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    Stoccolma respinge la lettera trumpiana contro le politiche di inclusione: “Non rinunciamo alla diversità”

    Bruxelles – Il comune di Stoccolma ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di aderire alla richiesta, inviata dall’ambasciata statunitense, lo scorso martedì (6 maggio), che invitava la capitale a ridimensionare le proprie politiche di diversità, equità e inclusione (Dei), riprendendo la politica anti-inclusività dell’amministrazione statunitense di Donald Trump. Questo episodio è stato descritto come il primo caso in cui una lettera di questo tipo è stata inviata da un governo straniero.Jan Valeskog, vicesindaco di Stoccolma con delega alla pianificazione, ha definito la richiesta “assurda” e ha ricordato come contino “le nostre priorità politiche, non quelle di questa o altre ambasciate”. La lettera, che ha suscitato grande scalpore in Svezia, chiedeva a Stoccolma di confermare che non fossero in corso programmi per promuovere la diversità, l’equità e l’inclusione. In caso di rifiuto, veniva richiesto di fornire spiegazioni dettagliate da inviare al team legale statunitense. Valeskog ha confermato che la richiesta è stata inviata all’ufficio urbanistico, probabilmente in quanto destinatario di pagamenti e responsabile dell’applicazione delle tariffe per i permessi edilizi. “Siamo rimasti davvero sorpresi” ha affermato: “perché la diversità, l’uguaglianza e l’inclusione sono valori fondamentali che perseguiamo e difendiamo a Stoccolma”.La lettera fa parte di una serie di iniziative intraprese dall’amministrazione Trump per applicare le sue politiche contro le politiche Dei, che si estendono anche alle aziende straniere che intrattengono rapporti con il governo degli Stati Uniti. A marzo diversi funzionari europei, in particolar modo in Francia, avevano già espresso preoccupazione dopo che alcune aziende avevano riferito di aver ricevuto comunicazioni simili.Questo caso è stato il primo segnale di una possibile interferenza diretta nelle politiche locali da parte degli Stati Uniti, in un contesto che si aggiunge a un clima di crescente tensione tra le politiche americane e quelle europee. Dopo la pubblicazione della notizia, il caso ha suscitato un’ondata di reazioni sui social media e tramite email da parte di residenti e cittadini in tutta la Svezia. “Migliaia di persone sono davvero indignate” ha commentato Valeskog: “Molti seguono le notizie su quanto sta accadendo negli Stati Uniti, ma improvvisamente con queste richieste la questione è diventata molto più vicina“. L’episodio ha sollevato interrogativi sul ruolo delle politiche estere americane nelle scelte interne dei Paesi europei e ha riaffermato l’importanza dei valori democratici e inclusivi per le amministrazioni locali, in particolare quelle svedesi, che continuano a sostenere con forza la diversità e l’inclusione come principi irrinunciabili.

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    Nuovo papa lo statunitense Prevost: è Leone XIV

    Roma (in collaborazione con Agenzia Gea) – E’ fumata bianca dopo la quarta votazione. I 133 cardinali elettori in Cappella Sistina hanno eletto il 267esimo Papa: è lo statunitense Robert Francis Prevost , 69 anni, che ha scelto il nome di Leone XIV.  Dopo la quarta votazione, i 133 cardinali elettori in Cappella Sistina hanno eletto il 267esimo PapaPrefetto del Dicastero per i Vescovi nel pontificato di papa Francesco e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina. La sua formazione agostiniana e la lunga esperienza pastorale in Sud America hanno influenzato profondamente la sua visione ecclesiale e sociale, rendendolo un profilo apprezzato sia dagli Stati Uniti che dal Global South.Il nuovo pontefice incarna una visione che unisce spiritualità, giustizia sociale e responsabilità ambientale, promuovendo un impegno concreto e condiviso per la cura della casa comune.“Ci congratuliamo sinceramente con Sua Santità Leone XIV per la sua elezione a Papa e capo della Chiesa cattolica”, scrivono in un messaggio congiunto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e quello del Consiglio, Antonio Costa. “Milioni di europei traggono ogni giorno ispirazione dall’impegno costante della Chiesa per la pace, la dignità umana e la comprensione reciproca tra le nazioni. Siamo certi – continuano -che Papa Leone XIV userà la sua voce sulla scena mondiale per promuovere questi valori condivisi e incoraggiare l’unità nella ricerca di un mondo più giusto e compassionevole”.Costa e von der Leyen aggiungono che “l’Unione europea è pronta a collaborare strettamente con la Santa Sede per affrontare le sfide globali e alimentare uno spirito di solidarietà, rispetto e gentilezza. Auguriamo che il pontificato di Papa Leone XIV sia guidato dalla saggezza e dalla forza, mentre guida la comunità cattolica e ispira il mondo attraverso il suo impegno per la pace e il dialogo”.Nato a Chicago il 14 settembre 1955, Prevost è un agostiniano missionario laureato in Matematica e Filosofia, inviato in missione in Perù per diversi anni, prima di diventare provinciale della provincia agostiniana di Chicago nel 1999. Richiamato a Roma da Papa Francesco per ricoprire il ruolo delicatissimo di prefetto dei vescovi, è stato creato cardinale da Bergoglio il 30 settembre 2023.Il papa è un convinto sostenitore dell’ecologia integrale. Nel 2024, durante il seminario ‘Affrontare i problemi della crisi ambientale alla luce della Laudato si’ e della Laudate Deum’, sottolinea la necessità di passare “dalle parole ai fatti”, basando la risposta alla crisi ambientale sulla Dottrina Sociale della Chiesa. Per Prevost, il “dominio sulla natura”, affidato da Dio all’umanità, non deve trasformarsi in “tirannia”, ma deve essere vissuto come una “relazione di reciprocità” con l’ambiente.Leone XIV mette anche in guardia dalle conseguenze dello sviluppo tecnologico incontrollato. Evidenzia l’importanza di un’economia umana che rispetti l’ambiente e promuova modelli circolari di produzione e consumo, opponendosi alla “cultura dello scarto”, ribadendo che l’economia dovrebbe migliorare, e non distruggere, il nostro mondo.Prevost ricorda l’impegno concreto alla Santa Sede nella tutela dell’ambiente, dall’installazione del maxi-impianto fotovoltaico sul tetto dell’Aula Paolo VI alla transizione in atto verso veicoli totalmente elettrici in Vaticano. Azioni che, scandisce, “testimoniano la volontà della Chiesa di essere un modello di sostenibilità”.Per il neo papa, una cooperazione globale deve essere alla base della lotta alla crisi climatica, con un ordine giuridico, politico ed economico che possa rafforzare il lavoro congiunto mondiale per “lo sviluppo di tutti i popoli in solidarietà”.

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    A Tirana il sesto summit della Comunità politica europea

    Bruxelles – Continuano i lavori della Comunità politica europea (Cpe), il forum informale tirato fuori dal cappello da Emmanuel Macron tre anni fa per coordinare le cancellerie del Vecchio continente sulle sfide comuni in questa delicata fase storica. La sesta edizione si terrà la prossima settimana a Tirana, in Albania, e affronterà vari temi, dalla sicurezza alla migrazione passando per la competitività.Da Budapest, dove si è svolto il quinto vertice della Cpe lo scorso novembre, la palla passa ora a Tirana. La capitale albanese accoglierà il prossimo 16 maggio i leader delle 47 nazioni partecipanti, che includono tra gli altri i 27 membri dell’Ue più Regno Unito, Ucraina, Turchia e i sei Paesi dei Balcani occidentali. Per ora, fanno sapere funzionari del Consiglio europeo, non sono arrivate disdette ufficiali da parte dei capi di Stato e di governo. Il padrone di casa, tuttavia, dovrebbe rimanere l’attuale premier Edi Rama, a meno che le elezioni politiche in calendario per domenica (11 maggio) non smentiscano clamorosamente i sondaggi.I lavori si concentreranno su tre ambiti principali, definiti in termini vaghi per permettere a tutti di offrire contributi specifici rispetto ai propri interessi e alle proprie esperienze. A livello di coreografia, il summit si aprirà e si chiuderà con due sessioni plenarie, mentre nel pomeriggio i partecipanti si divideranno in tre tavoli tematici, ciascuno dei quali sarà co-presieduto da uno Stato membro dell’Ue e da uno extra-Ue.Artiglieria ucraina in azione (foto: Genya Savilov/Afp)Nella dimensione della difesa e della sicurezza, il fulcro delle discussioni sarà incentrato sul conflitto in Ucraina e sulla difesa continentale (diversi membri della Cpe fanno parte contemporaneamente anche della coalizione dei volenterosi a egida franco-britannica), ma si parlerà anche di come proteggere i processi democratici dalle cosiddette operazioni Fimi (interferenze e manipolazioni straniere, costantemente nel mirino di Bruxelles).La tavola rotonda su competitività e sicurezza economica toccherà elementi come l’innovazione, le infrastrutture digitali, la sostenibilità energetica, la crescita industriale e la sicurezza delle catene di approvvigionamento. Non si parlerà invece di dazi, in quanto per i Ventisette la politica commerciale è una competenza della Commissione Ue.Infine, nel terzo gruppo si scambieranno idee, suggerimenti e buone pratiche relativamente a migrazione legale e cooperazione coi Paesi terzi, ma anche rientro (e mantenimento) dei cervelli, emancipazione delle giovani generazioni e mobilità transnazionale nell’era dell’intelligenza artificiale.Trattandosi di un forum informale di dialogo e cooperazione politica, non sono previsti documenti finali di conclusioni: questo, nelle intenzioni degli organizzatori, dovrebbe consentire ai leader di discutere in maniera più franca. Soprattutto, sottolineano fonti Ue, si tratta di un’ottima occasione per incontri bilaterali o plurilaterali ai margini dei lavori, permettendo a capi di Stato e di governo di confrontarsi direttamente su singole questioni urgenti.Il presidente del Consiglio europeo, António Costa (foto: European Council)L’obiettivo generale di questi incontri, osserva un funzionario dall’entourage del presidente del Consiglio europeo, António Costa, è quello di “sviluppare una visione comune sul futuro dell’Europa” attraverso un format che rimane sui generis, sullo sfondo della mutata realtà geopolitica del continente in seguito all’aggressione russa dell’Ucraina. O almeno a parole. Nei fatti, una reale visione comune condivisa da tutti i partecipanti potrebbe rimanere una chimera.Ad esempio, almeno un paio dei leader che dovrebbero essere presenti a Tirana – il premier slovacco Robert Fico e il presidente serbo Aleksandar Vučić – parteciperanno domani (9 maggio) alle celebrazioni per l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista nel 1945, ospitate da Vladimir Putin nella Piazza Rossa a Mosca. In barba agli ammonimenti rivolti a Stati membri e Paesi candidati dal capo della diplomazia comunitaria, Kaja Kallas, a non recarsi alla corte dello zar.Quello della prossima settimana sarà il primo vertice della Cpe nella regione. Negli stessi giorni, dal 15 al 17 maggio, Costa condurrà una serie di visite attraverso i sei partner dei Balcani occidentali – Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del nord, Montenegro e Serbia – e si intratterrà coi leader di tutti questi Paesi in una cena informale a Tirana alla quale parteciperanno anche il capo dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen e l’Alta rappresentante, a testimonianza dell’importanza che ricopre nell’agenda dell’Ue il processo di allargamento. Il 2025, ragionano i funzionari del Consiglio, è un anno potenzialmente importante per l’espansione del club a dodici stelle, ma c’è ancora molto lavoro da fare su diversi fronti.

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    Israele, l’Ue respinge “qualsiasi tentativo di cambiamento demografico” a Gaza

    Bruxelles – Per la prima volta da quando le è stato affidato l’incarico di Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas promette di “fare di più” per mettere pressione a Israele affinché rispetti il diritto internazionale nella sua devastante offensiva a Gaza. Incalzata dalla “maggioranza dei Paesi membri” alla riunione informale dei ministri degli Esteri Ue a Varsavia, il capo della diplomazia europea ha dichiarato: “Respingiamo qualsiasi tentativo di cambiamento demografico o territoriale nella Striscia di Gaza, così come il trasferimento forzato della popolazione palestinese”.Quel che sta succedendo nell’enclave palestinese – dove da oltre due mesi non entrano più aiuti umanitari a causa del blocco imposto da Israele – “è insostenibile” e la situazione “si sta rapidamente deteriorando”, ha affermato Kallas a margine della riunione. Dopo settimane di silenzi assordanti, gli ultimi sviluppi hanno riportato il conflitto tra Israele e Hamas in alto nell’agenda di Bruxelles. Che da un lato invoca il rispetto del diritto internazionale in Ucraina, dall’altro continua a mantenere rapporti più che amichevoli con il governo di Benjamin Netanyahu, accusato di crimini di guerra e contro l’umanità – come Vladimir Putin – dalla Corte penale internazionale.Prima la rottura del cessate il fuoco e il nuovo disumano assedio della Striscia, ora il piano per prendere il controllo della distribuzione di aiuti umanitari tagliando fuori l’Onu e i suoi partner e soprattutto l’annuncio dell’estensione delle operazioni militari per conquistare Gaza. Dove non ci sono solo i miliziani di Hamas, ma 2,2 milioni di civili che sopravvivono tra le macerie, in mezzo a bombardamenti indiscriminati e senza più né acqua né cibo. L’agenzia di stampa palestinese Wafa ha riferito che nelle ultime 24 ore almeno 106 persone sono state uccise e altre 367 ferite a causa degli attacchi israeliani. Ieri, in un comunicato, il Commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Philippe Lazzarini, ha riportato dell’uccisione di almeno 30 sfollati in una scuola dell’Unrwa. “A Gaza, giorno dopo giorno, l’inazione e l’indifferenza stanno normalizzando la disumanizzazione e ignorando i crimini trasmessi in diretta sotto i nostri occhi: famiglie bombardate, bambini bruciati vivi, bambini affamati”, ha scritto.Distribuzione di cibo nel centro della Striscia di Gaza, 5/5/25 (Photo by Eyad BABA / AFP)A sollevare la questione con urgenza a livello Ue sono stati a sorpresa i Paesi Bassi, finora tra i più restii a criticare l’alleato israeliano. Il ministro degli Esteri olandese, Caspar Veldkamp, ha rispolverato la richiesta – già sostenuta da Spagna e Irlanda e poi accantonata da Bruxelles – di procedere a una revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele a causa delle chiare violazioni del diritto internazionale umanitario da parte di Tel Aviv. L’articolo 2 dell’accordo prevede infatti il rispetto dei diritti umani e dei principi democratici come base della cooperazione tra l’Unione e lo Stato ebraico.“Abbiamo deciso di discuterne al prossimo Consiglio Affari Esteri, che si terrà il 20 maggio”, ha annunciato Kallas. È un passo in avanti, a onor del vero già compiuto sei mesi fa dal suo predecessore Josep Borrell, il cui tentativo di interrompere il dialogo politico con Israele venne però bocciato sul nascere dai Paesi membri. Ed anche ora, di fronte alla nuova escalation israeliana, gli Stati membri restano divisi, ne è la riprova il fatto che nessuna nota di condanna è stata diffusa finora a nome dei 27. “Naturalmente dobbiamo fare brainstorming su cosa possiamo fare di più, sapete bene che su alcune questioni abbiamo opinioni molto divergenti fra gli Stati membri“, ha ammesso Kallas. Ma “ora la situazione è cambiata”, ha aggiunto. Forse se n’è accorta anche lei, la liberale estone falco dell’Ue per l’Ucraina. Meglio tardi che mai.

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    Tutti gli uomini di Putin: chi ci sarà alla parata di Mosca del 9 maggio

    Bruxelles – Se il Vecchio continente festeggia oggi (8 maggio) l’anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, in Russia le celebrazioni si terranno domani. Sulla Piazza Rossa di Mosca incombe però la minaccia dei droni ucraini, che mettono potenzialmente a repentaglio l’incolumità degli ospiti d’onore invitati da Vladimir Putin per assistere alla cerimonia in grande stile per gli 80 anni dalla vittoria sovietica sulla Germania nazista. Tra i politici di altissimo livello ci dovrebbe essere anche qualche europeo, incluso un membro dell’Ue, mentre in Ucraina si terrà una “contro-manifestazione”.Tutti (o quasi) sulla Piazza RossaÈ il pubblico delle grandi occasioni quello atteso domani (9 maggio) nella capitale della Federazione. Sulla tribuna d’onore, stando ad una lista di presenze rilasciata dal Cremlino, dovrebbero esserci quasi una trentina di leader mondiali ad affiancare lo zarVladimir Putin. L’ospite più importante è senza dubbio il leader cinese Xi Jinping, a Mosca per riaffermare quella “amicizia senza limiti” proclamata nel febbraio 2022, poco prima dell’invasione su larga scala dell’Ucraina.Ci saranno poi i rappresentanti di alcuni Paesi allineati più o meno esplicitamente con Mosca (o comunque disallineati da Washington): dal presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva al suo omologo venezuelano Nicolás Maduro, passando naturalmente per l’altro alleato di ferro di Putin, l’uomo forte di Minsk Alexandr Lukashenko. Il capo di Stato indiano Narendra Modi ha annullato la propria visita a causa delle tensioni recentemente riesplose col Pakistan, mentre la delegazione nordcoreana non dovrebbe includere il dittatore Kim Jong-un.Il presidente cinese Xi Jinping (sinistra) e il suo omologo russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Tutti insieme osserveranno la pomposa parata militare in cui sfileranno, oltre alle truppe russe, quelle di Azerbaigian, Bielorussia, Cina, Egitto, Laos, Kazakistan, Kirghizistan, Mongolia, Myanmar, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam. Una grande coreografia che, da un lato, celebra la storica vittoria dell’Urss nella cosiddetta “Grande guerra patriottica” (come viene chiamata la Seconda guerra mondiale in Russia) e, dall’altro, serve come dimostrazione di forza da sbattere in faccia a Kiev e ai suoi alleati occidentali.Dall’Europa con furore?Ma a destare più scalpore sono soprattutto gli ospiti europei. L’unico leader dei Ventisette nella Piazza Rossa sarà il primo ministro slovacco Robert Fico, uno dei cavalli di Troia del Cremlino nell’Ue (l’altro è il suo sodale ungherese Viktor Orbán). La sua partecipazione ha provocato uno strappo con l’Estonia, la Lettonia e la Lituania: nelle scorse ore i tre Stati baltici gli hanno interdetto il proprio spazio aereo per impedirgli di raggiungere Mosca, adducendo come motivazione ufficiale delle “preoccupazioni” per la sicurezza nazionale. Il premier di Bratislava starebbe attualmente cercando delle rotte alternative per raggiungere la sua destinazione.L’altro pezzo grosso del Vecchio continente è il presidente serbo Aleksandar Vučić, anch’egli molto vicino alla Russia. La decisione di Fico e Vučić – negli ultimi giorni la partecipazione di entrambi alle cerimonie moscovite era peraltro rimasta in dubbio a causa di problemi di salute – è uno schiaffo in faccia agli ammonimenti del capo della diplomazia comunitaria Kaja Kallas, che il mese scorso aveva cercato di dissuadere le cancellerie europee, sia dentro sia fuori l’Unione, dal recarsi alla corte di Putin. Sempre secondo il Cremlino, ci sarà anche una delegazione della Bosnia-Erzegovina, un altro Paese candidato.Il primo ministro slovacco Robert Fico (foto: Faruk Pinjo via Imagoeconomica)Dovrebbero inoltre essere presenti a Mosca alcuni eurodeputati: un manipolo dalle fila dello Smer, il partito populista (radiato dai Socialisti europei nel 2023) di Fico e del commissario al Commercio Maroš Šefčovič, più un paio di rossobruni del Bsw, l’Alleanza Sahra Wagenknecht emersa come costola filorussa della Linke tedesca. Questi ultimi hanno annunciato l’intenzione di prolungare il loro viaggio fino a Kiev una volta terminate le celebrazioni sulla Piazza Rossa. Stando ad indiscrezioni giornalistiche, potrebbe recarsi nella capitale della Federazione anche l’indipendente cipriota Fidias Panayiotou.L’asse Kiev-BruxellesDall’altra parte della barricata, l’Ucraina ha rispedito al mittente la proposta, avanzata dal presidente russo a fine aprile, di una tregua di 72 ore strumentale allo scopo, appunto, di proteggere la parata di Mosca. Volodymyr Zelensky ha dichiarato che non può garantire la sicurezza delle celebrazioni nella Piazza Rossa, e i due belligeranti si sono scambiati attacchi con droni e missili negli scorsi giorni.A Leopoli arriverà domani un gruppo di ministri degli Esteri dell’Ue direttamente da Varsavia (dove ieri e oggi si è svolto un Consiglio informale), per partecipare alla “contro-celebrazione” organizzata da Kiev. I leader di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito avevano precedentemente declinato l’invito ad un evento di alto livello nella capitale ucraina.L’Alta rappresentante dell’Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: European Council)I rappresentanti degli Stati membri arriveranno però a mani vuote, perché alla due giorni non è stato trovato alcun accordo né su nuovi aiuti alla resistenza ucraina né sul 17esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia di cui si parla da tempo. Kallas, che dovrebbe guidare la delegazione ministeriale, ha confermato recentemente che sono pronti due terzi dei 2 milioni di proiettili d’artiglieria che Bruxelles vuole fornire a Kiev (cioè quello che rimane dell’ambizioso piano da 40 miliardi dell’Alta rappresentante, affondato dalle stesse cancellerie).I titolari degli Esteri dovrebbero piuttosto annunciare l’imminente creazione, da parte del Consiglio d’Europa, del tribunale speciale per le violazioni commesse dall’esercito invasore: crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, più eventualmente la definizione di una nuova categoria legale (quella dei “crimini di aggressione“, come l’annessione unilaterale di territori di uno Stato sovrano), per colmare le lacune nel mandato della Corte penale internazionale.Da tre anni a questa parte, Kiev ha cambiato la data in cui ricorda la fine del secondo conflitto mondiale. Tradizionalmente si festeggiava il 9 maggio, data in cui nel 1945 si è ufficialmente conclusa la guerra secondo il fuso orario sovietico, mentre dal 2022 ha anticipato le cerimonie al giorno precedente per allinearsi ai partner a dodici stelle. L’8 maggio di 80 anni fa il Terzo Reich stipulò la capitolazione a Berlino, come chiesto proprio dall’Urss, che non riconosceva valore legale ad un analogo documento siglato tra i comandanti nazisti e gli Alleati a Reims il giorno prima: la resa incondizionata delle armate tedesche entrò in vigore alle 23:01 locali, ma a Mosca era già il giorno successivo.Eighty years ago, enemies laid down their arms.Since then, we, Europeans, have built something extraordinary: a Union of peace, democracy, and solidarity. An anchor of stability.Our Union was born as a peace project, and it remains one today. pic.twitter.com/mbmTBmBpua— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) May 8, 2025In Ue, il 9 maggio, si celebra invece la cosiddetta giornata dell’Europa, in ricordo della dichiarazione con cui nel 1950 il ministro degli Esteri francese Robert Schuman propose la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), l’embrione del progetto europeo trasformatosi successivamente nell’Unione che conosciamo oggi.

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    L’Ue: “No a militarizzare gli aiuti umanitari” a Gaza. E ora anche l’Olanda chiede di rivedere l’accordo con Israele

    Bruxelles – Tre giorni dopo la presa di posizione delle Nazioni Unite, anche l’Ue respinge il piano di Israele per prendere in mano la distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza. E “ribadisce il suo appello urgente” a Tel Aviv “affinché revochi immediatamente il blocco di Gaza“. Si spinge più in là il governo dei Paesi Bassi, uno dei più strenui sostenitori dello Stato ebraico finora, che ha chiesto una revisione urgente dell’accordo di associazione Ue-Israele alla luce delle “chiare violazioni del diritto umanitario”.Nella dichiarazione congiunta firmata dall’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, e dalle commissarie Ue per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib, e per il Mediterraneo, Dubravka Suica, non c’è nulla sull’inquietante piano di occupazione prolungata di Gaza annunciato dal governo di Benjamin Netanyahu. Bruxelles sceglie di tacere su uno sviluppo che potrebbe compromettere una volta per tutte quella soluzione a due Stati da sempre sostenuta dall’Unione. Il capo della diplomazia europea si accoda invece alle organizzazioni internazionali nella denuncia della militarizzazione degli aiuti umanitari da parte di Israele.Un ragazzino palestinese tra le macerie di Gaza City, 04/05/2025 (Photo by Omar AL-QATTAA / AFP)Da più di due mesi – dal 2 marzo, prima del collasso del cessate il fuoco – Tel Aviv blocca l’ingresso di cibo e risorse primarie per la popolazione civile nella Striscia. Sia il World Food Programme che l’Unrwa hanno lanciato l’allarme sull’esaurimento imminente delle scorte alimentari. Secondo l’Ufficio di Coordinamento Onu per gli Affari umanitari, il 92 per cento dei bambini tra i 6 e i 23 mesi e delle donne incinte e che allattano non soddisfano il loro fabbisogno nutrizionale. Più di 9 su 10. La maggior parte delle famiglie non dispone di acqua potabile e sono ripresi i saccheggi dei magazzini. Le scorte restano impilate fuori da Gaza, bloccate dall’esercito israeliano.“Tonnellate di aiuti, che rappresentano le forniture per tre mesi per una popolazione di 2,2 milioni di persone, sono in attesa al confine”, sottolinea il comunicato di Bruxelles. Israele, “in qualità di potenza occupante”, deve “garantire che gli aiuti umanitari raggiungano la popolazione bisognosa”. Ma il piano che Israele ha sottoposto alle Nazioni Unite per affidare la distribuzione a società di sicurezza private e limitarlo in una zona a sud sotto il controllo dell’esercito israeliano va in tutt’altra direzione. L’Ue si dice “preoccupata” per il meccanismo architettato da Tel Aviv, “in contrasto con i principi umanitari”.(FILES) Un cittadino palestinese tra le rovine dell’ospedale Al Shifa nella Striscia di Gaza (Photo by AFP)Kallas, Lahbib e Suica ribadiscono che “gli aiuti umanitari non devono mai essere politicizzati o militarizzati” e che il loro utilizzo “come strumento di guerra” è vietato dal diritto internazionale. A sorpresa, mentre le tre commissarie redigevano con cautela un comunicato diffuso con netto ritardo, l’Olanda, uno dei Paesi membri finora più restii a criticare Israele ha indirizzato una lettera all’Alta rappresentante in cui chiede una revisione urgente dell’accordo di associazione con l’alleato mediorientale. Che sta alla base delle relazioni economiche con Israele, e che prevede – all’articolo 2 – il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani.Il ministro degli Esteri olandese, Caspar Veldkamp, ha dichiarato al The Guardian che il governo dei Paesi Bassi si aspetta che la questione – messa sul tavolo da Spagna e Irlanda più di un anno fa e poi accantonata dall’Ue – sia discussa durante la riunione informale dei ministri degli Esteri dell’Ue che inizia oggi in Polonia. Veldkamp, ex ambasciatore in Israele, ha definito il blocco di Gaza “catastrofico, davvero desolante” e in chiara violazione del diritto internazionale umanitario. In un passaggio significativo, il ministro ha puntualizzato: “Non ho alcuna illusione che Hamas applicherà mai il diritto internazionale umanitario, ma da una democrazia come Israele, le democrazie combattono in modo diverso, e Israele deve rispettare il diritto internazionale umanitario”. I Paesi Bassi sembrano fare sul serio, e Veldkamp ha annunciato che il governo porrà il veto su qualsiasi proroga del piano d’azione Ue-Israele, l’accordo che attua l’accordo di associazione entrato in vigore nel 2000.

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    Gli eurodeputati stigmatizzano le violazioni dei diritti umani in Turchia

    Bruxelles – La Turchia rimane lontana anni luce dall’adesione all’Ue, a causa del deterioramento continuo della democrazia, e anzi ne andrebbe sospeso l’ingresso. Ma i rapporti di vicinato con Ankara rimangono improntati al pragmatismo, al netto delle violazioni dei diritti umani e dell’integrità territoriale di Stati sovrani, pure se sono membri del club a dodici stelle.È questo, in estrema sintesi, il succo del rapporto sulla Repubblica anatolica – che mette insieme due relazioni annuali, quella del 2023 e quella del 2024 – adottato oggi (7 maggio) dal Parlamento europeo, riunito in plenaria a Strasburgo, con 367 voti favorevoli, 74 contrari e 188 astensioni.Il documento, presentato dal relatore Nacho Sánchez Amor durante un dibattito in Aula nel pomeriggio di ieri, si compone di due parti principali. Nella prima, viene ribadita la distanza siderale che separa la Turchia dall’ingresso nell’Unione, principalmente sui versanti della democrazia e dei diritti umani ma anche per la decennale questione cipriota. La seconda esplora invece le dimensioni in cui il dialogo tra i Ventisette e lo Stato anatolico può progredire, riconoscendo il ruolo determinante di Ankara nello scacchiere internazionale.L’eurodeputato Nacho Sánchez Amor (foto: Fred Marvaux/EP)Il punto del processo di adesione, ha spiegato Sánchez Amor durante una conferenza stampa, è che quest’ultimo è “normativo” e “si basa sulla democrazia” e non su considerazioni di tipo politico, geostrategico o militare. Ma “negli ultimi 30 anni non abbiamo più avuto buone notizie” da Ankara circa il rispetto delle norme democratiche e, anzi, “la Turchia è l’unico tra i Paesi candidati che ha fatto passi indietro” in questo ambito “in modo sistematico”, tanto che il livello attuale “è il più basso degli ultimi anni” e si sta costruendo un “modello pienamente autoritario” che è incompatibile con gli standard europei.Il presidente Recep Tayyip Erdoğan sta costruendo “un modello di società simile a quella russa e profondamente diversa da quella europea“, nota il socialista spagnolo. “Noi non possiamo interferire in queste decisioni sovrane, non possiamo trasformare la Turchia in una democrazia”, osserva, perché “sono i cittadini turchi che devono deciderlo”. Il compito di Bruxelles – peraltro concordato con Ankara – è piuttosto quello di monitorare gli sviluppi nel Paese e indicare gli ambiti in cui il governo turco deve ottenere risultati concreti se vuole entrare a far parte dell’Unione.Tuttavia, spiega Sánchez Amor, è importante distinguere tra la “volontà profonda” della società civile e quella di chi lo governa. “Erdoğan nasconde il fatto che ci sia un Paese intero dietro l’ombra del presidente”, ragiona l’eurodeputato rimarcando la vitalità dei movimenti pro-democrazia e pro-Ue, e il coraggio di chi protesta da oltre un mese contro l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoğlu, lo sfidante più agguerrito per scalzare il sultano dal suo trono.Sono i turchi stessi che “ci chiedono di non chiudere la porta” dell’adesione, e “se ci sono le condizioni, noi siamo pronti a valutare la volontà politica e l’impegno” della leadership di Ankara. “Non stiamo chiudendo il processo“, sostiene Sánchez Amor, ma quest’ultimo rimane a tutti gli effetti congelato. E al momento nessuno, in Europa, sembra realmente interessato a riaprirlo. Insomma, la porta non è chiusa del tutto ma lo spiraglio è minimo.D’altro canto, quella del partenariato Ue-Turchia è una questione sostanzialmente diversa. Attraverso questo genere di accordi – per definizione transazionali – “si possono affrontare tanti altri temi e indagare quali sono gli interessi comuni“, per stabilire relazioni che siano “basate sulla fiducia reciproca“, ha dichiarato Sánchez Amor. La Turchia rimane un Paese cruciale del vicinato, con cui è inevitabile parlare di un’ampia gamma di temi come energia, commercio, difesa e sicurezza.Quest’ultima voce, nello specifico, è duplice: Bruxelles mantiene aperto il dialogo con Ankara sia nel campo della cooperazione militare europea in chiave anti-russa, sia nell’ambito della gestione dei flussi migratori, una formula edulcorata per rendere accettabile il pagamento di miliardi di euro affinché Erdoğan si tenga in casa decine di migliaia di disperati che vorrebbero raggiungere il Vecchio continente.Lo riconosce, con crudo realismo, lo stesso Sánchez Amor. L’Ue intesse relazioni con Paesi in tutto il mondo che non rispettano i diritti umani, ammette citando come esempi l’Egitto, la Tunisia e Israele, perché “inevitabilmente la politica estera ha una componente di realpolitik“. “Non facciamo sconti sull’adesione ma non possiamo nemmeno allargare il Bosforo”, ribadisce, spiegando che il vicino sudorientale rappresenta un importante “cuscinetto” tra l’Europa e la polveriera mediorientale.Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Christophe Licoppe/European Union)C’è infine la questione, bollente, di Cipro. Nell’isola del Mediterraneo orientale perdura da decenni l’occupazione turca, e lo stesso Erdoğan si è recato nei giorni scorsi nel nord del Paese – che praticamente solo Ankara riconosce come uno Stato sovrano – ribadendo il suo intento di difendere la soluzione a due Stati, in barba al diritto internazionale e alle risoluzioni delle Nazioni Unite (supportate da Bruxelles) che riconoscono l’indivisibilità della Repubblica cipriota, uno dei 27 membri dell’Ue.“Più la Turchia difende la soluzione dei due Stati, più Cipro del nord sembra una provincia di Ankara“, ha scandito Sánchez Amor, che durante la sessione di voto odierna ha aggiunto al testo della relazione un emendamento orale, approvato a larga maggioranza, proprio per condannare la “visita illegale” del presidente turco.

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    Ucraina, von der Leyen spinge per aprire tutti i capitoli per l’adesione all’Ue nel 2025. I Patrioti di Orbán di traverso

    Bruxelles – Nel percorso verso l’adesione all’Unione europea, l’Ucraina può contare sul più influente dei sostenitori: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si sta spendendo in prima persona per accelerare l’ingresso di Kiev nel blocco Ue. “Può essere la più forte garanzia di sicurezza” e di una “pace giusta e duratura”, ha evidenziato oggi (7 maggio) intervenendo al Parlamento europeo di Strasburgo. L’obiettivo – che la leader Ue avrebbe concordato con Zelensky a Roma, in occasione dei funerali di papa Francesco – è “aprire tutti i capitoli di negoziati di adesione nel 2025“.I vertici delle istituzioni europee sono d’accordo, l’adesione dell’Ucraina si deve fare il più presto possibile. A costo di far passare Kiev davanti a candidati di lunga data, come i sei dei Balcani occidentali. Serbia e Montenegro, ad esempio, di capitoli di negoziazione ne hanno già aperti da anni ma procedono a rilento verso il completamento dei 35 totali. Ma – come emerso già nell’ultimo Consiglio europeo – i Paesi membri, titolari del potere di veto sugli avanzamenti dei Paesi candidati, sono divisi. A ben vedere, l’Ue è già venuta meno alla promessa di aprire il processo di adesione entro marzo: se formalmente il percorso è stato avviato, non è stato però aperto nessuno dei cluster negoziali, nemmeno quello dei cosiddetti capitoli fondamentali.Da un lato ci sono i baltici e i nordici (Danimarca, Finlandia, Svezia, Estonia, Lettonia e Lituania), che vorrebbero premere sull’acceleratore. A loro, in linea di principio, si unirebbe anche la Polonia. Ma Varsavia, che attualmente detiene la presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Ue, è più cauta, perché consapevole delle difficoltà nel costruire un consenso all’unanimità che ancora non c’è. I Paesi dell’Europa meridionale e orientale hanno sensibilità differenti e – per quanto generalmente d’accordo con la necessità di allargare l’Unione a Kiev – hanno riserve a scavalcare altri Paesi candidati con cui storicamente intrattengono rapporti più stretti.C’è poi il solito elefante nella stanza, quel Viktor Orbán che proprio non ne vuole sapere. Anche oggi, il gruppo dei Patrioti per l’Europa, creatura fondata dal premier sovranista ungherese, ha ribadito il suo no all’ingresso dell’Ucraina nei 27: “Non è nel nostro interesse – ha dichiarato Kinga Gal, vicepresidente del gruppo e membro di Fidesz, il partito di Orbán -, causerebbe gravi danni alla politica agricola, alla politica di coesione e altro”. L’Ucraina non sarebbe in linea “con nessuna delle condizioni di adesione”, ha proseguito Gal, denunciando il rischio di “doppi standard” nella politica di allargamento di Bruxelles.In realtà, la posizione filo-russa di Budapest – e dei Patrioti – va ben oltre l’opposizione all’allargamento a Kiev. Delle tre priorità elencate oggi da von der Leyen per fare in modo di arrivare all’agognata pace “giusta e sostenibile”, l’Ungheria non ne condivide nessuna. Non il sostegno alle capacità di difesa dell’Ucraina, tanto meno l’eliminazione graduale dei combustibili fossili russi. Ma se su queste due – con qualche escamotage – l’Ue può procedere a 26, sull’adesione non può. E continuare a fissare date e a fare promesse, diventa rischioso.