quasi perfetto sulle presidenziali del 2023 – contrariamente alle aspettative – e arrivando a mezzo punto percentuale dalla rielezione. Ben sotto le aspettative il risultato di Kılıçdaroğlu, fermo al 45 per cento e costretto alla rimonta. Prospettiva diventata ancora più ardua dopo che il terzo candidato escluso dal ballottaggio, il nazionalista di estrema destra Sinan Oğan, ha espresso l’indicazione di voto per i suoi sostenitori a favore proprio del presidente in carica e ha così indirizzato l’esito finale delle elezioni.
    “L’unico vincitore oggi è la Turchia”, ha rivendicato Erdoğan nel suo discorso post-vittoria, attaccando nuovamente l’opposizione sulle questioni Lgbtq+, dei curdi e del terrorismo. “Tutti i mezzi dello Stato sono stati messi ai piedi di un solo uomo, sono le elezioni più ingiuste degli ultimi anni“, ha contrattaccato Kılıçdaroğlu, che però non ha contestato l’esito delle urne. Con la seconda rielezione a presidente (prima ha rivestito la carica di premier dal 2003 al 2014, carica abolita nel 2018), Erdoğan si appresta a diventare il leader più longevo dopo Atatürk (1923-1938), il padre fondatore della Turchia moderna rinata dalle rovine dell’Impero Ottomano: il centenario della nascita della Repubblica sarà celebrato il prossimo 29 ottobre proprio con il nuovo ‘sultano’ saldamente alla testa del Paese. Un leader che sta portando la Turchia su una strada nazionalista, conservatrice e di matrice islamista.
    Quali sfide attendono l’Ue con la Turchia di Erdoğan
    Quasi immediate nella serata delle vittoria di Erdoğan le congratulazioni da parte dei leader delle istituzioni dell’Unione Europea. “Non vedo l’ora di lavorare ancora con lei per approfondire le relazioni Ue-Turchia negli anni a venire“, ha commentato in un tweet il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. A fargli eco la numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “È di importanza strategica per l’Ue e la Turchia lavorare per far progredire queste relazioni, a beneficio dei nostri popoli”. Al momento nessun commento è invece arrivato dalla presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, mentre l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, si sono esposti in una nota congiunta: “L’Ue ha un interesse strategico a continuare a intrattenere relazioni cooperative e reciprocamente vantaggiose con la Turchia e con tutto il suo popolo, nonché a creare un ambiente stabile e sicuro nel Mediterraneo orientale“. A questo si aggiunge l’impegno con Ankara per la “prosperità e stabilità condivisa, sulla base degli impegni per i diritti umani, lo Stato di diritto, il diritto internazionale e la stabilità regionale”.
    Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan (credits: Adem Altan / Afp)
    Tutte questioni calde per i rapporti tra Bruxelles e Ankara negli ultimi anni di presidenza Erdoğan, destinati a continuare (almeno) per altri cinque anni. Uno dei temi più caldi sul tavolo è quello della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, con la Turchia che dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando Ankara ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia. Nel contesto mediterraneo si inserisce anche la controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso.
    C’è poi il congelamento dei capitoli negoziali per l’adesione della Turchia all’Unione Europea, avviati nel 2005 e da anni “a un punto morto” per i “continui gravi passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura”, aveva sottolineato ancora nel 2020 il commissario Várhelyi. Per Bruxelles è di cruciale importanza anche la questione della gestione delle persone migranti dirette verso l’Europa: se nel marzo 2016 l’Ue ha stretto un accordo con la Turchia per bloccare e accogliere sul suo territorio i rifugiati siriani in fuga dalla guerra in cambio di finanziamenti comunitari (oggi Erdoğan parla esplicitamente di rimpatri in Libia per milioni di persone), in diverse occasioni la Grecia ha lanciato dure accuse ad Ankara per violazioni dell’accordo stesso e sta implementando una politica di costruzione di barriere fisiche alla frontiera.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio Europe, Charles Michel, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, ad Ankara (6 aprile 2021)
    Per la presidenza di turno svedese del Consiglio dell’Ue è invece caldissimo il tema del veto sull’adesione di Stoccolma alla Nato, legato alla repressione della minoranza curda. Ora che Erdoğan si è riconfermato leader del Paese, ci si aspettano movimenti sul dossier – che riguarda sia la politica interna sia quella estera del presidente – fermo da mesi per le richieste intransigenti da Ankara a Stoccolma di estradare i membri del movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). La posizione irremovibile del leader turco ha indispettito non poco i leader dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord e dei Paesi membri Ue, che hanno visto sfumare l’ingresso congiunto di Svezia e Finlandia nell’Alleanza nello stesso giorno (il 4 aprile 2023).
    Ultimo, ma non per importanza diplomatica, quello che è passato alle cronache politiche come ‘Sofagate’. Il 6 aprile 2021 i presidenti von der Leyen e Michel si erano recati ad Ankara in visita istituzionale per rilanciare il dialogo Ue-Turchia. Ma l’accoglienza al palazzo presidenziale per la numero uno dell’esecutivo comunitario era stata tutt’altro che piacevole e rispettosa: mentre al leader del Consiglio è stata riservata una sedia accanto a Erdoğan, von der Leyen si era dovuta accomodare – con evidente imbarazzo e disappunto – su un sofà, appunto. Uno sgarbo istituzionale arrivato a poche settimane dalla decisione del presidente turco di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, che ancora una volta aveva evidenziato tutta la tensione nei rapporti tra Bruxelles e Ankara.

    Il leader al potere da 20 anni si riconferma alla guida del Paese, superando al ballottaggio lo sfidante Kemal Kılıçdaroğlu con il 52,16 per cento dei voti. Per Bruxelles ora si apre una nuova fase su temi già caldi, dalla migrazione all’allargamento, fino a Nato, energia e diritti umani

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    I diamanti tornano al centro del dibattito Ue sulle sanzioni contro la Russia. Si ragiona su un sistema di tracciabilità

    Bruxelles – È passato quasi un anno dalla prima volta che la questione dei diamanti russi si è affacciata nel dibattito pubblico europeo a proposito delle sanzioni internazionali contro la Russia, ma da allora questo commercio globale che solo nel 2021 ha portato nelle casse di Mosca circa 4,5 miliardi di euro non è mai entrato in nessuno dei dieci pacchetti di misure restrittive già messi a terra dall’Unione. Si tratta di uno dei punti più critici dei rapporti tra l’Ue e la Russia, in particolare per uno Stato membro (e una sua città) che della lavorazione dei diamanti ha fatto il punto di forza della propria economia. Il Belgio e il porto di Anversa.
    Nonostante tutte le resistenze e le attività di lobby che hanno permesso all’industria belga della lavorazione dei diamanti di non essere coinvolte nei tagli alla macchina di finanziamento indiretto della guerra russa in Ucraina, nel pieno delle discussioni tra i 27 ambasciatori Ue sull’undicesimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino la questione è riemersa con più vigore. Tanto che diverse fonti riferiscono a Eunews una spinta convergente da Bruxelles e Hiroshima (dove è in corso il vertice dei leader del G7) sulla limitazione a questo commercio. Come si legge nella dichiarazione del Gruppo dei Sette sull’Ucraina – in linea con le anticipazioni della vigilia da funzionari europei – “al fine di ridurre le entrate che la Russia ricava dall’esportazione di diamanti, continueremo a collaborare strettamente per limitare il commercio e l’uso di diamanti estratti, lavorati o prodotti in Russia“. La precisazione è un impegno “con i principali partner al fine di garantire l’effettiva attuazione di future misure restrittive coordinate, anche attraverso tecnologie di tracciamento“.
    È proprio sulla questione del tracciamento che l’attenzione ritorna a Bruxelles. Fonti diplomatiche precisano che non ci sarà l’embargo in questa tornata di misure restrittive, ma che Belgio e Commissione Europea stanno mettendo a punto un sistema di tracciabilità, che dovrebbe rendere la misura più efficace rispetto a un semplice divieto di esportazione “difficile da attuare”. In ogni caso questo lavoro richiederà altro tempo per la definizione dei dettagli e della messa a terra e perciò non è atteso all’interno dell’undicesimo pacchetto. Altre fonti però invitano a prestare attenzione alle discussioni tra i leader del G7 e in particolare a quanto messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Nel corso di un punto con la stampa a poche ore dall’inizio della riunione, il numero uno del Consiglio ha sottolineato che “ne limiteremo il commercio, i diamanti russi non sono per sempre e spiegheremo apertamente perché queste sanzioni sono necessarie e giustificate”. Ricordando che “non posso parlare a nome del governo belga”, proprio Michel (ex-premier del Paese) ha fatto notare che “sui diamanti c’è una discussione qui al G7 e una in parallelo sulle sanzioni a Bruxelles, faremo in modo che ci sia coerenza tra la dichiarazione e quello che stiamo facendo a livello europeo“.
    Un anno di dibattito su diamanti e sanzioni
    La questione dei diamanti era entrata per la prima volta nelle discussioni tra gli ambasciatori al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti) nel luglio dello scorso anno, in occasione del settimo pacchetto di sanzioni definito di maintenance and alignement (aggiornamento e allineamento). Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Ue del 21 luglio era stato deciso di includere anche i gioielli nel divieto di acquistare, importare o trasferire l’oro russo (anche se esportato in un Paese terzo), ma era rimasto fuori il commercio di diamanti, dal momento in cui nella richiesta di allineamento dei leader del G7 in Germania questa azione non era prevista.
    (credits: Alexander Nemenov / Afp)
    Di fronte alla pressione crescente nei mesi successivi a causa dell’escalation della guerra in Ucraina, nelle trattative per l’ottavo pacchetto di sanzioni la proposta della Commissione Ue di un embargo totale ai diamanti grezzi dalla Russia è arrivata a un passo dal via libera da tutti i Paesi membri Ue, prima di essere bloccata da un colpo di coda in extremis. A spingere per l’esclusione del gigante russo dell’estrazione Alrosa dalla lista delle entità colpite era stata l’associazione di categoria Antwerp World Diamond Centre, che aveva denunciato il rischio di disoccupazione per oltre 10 mila lavoratori nella città fiamminga, centro dell’industria mondiale della lavorazione di diamanti. Si è trattata di una vera e propria concessione alle lobby della lavorazione dei diamanti belghe, che nella città portuale di Anversa hanno sede e da dove hanno influenzato la posizione del governo belga per prendere a picconate la proposta del gabinetto von der Leyen.
    Nel corso delle trattative tra gli ambasciatori anche per l’approvazione dei due pacchetti successivi di misure restrittive è passata la linea morbida del Belgio per non sganciarsi dal gigante russo dell’estrazione di diamanti, facendo leva sul timore che una misura restrittiva contro Alrosa possa colpire più l’economia e l’occupazione europea rispetto a quelle di Mosca. La marcia indietro dell’ottobre 2022 aveva segnato una sconfitta per Baltici e Polonia, che hanno sempre appoggiato un embargo totale sui diamanti (non-industriali). Ma, come avevano riferito al tempo fonti diplomatiche a Eunews, gli altri Paesi membri non avevano levato voci contrarie alla posizione del Belgio. Il commercio globale di diamanti grezzi della Russia è stimato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti come una delle prime dieci esportazioni non energetiche di Mosca, pari al 30 per cento in tutto il mondo.

    Da Hiroshima, dove il vertice G7 ha avallato il dossier, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha messo in chiaro che “ne limiteremo il commercio, i diamanti russi non sono per sempre”. Fonti precisano a Eunews che non ci sarà l’embargo nell’undicesimo pacchetto

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    Il dossier sull’avvio dei negoziati di adesione Ue dell’Ucraina arriverà sul tavolo dei Ventisette “entro fine 2023”

    Bruxelles – A chiederlo con insistenza è da settimane la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola. Ora la conferma arriva anche dai leader delle due istituzioni comunitarie competenti in materia: il Consiglio Europeo affronterà “entro la fine dell’anno” la questione dell’avvio dei negoziati di adesione Ue dell’Ucraina, sulla relazione che sarà preparata dalla Commissione “alla fine dell’estate”. Le parole sono quelle dei presidenti Charles Michel e Ursula von der Leyen, che in conferenza stampa congiunta hanno messo in chiaro alla stampa di Bruxelles le tappe del processo di valutazione dell’iter di avvicinamento di Kiev all’adesione Ue da oggi alla fine del 2023.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (Kiev, 3 febbraio 2023)
    “Abbiamo una tabella di marcia molto chiara”, ha spiegato oggi (15 maggio) la numero uno dell’esecutivo comunitario: “A giugno ci sarà una presentazione orale” – una sorta di tappa intermedia – “ma il rapporto più importante è quello scritto, che sarà presentato a ottobre“. A quel punto “il Consiglio solitamente si occupa di questi rapporti a dicembre, non solo per l’Ucraina, ma anche per gli altri candidati”. Previsioni confermate anche dal leader del Consiglio, che ha definito il rapporto della Commissione “un documento e un’informazione importante”, a cui seguirà l’azione stessa di Michel: “Metterò il tema in agenda entro la fine dell’anno e gli Stati membri dovranno decidere, tenendo in considerazione i progressi compiuti e il le indicazioni del rapporto”.
    Come sottolineato dalla presidente von der Leyen, “questa è la maniera molto formale e rigida di procedere, ma ci muoviamo attraverso questi tre step grazie ai progressi compiuti dal Paese candidato“. A proposito dell’Ucraina, la questione dell’adesione Ue “è stata una delle ragioni per cui la settimana scorsa ero a Kiev”, ha ricordato il suo viaggio del 9 maggio in occasione della Giornata dell’Europa: insieme al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, “abbiamo discusso approfonditamente dei sette passi che accompagnano lo status di Paese candidato all’adesione Ue”. Da parte di Bruxelles “sono stati registrati molti progressi, ma altro lavoro dovrà essere fatto“, considerato il fatto che “alcuni passi sono già stati conclusi, altri sono ancora work in progress e dipendono da quanto velocemente e con quale qualità procede il Paese”. Anche il presidente Michel ha ribadito che “siamo tutti impressionati dai progressi fatti dall’Ucraina” e ora si attendono solo le “opzioni che saranno presentate agli Stati membri”. Al momento traspare cautela dalle parole di von der Leyen e Michel: complimenti per i progressi del Paese sulle riforme nonostante la guerra in corso, ma nessuno strappo in avanti su promesse che potrebbero non essere mantenute.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky (Kiev, 8 aprile 2022)
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato più di un anno fa, quattro giorni dopo l’aggressione armata russa. Il 28 febbraio, nel pieno della guerra, il presidente Zelensky ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, seguito a stretto giro (il 3 marzo) anche da Georgia e Moldova. In soli quattro giorni (7 marzo) gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione, da trasmettere poi al Consiglio. Prima di dare il via libera formale, l’8 aprile a Kiev la presidente von der Leyen ha consegnato a Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere della Commissione. Il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde a tutti e tre i Paesi, specificando che Ucraina e Moldova meritavano subito lo status di Paesi candidati, mentre la Georgia avrebbe dovuto lavorare su una serie di priorità. La decisione ufficiale è arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea.

    Come funziona l’iter di adesione Ue
    L’iter inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
    Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.

    A confermarlo è il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, riferendo alla stampa che “metterò il tema in agenda dopo la presentazione del rapporto della Commissione”. La valutazione del gabinetto von der Leyen è attesa a ottobre, che gli Stati membri nel vertice di dicembre

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    L’Ue non demorde sulla mediazione tra Azerbaigian e Armenia. Michel riceve i due leader e definisce l’agenda

    Bruxelles – Continua la missione impossibile dell’Unione Europea nella regione del Caucaso meridionale, alla ricerca di una pace complicatissima tra Armenia e Azerbaigian. “L’Ue non ha un’agenda nascosta, il nostro unico obiettivo è aiutare l’Armenia e l’Azerbaigian a raggiungere una pace completa ed equa“, è stato il commento del presidente del Consiglio, Charles Michel, al termine del nuovo round di discussioni di alto livello a Bruxelles insieme al presidente azero, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente della Francia, Emmanuel Macron, il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Praga il 6 ottobre 2022 (credits: Ludovic Marin / Afp)
    Quello di ieri (14 maggio) è stato il quinto incontro trilaterale nel dialogo tra Baku e Yerevan mediato dall’Unione: “I nostri scambi sono stati franchi, aperti e orientati ai risultati”, ha sottolineato Michel, cercando di mettere in evidenza i punti più positivi in agenda, in un momento particolarmente delicato per gli equilibri nel Caucaso meridionale. Il numero uno del Consiglio Ue ha chiesto di “compiere passi decisivi verso la firma di un accordo di pace globale” tra Armenia e Azerbaigian, a partire da una serie di nuovi incontri a Bruxelles “tutte le volte che sarà necessario”. In calendario è già fissato un nuovo appuntamento tra i tre leader “a luglio”, mentre il primo giugno a margine del secondo vertice della Comunità Politica Europea a Chișinău (Moldova) “ci incontreremo insieme al presidente francese Macron e al cancelliere tedesco Scholz” (lo stesso invito arriverà al terzo vertice di Granada in ottobre).
    Per quanto riguarda le discussioni sul tavolo, la sfida è enorme se si guarda al quadro generale. È dal 1992 che si protrae in quest’area del Caucaso meridionale un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. È per questo che la delimitazione dei confini rimane una delle questioni più complesse da mettere a terra, auspicabile solo attraverso la “ripresa degli incontri bilaterali concordata” da Aliyev e Pashinyan: “La delimitazione definitiva del confine sarà concordata attraverso i negoziati”, ha ribadito Michel. Più nello specifico nell’enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) è necessario garantire “diritti e sicurezza agli armeni che vivono nell’ex-provincia autonoma del Nagorno-Karabakh”. Baku è stata incoraggiata a “impegnarsi nello sviluppo di un’agenda positiva” ed entrambe le parti ad “astenersi dalla retorica ostile, impegnarsi in buona fede e mostrare leadership per raggiungere soluzioni reciprocamente accettabili”.
    Tra gli altri temi affrontati anche le questioni umanitarie sulle persone scomparse, lo sminamento e il rilascio dei detenuti “nelle prossime settimane”, con la tutela dell’intesa “sul fatto che i soldati che hanno attraversato il confine continueranno a essere rilasciati attraverso una procedura rapida”. Nonostante il constante conflitto a bassa intensità le due parti hanno compiuto “chiari progressi nelle discussioni volte a sbloccare i trasporti e i collegamenti economici nella regione“, ha reso noto Michel, parlando di posizioni che “si sono avvicinate molto”, in particolare per quanto riguarda la riapertura dei collegamenti ferroviari attraverso la Repubblica Autonoma del Nakhchivan, enclave azera in Armenia.
    Un anno di difficile mediazione Ue tra Armenia e Azerbaigian
    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio dello scorso anno il presidente Michel ha cercato di rendere sempre più frequenti i contatti diretti con il leader azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan. La priorità dei colloqui di alto livello è sempre stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, sul terreno non si è mai allentata la tensione. Nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale (attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati) il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Da 154 giorni su questa strada sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile, e gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la risposta secca dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh devono essere sempre garantiti”.

    Dopo gli ultimi colloqui di ottobre 2022 con il presidente azero, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan, il numero uno del Consiglio li ha ricevuti a Bruxelles per un confronto su confini, questioni umanitarie e diritti in Nagorno-Karabakh: “Vogliamo una pace completa ed equa”