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    Pronto il 19esimo pacchetto di sanzioni Ue alla Russia. Von der Leyen: “Le minacce aumentano, aumentiamo la pressione”

    Bruxelles – Energia, banche e criptovalute. Nel 19esimo pacchetto di sanzioni europee alla Russia c’è tutto quello che Ursula von der Leyen aveva anticipato pochi giorni fa al presidente statunitense Donald Trump, a partire dal cambio di marcia verso l’abbandono del gas naturale liquefatto russo. “Negli ultimi mesi la Russia ha dimostrato tutto il suo disprezzo per la diplomazia e il diritto internazionale”, ha affermato la leader Ue. Oltre ai pesanti raid su abitazioni civili e edifici governativi in Ucraina, il presunto disturbo al Gps dell’aereo della presidente della Commissione europea e le violazioni dello spazio aereo polacco e rumeno.Se “le minacce alla nostra Unione aumentano, noi rispondiamo aumentando la pressione”, ha proseguito von der Leyen. Alla fine, la stretta sugli import energetici dalla Russia arriva: “È ora di chiudere il rubinetto. Siamo pronti a farlo. Abbiamo risparmiato energia, diversificato le forniture e investito in fonti a basse emissioni di carbonio come mai prima d’ora”, ha assicurato la leader rivelando il divieto di importazione di GNL russo a partire dal primo gennaio 2027. Un anno prima dunque, rispetto al calendario previsto da REPowerEU.In più, von der Leyen ha annunciato l’abbassamento al tetto sul prezzo del petrolio russo a 47,6 dollari al barile. L’Unione stringe le maglie sulle principali compagnie energetiche del Cremlino: Rosneft e Gazprom Neft saranno “soggette al divieto totale di transazioni“, mentre saranno congelati i beni sul territorio europeo a “raffinerie, commercianti di petrolio e società petrolchimiche nei Paesi terzi, compresa la Cina”. Nella lista nera dell’Ue finiscono altre 118 navi della flotta fantasma con cui il Cremlino aggira le sanzioni sul greggio. In totale, Bruxelles ha individuato e sanzionato oltre 560 imbarcazioni.La seconda traccia seguita dalla Commissione europea sono le “scappatoie finanziarie utilizzate da Mosca per eludere le sanzioni”. E dunque, divieti di transazioni per altre banche in Russia e in Paesi terzi e “per la prima volta le nostre misure restrittive colpiranno le piattaforme per le criptovalute“. Infine, come sottolineato dall’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, “dobbiamo interrompere le forniture all’industria militare russa, in modo che non possa alimentare la sua macchina da guerra”. Il 19esimo pacchetto aggiunge ulteriori prodotti chimici, componenti metallici, minerali ai divieti di esportazione. “Stiamo rafforzando i controlli sulle esportazioni verso entità russe, cinesi e indiane“, ha spiegato Kallas: nell’elenco delle misure restrittive finiscono 45 nuove società in Russia e in Paesi terzi. “Il nostro messaggio è chiaro: chi sostiene la guerra della Russia e cerca di eludere le nostre sanzioni ne subirà le conseguenze”, ha proseguito il capo della diplomazia europea.Parallelamente, von der Leyen ha annunciato che “presto” la Commissione europea presenterà una proposta per l’utilizzo dei profitti generati dagli asset russi congelati in Ue per finanziare la spesa militare dell’Ucraina. La presidente della Commissione europea si è rivolta alle capitali: “Conto ora su di voi per un’adozione rapida del pacchetto”.

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    Trump e Starmer stipulano un accordo da 335 miliardi di dollari. Il partner degli USA in Europa è il Regno Unito

    Bruxelles – Gli Stati Uniti di Donald Trump hanno scelto il loro partner in Europa: è il Regno Unito. Le due economie rafforzano i rapporti grazie a un piano d’investimenti dal valore di 335 miliardi di dollari. I settori coinvolti saranno principalmente quello dell’energia nucleare, dell’intelligenza artificiale e farmaceutico. Londra, che era già riuscita a strappare un accordo commerciale più favorevole con Washington (dazio base al 10 per cento) rispetto all’UE, ora stipula un partenariato definito dal tycoon come “senza precedenti”. Un’intesa commerciale ottenuta anche grazie, secondo Trump, all’“abile negoziatore” Starmer. Una frecciata indiretta a chi lo è stato meno.Il “Tech Prosperity Deal”, così battezzato durante la fastosa cerimonia della firma, è stato siglato a Chequers, nella residenza di campagna del primo ministro britannico. Tra i quadri ottocenteschi della residenza sedevano alcuni dei più influenti imprenditori del settore tecnologico americano, come il CEO di Nvidia Jensen Huang o quello di Microsoft Satya Nadella.Gli sforzi promessi sono consistenti. Il colosso tech di Bill Gates ha annunciato investimenti per 30 miliardi di dollari in infrastrutture di intelligenza artificiale e nelle relative attività operative. Impegni simili sono stati presi anche da Salesforce, Nvidia e Palantir, tra gli altri. Da parte sua, invece, Londra ha messo sul piatto le sue aziende di punta. In prima linea la farmaceutica GSK, che investirà negli Stati Uniti 30 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo in cinque anni. L’azienda petrolifera BP, che spenderà 5 miliardi di dollari all’anno.Il presidente americano, coccolato durante i suoi due giorni britannici, è stato messo alle strette solo nella conferenza stampa finale. I temi affrontati sono stati diversi. Si è parlato della guerra in Ucraina, dove Starmer ha esortato Trump ad aumentare la pressione su Putin affermando: “Le violazioni contro lo spazio aereo NATO non sono il gesto di una persona intenzionata alla pace”. Trump si è limitato a rispondere che Putin lo ha “deluso”. Poi, tornando sul tema più tardi, ne ha approfittato per una strigliata all’Unione Europea: “Sono disposto a fare altre cose (contro la Russia, ndr), ma non quando le persone per cui mi batto comprano petrolio dalla Russia. Se il prezzo del petrolio scende, molto semplicemente, la Russia si accontenterà”.Sulla crisi in Medio Oriente si è vista la maggiore divergenza tra i due. Il primo ministro inglese ha sottolineato come “il riconoscimento dello Stato palestinese rappresenterà un passo avanti verso la soluzione dei due Stati”, mentre il tycoon si è detto contrario: “È uno dei pochi punti in cui non andiamo d’accordo”.Al netto di divergenze sul Medio Oriente il rapporto tra i due sembra però genuino. L’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, ha affermato a Politico: “Il Presidente è molto disponibile ad ascoltare le opinioni di Starmer, indipendentemente dall’ideologia politica. Loro condividono la stessa visione”. Un legame che travalica i secoli, perché, come ha dichiarato Trump, Regni Unito e Stati Uniti hanno fatto “più bene al pianeta di qualsiasi altra coppia di nazioni nella storia”.

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    Caucaso, la commissaria Marta Kos visita Azerbaigian e Armenia

    Bruxelles – L’Ue cerca di tenersi stretto il Caucaso meridionale, provando a puntellare la sua presenza in quell’angolo di mondo, da sempre considerato dalla Russia come propria zona di interesse e oggi più strategico che mai. La commissaria all’Allargamento Marta Kos ha cominciato oggi (17 settembre) un viaggio di quattro giorni che la porterà a visitare Azerbaigian e Armenia, nel tentativo di rinsaldare i legami coi due Paesi mentre sembra avvicinarsi la firma di uno storico accordo di pace tra Baku e Yerevan.Kos arriverà stasera nella capitale azera, dove domani incontrerà il capo di Stato Ilham Aliyev ed alcuni membri di punta dell’esecutivo. I colloqui si incentreranno soprattutto sugli interessi economici comuni, con buona pace delle preoccupazioni per le sistematiche violazioni dei diritti umani nel Paese, governato in maniera autoritaria dal presidente 63enne.Ma gli affari sono affari, soprattutto in tempi di dazi. Così si parlerà in primis delle forniture energetiche verso il Vecchio continente (Baku è grande produttrice di petrolio e gas naturale, lo stesso che arriva in Puglia attraverso il Tap), ma anche dei grandi progetti infrastrutturali in questo crocevia strategico tra Europa, Medio Oriente ed Asia Centrale, come da copione in base alla nuova strategia Ue per il Mar Nero.La commissaria si recherà poi presso la cittadina di Aghdam, dove sono ancora in corso le attività di sminamento iniziate dopo la conclusione del decennale conflitto nel Nagorno-Karabakh, scoppiato nel 1992 e terminato nel settembre 2023 con la resa dei separatisti armeni. Venerdì (19 settembre) partirà dunque alla volta dell’Armenia, dove vedrà il presidente Vahagn Khachaturyan, il premier Nikol Pashinyan e alcuni ministri. Anche qui ribadirà la volontà dell’esecutivo comunitario di approfondire la cooperazione bilaterale, mettendo al centro gli scambi commerciali e la connettività regionale.Il tour caucasico di Kos non arriva in un momento qualunque. Coincide al contrario con una fase cruciale del processo di normalizzazione tra Armenia e Azerbaigian, avviato ormai da tempo ma accelerato vistosamente nell’ultimo anno. Dopo oltre 30 anni di guerra, le due repubbliche hanno deciso di mettere mano all’arsenale diplomatico e stanno lentamente progredendo verso la stipula di un accordo che, se concluso, potrebbe finalmente portare stabilità all’intera regione.Da sinistra: il presidente azero Ilham Aliyev, quello statunitense Donald Trump e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan (foto: Andrew Caballero-Reynolds/Afp)La mediazione statunitense ha impresso una svolta potenzialmente decisiva alla vicenda. Lo scorso 8 agosto Donald Trump ha ospitato Aliyev e Pashinyan alla Casa Bianca: dal trilaterale è emersa una dichiarazione congiunta in sette punti che ha costituito la base su cui, qualche giorno dopo, Baku e Yerevan hanno tratteggiato una bozza di trattato di pace in 27 articoli, modellata sul testo concordato lo scorso marzo.Il documento tocca le principali questioni al centro della decennale contesa tra i due Paesi. A partire dal corridoio di Zangezur, un passaggio terrestre voluto dall’Azerbaigian per collegarsi alla propria exclave del Nachichevan, incastonata tra Armenia, Iran e Turchia. Il tracciato dell’opera, che verrà realizzata con la partecipazione delle imprese a stelle e strisce (alle quali spetteranno i diritti di sviluppo esclusivi per 99 anni), correrà lungo il confine armeno-iraniano ed è stata ribattezzata Trump Route for International Peace and Prosperity, cioè letteralmente “Strada di Trump per la pace e la prosperità internazionali”, acronimo Tripp.Nell’agenda pesa la gestione del post-conflitto nell’ex enclave armena. Baku non intende firmare il trattato finché Yerevan non rimuoverà dalla propria Costituzione alcuni riferimenti alla riunificazione del Nagorno-Karabakh col territorio nazionale. L’Armenia sta riscrivendo la sua Carta fondamentale, ma le modifiche andranno approvate da un referendum popolare, che potrebbe venir convocato solo nel 2027 (il prossimo giugno si terranno le elezioni politiche). Rimane poi la doppia questione dei prigionieri armeni nelle carceri azere e degli sfollati del Nagorno-Karabakh.Oltre che sul piano economico, tuttavia, il progresso nelle trattative bilaterali è estremamente rilevante dal punto di vista geopolitico e strategico. Da un lato, l’accordo (per quanto provvisorio) certifica la perdita di centralità della Federazione, ora che la guerra in Ucraina le impedisce di intervenire in un’area che ha tradizionalmente considerato la sua diretta sfera d’influenza.Da sinistra: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente del Consiglio europeo António Costa (foto: Consiglio europeo)Seppur per ragioni diverse, tanto Baku quando Yerevan si stanno progressivamente allontanando da Mosca per diversificare la propria politica estera e le rispettive reti di alleanze. Se l’Azerbaigian mira a stringere ancora di più il rapporto con la Turchia, l’Armenia sta muovendo i primi passi verso una lenta integrazione con l’Ue.A marzo il Parlamento armeno ha impegnato il governo a richiedere formalmente lo status di Paese candidato. Bruxelles, che ha sempre incoraggiato gli sforzi di riconciliazione con Baku, collabora già con Yerevan in diversi ambiti – dall’assistenza finanziaria alla missione civile Euma (che potrebbe venire smantellata proprio in virtù del futuro trattato, dove si proibisce la presenza di truppe straniere lungo il confine) – e i vertici comunitari si sono recentemente complimentati per i progressi compiuti in tal senso dal piccolo Stato caucasico.Nel suo peregrinare per la regione, la commissaria Kos si terrà invece alla larga dalla Georgia, l’unico Paese dell’area ufficialmente candidato all’ingresso nel club a dodici stelle. In realtà, qui il percorso di adesione è congelato da tempo a causa dell’autoritarismo crescente del governo – che conculca le libertà dei cittadini e reprime brutalmente il dissenso – e allo scivolamento di Tbilisi verso l’orbita del Cremlino.

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    Israele, l’Ue propone sanzioni a due ministri e dazi su merci per 6 miliardi. Ora dipende dagli Stati membri

    Bruxelles – Mentre Israele cinge d’assedio Gaza City e “Gaza brucia” – così ha esultato il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz -, la Commissione europea rompe gli indugi e presenta le prime sanzioni politiche ed economiche a Tel Aviv dall’inizio del conflitto. Sono tre le linee direttive: Bruxelles potrà congelare immediatamente circa 20 milioni di fondi previsti per Israele, mentre dovrà passare dalle capitali per l’imposizione di dazi commerciali su circa 6 miliardi di merci e di misure restrittive su due dei ministri più estremisti del governo di Benjamin Netanyahu.A sbloccare un’impasse lunga due anni, l’indignazione e la mobilitazione crescenti dell’opinione pubblica, che hanno convinto Ursula von der Leyen ad annunciare le tardive misure la scorsa settimana, nel suo discorso sullo stato dell’Unione. “Voglio essere molto chiara: l’obiettivo non è punire Israele. L’obiettivo è migliorare la situazione umanitaria a Gaza”, ha affermato oggi l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, presentando il pacchetto.Con il capo della diplomazia Ue, c’era il responsabile per il commercio, Maroš Šefčovič, che ha snocciolato cifre e volumi degli scambi tra i due partner e gli effetti della sospensione parziale dell’accordo di associazione Ue-Israele messa sul piatto dall’esecutivo comunitario. Tenendo presente che l’Ue rappresenta un terzo del commercio totale di Israele con il mondo, mentre Israele è solo il 31esimo partner commerciale del blocco.Kaja Kallas, Maroš Šefčovič e Dubravka Šuica presentano le misure restrittive contro IsraeleLa Commissione europea ha proposto la sospensione delle agevolazioni commerciali previste dall’accordo di associazione per lo scambio di merci, per la partecipazione agli appalti pubblici, per le norme sulle proprietà intellettuali. Mentre non verrebbero toccate le disposizioni sul flusso di capitali e doganali. Negando l’accesso preferenziale al mercato dell’Ue, alle merci israeliane sarebbero applicate gli stessi dazi doganali che l’Ue applica a Paesi terzi con cui non ha un accordo di libero scambio.Nel 2024, Israele ha esportato in Ue merci per 16 miliardi di euro, mentre in direzione di Tel Aviv sono partite merci per 26,7 miliardi di euro. In sostanza, le misure colpirebbero il 37 per cento delle esportazioni israeliane – soprattutto prodotti agricoli -, perché il restante 63 per cento – principalmente macchinari, mezzi di trasporto, prodotti chimici – rimarrebbe soggetto a tariffe zero o molto basse, secondo i termini del regime MFN (Most Favored Nation) dell’Organizzazione mondiale del commercio.L’effetto, sarebbe dunque l’imposizione di dazi aggiuntivi su merci israeliani per il valore di 5,8 miliardi di euro. Secondo i calcoli della Commissione europea, ciò si tradurrebbe – se il commercio rimarrà allo stesso livello del 2024 – in 227 milioni di euro di dazi doganali nell’arco di un anno. Viceversa, se Israele dovesse rispondere alzando barriere analoghe, i dazi colpirebbero merci europee per il valore di circa 8 miliardi. Bruxelles è rimasta sorda agli appelli – e alle decisioni unilaterali di alcuni Paesi membri – per imporre restrizioni specifiche al commercio di armi e materiale a doppio uso civile-militare. Anzi, secondo il regime MFN, rimarranno in gran parte esenti da dazi.La proposta, il cui limitato effetto economico è inversamente proporzionale all’alto valore politico, dovrà essere approvata dagli Stati membri a maggioranza qualificata. Il che significa che – al netto dell’opposizione di Paesi con un peso specifico minore, come Ungheria e Repubblica Ceca – a deciderne le sorti saranno in particolare Italia e Germania, i cui governi non hanno mai risolto del tutto l’ambiguità nei confronti della condotta dell’esercito israeliano a Gaza. Se dovessero farsi da parte, Bruxelles dovrà a quel punto informare della sospensione il Consiglio di associazione Ue-Israele, e attendere 30 giorni prima dell’entrata in vigore dei dazi.I ministri di estrema destra Itamar Ben-Gvir (L) e Bezalel Smotrich (Photo by AMIR COHEN / POOL / AFP)Ancora più complessa la strada per il sì alle misure restrittive contro i ministri della Sicurezza nazionale e delle Finanze, gli estremisti religiosi Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich. Per approvare le sanzioni è necessaria l’unanimità dei 27. Un anno fa, le capitali Ue respinsero la stessa proposta, messa sul tavolo dall’allora Alto rappresentante Josep Borrell. Nel frattempo, i due sono stati sanzionati da diversi partner dell’Ue, tra cui Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Norvegia. E così hanno fatto, in maniera autonoma, anche Paesi Bassi e Slovenia.“Conoscete molto bene la situazione in seno al Consiglio. Anche se vediamo che l’opinione pubblica sta davvero cambiando, a livello politico le posizioni sono molto simili a quelle che ci sono state finora“, ha ammesso Kallas, scura in volto. Oltre al divieto di ingresso nell’Ue e al congelamento di eventuali fondi sul territorio europeo per i due ministri, la proposta include sanzioni per 3 coloni israeliani e 6 organizzazioni responsabili di violenze nei territori palestinesi occupati e 10 membri del direttivo politico di Hamas.Del pacchetto presentato oggi, rischia di sopravvivere soltanto lo stop al sostegno bilaterale a Israele, su cui la Commissione procederà in autonomia. Si parla di 6 milioni di euro all’anno fino al 2027 attraverso lo strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI) e di 14 milioni in progetti di cooperazione istituzionale, compresi i gemellaggi e progetti di gemellaggio nell’ambito del meccanismo di cooperazione regionale Ue-Israele.

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    L’UE cerca una cooperazione tutta nuova con l’India: “E’ priorità strategica”

    Bruxelles – La Commissione europea continua nel suo lavorio di avvicinamento all’India con una nuova strategia volta a rafforzare le relazioni bilaterali. La cosa di per sé non sorprende, visti i tempi: tensioni commerciali con un partner, quello statunitense, improvvisamente meno amico, una Cina sempre più ‘ingombrante’ a livello geo-politico, una Russia cancellata dalla lista dei Paesi ‘amici’, dialogare con Nuova Delhi è praticamente un passo obbligato. Colpisce che la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel presentare questa strategia, affermi che “ora è il momento di concentrarsi su partner affidabili e di raddoppiare i partenariati fondati su interessi condivisi e guidati da valori comuni”. Con la nostra nuova strategia UE-India, “stiamo portando le nostre relazioni a un livello superiore”.La diplomazia è in fin dei conti uno strumento di ipocrisia, un artificio utile a nascondere ciò che si pensa davvero per toni più amichevoli. Se critiche e attacchi difficilmente risultano produttivi, elogi e manifestazione di stima e affetto invece sì, quindi ben vengano le parole di rito e di circostanza, nella loro non veridicità. Ma del resto, sottolinea la comunicazione agli Stati, “portare il partenariato strategico UE-India a un livello superiore è una priorità strategica“.Il primo ministro indiano Narendra Modi (foto: Andrew Caballero-Reynolds/Afp)Sul conflitto russo-ucraino e le sanzioni a Mosca l’India ha sposato un linea ambigua e doppiogiochista: comprare petrolio da Mosca, e mantenere buoni rapporti con il Cremlino in chiave anti-cinese per il controllo della regione sfociate nella partecipazione dell’India all’esercitazione militare russa ai confini dell’Unione europea. Logiche tutte indiane che poco si sposano con le parole di von der Leyen: definire l’India di Mohdi un partner “affidabile” è un azzardo, tanto più che la stessa Commissione europea è consapevole della scommessa che sta compiendo, sia pur inevitabile.La nuova strategia UE-IndiaSullo sfondo resta l’accordo commerciale che l’UE è intenzionata chiudere entro fine anno per mettersi al riparo dalle possibili ricadute negative dell’accordo sui dazi con gli Stati Uniti e nuove eventuali tensioni commerciali. Ma intanto rilancia la cooperazione, nel rispetto di quel principio secondo cui ‘si coopera finché si può’, in cinque aree: sostenibilità, innovazione e tecnologia, sicurezza e difesa, connettività, coordinamento ad ogni livello.Più nello specifico, per ciò che riguarda la sostenibilità si intende intensificare la cooperazione sulle energie rinnovabili, lo sviluppo di capacità nell’idrogeno verde e l’espansione della finanza verde, oltre che lavorare insieme per la sicurezza alimentare e la risposta ai cambiamenti climatici. Per ciò che riguarda innovazione e tecnologia, si sottolinea l’impegno a promuovere tecnologie emergenti critiche e l’impegno sulle questioni digitali, con particolare attenzione al rafforzamento della sicurezza economica all’interno del Consiglio per il Commercio e la Tecnologia (TTC). Questa nuova strategia prevede anche una potenziale partnership UE-India per le startup, e l’invito per l’India ad associarsi al programma Horizon Europe per la ricerca.L’Ue vuole nuove relazioni con l’India, ma il nuovo corso di Delhi è una sfidaIl capitolo relativo alla difesa è forse quello più delicato, visto che si chiede a Nuova Delhi di “intensificare l’impegno sulla guerra della Russia contro l’Ucraina, sulle flotte ombra e sulle sanzioni”. Non è chiaro qui quanto possa ottenere l’UE, dato un partner che comunque ha interessi a mantenere buone relazioni con Mosca. L’UE ci prova.“L‘India è oggi uno degli attori più importanti al mondo e un partner naturale per l’Unione Europea“, sostiene l’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Kaja Kallas. “Sono molti gli ambiti in cui i nostri interessi, i nostri punti di forza e la nostra volontà politica coincidono”.

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    Ucraina, l’Ue promette nuove sanzioni alla Russia (ma è in ritardo sul 19esimo pacchetto). Metsola incontra Zelensky a Kiev

    Bruxelles – Scossa per l’ennesima volta da Donald Trump, l’Ue promette una nuova stretta sugli import energetici dalla Russia e cerca di coordinarsi con l’alleato transatlantico per aumentare ulteriormente la pressione sul Cremlino. Almeno a parole, Washington e Bruxelles sembrerebbero aver ritrovato una qualche unità d’intenti sul delicatissimo dossier della guerra in Ucraina. Ma dalle parole bisognerà passare ai fatti.Stando a quanto riportato da Ursula von der Leyen, lei e il tycoon avrebbero avuto una “buona conversazione” ieri sera (16 settembre), incentrata “sul rafforzamento dei nostri sforzi congiunti per aumentare la pressione economica sulla Russia” tramite un nuovo round di misure restrittive. La Commissione “presenterà presto il suo 19esimo pacchetto di sanzioni“, garantisce il capo dell’esecutivo comunitario, “che riguarderà le criptovalute, le banche e l’energia“.I had a good call with @POTUS on strengthening our joint efforts to increase economic pressure on Russia through additional measures.The Commission will soon present its 19th package of sanctions, targeting crypto, banks, and energy.Russia’s war economy, sustained by revenues…— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 16, 2025In particolare, nel mirino di von der Leyen e Trump sembrano finite le esportazioni di gas e petrolio della Federazione, uno dei principali introiti con cui Vladimir Putin finanzia la sua guerra. A tale scopo, dice la numero uno del Berlaymont, “la Commissione proporrà di accelerare l’eliminazione graduale delle importazioni di combustibili fossili” da Mosca.Per il momento non sono disponibili maggiori dettagli, ma le maglie da stringere sono quelle del regolamento con cui Bruxelles ha fissato alla fine del 2027 la scadenza per il phase-out completo dei prodotti energetici russi, adottato lo scorso giugno. Era stato del resto Trump a suggerire, sempre ieri, che “l’Europa dovrà smetterla di comprare petrolio dalla Russia“.L’inquilino della Casa Bianca ha anche strigliato nuovamente il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky, sostenendo che “dovrà fare un accordo” con Putin se vuole mettere fine al conflitto. I due dovrebbero incontrarsi di persona nei prossimi giorni, ai margini dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in corso a New York.Sia come sia, il famigerato 19esimo pacchetto di sanzioni comunitarie – sul quale si lavora da quando è stato adottato il 18esimo, lo scorso luglio – sbandierato dalla stessa von der Leyen pochi giorni fa durante il suo discorso sullo stato dell’Unione, non si è ancora materializzato.Al Berlaymont minimizzano (non era mai stata fissata una data per la sua presentazione, dunque non c’è alcun ritardo, ragionano), ma i rappresentanti dei Ventisette avrebbero dovuto discutere la proposta già oggi. Secondo alcune ricostruzioni, il ritardo sarebbe da imputarsi proprio al tentativo di von der Leyen di coordinarsi con Trump in sede G7 (in parallelo all’accelerazione sul phase-out), anziché andare avanti da soli.La presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, e quello della Verchovna Rada, Ruslan Stefanchuk (foto: Vladyslav Musiienko/Parlamento europeo)Nel frattempo, oggi la presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola si è recata a Kiev per la quarta volta per portare la sua solidarietà al Paese aggredito. Il viaggio, nell’occasione dei 1300 giorni dall’inizio dell’invasione russa su larga scala, è servito anche per celebrare l’apertura di una delegazione del Parlamento europeo nella capitale ucraina, alloggiata nel medesimo edificio che ospita la delegazione dell’Ue, danneggiato da un bombardamento russo meno di un mese fa.Rivolgendosi ai deputati della Verchovna Rada, il legislativo monocamerale di Kiev, la numero uno dell’Aula di Strasburgo ha sottolineato la necessità di continuare a sostenere la resistenza contro l’aggressione e l’importanza di arrivare ad una “pace giusta e duratura” (inclusi i lavori della coalizione dei volenterosi sulle garanzie di sicurezza), così come il bisogno di alzare la pressione su Mosca.Anche l’adesione all’Ue “è di per sé una garanzia di sicurezza”, osserva Metsola. Ed esorta tanto Kiev a procedere senza indugi sulla strada delle riforme – “il ripristino dei poteri dei vostri organismi anticorruzione è stato un segnale importante”, dice riferendosi alla breve ma fulminante crisi di luglio – quanto Bruxelles a mantenere gli impegni presi, dando al più presto il via libera all’apertura del primo cluster di capitoli negoziali, quello dei cosiddetti “Fondamentali”.Il primo ministro slovacco Robert Fico (sinistra) e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Una decisione che tuttavia rimane ostaggio dei veti delle cancellerie, a partire dall’Ungheria di Viktor Orbán e dalla Slovacchia di Robert Fico. I due Stati membri, cavalli di Troia dello zar tra i Ventisette, stanno bloccando sistematicamente non solo l’avvio dei negoziati per far entrare Kiev nel club a dodici stelle ma anche l’imposizione delle sanzioni contro la Russia e l’esborso degli aiuti all’Ucraina. Budapest e Bratislava dicono di temere per la propria sicurezza energetica, essendo entrambe ancora dipendenti dagli idrocarburi russi.Ma la realtà è diversa. Lo sanno bene i cittadini slovacchi, che a decine di migliaia di cittadini sono scesi in piazza nelle ultime ore per protestare contro il marcato scivolamento del governo verso il Cremlino. Scivolamento la cui cartina da tornasole è, tra le altre cose, una stretta sempre più asfissiante sui diritti e le libertà fondamentali nel Paese mitteleuropeo, finalmente costata all’autoritario premier nazional-populista l’espulsione definitiva dai Socialisti europei.

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    Israele entra a Gaza City, per l’Onu “è genocidio”. Ue, domani le prime sanzioni economiche

    Bruxelles – Dopo giorni di intensi bombardamenti aerei, con le prime luci dell’alba Israele ha dato il via all’operazione via terra a Gaza City. Un’invasione condannata da tutti, ma che Tel Aviv può portare avanti grazie al supporto incondizionato degli Stati Uniti. L’UE assiste, inerme, e prova a smarcarsi dalle accuse di complicità annunciando che è pronta a mettere sul tavolo le prime sanzioni politiche ed economiche all’alleato israeliano.A Gaza City, già prima del conflitto la città più popolosa della Striscia, avevano trovato rifugio quasi un milione di persone, dopo che Israele ha raso al suolo circa il 70 per cento degli edifici da nord a sud dell’enclave palestinese. Il 10 settembre, l’Ufficio di coordinamento dell’ONU per gli Affari umanitari (Ocha) denunciava la “pericolosa escalation nella città di Gaza” e avvertiva: “Quasi un milione di persone si trovano ora senza opzioni sicure o praticabili: né il nord né il sud offrono sicurezza”. Tel Aviv ha dichiarato che il 40 per cento degli abitanti ha lasciato la città in vista dell’operazione. Significa che circa mezzo milione sono rimasti.Per l’esercito israeliano, è a Gaza City che si nascondono “tra duemila e tremila” militanti di Hamas. E gli ostaggi israeliani ancora nelle mani del gruppo terroristico. Il ministro degli Esteri, Israel Katz, ha dichiarato che se Hamas non rilascerà gli ostaggi “la Striscia sarà distrutta”. Secondo quanto riportato da Al Jazeera, almeno 68 persone sono morte a Gaza City da questa mattina. Le stesse famiglie degli ostaggi israeliani avrebbero dichiarato lo “stato di emergenza” per l’offensiva israeliana e allestito un accampamento fuori dalla residenza di Netanyahu.“Mentre Israele intensifica le sue operazioni nella città di Gaza, la protezione dei civili e il rispetto del diritto internazionale umanitario devono rimanere la nostra bussola, a pochi giorni dai colloqui chiave con i partner all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York”, ha affermato con un post su X la commissaria UE per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib. L’emblema del fallimento della politica adottata finora dall’Unione europea è proprio quell’intesa sulla protezione dei civili e sull’ingresso di aiuti umanitari raggiunta solo due mesi fa con Israele. Un’intesa stipulata per salvare la faccia, ma che non ha sortito alcun effetto. Un’intesa che anche oggi, di fronte all’ingresso dei carri armati israeliani in un’area densamente popolata, Bruxelles non rinnega: “Continuiamo a valutarne gli effetti”, ha dichiarato Anouar El Anouni, portavoce della Commissione europea, ricordando che la sua implementazione resta complessa a causa “di un contesto di guerra”.Di fronte all’indignazione e alla mobilitazione crescenti dell’opinione pubblica europea, Ursula von der Leyen ha annunciato la scorsa settimana di essere al lavoro per aumentare la pressione sul governo israeliano. Il pacchetto di misure è pronto: la Commissione europea ha confermato che domani adotterà una proposta per sospendere il sostegno bilaterale a Israele (circa 30 milioni di euro), una proposta per la sospensione di alcune disposizioni commerciali dell’accordo di associazione Ue-Israele e infine una proposta per sanzionare alcuni ministri del governo di Netanyahu. Se nel primo caso l’esecutivo Ue può procedere autonomamente, nel secondo avrà bisogno dell’appoggio di due terzi degli Stati membri e nel terzo addirittura dell’unanimità dei 27.Finora, Israele è sorda a qualsiasi richiamo dell’Unione europea, così come delle Nazioni Unite e dell’intera comunità internazionale. Perfino gli Stati Uniti non riescono a contenere le fughe in avanti omicide di Netanyahu, come dimostrato dal raid israeliano su Doha del 9 settembre. “L’Ue ha ripetutamente esortato Israele a non intensificare la sua operazione nella città di Gaza”, ha affermato El Anouni, aggiungendo che “porterà a ulteriori distruzioni, morti e sfollamenti, aggravando la già catastrofica situazione umanitaria e mettendo in pericolo la vita degli ostaggi”. Londra ha definito l’offensiva “totalmente irresponsabile e spaventosa”, per Berlino è “completamente sbagliata”.Proprio oggi, una commissione d’indagine indipendente delle Nazioni Unite ha stabilito – confermando la tesi che la relatrice speciale delle Nazioni Unite, Francesca Albanese, sostiene da oltre un anno – che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza, con “l’intento di distruggere i palestinesi”. Secondo l’equipe guidata da Navi Pillay, Netanyahu, il presidente Isaac Herzog l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant sono inoltre responsabili di  “incitamento al genocidio”. Israele ha respinto le conclusioni del rapporto e accusato gli esperti dell’Onu di essere “rappresentanti di Hamas”.

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    L’Albania corre verso l’Ue. Per Rama l’Unione è “l’impero dei valori e dei diritti”

    Bruxelles – L’Albania procede spedita nella sua corsa verso l’adesione all’Ue. Certo, la strada è tutt’altro che conclusa, ma secondo l’esecutivo comunitario i progressi compiuti da Tirana sono “impressionanti”. Il primo ministro Edi Rama punta ad aprire gli ultimi capitoli negoziali entro la fine dell’anno e a chiudere il lavoro tecnico entro la fine del 2027.Si è tenuta stamattina (16 settembre) la sesta conferenza intergovernativa Ue-Albania a Bruxelles, alla presenza del primo ministro Edi Rama. Oggi è stato ufficialmente aperto il cluster numero quattro (intitolato “Agenda verde e connettività sostenibile” e contenente quattro capitoli negoziali), portando così i cluster aperti da Tirana a cinque su sei in poco meno di un anno per un totale di 28 capitoli sui 33 in cui è condensato l’acquis communautaire (l’immenso corpus giuridico dell’Unione, che i Paesi candidati devono trasporre nella propria legislazione domestica).Nello specifico, i capitoli aperti oggi riguardano trasporti, energia, reti trans-europee e, infine, tutela dell’ambiente e contrasto al cambiamento climatico. Rimangono dunque da aprire i cinque capitoli relativi al quinto cluster (“Risorse, agricoltura e coesione“) che trattano tra le altre cose di agricoltura, sviluppo rurale, sicurezza alimentare, pesca e politiche regionali. Dallo scorso ottobre l’Albania ha già aperto quattro cluster, nell’ordine: “Fondamentali”, “Relazioni esterne”, “Mercato interno” e “Competitività e crescita inclusiva”.La commissaria all’Allargamento Marta Kos (foto: Consiglio europeo)Per l’ennesima volta, le padrone di casa – la commissaria all’Allargamento Marta Kos e la ministra danese agli Affari europei Marie Bjerre – si sono sperticate nell’elogiare il ritmo sostenuto con cui il premier socialdemocratico sta mettendo in campo le riforme pre-adesione, a partire dalla riforma della giustizia e dalla lotta anti-corruzione.“La conferenza intergovernativa mostra che l’allargamento sta procedendo e che le vere riforme producono risultati concreti“, ha evidenziato Bjerre incontrando i giornalisti al termine dei lavori. “Avete fatto la vostra parte, e meritate che questo venga riconosciuto“, ha rimarcato rivolgendosi al suo ospite, pur concedendo che “rimane ancora molto lavoro” da fare ma ribadendo che “un futuro dell’Ue con l’Albania è molto importante per tutti noi”.Le ha fatto eco Kos, osservando che “la velocità dell’Albania è davvero impressionante“. Secondo la commissaria, “le riforme che chiediamo non sono facili ma l’Albania dimostra che il cambiamento positivo è possibile e che l’Ue lo ricompensa”. Un messaggio rivolto agli altri Paesi candidati, soprattutto quelli dove i progressi sono più lenti. Come Rama, Kos è convinta di riuscire a chiudere tutti i capitoli negoziali entro la fine del 2027. “Non è semplice aprire i cluster, ma è ancora più difficile chiudere i capitoli“, ha scandito, incoraggiando il suo ospite a “fare di tutto” per centrare questo ambizioso obiettivo.Le riforme che Tirana si impegna ad implementare con l’apertura del quarto cluster, continua la commissaria, servono a “coniugare la crescita economica con la protezione delle ricchezze naturali“, ma anche a “modernizzare le strade, espandere le reti ferroviarie e integrare pienamente l’Albania” nei sistemi europei di mobilità e connettività. Infine, si tratterà di “promuovere la concorrenza leale, espandere le fonti rinnovabili e rafforzare la sicurezza energetica“.Tra gli immancabili siparietti, Rama ha rimarcato che, per quanto difficile, quella delle riforme “è l’unica strada” per entrare nell’Unione. “Per la prima volta nella nostra storia possiamo scegliere liberamente con chi ci vogliamo sposare“, ha proseguito: “Siamo stati sposati forzatamente con altri imperi nel passato”, ha puntualizzato, “ma questo è un impero di cui vogliamo far parte, un impero di valori, diritti e sicurezza“. E ha concluso la sua serie di lusinghe sostenendo che l’Ue sia “la benedizione del nostro Paese e di altri come noi nella regione”, dal momento che essa “ti fornisce gli strumenti per reinventarti come nazione, come Paese e come Stato“. “Dobbiamo amare l’Europa con tutta la nostra passione”, ha aggiunto.Se tutto continuerà a procedere per questo verso, l’Albania e il Montenegro saranno i primi ad entrare nel club a dodici stelle. Sulla carta, Podgorica è più avanti (ha aperto tutti i capitoli negoziali e ne ha già chiusi sette), ma negli ultimi mesi Tirana ha tirato una vera e propria volata. Al momento della verità, tuttavia, potrebbero venire al pettine anche alcuni nodi che sembrano per il momento trascurati: come la reale salute dello Stato di diritto (incluse l’indipendenza della magistratura e la libertà dei media), la conduzione opaca delle ultime elezioni politiche e il rispetto dei diritti umani nonché del diritto internazionale nel caso dei controversi centri per i migranti costruiti dall’Italia in Albania.