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    Gaza, la nave di Open Arms è salpata da Cipro con 200 tonnellate di aiuti umanitari

    Bruxelles – Questa mattina (12 marzo), la nave dell’Ong Open Arms che per prima consegnerà aiuti umanitari a Gaza lungo il corridoio marittimo cipriota è salpata di buon ora. Con due giorni di ritardo sulla tabella di marcia, ma in perfetto orario per il contemporaneo intervento di Ursula von der Leyen alla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo.“Mentre parliamo, una nave sta salpando da Cipro verso il nord di Gaza. Aiuti umanitari di base, cibo per una popolazione che si trova ad affrontare una catastrofe umanitaria”, ha annunciato la presidente della Commissione europea agli eurodeputati aprendo il dibattito di preparazione al prossimo Consiglio europeo. Un carico di 200 tonnellate di farina, riso e cibo in scatola. Una missione “molto complessa che confidiamo sarà la prima di molte”, scrive in un post su X l’ong spagnola che trasporterà il carico.L’apertura del corridoio marittimo per Gaza viene in soccorso a von der Leyen, per poter dimostrare l’impegno della Commissione europea di fronte a un’Eurocamera che la critica sempre più duramente per la sua posizione molto morbida nei confronti di Tel Aviv. E in effetti, la leader Ue si concentra sulla catastrofe umanitaria a Gaza senza mai nominare l’amico israeliano. Prima esulta per “la prima nave autorizzata a consegnare aiuti umanitari nella Striscia dal 2005”, in un momento in cui “la situazione sul terreno è più drammatica che mai e ha raggiunto un punto critico”.Fianco a fianco con Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Cipro, la Commissione europea potrà così “aiutare in modo decisivo ad aumentare la quantità di aiuti che raggiungono effettivamente le persone”. Von der Leyen ha spiegato che gli Emirati e altri partner cofinanzieranno i carichi, Cipro gestirà le partenze dal porto di Larnaca e “noi dell’Ue intensificheremo il nostro supporto logistico sul campo“. In questo senso, un team di coordinamento dell’Ue “è già a Cipro e finanzierà e coordinerà il flusso di merci europee attraverso questo corridoio”, ha annunciato la presidente dell’esecutivo Ue. E in attesa dell’allestimento del porto galleggiante da parte di Washington, il corridoio marittimo sarà percorso da “navi più piccole”.

    Ursula von der Leyen al Parlamento europeo di Strasburgo, 12/03/24Poi la presidente della Commissione europea ha inoltre annunciato che l’attivazione del Meccanismo di protezione civile dell’Ue per “rafforzare il sostegno” alle iniziative di distribuzione degli aiuti da terra e dal cielo. “Invito tutti gli Stati membri a contribuire con mezzi, dai paracadute ai container“, ha lanciato l’appello von der Leyen.Davanti ai report e alle notizie di “bambini che muoiono di fame”, gli sforzi dell’Ue devono andare tutti nella direzione di assicurare l’ingresso nella Striscia della maggior quantità di assistenza umanitaria possibile. “Tutti sanno quanto sia difficile far arrivare gli aiuti a Gaza“, ha sottolineato von der Leyen. Senza però fare neanche un accenno al fatto che gli ostacoli all’ingresso dei convogli via terra e alla distribuzione dei beni alla popolazione sono molto spesso causati dall’esercito israeliano. Che non apre tutti i varchi disponibili, che blocca gli aiuti per controlli interminabili e che soprattutto non garantisce la loro distribuzione in sicurezza.“In questo momento c’è solo un modo per ripristinare un flusso adeguato di aiuti umanitari: la popolazione di Gaza ha bisogno di una pausa umanitaria immediata che porti a un cessate il fuoco sostenibile, e ne ha bisogno ora”, ha concluso von der Leyen. Una formula che – nonostante la netta evoluzione rispetto all’inizio del conflitto – rimane significativamente più indietro rispetto a quella richiesta di “cessate il fuoco immediato” che ormai da tempo viene rilanciata da una larga maggioranza della comunità internazionale. E dei Paesi dell’Ue, ma non ancora dal loro esecutivo.

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    La Commissione Ue dà il via libera all’avvio dei negoziati di adesione per la Bosnia ed Erzegovina

    dall’inviato a Strasburgo – Ora il semaforo è pienamente verde. “Raccomanderemo al Consiglio l’apertura dei negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina“, ha annunciato oggi (12 marzo) la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento Europeo durante il dibattito sulla preparazione del Consiglio Europeo del 21-22 marzo. “Il messaggio della Bosnia ed Erzegovina è chiaro, anche il nostro messaggio deve essere chiaro: il suo futuro è nella nostra Unione”, è l’esortazione della numero uno dell’esecutivo Ue.

    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (12 marzo 2024)Dopo il viaggio di fine gennaio con i primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte, la presidente della Commissione Ue ha spinto il lavoro del Berlaymont per presentare la relazione sui passi compiuti da Sarajevo dalla decisione presa durante l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Parlando agli eurodeputati, von der Leyen ha anticipato i punti della relazione sui progressi bosniaci: “Si tratta di un’analisi fattuale degli ultimi sviluppi e traccia un quadro molto chiaro”, ovvero che “da quando abbiamo concesso lo status di candidato [nel dicembre del 2022, ndr], la Bosnia ed Erzegovina ha compiuto passi impressionanti verso di noi”. In altre parole, “in poco più di un anno sono stati compiuti più progressi che in un decennio“, ha assicurato la numero uno della Commissione, fornendo alcuni esempi.In primis, la Bosnia ed Erzegovina “è ora pienamente allineata alla nostra politica estera e di sicurezza“, un passo “fondamentale in questi tempi di turbolenze geopolitiche”. Inoltre “il Paese sta adottando leggi importanti“, tra cui quella sulla prevenzione del conflitto di interessi, “che era rimasta in stallo per 7 anni”, e quella sulla lotta al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo. Un riferimento è stato fatto anche alla gestione della migrazione, che “continua a migliorare con i negoziati per un accordo Frontex pronti ad iniziare dopo che la Presidenza ha approvato il mandato negoziale“. Infine il Ministero della Giustizia bosniaco “ha accettato di includere nel casellario giudiziario nazionale le sentenze del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia”, ed “è appena diventato operativo” il nuovo Comitato direttivo per il consolidamento della pace. “Sono necessari ulteriori progressi per entrare a far parte della nostra Unione, ma il Paese sta dimostrando di essere in grado di adempiere i criteri di adesione e l’aspirazione dei suoi cittadini a far parte della nostra famiglia”, è quanto assicura la presidente von der Leyen, passando la palla al Consiglio.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    La bandiera della Svezia sventola al quartier generale Nato a Bruxelles

    Bruxelles – E ora sono 32 bandiere che sventolano fuori dal quartier generale della Nato a Bruxelles. Con la cerimonia dell’alzabandiera svoltasi oggi (11 marzo) la Svezia ha fatto la sua prima apparizione ufficiale da nuovo membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, portando a compimento l’ultima fase dell’allargamento dell’Alleanza Atlantica nell’anno del 75esimo anniversario dalla firma del Trattato del Nord Atlantico a Washington nel 1949. “L’adesione alla Nato è positiva per la Svezia, per la stabilità del Nord e per la sicurezza dell’intera Alleanza“, ha messo in chiaro il segretario generale dell’organizzazione militare intergovernativa, Jens Stoltenberg, accogliendo al quartier generale di Bruxelles il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, a tre giorni dalla conclusione del processo di adesione di Stoccolma.

    La cerimonia dell’alzabandiera a Bruxelles (11 marzo 2024)Nell’arco di meno di un anno Stoltenberg ha visto issare due nuove bandiere, quella svedese e quella finlandese (il 4 aprile 2023), appena prima della fine del suo mandato da segretario generale a ottobre di quest’anno: “L’adesione della Svezia dimostra ancora una volta che la porta della Nato rimane aperta, nessuno può chiuderla, ogni nazione ha il diritto di scegliere la propria strada“. Una risposta chiara alle accuse dell’autocrate russo, Vladimir Putin, e alle polemiche sulla questione dell’allargamento della stessa Alleanza Atlantica in riferimento alle aspirazioni dell’Ucraina di farne parte in futuro. “Quando Putin ha lanciato la sua invasione due anni fa voleva meno Nato e più controlli sui suoi vicini, voleva distruggere l’Ucraina come nazione indipendente, ma ha fallito“, ha sottolineato con forza Stoltenberg in conferenza stampa: “La Nato è più forte, l’Ucraina è più vicina all’adesione come mai prima, e continuiamo a essere al suo fianco”.

    Da sinistra: il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg (11 marzo 2024)A proposito del sostegno dei 32 alleati a Kiev, Stoltenberg ha ribadito che “la resa non è pace” – mettendo un punto fermo alla posizione della Nato rispetto alle parole del fine settimana del capo della Chiesa cattolica, Papa Francesco – e “continueremo a rafforzare l’Ucraina per dimostrare a Putin che non otterrà ciò che vuole sul campo di battaglia”, perché “Putin ha iniziato questa guerra e potrebbe finirla oggi, ma l’Ucraina non ha questa opzione“. Sulla stessa lunghezza d’onda il premier svedese: “La situazione della sicurezza nella nostra regione non era così seria dai tempi della Seconda Guerra Mondiale e la Russia continuerà a costituire una minaccia per la sicurezza euroatlantica nel prossimo futuro“. È per questo motivo che la Svezia ha chiesto di aderire all’Alleanza “per ottenere sicurezza, ma anche per garantirla”, ha assicurato Kristersson, anche se ha escluso la necessità di ospitare sul territorio nazionale armi nucleari o basi permanenti: “Non ci sono piani di espandere il numero di Paesi alleati Nato con armi nucleari“.Il protocollo di adesione di Svezia era stato firmato (insieme alla Finlandia) il 5 luglio 2022 – dopo la svolta strategica storica la politica di sicurezza nazionale tradizionalmente legata al non-allineamento – e da allora per Stoccolma è stata una strada in salita. A oltre 19 mesi dal vertice di Madrid, l’Ungheria era rimasto all’inizio di quest’anno l’unico Paese membro a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica, quando anche la Turchia aveva messo fine al suo durissimo blocco. Un mese e mezzo fa il premier ungherese, Viktor Orbán, aveva fatto cadere formalmente il suo breve ostruzionismo, ma lo stesso non aveva fatto il suo partito Fidesz, boicottando la sessione straordinaria di inizio mese. Trovatosi sotto pressione da parte degli altri membri – e messo con le spalle al muro dalla visita di Kristersson – il premier ungherese ha infine spinto i membri del suo partito a far crollare la resistenza. Il via libera da Budapest è arrivato infine lo scorso 26 febbraio, dopo l’incontro nella capitale ungherese tra i premier Orbán e Kristersson per discutere di cooperazione in materia di difesa e sicurezza.Svezia e Finlandia gli ultimi membri nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergLa procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    È in ritardo la partenza dei primi aiuti dal corridoio marittimo per Gaza

    Bruxelles – Per ora, le 200 tonnellate di viveri da spedire il più in fretta possibile a Gaza rimangono ferme al porto di Larnaca, a Cipro. L’apertura del corridoio marittimo cipriota, annunciata venerdì 8 marzo con la visita nell’isola della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si inceppa ancor prima di diventare realtà. La nave dell’ong Open Arms resta attraccata “a causa di alcune considerazioni tecniche”, precisano fonti diplomatiche. Ma la nuova partenza sarebbe “prevista entro poche ore”.

    Níkos Christodoulídis, Ursula Von der Leyen a Larnaca, 11/03/24Nelle “prossime ore” è anche la formula usata già ieri dal portavoce del governo di Nicosia, Konstantinos Letymbiotis, per comunicare all’agenzia stampa nazionale (Cna) un primo dilatamento delle tempistiche previste. Aggiungendo che non avrebbe reso pubblica l’ora esatta per motivi di sicurezza. Il portavoce del governo cipriota ha inoltre dichiarato che “la nave è stata controllata, come richiesto, dalle autorità della Repubblica di Cipro in conformità con tutti i protocolli previsti dalla pianificazione”. In coordinamento ufficiale con Tel Aviv e in presenza di rappresentanti di Israele.Un rallentamento dovuto, secondo quanto riportato dalla Cna, dal fatto che “la piattaforma a Gaza che riceverà le gli aiuti umanitari trainati dalla nave non è ancora pronta”. Il portavoce capo della Commissione europea, Eric Mamer, ha dichiarato che “esistono diversi modi in cui può essere scaricata una nave”, a seconda “della dimensione, del carico, delle condizioni meteo e di sicurezza”. Confermando che “esiste un piano per scaricare gli aiuti” indipendentemente dall’iniziativa degli Stati Uniti di costruire un molo temporaneo. Il porto galleggiante “sarà di aiuto per scaricare carichi più pesanti una volta che sarà operativo”, ha proseguito Mamer. Non prima di sei settimane, prevedono da Washington.Fonti di Open Arms avrebbero dichiarato all’Agenzia spagnola Efe che per scaricare le quasi 200 tonnellate di farina, riso e cibo in scatola direttamente sulle spiagge di Gaza è stata prevista la costruzione di un frangiflutti nella zona di arrivo. A quel punto, la distribuzione passerebbe dalle mani dei partner internazionali sul campo: agenzie Onu come l’Unrwa, il World Food Programme e l’Oms, ma anche la Croce rossa internazionale e la Mezzaluna Rossa.

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    In partenza da Cipro i primi aiuti umanitari sul corridoio marittimo per Gaza. Von der Leyen: “Può fare la differenza”

    Bruxelles – Al via il “progetto pilota” che dovrebbe portare all’apertura, nel fine settimana (9-10 marzo), del corridoio marittimo cipriota per fornire assistenza alla popolazione di Gaza. Come annunciato dal presidente di Cipro, Nikos Christodoulides, e dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, la prima imbarcazione è pronta a salpare dal porto di Larnaca.A cinque mesi dall’attacco terroristico di Hamas e dalla risposta israeliana, che sta provocando una catastrofe umanitaria nella Striscia di Gaza, la comunità internazionale non è ancora riuscita ad assicurare l’ingresso continuo e sicuro di una sufficiente quantità di aiuti umanitari per i 2 milioni di sfollati palestinesi. Di aiuti via terra ne entrano sempre meno, come denunciato recentemente dall’Unrwa, mentre diverse organizzazioni internazionali hanno lanciato l’allarme sul rischio di una vera e propria carestia nell’enclave palestinese. “Conosciamo le difficoltà che si incontrano alle frontiere terrestri di Gaza, sia attraverso il valico di Rafah che attraverso il corridoio stradale del Giordano”, ha ammesso in conferenza stampa von der Leyen.

    Níkos Christodoulídis, Ursula Von der Leyen in conferenza stampa a LarnacaLa possibilità di aprire un corridoio marittimo nel Mediterraneo, messa sul tavolo da Cipro già ad ottobre, è quindi stata esplorata per mesi e finalmente lanciata oggi con il sostegno – oltre che della Commissione europea – di Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti. “È chiaro che siamo a un punto in cui dobbiamo semplicemente sbloccare tutte le vie possibili”, ha dichiarato Christodoulides. Decisivo il tempismo di Joe Biden, che ha annunciato nel suo discorso sullo stato dell’Unione una missione d’emergenza guidata dalle forze armate statunitensi per costruire un “molo temporaneo” al largo di Gaza per i rifornimenti.In concreto, il meccanismo delineato dalle autorità cipriote per spedire in modo sicuro gli aiuti via mare sarà coordinato dalla responsabile delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari e la ricostruzione a Gaza, la diplomatica olandese Sigrid Kaag. Che – si legge nella dichiarazione congiunta di lancio dell’iniziativa Amalthea – sarà incaricata di “facilitare, coordinare, monitorare e verificare il flusso di aiuti a Gaza ai sensi della risoluzione 2720 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”. Una volta rodata la corsia d’emergenza, Cipro “convocherà presto alti funzionari per discutere di come accelerare questo canale marittimo“. Le operazioni dovranno per forza di cose essere “strettamente coordinate” con il governo di Israele, che controlla gli accessi via mare alle spiagge di Gaza.Il ministero degli Esteri di Tel Aviv ha rilasciato una nota in cui di è detto “favorevole all’inaugurazione del corridoio marittimo”, che “consentirà l’aumento degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, dopo che i controlli di sicurezza saranno effettuati secondo gli standard israeliani“. D’altra parte, i partner a supporto dell’iniziativa cipriota hanno richiamato Israele affinché “faciliti più percorsi e apra altri valichi per far arrivare più aiuti” alla popolazione.Da Bruxelles si augurano che il corridoio marittimo possa “fare davvero la differenza per la situazione del popolo palestinese”. Ma parallelamente – ha sottolineato von der Leyen da Larnaca “continueranno i nostri sforzi per fornire assistenza ai palestinesi attraverso tutte le vie possibili”. Via terra, con le oltre 1.800 tonnellate di aiuti recapitate in Egitto in 41 ponti aerei, e un domani anche dal cielo, come già fatto da Stati Uniti, Francia e Giordania: “Prenderemo in considerazione tutte le altre opzioni, compresi i lanci aerei, se i nostri partner umanitari sul posto lo riterranno efficace”, ha confermato la leader Ue.

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    Von der Leyen e Meloni insieme in Egitto in vista della firma di un partenariato strategico sul modello Tunisia

    Bruxelles – Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni voleranno insieme al Cairo domenica 17 marzo per portare avanti le trattative con Abdel Fattah al-Sisi sulla firma di un partenariato strategico Ue-Egitto. I dettagli erano già stati discussi a Bruxelles lo scorso gennaio, in occasione del decimo Consiglio di Associazione tra i due partner, quando il commissario Ue per l’Allargamento, Oliver Várhelyi, aveva previsto la chiusura dell’accordo entro fine febbraio.I tempi sono maturi. Con la presidente della Commissione europea e la premier italiana ci saranno anche i primi ministri di Belgio e Grecia, Alexander De Croo e Kyriakos Mītsotakīs. In replica di quell’approccio Team Europe che l’estate scorsa – in quell’occasione, con von der Leyen e Meloni c’era il premier olandese Mark Rutte – convinse il presidente tunisino Kais Saied a firmare il Memorandum d’Intesa Ue-Tunisia. Oggi (8 marzo) la portavoce della Commissione europea, Veerle Nuyts, non si è sbilanciata, limitandosi a confermare che la delegazione Ue sarà al Cairo “nell’ambito delle discussioni sul rafforzamento della partnership Ue-Egitto”.Ursula von der Leyen e Abdel Fattah al-Sisi al Cairo nel  luglio 2022Il partenariato Ue-Egitto si baserà su sei pilastri di “interesse reciproco”, avevano illustrato Várhelyi e il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, già il 23 gennaio. Relazioni politiche, stabilità economica, investimenti e commercio, migrazione e mobilità, sicurezza e demografia, e soprattutto cooperazione energetica. Perché se il Memorandum con la Tunisia ruota maggiormente intorno alla gestione delle frontiere e alla cooperazione in materia migratoria, per l’Egitto – un Paese che già ospita sul suo territorio oltre 9 milioni di migranti – le sfide e le opportunità sono differenti. “Il potenziale dell’Egitto in termini di elettricità verde è difficile da eguagliare”, aveva ammesso il commissario Ue: Bruxelles è particolarmente interessata all’enorme bacino energetico del Paese nordafricano, non solo in termini di gas ma anche di energia rinnovabile.L’Ue è già impegnata con l’implementazione del piano economico e di investimento per l’Egitto, che prevede la mobilitazione di 9 miliardi di euro in investimenti nei settori alimentare, idrico ed energetico, nel periodo 2021-2027. E per il quale sono già stati mobilitati 5,8 miliardi di euro. Dal punto di vista egiziano, rafforzare la partnership con Bruxelles non è altro che la conseguenza naturale del fatto che già oggi l’Ue è il primo partner commerciale del Cairo: i 27 del blocco Ue coprono oltre un quarto di tutti gli scambi dell’Egitto.

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    La Svezia è diventata ufficialmente il 32esimo Paese membro Nato

    Bruxelles – Dopo quasi due anni di attesa, il processo di adesione è ufficialmente concluso e da oggi (7 marzo) la Svezia entra a far parte “con pari voce in capitolo nella definizione delle politiche e delle decisioni” della Nato. È quanto annunciato dal segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, sottolineando “il giorno storico” per Stoccolma e per tutta l’Alleanza: “Avrà ora il posto che le spetta al tavolo della Nato”.

    Da sinistra: il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, e il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergStoltenberg ha così accolto il 32esimo Paese membro dell’Alleanza Atlantica, a meno di un anno dall’ultimo ingresso, quello della Finlandia (il 4 aprile 2023). “Dopo oltre 200 anni di non allineamento la Svezia gode ora della protezione garantita dall’articolo 5, la massima garanzia per la libertà e la sicurezza degli Alleati”, ha ricordato il segretario generale Stoltenberg, che accoglie con favore “forze armate capaci e un’industria della difesa di prim’ordine”. Senza risparmiare una stoccata alla Russia sul tema della libera scelta da parte dell’Ucraina (e non solo) di poter accedere all’Alleanza in futuro: “L’adesione di oggi dimostra che la porta della Nato rimane aperta e che ogni nazione ha il diritto di scegliere la propria strada“.A questo punto si attende solo la cerimonia dell’alzabandiera lunedì prossimo (11 marzo), quando la bandiera svedese sarà issata insieme a quelle degli altri 31 alleati presso il quartier generale della Nato a Bruxelles e in tutti i comandi in Europa e in Nord America. “Grazie a tutti gli alleati per averci accolto come 32esimo membro”, ha commentato il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, dopo l’incontro a Washington con il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken: “Ci impegneremo per l’unità, la solidarietà e la condivisione degli oneri e aderiremo pienamente ai valori del Trattato di Washington”, ovvero “libertà, democrazia, libertà individuale e Stato di diritto”.

    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, al vertice di Vilnius (10 luglio 2023)Il protocollo di adesione di Svezia era stato firmato (insieme alla Finlandia) il 5 luglio 2022 – dopo la svolta strategica storica la politica di sicurezza nazionale tradizionalmente legata al non-allineamento – e da allora per Stoccolma è stata una strada in salita. A oltre 19 mesi dal vertice di Madrid, l’Ungheria era rimasto all’inizio di quest’anno l’unico Paese membro a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica, quando anche la Turchia aveva messo fine al suo durissimo blocco. Un mese e mezzo fa il premier ungherese, Viktor Orbán, aveva fatto cadere formalmente il suo breve ostruzionismo, ma lo stesso non aveva fatto il suo partito Fidesz, boicottando la sessione straordinaria di inizio mese. Trovatosi sotto pressione da parte degli altri membri – e messo con le spalle al muro dalla visita di Kristersson – il premier ungherese ha infine spinto i membri del suo partito a far crollare la resistenza. Il via libera da Budapest è arrivato infine lo scorso 26 febbraio, dopo l’incontro nella capitale ungherese tra i premier Orbán e Kristersson per discutere di cooperazione in materia di difesa e sicurezza.Come si entra nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergLa procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    L’Ue firma un nuovo partenariato sulla migrazione con la Mauritania. E impegna 210 milioni di euro

    Bruxelles – Un altro partenariato strategico sulla migrazione. Questa volta l’Ue mobiliterà 210 milioni di euro per la Mauritania, paese del Sahel occidentale da cui passa la rotta che porta decine di migliaia di persone migranti sub-sahariane a tentare la traversata per raggiungere le Isole Canarie, e quindi la Spagna. La commissaria Ue per gli Affari interni, Ylva Johansson, l’ha lanciato da Nouakchott, insieme al ministro dell’Interno e della Mauritania, Mohamed Ahmed Ould Mohamed Lemine.Il terreno era stato già seminato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che nella capitale della Mauritania era stata solo un mese fa, accompagnata dal primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. Così come il ben più ampio partenariato globale con la Tunisia, anche questo si baserà su cinque pilastri. E prevede una cooperazione “basata sulla solidarietà, sulla responsabilità condivisa e sul rispetto dei diritti umani e fondamentali“.

    La commissaria Ue per gli Affari Interni, Ylva JohanssonDa un lato il sostegno alle iniziative del Global Gateway: investimenti, infrastrutture e creazione di posti di lavoro, soprattutto nel settore dell’energia. Dall’altro la gestione della migrazione, con l’imperativo della lotta a quella irregolare e al traffico di migranti. E con la promozione di una mobilità qualificata di studenti, ricercatori e imprenditori. “Anche l’Europa ha bisogno della migrazione – ha dichiarato Johansson in conferenza stampa da Nouakchott -, ma di una migrazione regolare”.Nell’idea che per arginare le partenze dall’Africa occorra migliorare l’accesso al lavoro e al credito nei Paesi d’origine e di transito, l’Ue mobiliterà risorse per “rafforzare l’accesso alla formazione professionale e ai finanziamenti per le imprese”, oltre che per “migliorare le capacità e le competenze dei giovani mauritani, in particolare delle donne”. In parallelo, Bruxelles si impegna a sostenere le capacità di accoglienza nazionali e gli sforzi della Mauritania per affrontare l’arrivo di rifugiati nel proprio Paese.Il fulcro dell’accordo è però la cooperazione per prevenire la migrazione irregolare, alla luce degli oltre 40 mila arrivi registrati nel 2023 nell’arcipelago delle Canarie, in aumento del 161 per cento rispetto al 2022. L’obiettivo è combattere il traffico di migranti e la tratta di esseri umani, trovando al contempo strumenti per proteggere le vittime. Ciò dovrebbe avvenire attraverso indagini congiunte, un rafforzamento della sicurezza e una maggiore cooperazione operativa. La commissaria Ue, che nel 2020 aveva visitato Nouadhibou, uno dei punti di partenza per le Canarie, ha sottolineato che quel tratto di 800 chilometri di mare “è quello che registra il maggior numero di vittime e di tragedie”.E in mare, la Mauritania dovrà rafforzare la gestione delle frontiere: Frontex fornirà formazione e attrezzature alle autorità nazionali, con l’obiettivo di aumentare la cooperazione nelle operazioni di ricerca e salvataggio e di rendere più capillare il controllo delle coste. Un compito, quello di smantellare il modello di business dei trafficanti, su cui “la Mauritania ha già fatto un ottimo lavoro”, ha sottolineato Johansson. Ma non solo, lo stesso discorso vale per l’accoglienza dei rifugiati provenienti dai conflitti vicini, come dimostra il “lavoro eccellente con i 150 mila profughi dal Mali”.