Passi indietro sui diritti e “evidente narrativa anti-UE”, la Serbia entra tra i ‘cattivi’ candidati all’adesione
Bruxelles – Insieme ai soliti sospetti Turchia e Georgia, anche la Serbia entra di diritto tra i ‘cattivi’ Paesi candidati all’adesione all’Unione europea. Il rapporto annuale sull’Allargamento pubblicato oggi (4 novembre) dalla Commissione europea non lascia spazio a interpretazioni: se non ancora compromesso, il decennale percorso di Belgrado verso il club a 12 stelle si è impantanato nella gestione sempre più autoritaria dell’apparato statale da parte di Aleksandar Vučić, la violenta repressione delle proteste studentesche e gli ammiccamenti sfrontati del presidente verso Mosca.La valutazione di Bruxelles è decisamente dura, dall’inizio alla fine. “C’è una narrativa anti-UE evidente non solo nei media serbi, ma anche utilizzata dai titolari di cariche politiche, anche ai livelli più alti”, esordisce il rapporto, chiedendo alle autorità nazionali di “assumersi molte più responsabilità per una comunicazione proattiva e più oggettiva sul processo di adesione della Serbia all’UE e sull’Unione stessa, nonché per contrastare la disinformazione e la manipolazione delle informazioni”. Concetto ribadito da Marta Kos, commissaria per l’Allargamento, che ha presentato i risultati del rapporto in mattinata alla commissione Affari esteri del Parlamento europeo: “La Serbia eviti retoriche anti-UE o contro i membri del Parlamento europeo”, ha intimato Kos.Kaja Kallas e Marta Kos presentano il rapporto sull’Allargamento 2025, 04/11/25Non si tratta solo di ‘sputare nel piatto’ in cui dici di voler mangiare: c’è uno “stallo a livello giudiziario e dei diritti fondamentali” e addirittura “uno slittamento sulla libertà di espressione“, ha rilevato la commissaria. A ormai undici anni dall’inizio dei negoziati di adesione, la Serbia ha smesso di fare progressi e la chiusura dei 22 capitoli negoziali su 35 totali è oggi più lontana di allora.“Nessun progresso” nel funzionamento della magistratura, “un contesto sempre più difficile” per l’azione di ong e società civile, violenze contro manifestanti che si sono “intensificate” con il persistere delle proteste e “uso eccessivo della forza” da parte della polizia, “un regresso” per quanto riguarda la libertà di espressione e un contesto dell’informazione “notevolmente peggiorato“. Dopo mesi di dichiarazioni titubanti da parte dei massimi vertici dell’Unione, che non hanno scaricato Vučić nemmeno di fronte alle manifestazioni oceaniche innescate dall’incidente alla stazione ferroviaria di Novi Sad che un anno fa costò la vita a 16 persone, nel rapporto sull’allargamento la Commissione europea ha lasciato da parte ogni ambiguità.Il presidente russo Vladimir Putin (sinistra) e il suo omologo serbo Aleksandar Vučić (foto: Alexander Zemlianichenko/Afp)L’altro capitolo disastroso – che avvicina la Serbia a Georgia e Turchia – è l’evidente disallineamento di Belgrado alla politica estera dell’Unione. “Alcune azioni e dichiarazioni della Serbia sono state in contrasto con le posizioni chiave” di Bruxelles, “in particolare per quanto riguarda la Federazione russa“, rileva il rapporto. Oltre all’intensificazione dei contatti bilaterali di alto livello con la Russia – la Commissione non ha dimenticato la partecipazione di Vučić alla parata militare del 9 maggio a Mosca, in occasione della Giornata della Vittoria -, il rapporto sottolinea le “ricorrenti narrazioni anti-occidentali” che sollevano “ulteriori interrogativi sulla direzione strategica della Serbia”.Una valle di lacrime, una pugnalata – alle spalle, o forse in pieno petto – per Vučić, un passo avanti per la famiglia socialista europea, secondo cui “finalmente la Commissione europea sembra prendere coscienza della serietà della situazione in Serbia”.Una situazione che – dal punto di vista del processo di adesione – rischia di precipitare ancora verso uno “stallo”, un “punto morto”, come Bruxelles ha definito quelli relativi a Turchia e Georgia, gli altri due grandi malati tra i dieci Paesi candidati all’ingresso nell’Unione europea. Per quanto riguarda Ankara, “le serie serie preoccupazioni riguardo al continuo deterioramento degli standard democratici, dello Stato di diritto, dell’indipendenza della magistratura e del rispetto dei diritti fondamentali non sono state affrontate”, mentre Tbilisi, “anziché dimostrare il proprio impegno a favore di un’ulteriore integrazione nell’UE e portare avanti le riforme necessarie”, si è “ulteriormente allontanata”, adottando “una retorica ostile e senza precedenti nei confronti dell’UE, spesso facendo eco alla disinformazione in stile russo”. LEGGI TUTTO

