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    Charles Michel è in Ucraina per i 10 anni da Euromaidan. In 3 settimane la decisione sui negoziati di adesione Ue

    Bruxelles – Sono passati 10 anni da quella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013, da quella che è passata alla storia come Euromaidan, la prima vera scelta di campo del popolo ucraino ed espressione delle ambizioni europee del Paese ex-sovietico. Ma non si tratta solo di un anniversario. Perché oggi, 10 anni più tardi, le aspirazioni di Euromaidan si stanno concretizzando nel processo di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, con una tappa decisiva attesa fra poco più di tre settimane. È per questo che il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha deciso oggi (21 novembre) di recarsi nuovamente in visita a Kiev per ribadire il supporto di Bruxelles al cammino del Paese verso l’integrazione nell’Unione.A destra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Kiev (21 novembre 2023)“È bello essere di nuovo a Kiev, tra amici”, ha reso noto così il suo arrivo nella capitale ucraina. Parlando con la stampa al seguito, Michel ha messo in chiaro che lo scopo del suo viaggio è quello di riaffermare il “grande sostegno” dell’Ue all’Ucraina “in un giorno importante, 10 anni fa gli ucraini hanno scelto l’Europa e alcuni sono morti“. L’argomento centrale dei confronto a Kiev con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è proprio quello del percorso di avvicinamento all’Unione: “Incontrarsi di persona è molto importante per capire cosa è realistico e per far capire qual è la situazione da parte dell’Ue”. In altre parole, sostegno sì, ma bisogna anche gestire le aspettative sul Consiglio Europeo del 14-15 dicembre, quando i 27 capi di Stato e di governo dovranno decidere se seguire la raccomandazione della Commissione Ue di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina. “Il prossimo Consiglio Europeo sarà difficile, il rapporto della Commissione sull’allargamento non è bianco o nero, ha delle sfumature, e io stesso sono rimasto sorpreso per il rapporto ulteriore di marzo”, ha confessato Michel, parlando del seguito che l’esecutivo Ue ha promesso di fornire fra quattro mesi: “Lavoro per un Consiglio di successo, ma a volte il fallimento è parte del processo dell’Ue, non è un mistero che alcuni Paesi sono cauti sull’allargamento”La verità è che, dopo i relativamente pochi successi della controffensiva ucraina dall’inizio di quest’anno, la guerra ha raggiunto una situazione di stallo e i partner europei e statunitensi di Kiev sono preoccupati che l’esercito non sia in grado di portare a termine la riconquista di porzioni significative di territorio a sud e sud-est. Nel frattempo si è innestata anche la questione della guerra tra Israele e Hamas, che rischia di far deviare l’attenzione occidentale dall’invasione russa dell’Ucraina. “Sono molto attivo nel mantenere i rapporti con il Sud globale e questo è un lavoro molto utile anche per l’Ucraina”, ha assicurato Michel l’impegno di Bruxelles per non disperdere le forze con tutti i partner internazionali: “Dobbiamo confrontarci sulle sfide e le difficoltà del momento, per essere in sintonia“. Ecco perché nelle discussioni di oggi con Zelensky rientrano anche i temi “delle sanzioni, della situazione militare sul campo, del sostegno allo sforzo bellico e del possibile uso degli asset russi per la ricostruzione dell’Ucraina”, ha precisato il numero uno del Consiglio Ue.Dieci anni da EuromaidanLe proteste in piazza Maidan nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2023, Kiev (credits: Genya Savilov / Afp)Prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022, uno dei fattori che ha scatenato la crisi tra Mosca e Kiev dieci anni fa è stata proprio la prospettiva europea dell’Ucraina. Nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013 si verificarono nella capitale ucraina una serie di dure proteste a causa della decisione del governo di sospendere il processo di ratifica dell’Accordo di Associazione con l’Unione Europea. Quelle proteste – conosciute appunto come Euromaidan – portarono alla sollevazione popolare della stessa piazza l’anno seguente, con la messa in stato di accusa e la destituzione dell’allora presidente, Viktor Janukovyč (finito nell’agosto dello scorso anno nella lista Ue dei sanzionati per aver sostenuto i separatisti filo-russi nel minare la sovranità del Paese). A seguito di quegli eventi scoppiò la crisi in Crimea, con il primo intervento armato di Mosca su territorio ucraino a sostegno dei separatisti filo-russi. Era il febbraio 2014 e di lì a pochi mesi sarebbe scoppiata anche la guerra civile in Donbass che continua interrotta da allora. Ora è tutta l’Ucraina sotto l’attacco della potenza vicina, mentre la strada dell’adesione all’Ue sta continuando senza sosta.“Dieci anni di dignità, di orgoglio, di lotta per la libertà”, ricorda su X la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: “Le fredde notti invernali di Euromaidan hanno cambiato l’Europa per sempre” e oggi è “più chiaro che mai” che “il futuro dell’Ucraina è nell’Unione Europea, il futuro per cui Maidan ha lottato è finalmente iniziato“. Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, assicura che “la rivoluzione di Maidan ha cambiato per sempre il futuro dell’Ucraina”. Dieci anni più tardi “in questo giorno di dignità e libertà, siamo orgogliosamente al fianco dell’Ucraina prossima ai negoziati di adesione all’Ue” e “per ogni missile lanciato dalla Russia, il nostro sostegno si rafforza”.Lo stravolgimento nel percorso dell’Ucraina verso l’Ue – pur sempre in salita – è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa. Nel pieno della guerra, il 28 febbraio 2022 il presidente Zelensky ha firmato la richiesta di adesione “immediata” all’Unione. Il 7 marzo gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere sulla domanda di adesione, da trasmettere poi al Consiglio per la decisione finale sul primo step del processo di allargamento Ue. Prima di dare il via libera formale, l’8 aprile a Kiev la numero uno della Commissione ha consegnato al presidente Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere dell’esecutivo comunitario. Il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde alla concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, prima della decisione ufficiale arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione.Un anno e mezzo più tardi, secondo quanto emerge dal report specifico sull’Ucraina all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023, Kiev merita di vedere avviati i negoziati di adesione e adottati i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. Più nello specifico si tratta di 3 delle 7 priorità indicate dall’esecutivo comunitario non ancora pienamente soddisfatte: lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali (ma l’uso della lingua russa “non sarà qualcosa che valuteremo”, precisano fonti Ue). Dopo i progressi dell’ultimo anno – e le 2 priorità completate da fine giugno – la Commissione pubblicherà un nuovo rapporto in merito “a marzo 2024”, ha reso noto von der Leyen. “In Ucraina la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report. Ora tutto dipende dall’esito delle discussioni tra i 27 capi di Stato e di governo Ue, con la decisione ufficiale che arriverà fra poco più di tre settimane.
    Il ritorno del presidente del Consiglio Ue a Kiev coincide con l’anniversario della scelta di campo del popolo ucraino nel 2013. Che al prossimo vertice dei Ventisette di dicembre potrebbe arrivare a compimento con l’avvio delle discussioni formali per diventare Paese membro dell’Unione

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    Prove d’intesa Ue-Balcani Occidentali su politica estera e sicurezza. Sul tavolo di Bruxelles un ‘non-paper’ in 14 punti

    Bruxelles – Dopo le manifestazioni d’intenti generali, iniziano le discussioni politiche per stringere concretamente i rapporti tra i Ventisette e i sei Paesi balcanici in campi specifici, anche prima della loro adesione formale all’Unione Europea. È stato questo il senso della riunione ministeriale Ue-Balcani Occidentali svoltasi ieri sera (13 novembre) sotto la guida dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che ha visto sul tavolo delle discussioni un documento non ufficiale – non paper in gergo – portato da 7 Stati membri più aperturisti per l’integrazione immediata dei partner per quanto riguarda la politica estera e la sicurezza comuni.Non è un caso se il vertice ministeriale Ue-Balcani Occidentali si è svolto appena dopo il Consiglio Affari Esteri in cui sono state trattate le questioni della guerra in Medio Oriente, in Ucraina e nel Caucaso Meridionale. “La discussione si è concentrata sulle sfide comuni in materia di sicurezza, sullo sfondo delle persistenti minacce alla sicurezza globale e regionale“, ha reso noto l’alto rappresentante Borrell al termine dell’incontro con i ministri degli Esteri dei Sei balcanici (e di quelli Ue intrattenutisi oltre la giornata di confronto tra i Ventisette). L’iniziativa è stata inaugurata nel maggio 2021 dallo stesso Borrell rilanciando la tradizione delle ‘cene informali’ con i leader dei Balcani Occidentali ma, dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina e l’intensificarsi delle discussioni per finalizzare il processo di allargamento Ue, è diventato sempre più urgente per Bruxelles contare su “partner affidabili nella politica estera, di sicurezza e di difesa, anche per quanto riguarda l’allineamento alle decisioni dell’Ue“. Un richiamo implicito non a tutti i Paesi che si trovano sul cammino europeo – visto che quattro su sei hanno lanciato l’iniziativa ‘Western Balkan Quad’ per l’allineamento completo – ma piuttosto a Serbia e Bosnia ed Erzegovina che, per motivi differenti, non hanno ancora adottato le sanzioni internazionali contro la Russia.Un primo incontro per uno scambio di vedute “sulle sfide della regione e sul suo futuro europeo” dopo che la politica di allargamento Ue nella regione ha conosciuto negli ultimi mesi “un nuovo slancio” e soprattutto a pochi giorni dalla presentazione dell’ultimo Pacchetto Allargamento Ue. Per Bruxelles è diventata una priorità fornire “un forte sostegno politico, tecnico e finanziario” a tutti i candidati – con negoziati di adesione già avviati (Albania, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia) o meno (Bosnia ed Erzegovina) – e potenziali tali (Kosovo), “per portare avanti le principali riforme politiche, istituzionali, sociali ed economiche”. L’alto rappresentante Borrell ha fatto anche riferimento al nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali presentato mercoledì scorso (8 novembre) che coniugherà riforme e investimenti sullo stile del Next Generation Eu: “Accelererà significativamente la velocità del processo di allargamento e la crescita delle loro economie“.Il non-paper Ue-Balcani OccidentaliUn tentativo di stringere i rapporti con le sei capitali balcaniche sul fronte della politica estera e di sicurezza è arrivato da sette Paesi membri riuniti nel gruppo ‘Amici dei Balcani Occidentali’ – Italia, Austria, Croazia, Grecia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia – attraverso un non paper presentato ieri sera dal ministro austriaco. Come spiegano fonti diplomatiche a Bruxelles, si tratta di un’agenda in 14 punti che si connette al Piano di crescita per i Balcani Occidentali e nella visione dell’integrazione “graduale e accelerata” in campi specifici dei Paesi sul percorso dell’allargamento Ue. “Invitiamo le istituzioni Ue a presentare un’agenda chiara per un’integrazione graduale e accelerata con fasi di attuazione concrete fino al 2024 e oltre, basata su una condizionalità equa e rigorosa e sul principio dei meriti propri”, si legge nel documento visionato da Eunews. Il punto di partenza dalla politica estera e di sicurezza è motivato dal fatto che la regione balcanica “è esposta a fattori destabilizzanti”, tra cui vengono citate disinformazione, migrazione, minacce ibride e influenza “maligna” di terzi. Ecco perché “una cooperazione rafforzata ci renderebbe più efficaci nel contrastare la Russia e altre narrazioni dannose”, mentre “un dialogo rafforzato può approfondire la comprensione” delle posizioni reciproche.Questo stringere i legami si dovrebbe basare su 14 punti definiti dal non paper dei 7 Paesi membri, a partire dall’invito ai partner balcanici a partecipare al Consiglio Affari Esteri “almeno una volta al semestre”, per “scambi informali su temi di interesse comune” (e allo stesso modo degli ambasciatori alle riunioni informali). Si dovrà spingere su visite “più regolari e coordinate” nei Balcani Occidentali, scambi di esperti sui diritti umani, formazione di giovani diplomatici e funzionari pubblici “per familiarizzare con la diplomazia e le istituzioni Ue”, ma soprattutto su “linee di condotta Ue su misura in vista delle riunioni con i Paesi terzi“. Sul piano della sicurezza vengono chieste simulazioni congiunte sui punti deboli dei sistemi di infrastrutture critiche, visite all’Agenzia Ue per la Cybersecurity (Enisa) per “promuovere il pieno allineamento” con la legislazione comunitaria e consultazioni “prima dei prossimi cicli di negoziati” sulla Convenzione Onu sulla criminalità informatica. Infine materia di difesa serviranno “ulteriori misure di assistenza nell’ambito del Fondo europeo per la pace” (come per esempio lo stoccaggio sicuro di armi e munizioni in Montenegro) e il sostengo alle capacità dei Balcani Occidentali attraverso “corsi su misura” dell’Accademia europea di sicurezza e difesa (Esdc).Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha ospitato la riunione ministeriale con i 6 ministri degli Esteri balcanici, in cui è stata presentata la proposta del gruppo ‘Amici dei Balcani Occidentali’ (tra cui compare l’Italia) per regolarizzare gli incontri con il Consiglio dell’Ue su base semestrale

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    La Commissione Ue ha proposto di stanziare 6 miliardi di euro per il Piano di crescita per i Balcani Occidentali

    Bruxelles – Era stato annunciato, anticipato e illustrato ai diretti interessati, ora è arrivata la presentazione formale, che ha delle implicazioni non indifferenti anche per i Ventisette. Il Piano di crescita per i Balcani Occidentali è stato messo sul tavolo oggi (8 novembre) dalla Commissione Europea nel corso della stessa conferenza stampa in cui sono state annunciate le sostanziali novità del Pacchetto Allargamento Ue 2023, dopo essere stati adottati entrambi dal Collegio dei commissari. “È qualcosa di eccezionale, sappiamo che il miracolo della prosperità arriva con l’accesso al Mercato unico e stiamo già iniziando questo processo, non stiamo aspettando la decisione finale sull’adesione politica”, ha rivendicato con forza la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Ma ora la proposta dovrà passare dal vaglio dei 27 governi Ue e degli eurodeputati, dal momento in cui implica modifiche alla revisione intermedia del bilancio pluriennale dell’Unione.Proprio von der Leyen – di ritorno dal suo tour balcanico in cui ha illustrato ai partner i punti principali di questo Piano economico ritagliato su misura di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – ha spiegato come allineare le economie balcaniche a quelle degli attuali Stati membri Ue e, così facendo, “anticipare i benefici dell’adesione”. A essere eccezionale è proprio il fatto di “aprire in questo modo il nostro Mercato unico, ci aspettiamo che tra loro aprano il Mercato regionale”, ha ricordato von der Leyen, sottolineando che “tutto questo potrebbe raddoppiare le loro economie nel prossimo decennio“, a patto che vengano messi a terra “riforme e investimenti”.È così che la presidente von der Leyen, affiancata dal commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ha illustrato i 4 pilastri del Piano che presenta “un approccio completamente nuovo per chiudere il gap economico e sociale” tra Ue e regione balcanica “con la possibilità di integrazione sul campo anche prima che entrino formalmente come Paesi membri”. Il primo pilastro è proprio l’integrazione economica nel Mercato unico in sette settori fondamentali, “a patto che si allineino alle regole e aprano i settori e le aree pertinenti a tutti i loro vicini”: libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi e dei lavoratori, accesso all’Area unica dei pagamenti in euro (Sepa), facilitazione del trasporto su strada, integrazione e de-carbonizzazione dei mercati energetici, mercato unico digitale e integrazione nelle catene di approvvigionamento industriale.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (8 novembre 2023)Il secondo pilastro è quello dell’integrazione economica interna attraverso il Mercato regionale comune (basato su regole e standard Ue). La Commissione Ue stima che solo questo fattore “potrebbe potenzialmente aggiungere il 10 per cento alle loro economie”. Il terzo pilastro riguarda invece le riforme fondamentali, che nel Piano di Bruxelles è semplicemente essenziale. “Abbiamo fatto esperienza nell’Ue di combinare riforme e investimenti dopo la pandemia Covid-19 con il Next Generation Eu e ha funzionato molto bene, non vedo perché non dovrebbe funzionare anche per voi”, aveva messo in chiaro von der Leyen nel suo viaggio nelle capitali balcaniche. Per l’esecutivo comunitario questo pilastro avrà un doppio beneficio: da una parte “sosterrà il percorso dei Balcani Occidentali verso l’adesione Ue” e dall’altro “attrarrà investimenti esteri e rafforzerà la stabilità regionale”.A proposito di investimenti, è qui che si inserisce il quarto pilastro dell’assistenza finanziaria Ue alle riforme per tutti i sei partner. Si tratta nello specifico di un nuovo strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro per il periodo 2024-2027 (con la revisione del Bilancio Ue) i cui pagamenti saranno vincolati all’attuazione delle riforme socio-economiche concordate. Esattamente come Next Generation Eu per i Ventisette. Lo strumento sarà composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 miliardi in prestiti agevolati e per la messa a terra servirà prima che ciascuno dei sei Paesi presenti un’agenda di riforme basata sulle raccomandazioni del Pacchetto Allargamento e dei Programmi di riforma economica (Erp). Ma questo ultimo punto ha un impatto diretto anche per gli attuali membri dell’Unione e sulle istituzioni comunitarie, dal momento in cui interessa la revisione di bilancio pluriennale 2021-2027 in corso di valutazione da parte del Parlamento e del Consiglio dell’Ue: spetterà ora ai co-legislatori esaminare la proposta di questo nuovo strumento nel quadro del pacchetto di revisione intermedia. “Siamo pronti a stanziare i finanziamenti del Piano all’interno del quadro finanziario pluriennale corrente”, ha assicurato il commissario Várhelyi.Va infine segnalato che per Serbia e Kosovo c’è una clausola supplementare: “Devono impegnarsi in modo costruttivo nel dialogo sulla normalizzazione delle relazioni”. In altre parole, senza progressi nel dialogo Pristina-Belgrado, rimarranno in stallo – o andranno perduti – i finanziamenti previsti dal Piano. Lo stesso discorso vale per la Bosnia ed Erzegovina in caso di mancata implementazione delle riforme fondamentali: “Le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo, questo è un forte incentivo ad andare avanti in modo attivo”, aveva avvertito la numero uno della Commissione a Sarajevo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    Insieme al Pacchetto Allargamento è arrivata la presentazione formale del Piano che dovrebbe allineare le economie balcaniche con quelle dei Ventisette “per anticipare i benefici dell’adesione”. Ma serve il via libera dei co-legislatori Ue nella revisione di bilancio pluriennale

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    Negoziati di adesione per Ucraina, Moldova e Bosnia, stato di candidato a Georgia. All-in nel Pacchetto Allargamento 2023

    Bruxelles – La strada dell’allargamento Ue sta diventando particolarmente trafficata. E la Commissione Europea sta facendo di tutto per spingere gli aspiranti nuovi membri dell’Unione a tagliare il traguardo alla fine di un cammino pieno di ostacoli, ritardi, arretramenti e speranze. Dopo un 2022 in cui i Ventisette hanno finalmente rotto gli indugi su questo processo, è arrivato il Pacchetto Allargamento Ue 2023 a movimentare di nuovo le acque e stabilire nuovi obiettivi per avvicinare sempre più i Paesi in corsa per diventare parte integrante dell’Unione Europea. E lo ha fatto mettendo tutte le ambizioni più alte sul tavolo dei Ventisette.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (8 novembre 2023)“Oggi è un giorno storico, dobbiamo sfruttare il momento per affrontare il duro lavoro che abbiamo davanti”, ha aperto così oggi (8 novembre) la conferenza stampa di presentazione del nuovo Pacchetto Allargamento Ue la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, elencando le novità principali: “Abbiamo raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina, Moldova e Bosnia ed Erzegovina e di concedere lo status di Paese candidato all’adesione alla Georgia“. Nel giorno più importante dopo il suo tour nell’ultimo mese nelle capitali dei partner per ribadire l’impegno della Commissione al loro percorso di adesione, la leader dell’esecutivo comunitario ha voluto sottolineare con forza che “tutti questi Paesi hanno sentito la chiamata della storia” e, non meno importante, “sono parte della nostra famiglia europea, è chiaro qual è il nostro obiettivo”. Fonti interne alla Commissione precisano che “non è la nostra idea” quella di far aspettare i Paesi più avanzati fino a quando non sarà pronto “quello più lento”. Insomma, l’allargamento Ue è “un percorso basato sul merito” e, quando i primi della classe saranno pronti, Bruxelles non dovrà mettere in campo strategie del passato (come quella del 2004 con 10 nuovi membri nello stesso momento).Ora sarà però il Consiglio Europeo del 14-15 dicembre a dover prendere le singole decisioni definitive in merito. Ed è qui che bisogna considerare la situazione di ognuno dei Paesi interessati dal processo di allargamento Ue. In primis l’Ucraina, che secondo la Commissione Ue merita di vedere avviati i negoziati di adesione e adottati i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. Più nello specifico si tratta di 3 delle 7 priorità indicate dall’esecutivo comunitario non ancora pienamente soddisfatte: lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali (ma l’uso della lingua russa “non sarà qualcosa che valuteremo”, precisano le fonti). Dopo i progressi dell’ultimo anno – e le 2 priorità completate da fine giugno – la Commissione pubblicherà un nuovo rapporto in merito “a marzo 2024”, ha reso noto von der Leyen. “In Ucraina la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report specifico su Kiev.Discorso simile può essere fatto sulla Moldova, considerata “frontrunner” dai funzionari Ue dopo aver completato 6 priorità su 9 (+3 da fine giugno). Anche per Chișinău la raccomandazione della Commissione al Consiglio è quella di avviare i negoziati di adesione immediatamente e adottare i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave” nelle tre aree ancora da ultimare: rafforzamento del sistema giudiziario, degli organi anti-corruzione e attuazione del piano d’azione per la de-oligarchizzazione. A marzo del prossimo anno arriverà un nuovo rapporto dell’esecutivo comunitario, in cui si capirà se il Paese ha tratto nuova linfa per il suo cammino di adesione all’Ue.E poi c’è la Bosnia ed Erzegovina, il Paese più discusso dopo la concessione dello status di candidato all’adesione nel dicembre dello scorso anno. La raccomandazione dell’avvio dei negoziati dopo un solo anno – considerata la polarizzazione politica e i progetti secessionisti nell’entità della Republika Sprksa – è stata particolarmente contestata da molti ambasciatori dei Ventisette e per questo motivo per Sarajevo il gabinetto von der Leyen ha deciso di procedere in modo diverso: questo potrà accadere “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione“. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma la risposta del Consiglio certamente aspetterà. Quanto non è dato sapere, ma è un fatto che su 14 priorità indicate dalla Commissione, solo 2 sono state completate. La speranza della Commissione deriva dal fatto che la concessione dello status di candidato “ha portato una dinamica positiva di cui si sentiva il bisogno” e il governo “ha iniziato a realizzare le riforme”, mentre destano enormi preoccupazioni le “misure secessioniste e autoritarie” introdotte nell’entità serbo-bosniaca “non  in linea con il percorso verso l’Ue”. Anche in questo caso si attende marzo 2024 per il nuovo rapporto.Il Pacchetto Allargamento Ue 2023 porta anche la grande novità della concessione dello status di candidato per la Georgia, ma “a condizione che vengano prese alcune misure“. Rispetto alla presentazione orale di fine giugno non sono state implementate altre riforme, e ne sono state completate solo 3 su 12. “C’è ancora molto lavoro da fare, ma è un giorno da celebrare per la Georgia, riconosciamo le aspirazioni della stragrande maggioranza dei georgiani“, ha voluto sottolineare von der Leyen in conferenza stampa. Negli ultimi mesi comunque Tbilisi “ha preso provvedimenti per rafforzare l’impegno con l’Ue e ha aumentato il ritmo delle riforme”, ma le indicazioni sugli impegni da implementare non sono poche: allineamento alla politica estera dell’Unione, contrasto alla polarizzazione politica, attuazione delle riforme giudiziarie, lotta alla corruzione e alla de-oligarchizzazione e attuazione della strategia per i diritti umani, la libertà dei media e l’impegno della società civile.Gli altri 6 capitoli del Pacchetto Allargamento UeA fronte di queste quattro sostanziali novità del Pacchetto Allargamento Ue 2023, va ricordato anche lo stato di avanzamento degli altri sei Paesi che si sono incamminati sulla strada verso l’Unione Europea. “C’è grande entusiasmo a Podgorica per progredire sul percorso già molto avanzato“, ha ricordato von der Leyen a proposito del Montenegro, il Paese più avanti sul cammino tra tutti i 10 in corsa. Dopo anni di “profonda polarizzazione politica e instabilità” che hanno determinato “l’arenarsi dei progressi”, ora con il nuovo governo c’è la possibilità concreta di mettere a terra i “parametri provvisori sullo Stato di diritto stabiliti nei capitoli 23 e 24” (‘giudiziario e diritti fondamentali’ e ‘giustizia, libertà e sicurezza’), si legge nel report.La Serbia sconta il fatto di non essere allineata alla politica estera dell’Unione in particolare a proposito delle sanzioni contro la Russia, e di essere coinvolta da vicino dall’escalation di tensione nel nord del Kosovo, su cui è necessario “normalizzare le relazioni” con Pristina prima di sperare di accelerare sulla strada verso l’adesione Ue. A questo proposito, precisando le parole della presidente von der Leyen a Belgrado, le fonti europee spiegano che il riconoscimento de facto del Kosovo “è un modo per tagliare corto” su tutta una serie di azioni concrete (targhe, bandiera, seggio nelle istituzioni internazionali), ma “non stiamo parlando di riconoscimento formale in Costituzione”. Parallelamente l’esecutivo Ue ha evidenziato che la Serbia “ha tecnicamente soddisfatto i parametri di riferimento per l’apertura del cluster 3“, ovvero quello relativo a ‘competitività e crescita inclusiva’.A proposito di Kosovo, questo potrebbe diventare l’unico Paese a cui non è riconosciuto nemmeno lo status di candidato. È comunque vero che al momento la questione è ancora ferma in Consiglio, che “non ha chiesto alla Commissione un’opinione a riguardo”, ha voluto ricordare in conferenza stampa il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Non basta il fatto che il Kosovo “ha continuato ad allinearsi volontariamente e completamente alla politica estera dell’Unione”, come riconosce il rapporto, né il passo decisivo della liberalizzazione dei visti a partire dal primo gennaio 2024. Perché, come ha ribadito von der Leyen a Pristina, la strada verso l’Ue passa dalla “attuazione degli obblighi vincolanti” del dialogo con la Serbia, che per il Kosovo nello specifico è la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba.Vanno sempre a braccetto Albania e Macedonia del Nord dopo l’avvio del negoziati di adesione nel luglio dello scorso anno: sia per Tirana sia per Skopje “è necessario dare seguito alla relazione di screening sul ‘Cluster fondamenti’, per aprire il primo Cluster entro la fine dell’anno“. Nel frattempo l’Albania dovrà aumentare il lavoro su “libertà di espressione, le questioni relative alle minoranze e i diritti di proprietà, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata”, mentre la Macedonia del Nord deve attuare “riforme nel settore giudiziario, nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, nella riforma della pubblica amministrazione, nella gestione delle finanze pubbliche e negli appalti pubblici”, ma anche gli emendamenti alla Costituzione a proposito delle minoranze nel Paese.E infine c’è la Turchia, che rimane sempre un caso a se stante, dal momento in cui i negoziati sono congelati dal 2018 e nessuno si aspetta più nulla dal regime di Recep Tayyip Erdoğan. Sebbene Ankara rimanga “un partner chiave” per Bruxelles, “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”, si legge nel report. Tuttavia, dopo la richiesta di luglio del Consiglio, l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, presenterà “più tardi a novembre” una relazione sullo stato delle relazioni Ue-Turchia, “al fine di procedere in modo strategico e lungimirante”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    La Commissione ha presentato le sue raccomandazioni al Consiglio, che dovrà decidere se seguirle al vertice dei leader Ue di dicembre. La presidente Ursula von der Leyen: “È un giorno storico, dobbiamo sfruttare il momento per affrontare il duro lavoro che abbiamo davanti”

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    La vigilia dell’allargamento Ue. Dall’Ucraina alla Moldova fino ai Balcani, von der Leyen punta tutto sullo sprint decisivo

    Bruxelles – È la settimana più importante per le prospettive di allargamento Ue, quella in cui si capirà se le promesse degli ultimi mesi corrispondono effettivamente a dei progressi reali che permettano ai Paesi candidati (e a quelli in attesa di risposta) di proseguire sulla strada verso l’adesione all’Unione Europea, ciascuno secondo la propria situazione specifica nel processo. La Commissione Europea svelerà mercoledì (8 novembre) il contenuto del Pacchetto Allargamento Ue, il report annuale sullo stato di avanzamento dei Paesi che hanno fatto richiesta di aderire all’Unione. E per ribadire l’impegno di Bruxelles a sostegno del processo, la sua presidente, Ursula von der Leyen, nell’ultimo mese ha visitato tutti i partner impegnati attivamente in questo processo. Dalla Moldova all’Ucraina, passando per i sei dei Balcani Occidentali. Ma non la Georgia.Con l’imminente pacchetto Allargamento Ue 2023 l’esecutivo comunitario è chiamato a rispondere presente agli stravolgimenti accaduti lo scorso anno in questo settore delle relazioni esterne di Bruxelles: la concessione dello status di Paese candidato a Ucraina, Moldova e Bosnia ed Erzegovina e la ‘prospettiva europea’ alla Georgia, l’avvio dei negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord, la richiesta arrivata dal Kosovo, il braccio di ferro con la Serbia per l’allineamento alla politica estera e di sicurezza (in particolare sulle sanzioni alla Russia) e la crisi politico-istituzionale in Montenegro. La Turchia rimane sempre un caso a se stante, dal momento in cui i negoziati sono congelati da anni e nessuno si aspetta più nulla dal regime di Erdoğan. Tutte questioni affrontate solo parzialmente nella relazione 2022, dal momento in cui si è trattato di punti di svolta troppo vicini alla pubblicazione (di giugno il Consiglio Europeo sui tre nuovi candidati, a luglio l’avvio dei negoziati con Tirana e Skopje, solo a metà dicembre la richiesta di Pristina). È così che questo Pacchetto Allargamento Ue è atteso come uno dei più decisivi da diversi anni: non solo perché finalmente aumenterà il numero di capitoli per Paese – oggi 10 – ma soprattutto perché dovrà indicare se ci sono le condizioni per un nuovo sprint per allargare questa Unione.In questo scenario di potenziale svolta, nell’ultimo mese la presidente von der Leyen è stata impegnata in un tour de force per mettere in chiaro che la Commissione Ue sostiene pienamente gli sforzi dei nove Paesi impegnati in modo attivo per fare ingresso nell’Unione. Un impegno diplomatico sul campo iniziato lo scorso 12 ottobre a Chișinău, quando la leader dell’esecutivo comunitario ha messo in chiaro che “la posta in gioco è molto alta” per la Moldova e che per l’implementazione delle riforme necessarie “potete farcela”. Il riferimento è all’apertura dei negoziati di adesione, che dovrà essere decisa in ultima istanza dal Consiglio Europeo in programma il prossimo 14-15 dicembre. Lo stesso aspetta con impazienza l’Ucraina dopo la visita di sabato scorso (4 novembre) a Kiev da parte di von der Leyen: “L’obiettivo è davvero a portata di mano, avete già completato oltre il 90 per cento” delle misure richieste dalla presentazione orale dello stato di avanzamento delle riforme.Nel mezzo di questi due viaggi von der Leyen ha rinnovato anche il suo tradizionale tour nei Balcani Occidentali, con un doppio obiettivo: ribadire l’impegno per l’adesione Ue “il prima possibile” e per presentare il nuovo Piano di crescita che servirà ad allineare le economie balcaniche con quelle dell’Ue. Dopo l’inizio in Albania il 16 ottobre – per participare al vertice dei leader del Processo di Berlino a Tirana – due settimane più tardi ha completato il tour nelle altre cinque capitali. A Skopje ha assicurato che “vogliamo aprire il cluster sui fondamentali” della Macedonia del Nord, a Pristina e Belgrado è arrivato l’avvertimento che senza normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo non ci saranno né progressi sull’adesione Ue né nuovi investimenti da Bruxelles, a Podgorica si è complimentata per la formazione del nuovo governo del Montenegro che porterà “nuova determinazione” al Paese “più avanzato” sulla strada dell’allargamento Ue, e a Sarajevo ha ricordato quanto sia necessario per la Bosnia ed Erzegovina “parlare con una sola voce” e implementare le “riforme cruciali”.Nel mese di viaggi di von der Leyen per anticipare il contenuto del Pacchetto Allargamento Ue ai rispettivi partner spicca però la mancata visita a uno dei Paesi che per la prima volta sarà incluso in questa relazione annuale: nemmeno in questa occasione la presidente della Commissione Ue si è recata a Tbilisi (al momento non è mai accaduto nei suoi quattro anni di mandato), nonostante la popolazione della Georgia nutra grandi speranze di fare ingresso nell’Unione. Non si possono nascondere le difficoltà sul piano delle contraddizioni del governo tra europeismo e rapporti con la Russia, ma il silenzio di von der Leyen potrebbe essere un’indicazione implicita che Tbilisi non otterrà nemmeno quest’anno lo status di candidato e sarà rimandata ancora una volta per una nuova valutazione dei progressi per il cammino di adesione Ue nel 2024.A che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.Il vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana, 6 dicembre 2022I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.Come si aderisce all’Unione EuropeaIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.Per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    Prima della presentazione del Pacchetto Allargamento 2023 l’8 novembre, la leader della Commissione Ue ha visitato tutti i Paesi impegnati attivamente nel cammino verso l’adesione all’Unione per ribadire il sostegno di Bruxelles ai loro sforzi. Ma dimenticandosi della Georgia

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    Si chiude in Bosnia ed Erzegovina il tour balcanico di von der Leyen: “Riforme cruciali per adesione Ue e Piano di crescita”

    Bruxelles – Un anno dopo, con un risultato concreto alle spalle e una strada che rimane complicata ma con un nuovo impulso economico. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha chiuso ieri (primo novembre) in Bosnia ed Erzegovina la sua quattro-giorni di tour nei Balcani Occidentali, con un messaggio di incoraggiamento per il cammino del Paese verso l’adesione all’Unione Europea e un avvertimento ad accelerare sulle riforme fondamentali: “Sappiamo tutti che per raggiungere l’obiettivo di progredire abbiamo bisogno che la Bosnia ed Erzegovina parli con una sola voce e proceda unita, non possiamo accettare un arretramento sui nostri valori comuni o divisioni, in nessuna parte del vostro Paese”.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, a Sarajevo (primo novembre 2023)L’ultima tappa dell’annuale tour nella regione da parte della numero uno dell’esecutivo comunitario è stata l’occasione per riconfermare il sostegno di Bruxelles a Sarajevo dopo la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue il 15 dicembre dello scorso anno, “una giornata storica, molto emozionante e molto importante”. Poco più di 365 giorni dopo l’ultima volta nella capitale bosniaca, von der Leyen ha messo in chiaro su quali binari dovrà procedere il cammino del Paese per l’avvio effettivo dei negoziati di adesione e per la messa a terra del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali presentato proprio dalla presidente della Commissione Ue nel suo viaggio in tutte le capitali della regione: “L’obiettivo dovrebbe essere quello di compiere progressi decisivi sulle 14 priorità-chiave” che riguardano riforme in ambito di Stato di diritto, diritti fondamentali, pubblica amministrazione ed economia.Nonostante le enormi difficoltà di un Paese diviso su molte direttrici – non da ultimo quella tra le due entità della Federazione di Bosnia ed Erzegovina e della Republika Sprska – von der Leyen ha scelto un’impostazione ottimista. “La nomina del governo e il lavoro che avete svolto nel primo anno di mandato dimostrano che il Paese è in grado di ottenere risultati” e ora sarà necessario concretizzare il pacchetto di misure sullo Stato di diritto composto di tre leggi: quella sui tribunali, quella sul conflitto d’interesse e quella sul riciclaggio di denaro sporco. “Sarebbe la prova delle capacità di rafforzare le fondamenta della democrazia”, ha messo in chiaro la leader della Commissione, rassicurata in conferenza stampa dalla presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto: “Siamo a un momento decisivo per trovare un accordo su queste riforme fondamentali”. Perché all’orizzonte non ci sono solo il Pacchetto Allargamento (atteso per l’8 novembre) e il Consiglio Europeo di dicembre, in cui si capirà se ci sono le condizioni per avviare i negoziati di adesione, ma le riforme saranno “cruciali” anche per i futuri stanziamenti economici del Piano di crescita per i Balcani Occidentali: “Se non saranno implementate, le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo, questo è un forte incentivo ad andare avanti in modo attivo”, ha avvertito von der Leyen.In altre parole, senza progressi sulle riforme rimarranno in stallo – o andranno perduti – i finanziamenti previsti per la Bosnia ed Erzegovina all’interno del pacchetto complessivo da 6 miliardi di euro e fondato su quattro pilastri. Il primo riguarda l’integrazione nelle dimensioni chiave del Mercato unico dell’Ue, il secondo è legato al completamento del Mercato regionale comune, il terzo si basa sul liberare il pieno potenziale economico attraverso riforme fondamentali sia sullo Stato di diritto sia in materia economica. E infine il pilastro del finanziamento da parte di Bruxelles: il pacchetto da 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 in prestiti. “C’è un grande potenziale non sfruttato”, ha messo in chiaro la leader dell’esecutivo comunitario a Sarajevo, facendo riferimento al fatto che l’economia bosniaca “è pari al 35 per cento della media Ue”. Ecco perché “dobbiamo avvicinare le nostre economie” con l’approccio ‘riforme-investimenti’, al pari del Next Generation Eu per i Ventisette: “Sappiamo quanto sia importante la prosperità economica per il funzionamento di qualsiasi Paese” e per le prospettive di integrazione europea, è stato l’ultimo messaggio di von der Leyen nel suo tour balcanico.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati che si trovano nel cuore dell’Europa.È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, condita da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il precedente viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione. Nel processo di allargamento Ue Sarajevo è diventato così l’ottavo candidato all’adesione.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma da quest’anno le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete. A fine marzo il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Ma parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancato dal 24 febbraio dello scorso anno il non-allineamento alla politica estera dell’Unione e alle sanzioni internazionali contro il Cremlino: insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato misure restrittive a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Già il 20 settembre dello scorso anno Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio di quest’anno con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    In vista del Pacchetto Allargamento e del Consiglio Europeo la presidente della Commissione Ue ha esortato Sarajevo ad attuare tre leggi fondamentali sullo Stato di diritto. Con un avvertimento: “Le risorse economiche saranno redistribuite ad altri Paesi in caso di mancata implementazione”

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    Il Montenegro elegge il nuovo governo europeista nel giorno della visita di von der Leyen a Podgorica

    Bruxelles – Dopo cinque mesi dalle elezioni e dopo settimane di durissime trattative tra una lunga lista di partiti e coalizioni, il Montenegro ha un nuovo governo. E il giorno in cui l’Assemblea nazionale ha dato il via libera al gabinetto di Milojko Spajić, leader di una forza il cui programma sta tutto nel nome – Europe Now – coincide con un appuntamento cruciale: la visita della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a Podgorica, terza tappa del suo tour nella regione. Perché nel taccuino della numero uno dell’esecutivo Ue c’erano due temi fondamentali di cui discutere oggi (31 ottobre) con i leader montenegrini: la ripresa del cammino di adesione Ue e la spinta per il nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, a Podgorica (31 ottobre 2023)“Sono soddisfatta che ora siate pienamente focalizzati sulla strada verso l’Unione Europea, da tempo il Montenegro è il Paese più avanzato e tutti i capitoli negoziali sono aperti, ma serviva nuova determinazione“, ha ricordato von der Leyen. Il riferimento è agli ultimi tre anni politicamente tormentati per Podgorica, che hanno non poco rallentato i progressi di un percorso di adesione iniziato quasi 15 anni fa. “È importante che il Paese vada in un’unica direzione e parli con una sola voce” – anche considerato l’allineamento al 100 per cento alla Politica estera e di sicurezza dell’Ue – “siete dei front-runner e ora serve fare l’ultimo miglio“. La leader della Commissione ha discusso di riforme, allineamento allo Stato di diritto e investimenti non solo con il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, ma anche con il neo-premier Spajić, fresco fresco di nomina al Parlamento unicamerale: “Il processo di adesione è basato sul merito, non serve aspettare una data [il 2030 ormai inflazionato nel dibattito pubblico europeo, ndr] e se lo fate il prima possibile, si apriranno subito le porte dell’Ue”, ha ricordato von der Leyen a entrambi gli esponenti di Europe Now.Da oggi il Montenegro sarà guidato da una coalizione europeista di partiti filo-Ue, filo-serbi e della minoranza albanese, con a capo il più giovane primo ministro di tutta Europa (Spajić ha 36 anni appena compiuti). Nel voto di investitura di questa mattina l’esecutivo si è assicurato 46 voti su 81 totali – 19 contrari, 1 astenuto e 15 assenti – assicurandosi l’appoggio non solo della coalizione di quattro partiti che fa capo a Europe Now, ma anche da quella colazione filo-serba ‘Per il futuro del Montenegro’, dai liberali di Montenegro Democratico, dal Partito Popolare Socialista e dai tre partiti della minoranza albanese. “La nostra visione è diventare la Svizzera dei Balcani e la Singapore d’Europa“, ha dichiarato Spajić al Parlamento appena prima del voto. Ma la vera missione del governo sarà quella di portare il Paese all’interno (o quasi) nell’Unione Europea: il Montenegro ha fatto richiesta di adesione il 15 dicembre 2008, ottenendo due anni più tardi lo status di Paese candidato (il 17 dicembre 2010) e dopo altri due anni l’avvio dei negoziati (29 dicembre 2012). Da 11 anni Podgorica si trova a questo stadio nel lungo processo di adesione Ue.Una delle preoccupazioni maggiori per Bruxelles riguarda però la presenza all’interno del governo del partito nazionalista filo-serbo Fronte Democratico e dell’elezione del suo leader, Andrija Mandić, a presidente dell’Assemblea nazionale. Spajić ha assicurato che il suo gabinetto sarà “pro-europeo” nonostante l’elezione di Mandić e ha respinto le insinuazioni per cui il governo di Podgorica sarà influenzato dalla Serbia, da cui il Montenegro si è separato nel 2006 dopo un referendum sull’indipendenza. “Il Montenegro è un Paese sovrano e indipendente ed è suo diritto scegliere i suoi leader e formare le sue istituzioni”, ha risposto a una domanda in conferenza stampa a Podgorica von der Leyen: “Credo fortemente nella capacità del Montenegro di andare sulla strada giusta“. Anche perché in ballo ci sono i futuri fondi del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali che la leader dell’esecutivo Ue sta presentando nel suo tour in tutte le capitali balcaniche. “Abbiamo usato il principio ‘riforme e investimenti’ per la ripresa post-Covid nei nostri Stati membri e ha funzionato in modo eccezionale, per questo vogliamo applicare gli stessi principi” per la messa a terra di 6 miliardi di euro complessivi (2 miliardi in sovvenzioni e 4 in prestiti). “Spero che abbiamo capito la lezione, dopo anni di stallo ci sono le condizioni per accelerare”, ha assicurato il presidente Milatović.Tre anni di turbolenza politica in MontenegroIl 2023 è stato un trionfo per il nuovo movimento europeista Europe Now, fondato e guidato da quelli che ora sono il primo ministro e il presidente del Montenegro, vincitori dalla doppia tornata elettorale in poco più di due mesi: il ballottaggio delle presidenziali del 2 aprile e le elezioni per il rinnovo del Parlamento dell’11 giugno. Il neo-premier Spajić e il neo-presidente Milatović erano rispettivamente ministro delle Finanze e dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović (padre-padrone del Paese balcanico per 32 anni) guidata dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 da Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo i due hanno presentato un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro. I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro in vista delle elezioni del 2023.L’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović (credits: Savo Prelevic / Afp)La nomina di Spajić e Milatović (i più giovani mai eletti alle due cariche istituzionali del Paese, entrambi all’età di 36 anni) chiude una fase di turbolenza per il Montenegro iniziata con le elezioni del 30 agosto 2020. In quell’occasione sono cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni ininterrotti al potere per il Dps di Đukanović (sempre al governo o alla presidenza del Paese dal 1991). A guidare l’esecutivo per poco più di un anno è stata una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Abazović. Il 4 febbraio 2022 era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via all’esecutivo di minoranza di Abazović.Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue. Mentre Abazović è rimasto premier ad interim, nel settembre 2022 si è aggravata anche la crisi istituzionale. A determinarla è stato il via libera alla contestata legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrebbe l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi.Il presidente del Montenegro, Jakov Milatović (credits: Savo Prelevic / Afp)Il vero problema si è però innestato con la parallela vacanza di quattro membri (su sette) della Corte Costituzionale, l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge contestata. Senza la sua piena funzionalità non è stato possibile considerare il voto dell’Assemblea nazionale in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei. Dopo mesi di vacanza e di richiami internazionali, lo scorso 27 febbraio l’Assemblea del Montenegro è riuscita a eleggere tre giudici della Corte Costituzionale vacanti (si rimane ancora in attesa del quarto), condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina e per continuare il percorso europeo del Paese. Dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro e a poche settimane dalle presidenziali, lo scorso 16 marzo l’ex-presidente Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    Il Parlamento montenegrino ha dato il via libera all’esecutivo guidato dal leader di Europe Now, Milojko Spajić: “La nostra visione è diventare la Svizzera dei Balcani e la Singapore d’Europa”. La presidente della Commissione Ue esorta il Paese a fare “l’ultimo miglio” verso l’adesione

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    Inizia l’annuale tour di von der Leyen nei Balcani Occidentali, a una settimana dal cruciale Pacchetto Allargamento Ue

    Bruxelles – È iniziato in Macedonia del Nord l’ormai tradizionale tour autunnale della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nelle capitali dei Balcani Occidentali e quest’anno il viaggio arriva a pochi giorni dall’appuntamento più atteso dai Paesi che attendono di accedere all’Unione Europea: la pubblicazione del Pacchetto Allargamento da parte dell’esecutivo comunitario, attesa per l’8 novembre. Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – tralasciata solo l’Albania, in cui però la leader della Commissione è stata appena due settimane fa in occasione del vertice dei leader del Processo di Berlino – per una quattro giorni di incontri istituzionali con alcuni punti fissi in agenda: progressi nel percorso di avvicinamento e nei negoziati di adesione Ue, definizione dei punti del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali e freno alle tensioni nella regione.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, a Skopje (30 ottobre 2023)“Ogni volta che von der Leyen fa visita nel Paese, arriva con proposte concrete per l’avvicinamento all’Unione”, si è congratulato il primo ministro macedone, Dimitar Kovačevski, aprendo questa mattina (30 ottobre) la prima delle conferenze stampa della presidente della Commissione Ue nei Balcani Occidentali e facendo riferimento sia al viaggio del 2022 incentrato sul Piano energetico sia a quello odierno sul nuovo Piano di crescita. “L’anno scorso abbiamo affrontato una dura crisi energetica, ma siamo rimasti uniti e abbiamo spostato le montagne“, ha rivendicato von der Leyen: “Vi abbiamo supportato con 80 milioni di euro [su 500 milioni complessivi per l’intera regione, ndr] per respingere l’impatto dei prezzi dell’energia su imprese e famiglie, abbiamo lavorato duramente e abbiamo vinto”. Per la leader Ue “la cosa più importante è che l’abbiamo fatto insieme” e anche nelle discussioni di oggi c’è stato spazio per questo tema: “Dove ci sono sfide, affrontiamole e superiamole insieme“.Oltre all’energia e ai progressi di Skopje nei negoziati per l’adesione Ue – “vogliamo aprire il cluster sui fondamentali, compresi gli emendamenti alla Costituzione” – il vero tema portante è quello economico. “Abbiamo 30 miliardi per il Piano economico e di investimenti che sta dando risultati velocemente”, ma per Bruxelles è necessario “portare più vicine le nostre economie e raddoppiare quelle balcaniche entro il prossimo decennio”. Ecco perché, dopo averlo anticipato a fine maggio e dettagliato a Tirana lo scorso 16 ottobre, la presidente von der Leyen sta facendo il giro delle altre cinque capitali per presentare i quattro pilastri del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali. Il primo riguarda l’integrazione nelle dimensioni chiave del Mercato unico dell’Ue, il secondo è legato al completamento del Mercato regionale comune, il terzo si basa sul liberare il pieno potenziale economico attraverso riforme ambiziose e fondamentali sia sullo Stato di diritto sia in materia economica. E infine il pilastro del finanziamento da parte di Bruxelles: un pacchetto di 6 miliardi di euro – di cui 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 miliardi di euro in prestiti – proposto da von der Leyen nell’ambito della revisione intermedia del bilancio Ue.Il tallone d’Achille dei Balcani OccidentaliMa è la seconda tappa del viaggio a mostrare che la strada è più in salita di quanto le parole non riescano a nascondere. A Pristina, dopo aver ripetuto il discorso sul nuovo Piano di crescita per tutta la regione e aver fatto i complimenti alle autorità kosovare per “anni di duro lavoro” che hanno portato alla liberalizzazione dei visti dal primo gennaio 2024 – la maggior parte del discorso di von der Leyen è stata cannibalizzata dal tema più urgente da oltre sei mesi: le tensioni tra Kosovo e Serbia. La presidente della Commissione Ue ha reiterato la condanna all’attacco terroristico dello scorso 24 settembre nel nord del Kosovo – che è “totalmente inaccettabile e si scontra con i valori Ue” – ma in quello che è il momento più basso dei rapporti tra i due Paesi, l’unico modo di mettere a terra tutti i piani di Bruxelles è “solo con la normalizzazione delle relazioni” attraverso il dialogo Pristina-Belgrado.Niente di veramente nuovo in quanto affermato da von der Leyen – che si è attenuta alla dichiarazione dei leader di Francia, Germania, Italia e Ue a margine del Consiglio Europeo di giovedì scorso (26 ottobre) – se non per il fatto di aver pronunciato queste parole proprio in loco. “Il Kosovo deve stabilire un processo per come è stato definito la settimana scorsa, e lo stesso dirò domani in Serbia”, è stata chiara la presidente dell’esecutivo comunitario. In altre parole, la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo e il riconoscimento de facto della sovranità di Pristina da parte della Serbia. I due punti più delicati, da una parte e dall’altra del confine amministrativo, ma “una de-escalation prevede che siano due attori a impegnarsi”, ha ribadito von der Leyen.Dopo aver assicurato che nell’incontro di domani (31 ottobre) a Belgrado con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, “discuterò dei passi necessari per la Serbia” nel garantire ciò che sembra ancora quasi impossibile – il riconoscimento in qualche forma ufficiosa dell’indipendenza del Kosovo – von der Leyen ha esortato la presidente kosovara, Vjosa Osmani, (e successivamente il premier Albin Kurti) a fare la propria parte per sbloccare l’impasse sull’implementazione della comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. Perché dalla bozza di Statuto “moderno ed europeo” presentato la scorsa settimana per la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo passa quasi tutto: la normalizzazione delle relazioni con Belgrado, l’eliminazione delle misure “temporanee e reversibili” e “l’apertura delle porte al Piano di crescita” anche per Pristina, è l’avvertimento di von der Leyen nel suo ormai consueto ritorno autunnale nella regione.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    La presidente della Commissione Europea in visita nelle capitali balcaniche per anticipare i punti più delicati del report che sarà pubblicato l’8 novembre. Focus su negoziati di adesione, nuovo piano di crescita e sul difficile cammino di normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo