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    Il Mercosur agita l’Europarlamento: il ‘no’ dei servizi al parere della Corte di giustizia scatena l’ira dei deputati

    Bruxelles – Accordo di libero scambio UE-Mercosur, la questione della compatibilità giuridica con i trattati dell’Unione europea provoca una battaglia tutta politica in seno al Parlamento europeo. La richiesta di verifica dell’intesa siglata a fine 2024 non verrà inoltrata alla Corte di giustizia europea perché i servizi dell’Eurocamera non ritengono sussistano le condizioni per farlo. Così denunciano i componenti del gruppo parlamentare informale sul Mercosur, che criticano quelle che definiscono “un’ingerenza politica all’interno dell’amministrazione del Parlamento europeo per facilitare l’adozione di un accordo commerciale”.A scoperchiare il vaso di Pandora i parlamentari Krzysztof Hetman e Céline Imart (PPE), Chloé Ride e Jean-Marc Germain (S&D), Benoît Cassart e Ciaran Mullooly (Renew), Majdouline Sbai e Saskia Bricmont (Verdi), Manon Aubry e Lynn Boylan (laSinistra). Sono loro a far sapere che i servizi del Parlamento non hanno voluto chiedere alla Corte di giustizia le verifiche dei testi dell’accordo commerciale “poiché il Consiglio non aveva ancora presentato la richiesta di approvazione del Parlamento”. Secondo gli europarlamentari però nella procedura prevista dall’articolo 218 del Trattato sul funzionamento dell’UE, “non si fa alcun riferimento al fatto che un’istituzione sia vincolata a un’altra per chiedere tale parere” ai giudici di Lussemburgo.Non finisce qui. Secondo il gruppo informale Mercosur la richiesta di 145 parlamentari non può essere scavalcata dai funzionari. E’ vero che la possibilità per la commissione parlamentare competente o almeno un decimo dei membri che compongono il Parlamento di proporre un parere alla Corte di giustizia sulla compatibilità di un accordo internazionale con i Trattati è prevista dall’articolo 117 del Regolamento del Parlamento europeo, ma “in ogni caso – denunciano gli esponenti dei gruppi parlamentari – la prerogativa del Parlamento conferita dai Trattati non può essere limitata da un’interpretazione delle nostre norme interne, poiché queste ultime sono inferiori nella gerarchia delle norme“.C’è poi poiché il precedente relativo all’adesione dell’Unione europea alla convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Il 4 aprile 2009 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione chiedendo un parere alla Corte di giustizia dell’UE sulla compatibilità con i Trattati, prima che il Consiglio inviasse i documenti relativi alla procedura di approvazione. Insomma, per gli europarlamentari “non vi è alcuna base giuridica per giustificare” la negazione di chiedere un parere alla Corte. Il Mercosur dunque divide il Parlamento, e scatena una battaglia tutta interna all’istituzione.

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    L’UE saluta la risoluzione ONU sul piano di Gaza. Albanese: “Non conforme al diritto internazionale”

    Bruxelles – La risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU che ha sostanzialmente avallato il piano di pace per Gaza è “un passo importante per porre fine al conflitto”. Oppure, “non è conforme al diritto internazionale”. Da un lato il commento della Commissione europea – e della maggior parte della comunità internazionale, comprese Israele e l’Autorità palestinese -, dall’altro l’avvertimento della relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, Francesca Albanese. Che dal Parlamento europeo rilancia l’attacco alle istituzioni comunitarie, la “foglia di fico” dietro cui si nascondono gli Stati membri nella loro complicità al genocidio del popolo palestinese.Ieri sera, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione redatta dagli Stati Uniti che sostiene il piano di pace di Donald Trump. Ci sono stati 13 voti a favore del testo, solo Russia e Cina astenute e nessun veto. La risoluzione autorizza la creazione di una forza internazionale di stabilizzazione (ISF) che collaborerebbe con Israele, Egitto e la polizia palestinese per garantire la sicurezza delle zone di confine e la smilitarizzazione della Striscia di Gaza. E appoggia inoltre la formazione di un Peace Board, un organo di governo transitorio per Gaza presieduto dallo stesso Trump, con un mandato fino alla fine del 2027.Assente nelle bozze, il testo finale include il riferimento a una Palestina indipendente, ad un vago percorso verso un futuro Stato di Palestina, il prezzo pagato da Washington per ottenere il sostegno del mondo arabo e islamico alla risoluzione. Una volta che l’Autorità palestinese avrà attuato le riforme richieste, “potrebbero finalmente esserci le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese”, afferma il testo.Il voto su Gaza al Consiglio di sicurezza dell’ONU (Photo by ANGELA WEISS / AFP)“Questo voto passerà alla storia come una delle più grandi approvazioni nella storia delle Nazioni Unite”, ha immediatamente rivendicato Trump. L’Autorità nazionale Palestinese ha “accolto con favore” la risoluzione, che “protegge il nostro popolo nella Striscia di Gaza, ne impedisce la deportazione, assicura il pieno ritiro delle forze di occupazione, consente la ricostruzione, sblocca la soluzione dei due Stati e impedisce l’annessione”. D’altra parte, Hamas ha respinto il testo, perché “qualsiasi forza internazionale, se istituita, deve essere dispiegata solo ai confini per separare le forze, monitorare il cessate il fuoco e deve essere completamente sotto la supervisione dell’ONU”.In Israele, il presidente Isaac Herzog e il premier Benjamin Netanyahu hanno accolto positivamente il voto. Netanyahu, in un post su X, ha affermato che il piano di Trump “è positivo per la pace e la prosperità perché include il completo disarmo e la deradicalizzazione della Striscia”. Ma sulla possibilità di veder sorgere uno Stato palestinese, il primo ministro – su cui pende un mandato di cattura internazionale – ha ribadito che l’opposizione di Israele “non è cambiata di una virgola”.Oggi, la Commissione europea ha dato il suo endorsement: il portavoce responsabile degli Affari esteri, Anouar El Anouni, ha affermato che “la risoluzione fornisce la base per passare alla fase successiva, compresi i lavori relativi alla forza internazionale di stabilizzazione e al Consiglio per la pace”. Un Peace Board, quest’ultimo, da cui l’Unione europea non vuole rimanere esclusa.Da qui prende le mosse il j’accuse di Francesca Albanese, al Parlamento europeo per una conferenza sulla ‘Palestina, il diritto internazionale e il ruolo dell’Europa’. Per la relatrice speciale delle Nazioni Unite, che per prima denunciò il genocidio in atto a Gaza e per questo è stata colpita da sanzioni dall’amministrazione USA, le richieste dell’UE di un maggior ruolo nell’amministrazione temporanea della Striscia “sono una vergogna coloniale”. Invece che voler stare al tavolo delle trattative “in questo modo rapace, da avvoltoi”, l’Unione europea avrebbe dovuto “stare al tavolo della discussione quando si poteva prevenire la distruzione di Gaza”.Albanese denuncia l’ipocrisia europea sul sostegno alla soluzione a due Stati, perché la realtà dell’occupazione israeliana della Cisgiordania e della distruzione della Striscia rende “fatua qualsiasi discussione politica su due Stati”. La risoluzione approvata dall’ONU poi, “non è conforme al diritto internazionale” – denuncia l’esperta delle Nazioni Unite -, che prevede che “Israele lasci la Striscia, la Cisgiordania e Gerusalemme Est ai palestinesi, che smantelli le colonie, ritiri le truppe, smetta di sfruttare le risorse naturale e economiche dei palestinesi”. Oltre al nodo “dell’indennità da pagare per le violenze inflitte ai palestinesi”, completamente assente nel piano trumpiano.

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    L’UE critica Israele per il dossier sulle manifestazioni pro-Pal in Italia: “Contro ogni ingerenza”

    Bruxelles – Le critiche velate a Israele per ingerenze interne negli affari di uno Stato membro dell’UE, i richiami impliciti al governo Meloni per avere consentito di ‘spiare’ i manifestanti pro-Palestina. Il dossier sulle manifestazioni in Italia del 22 settembre diventa un caso, con tanto di interrogazione parlamentare di Mimmo Lucano (AVS/laSinistra) alla Commissione europea, che non può non prendere le distanze da quanto accaduto.L’accaduto risale a settembre, quando sulla scia della mobilitazione generale europea scioperi e manifestazioni vengono indette in Italia per criticare l’operato delle forze israeliane a Gaza in risposta alle offensive di Hamas, manifestazioni su cui il governo israeliano ha redatto un dossier con tutte le informazioni su luoghi di ritrovo e partecipanti attesi. Quattro pagine con i nomi di associazioni, collettivi, e loro origine e provenienza. Per Lucano tutto questo rappresenta “una grave ingerenza straniera negli affari interni di uno Stato membro dell’Unione europea, nonché una potenziale violazione della sovranità italiana e dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in particolare la libertà di espressione e di manifestazione”.Di fronte a questi rilievi l’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Kaja Kallas, risponde ribadendo quali sono i principi cardine alla base del funzionamento dell’UE e la linea della Commissione europea, in quella che si configura come una condanna dai toni blandi. “La Commissione si oppone a qualsiasi tentativo di ingerenza, minaccia o intimidazione straniera sul territorio sovrano degli Stati membri”, dice, senza citare apertamente Israele. Mentre al governo italiano Kallas ricorda che “la libertà di riunione è un diritto fondamentale sancito dall’articolo 12 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che, insieme alla libertà di espressione e alla libertà e al pluralismo dei media sanciti all’articolo 11, costituisce la base di una società libera, democratica e pluralista”.La sottolineatura di Kallas non sembra essere casuale, poiché, questa almeno la tesi sostenuta da Lucano, le autorità di Israele avrebbero raccolto e diffuso informazioni sulle manifestazioni organizzate in Italia a sostegno della popolazione palestinese con l’aiuto delle autorità italiane. Intanto Kallas, nel ricordare i fondamenti dell’UE, opera una tirata d’orecchi ai governi di Roma e Tel Aviv.

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    Zelensky a Parigi sigla un’intesa “storica” per l’acquisto di caccia, droni e sistemi antiaerei

    Bruxelles – Prosegue il nuovo tour europeo di Volodymyr Zelensky. Oggi (17 novembre), il presidente ucraino ha incontrato il suo omologo francese Emmanuel Macron per concordare una nuova cooperazione in ambito di difesa tra Kiev e Parigi, definita “storica” da entrambe le parti. I due leader hanno siglato un memorandum d’intesa per consegnare al Paese aggredito dalla Russia 100 jet da combattimento Rafale F4, fiore all’occhiello dell’aviazione militare transalpina, entro il 2035.Oltre ai velivoli, gli accordi firmati nella base di Villacoublay prevedono anche la fornitura di otto sistemi antiaereo SAMP-T di nuova generazione ancora in fase di sviluppo (la fabbricazione è franco-italiana), droni, missili e apparecchiature radar nonché 55 locomotive. A differenza dei caccia, la consegna di questi prodotti dovrebbe prendere le mosse già entro la fine di quest’anno.Nel pomeriggio, i due capi di Stato hanno visitato il quartier generale della “forza multinazionale” per garantire una potenziale tregua in Ucraina, imbastita nell’ambito della coalizione dei volenterosi sotto l’egida anglo-francese. Con questa intesa “superiamo una nuova tappa nell’integrazione con l’industria bellica ucraina“, ha dichiarato il padrone di casa durante una conferenza stampa congiunta all’Eliseo, riconoscendo il “momento difficile” che il suo ospite sta affrontando in questa fase della guerra.Grand jour.Великий день. pic.twitter.com/YwfGV4d7Ii— Emmanuel Macron (@EmmanuelMacron) November 17, 2025“Spero si riesca a ottenere la pace prima del 2027“, ha aggiunto, sottolineando la necessità di “accrescere la pressione come facciamo attraverso le sanzioni e la lotta contro la flotta fantasma” di Mosca. Macron ha rimarcato che gli accordi odierni guardano alla “rigenerazione dell’esercito ucraino in futuro“, in modo che sia “in grado di scoraggiare qualsiasi nuova incursione” una volta terminate le ostilità. “Questo è un accordo storico e apprezziamo molto il sostegno della Francia“, ha chiosato Zelensky prendendo parola al suo fianco.La differenza con le precedenti visite del leader ucraino è che, stavolta, la situazione in patria è particolarmente difficile. Sul piano militare, le truppe russe sembrano sul punto di prendere Pokrovsk, snodo chiave per il controllo della porzione di Donbass ancora nelle mani di Kiev. Peraltro, l’eventuale conquista della città permetterebbe a Vladimir Putin di dimostrare a Donald Trump che la linea del fronte è tutt’altro che stabile, rendendo più difficile sostenere la necessità di un cessate il fuoco.A livello interno, in queste settimane l’Ucraina è scossa dal più grosso scandalo di corruzione degli ultimi anni, esploso a seguito delle investigazioni di quelle agenzie indipendenti che lo stesso Zelensky aveva cercato di esautorare lo scorso luglio. Allora, la mossa del presidente aveva scatenato partecipatissime proteste di piazza e un’insolita strigliata di capo da parte di Bruxelles. Ora, le rilevazioni su un potenziale giro d’affari illeciti da 100 milioni di dollari hanno avuto come conseguenza il licenziamento di due ministri di punta del governo, e l’allontanamento di uno stretto collaboratore di Zelensky.Del resto, contrasto alla corruzione e tutela dello Stato di diritto sono due criteri chiave per progredire verso l’adesione all’UE. Zelensky ha riconosciuto che le azioni intraprese finora “non sono sufficienti”, promettendo di procedere con le riforme necessarie. L’inquilino dell’Eliseo si è detto “fiducioso” che la controparte ucraina porti avanti questi sforzi, “in particolare per quanto riguarda lo Stato di diritto, la trasparenza, la governance e la lotta alla corruzione“.Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky (sinistra), e quello francese, Emmanuel Macron (foto: Sarah Meyssonnier/Afp)Ieri, nella prima tappa del suo tour, Zelensky era ad Atene. Lì ha stretto un’intesa col premier greco Kyriakos Mitsotakis per la fornitura all’Ucraina di gas naturale liquefatto (GNL) statunitense, che arriva ai terminal ellenici via Mediterraneo. L’accordo sarà operativo dal prossimo dicembre fino al marzo 2026 e, nelle intenzioni dei contraenti, servirà non solo a puntellare l’approvvigionamento di Kiev (le cui infrastrutture sono bersaglio dei quotidiani raid russi) ma anche a rafforzare la sicurezza energetica dell’intera regione, rifornendo anche Paesi senza sbocchi sul mare – e pertanto maggiormente dipendenti dal metano di Mosca – come Slovacchia e Ungheria.Domani, il presidente ucraino sarà in Spagna, dove incontrerà il primo ministro Pedro Sánchez. Madrid ha recentemente deciso di partecipare al programma PURL (acronimo di Prioritised Ukraine Requirements List) della NATO, col quale i membri dell’Alleanza acquisteranno armamenti a stelle e strisce da inviare a Kiev.Nel frattempo, i Ventisette hanno da poco approvato il 19esimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino. Ma non sono ancora riusciti a trovare la quadra sul prestito di riparazione da 130 miliardi per l’Ucraina, che entro il primo trimestre del 2026 si ritroverà a un passo dal default a meno di un’iniezione di liquidità dai partner occidentali. L’esecutivo comunitario sta cercando di convincere le cancellerie a usare gli asset russi congelati per finanziare l’esborso, dal momento che le alternative – una nuova emissione di debito comune o contribuzioni bilaterali degli Stati membri – sono de facto impraticabili.Tuttavia, alcuni Paesi sono estremamente riluttanti a toccare i fondi sovrani di Mosca, per timore delle conseguenze giuridiche e legali (timori sollevati di recente anche dalla Banca centrale europea). Tra i governi nazionali, a puntare i piedi è soprattutto il Belgio, dove ha sede l’agenzia finanziaria Euroclear, detentrice degli attivi russi immobilizzati. Il premier Bart De Wever continua a chiedere misure solide di condivisione del rischio nel caso in cui la Federazione dovesse vincere un appello presso una corte di arbitrato internazionale. Il Consiglio europeo di dicembre dovrebbe essere il momento della verità.

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    Von der Leyen mette sul tavolo tre opzioni per garantire all’Ucraina 130 miliardi nel prossimo biennio

    Bruxelles – Un mese fa, i capi di stato e di governo dell’UE avevano tentennato di fronte alle mostruose necessità economiche dell’Ucraina nel prossimo biennio, e chiesto alla Commissione europea di studiare un ventaglio di opzioni per sostenerla. Oggi (17 novembre), in una lettera spedita alle capitali, Ursula von der Leyen ha messo sul tavolo tre opzioni. Prima, ha incontrato il premier belga, Bart De Wever, per provare a convincerlo che l’unica strada percorribile è quella di utilizzare gli asset congelati (in gran parte in Belgio) della Banca Centrale Russa. L’unica opzione che non graverebbe su bilanci nazionali già compromessi dopo tre anni di conflitto.Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale – e ipotizzando la fine della guerra entro la fine del 2026 -, attualmente Kiev ha da coprire un buco di circa 135,7 miliardi di euro per i prossimi due anni. Un gap da colmare immediatamente, perché l’Ucraina deve essere equipaggiata per “combattere questa sera”, ha sottolineato von der Leyen. Oltre ad essere tempestivo – la decisione va presa al più tardi entro la fine dell’anno -, il sostegno finanziario dovrebbe essere “altamente agevolato”, data “l’attuale situazione di sostenibilità del debito dell’Ucraina”, flessibile, e ripartito equamente tra gli Stati membri e con i partner internazionali.La prima opzione – la più diretta – prevederebbe che gli Stati membri versino sovvenzioni bilaterali all’Unione, che a sua volta procederebbe a un sostegno a fondo perduto all’Ucraina. Un’opzione – evidenzia la Commissione – che “non comporta nuove passività congiunte, non richiede garanzie o indennizzi supplementari”, ma che “ha un impatto immediato sui bilanci degli Stati membri”. Bisognerebbe fissare un obiettivo minimo di sostegno annuale di 45 miliardi di euro, con l’auspicio che i partner del G7 contribuiscano a finanziare il fabbisogno residuo. L’impatto rispettivo per i Paesi UE sarebbe compreso tra lo 0,16 e lo 0,27 per cento del PIL all’anno.Di spalle, Ursula von der Leyen, insieme ai capi di stato e di governo dell’UE al Consiglio europeo [foto: European Council]La strada alternativa è quella tortuosa di ricorrere al debito comune. Questa seconda opzione consisterebbe nella “concessione da parte dell’Unione di un prestito con ricorso limitato finanziato dall’Unione mediante prestiti sui mercati finanziari“, spiega il documento inviato alle cancellerie europee. Un prestito che l’Ucraina rimborserebbe solo nel caso di un risarcimento da parte della Russia, e che si reggerebbe su “garanzie giuridicamente vincolanti, incondizionate, irrevocabili e su richiesta”, fornite e distribuite tra gli Stati membri in base al loro Reddito Nazionale Lordo (RNL). Le capitali dovrebbero ripagarne gli interessi e – “nello spirito di ripartizione degli oneri” – aumentare proporzionalmente i propri contributi se qualcuno tra i 27 decidesse di tirarsi indietro.Anche in questo caso, gli interessi a carico degli Stati membri “inciderebbero direttamente sul loro disavanzo e sul loro debito“. Per non parlare delle stesse garanzie, anch’esse “suscettibili” di gravare sui bilanci nazionali. Una via d’uscita potrebbe essere che il prestito fosse garantito dal margine di manovra del bilancio dell’UE: in quel caso “non si prevederebbe alcun impatto di questo tipo”, rileva la Commissione. Per mettere a bilancio UE 90 miliardi di euro per i prossimi due anni – e la copertura degli interessi – bisognerebbe modificare il regolamento del Quadro Finanziario Pluriennale, che attualmente “non consente di contrarre prestiti per un Paese terzo”.Le barricate che diversi Paesi membri ergerebbero di fronte a queste due opzioni fanno propendere Bruxelles verso la terza e ultima carta, l’asso nella manica, per quanto rischiosa essa sia. Si tratta di un prestito finanziato con gli asset statali russi congelati sul territorio europeo, che ammontano a oltre 200 miliardi di euro. L’opzione è da mesi al vaglio degli esperti legali dell’esecutivo UE: l’Unione europea stipulerebbe un contratto di debito obbligatorio con i depositari centrali di titoli che detengono attività russe immobilizzate in “diversi Stati membri” a tasso zero, per poi prestare il contante all’Ucraina in diverse tranches. Kiev rimborserebbe il prestito solo una volta che la guerra sarà finita e che la Russia avrà pagato le riparazioni. Solo a quel punto, Bruxelles rimborserebbe a sua volta gli istituti finanziari.Bart De Wever e Ursula von der Leyen a palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea, il 14 novembre 2025. (Photo by Nicolas TUCAT / AFP)Il terreno è scivoloso, l’UE rischierebbe “ripercussioni” se il prestito venisse “erroneamente percepito da altri come una confisca”. Dal punto di vista legale, ma anche economico: “Non si può escludere che vi siano potenziali effetti a catena, anche per i mercati finanziari“, ha ammesso ancora von der Leyen, ribadendo al contempo che “la struttura di questa opzione garantisce il pieno rispetto del diritto internazionale in tutti gli scenari”.Ma soprattutto, a livello interno, c’è da superare la strenua opposizione del Belgio, il Paese in cui risiede Euroclear, la società che detiene circa 185 miliardi di Mosca e che sta già utilizzando gli interessi generati da tali asset per sostenere un prestito separato di 45 miliardi di euro per l’Ucraina. Sarebbero gli Stati membri a garantire che l’Unione europea sia in grado di rimborsare Euroclear anche senza ricevere alcun pagamento compensativo da Kiev. “L’esatta portata della copertura del rischio dovrebbe essere definita al fine di garantire la necessaria protezione degli Stati membri esposti, nonché una certezza sufficiente per gli altri Stati membri che forniscono garanzie volontarie”, sottolinea il documento.Inoltre, “in considerazione della necessaria solidarietà tra gli Stati membri, le garanzie potrebbero anche dover coprire i costi e le conseguenze finanziarie derivanti da lodi arbitrali o altre decisioni o procedimenti giudiziari contro uno Stato membro derivanti dal congelamento dei beni sovrani russi”. E il prestito all’Ucraina “dovrebbe essere concepito in modo da preservare la stabilità finanziaria degli istituti finanziari che detengono le attività immobilizzate”.Von der Leyen, e con lei la quasi totalità degli Stati membri – fatta eccezione per chi si oppone in generale a nuovi finanziamenti all’Ucraina -, sperano di scalfire le resistenze belghe, perché quella di ricorrere alle risorse della Banca Centrale Russa è per molte cancellerie l’unica opzione percorribile. Anche perché, a differenza dell’indebitamento sui mercati, le garanzie dei Paesi membri sarebbero in questo caso considerate “come passività potenziali”, senza dunque incidere sui debiti nazionali.

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    L’Albania ha aperto tutti i capitoli di adesione all’UE. Kos: “I prossimi anni il momento della verità”

    Bruxelles – Tirana continua a bruciare le tappe verso l’adesione all’Unione europea. Nel giro di poco più di un anno, ha convinto Bruxelles ad aprire tutti e sei i cosiddetti ‘cluster’ di capitoli negoziali. Oggi (17 novembre), è toccato all’ultimo rimasto, quello relativo ad agricoltura e pesca, sicurezza alimentare e politiche di coesione. “Il vero premio è la loro chiusura – ha avvertito una raggiante Marta Kos, commissaria UE per l’Allargamento -, i prossimi anni saranno il momento della verità“.Il primo ministro albanese, Edi Rama, tiene la barra dritta verso l’orizzonte del 2027, obiettivo fissato per concludere le trattative su tutti i 33 capitoli negoziali. La piena adesione al club a 12 stelle, nei piani di Rama, va ottenuta entro il 2030. Tutto dipende – aveva rilevato solo poche settimane fa la Commissione europea nel rapporto annuale sull’Allargamento – “dal mantenimento dello slancio delle riforme e dalla promozione di un dialogo politico inclusivo”.Marta Kos, commissaria UE per l’Allargamento,17/11/25Lo stesso Rama, a margine della Conferenza intergovernativa di questa mattina, ha sottolineato che “questi anni ci hanno insegnato di non dare mai nulla di scontato a Bruxelles“. L’Albania è ufficialmente un Paese candidato all’ingresso nell’UE da più di un decennio: era il 2014, e Rama guidava già il governo di Tirana. Dopo anni di stallo, “l’ultimo anno è stato fantastico, perché è stato gratificante, ma senza gli anni precedenti che non lo sono stati, quest’anno non sarebbe arrivato”, ha affermato il primo ministro albanese.Dal 15 ottobre 2024, quando è stato aperto il cluster dei cosiddetti ‘Fondamentali’, a dicembre sono state avviate le negoziazioni sulle ‘relazioni esterne’, in primavera quelle su ‘mercato interno’ e ‘competitività e crescita inclusiva’, a settembre ‘agenda verde e connettività sostenibile’. Oggi l’ultimo, il cluster 5, quello su ‘risorse, agricoltura e coesione’.Nell’incontro, la Commissione europea ha fissato i parametri di riferimento per la chiusura provvisoria dei cinque capitoli che appartengono al cluster 5: Sviluppo rurale e agricoltura, Politica di sicurezza alimentare, veterinaria e fitosanitaria, Pesca e acquacoltura, Politica regionale e coordinamento degli strumenti strutturali, Disposizioni finanziarie e di bilancio. “Il prossimo passo per l’Albania è soddisfare i parametri di riferimento intermedi”, ha spiegato Marta Kos. “Non sarà facile, ma avete qualcosa di molto potente a vostro favore: il sostegno pubblico degli albanesi e degli Stati membri“, ha aggiunto. Per prassi, tutti i passi avanti nel percorso di adesione di un Paese candidato vanno avallati all’unanimità dal Consiglio dell’UE.“Faremo tutto il possibile per andare avanti con la stessa intensità, disciplina e impegno, per garantire che questo progetto comune che stiamo costruendo mattone dopo mattone insieme ai nostri partner a Bruxelles e negli Stati membri non si fermi”, ha promesso Rama, che sull’adesione all’UE ha scommesso tutto il capitale politico che gli resta.Nonostante alcune ombre sulla reale salute dello Stato di diritto – incluse l’indipendenza della magistratura e la libertà dei media -, sulla lotta alla corruzione e sulla conduzione opaca delle ultime elezioni politiche, Rama può contare sull’ambizione europea della stragrande maggioranza della popolazione. “Una maggioranza come ai tempi del comunismo – ha affermato il premier -, era lo stesso con l’Impero Ottomano”. Perché l’Albania – ha concluso Rama con una sviolinata a Bruxelles – “è fedele agli impero, e questo (l’UE, ndr) è il primo impero in cui vogliamo stare”. L’impero “dei valori e dei diritti”, l’aveva già definito Rama in passato.

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    Mercosur, nuove grane per von der Leyen: chieste verifiche di compatibilità alla Corte di giustizia UE

    Bruxelles – Nuovo capitolo nella ‘saga Mercosur’: per l’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e i Paesi dell’America del sud (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) adesso viene chiesto lo stop per verifiche di compatibilità giuridica con i trattati UE. Con proposta di mozione di risoluzione, 145 europarlamentari di schieramenti diversi chiedono il rinvio alla Corte di giustizia dell’UE, perché i giudici di Lussemburgo si esprimano sul modo di agire della Commissione europea.Ciò che preoccupa è che la scissione dell’accordo UE-Mercosur in un accordo di partenariato UE-Mercosur (EMPA) e un accordo commerciale interinale (ITA) possa essere “incompatibile” con l’articolo 218 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, inoltre si teme che meccanismo di riequilibrio previsto dall’accordo UE-Mercosur potrebbe essere “quantomeno incompatibile” con gli articoli 11, 168, 169 e 191 dello stesso trattato.Da qui la richiesta, ai sensi dell’articolo 117 del regolamento del Parlamento europeo, di coinvolgere la Corte di giustizia dell’UE. Gli europarlamentari si avvalgono del dispositivo per cui “in qualsiasi momento prima della votazione del Parlamento su una richiesta di approvazione o di parere, la commissione competente o almeno un decimo dei deputati che compongono il Parlamento possono proporre che il Parlamento chieda il parere della Corte di giustizia sulla compatibilità di un accordo internazionale con i trattati“.L’accordo Ue-Mercosur accende gli animi. Cartellino rosso per agricoltori e attivisti climatici, forti perplessità anche nel Parlamento UeE’ questo un elemento importante dell’azione politica promossa da Verdi e laSinistra, e sostenuta da esponenti di tutto lo spettro politico. I 145 firmatari della mozione appartengono ai gruppi popolare (PPE), socialista (S&D), liberale (RE). Non si tratta di un voto di censura contro il Mercosur, quanto una verifica di compatibilità con i trattati.La mozione potrebbe essere votata dall’Aula già nella sessione plenaria di fine mese (24-27 novembre), per quello che diventa per la Commissione europea e la sua presidente, Ursula von der Leyen, un voto anche più rischioso delle mozioni di censura legate sempre allo stesso accordo commerciale (alla fine superate agevolmente): se l’emiciclo dovesse chiedere alla Corte di giustizia dell’UE le verifiche del caso, il Mercosur sarebbe di fatto bloccato e sospeso fino al pronunciamento dei giudici.Comunque vada a finire per von der Leyen il dato politico è un nuovo fuoco incrociato per un accordo commerciale da lei giudicato come strategico, per cui anche all’interno del PPE, suo partito di appartenenza, si nutrono di dubbi. Intanto Cristina Guarda, eurodeputata dei Verdi e firmataria della mozione, esulta: “La mozione richiedeva 72 firme, ne abbiamo raccolte molte di più”, commenta. Non solo: “I firmatari sono deputati di 21 diverse nazionalità”, sottolinea, per enfatizzare come sull’accordo UE-Mercosur le preoccupazioni siano diffuse ovunque. “Puntiamo a un voto in plenaria il 24 novembre“.

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    Gli asset russi congelati restano l’opzione UE preferita per sostenere Kiev, che preoccupa per la corruzione

    Bruxelles – Prestiti all’Ucraina, nel momento in cui l’Ucraina e la sua leadership vengono travolti da accuse di corruzione. L’Unione europea si scontra con una realtà sempre più complessa, e una situazione dalla quale tirarsi indietro non è possibile. Ecco allora che i prestiti di riparazione concepiti per Kiev, attraverso gli asset russi congelati in Europa, finiscono con il produrre timori per ora velati ma pur esistenti attorno al tavolo dei Ventisette.In Ucraina sarebbe stata messa in piedi una vera e propria organizzazione a delinquere per l’appropriazione indebita nel settore dell’energia. Secondo gli organi anti-corruzione la rete criminale si sarebbe già intascata circa 100 milioni di dollari (circa 86 milioni di dollari), e in queste attività spiccano i nomi di Enerhoatom, l’operatore nucleare nazionale Enerhoatom, e soprattutto i ministri della Giustizia e dell’Energia, Herman Halushchenko e Svitlana Grynchuk, rimossi dall’incarico dal presidente ucraino, Volodomyr Zelensky.Da parte europea arriva la condanna dell’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Kaja, Kallas, che definisce “estremamente deplorevole” la vicenda. “Non ci può essere spazio per la corruzione”, afferma, men che meno adesso, nel bel mezzo di una guerra e di un processo di adesione considerato come in discesa e che impone a Kiev riforme chiare e precisa in materia.Zelensky alla caccia degli asset russi congelati. “Porteranno benefici agli europei e agli ucraini”Zelensky è intervenuto chiedendo e ottenendo la testa dei due ministri coinvolti, e questo è certamente un bene per lui e il suo Paese. Ma le perplessità non mancano. Del resto, ragiona a voce alta Kristunas Vaitiekunas, ministro delle Finanze della Lituania, “quali sono le opzioni? L’Ucraina è l’unica opzione“. La riunione del consiglio Ecofin viene inevitabilmente investita dallo scandalo corruzione in Ucraina, ma a detta della Lituania finché la guerra tra Kiev e Mosca prosegue deve proseguire anche il sostegno europeo.Eelko Heinen, ministro delle Finanze olandese, prova a far finta di niente e minimizzare: “La lotta alla corruzione è una sfida contro cui l’Ucraina deve comunque continuare a impegnarsi”, taglia corto prima di prendere parte ai lavori in programma a Bruxelles.Si può fornire denaro a chi ha persone accusate di corruzione che poi sono chiamate a gestire il denaro ricevuto? Questo il dilemma che aleggia sull’Unione europea, i cui Stati membri però sembrano doversi arrendere alle necessità di un conflitto in corso. Nessuno mette in discussione il sostegno all’Ucraina. Così i nordici e i baltici spingono per l’idea di schema di prestiti di riparazione attraverso gli asset russi congelati. Per la ministra della Finanze finlandese, Riika Purra, è il solo modo per evitare di gravare sui bilanci nazionali. La Lituania condivide questa linea e anche la presidenza danese del Consiglio dell’UE ritiene che i prestiti di riparazione tramite asset russi siano “l’opzione migliore”. Certo, ammette la ministra delle Finanze di Copenhagen, Stephanie Lose, “ci sono questioni da sciogliere”, ma ciò non toglie che “sono ottimista circa la capacità di trovare una  soluzione”, magari già al prossimo vertice dei leader di dicembre (18-19 dicembre).La riunione del consiglio Ecofin del 13 novembre 2025 [foto: European Council]I ministri economici dei Ventisette attendono che la Commissione europea metta sul tavolo la proposta per uno schema di riparazione, e mentre in sede di Ecofin i ministri ragionano tra loro su cosa fare, la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, anticipa ciò che sarà. Intervenendo in Parlamento europeo riunito a Bruxelles in sessione plenaria anticipa che allo studio ci sono tre opzioni. “La prima opzione è quella di utilizzare la flessibilità di bilancio per raccogliere fondi sui mercati dei capitali. La seconda opzione è quella di concludere un accordo intergovernativo in base al quale gli Stati membri stessi raccolgano il capitale necessario”. C’è poi la terza opzione, quella di “concedere un prestito di riparazione basato sui beni russi congelati”. Questo approccio si baserebbe sul saldo di cassa dei beni congelati. “Concederemmo un prestito all’Ucraina, che l’Ucraina rimborserebbe se la Russia pagasse le riparazioni di guerra”. Se. Per von der Leyen “questo è il modo più efficace per sostenere la difesa e l’economia dell’Ucraina, e il modo più chiaro per far capire alla Russia che il tempo non è dalla sua parte”, ma comunque rimesso alla  prova dei fatti. Se Mosca non paga, l’UE resta in mano di un credito deteriorato. Lo scandalo corruzione e appropriazione indebito in Ucraina esplode nel momento forse meno indicato.