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Gli eurodeputati stigmatizzano le violazioni dei diritti umani in Turchia

Bruxelles – La Turchia rimane lontana anni luce dall’adesione all’Ue, a causa del deterioramento continuo della democrazia, e anzi ne andrebbe sospeso l’ingresso. Ma i rapporti di vicinato con Ankara rimangono improntati al pragmatismo, al netto delle violazioni dei diritti umani e dell’integrità territoriale di Stati sovrani, pure se sono membri del club a dodici stelle.

È questo, in estrema sintesi, il succo del rapporto sulla Repubblica anatolica – che mette insieme due relazioni annuali, quella del 2023 e quella del 2024 – adottato oggi (7 maggio) dal Parlamento europeo, riunito in plenaria a Strasburgo, con 367 voti favorevoli, 74 contrari e 188 astensioni.

Il documento, presentato dal relatore Nacho Sánchez Amor durante un dibattito in Aula nel pomeriggio di ieri, si compone di due parti principali. Nella prima, viene ribadita la distanza siderale che separa la Turchia dall’ingresso nell’Unione, principalmente sui versanti della democrazia e dei diritti umani ma anche per la decennale questione cipriota. La seconda esplora invece le dimensioni in cui il dialogo tra i Ventisette e lo Stato anatolico può progredire, riconoscendo il ruolo determinante di Ankara nello scacchiere internazionale.

L’eurodeputato Nacho Sánchez Amor (foto: Fred Marvaux/EP)

Il punto del processo di adesione, ha spiegato Sánchez Amor durante una conferenza stampa, è che quest’ultimo è “normativo” e “si basa sulla democrazia” e non su considerazioni di tipo politico, geostrategico o militare. Ma “negli ultimi 30 anni non abbiamo più avuto buone notizie” da Ankara circa il rispetto delle norme democratiche e, anzi, “la Turchia è l’unico tra i Paesi candidati che ha fatto passi indietro” in questo ambito “in modo sistematico”, tanto che il livello attuale “è il più basso degli ultimi anni” e si sta costruendo un “modello pienamente autoritario” che è incompatibile con gli standard europei.

Il presidente Recep Tayyip Erdoğan sta costruendo “un modello di società simile a quella russa e profondamente diversa da quella europea“, nota il socialista spagnolo. “Noi non possiamo interferire in queste decisioni sovrane, non possiamo trasformare la Turchia in una democrazia”, osserva, perché “sono i cittadini turchi che devono deciderlo”. Il compito di Bruxelles – peraltro concordato con Ankara – è piuttosto quello di monitorare gli sviluppi nel Paese e indicare gli ambiti in cui il governo turco deve ottenere risultati concreti se vuole entrare a far parte dell’Unione.

Tuttavia, spiega Sánchez Amor, è importante distinguere tra la “volontà profonda” della società civile e quella di chi lo governa. “Erdoğan nasconde il fatto che ci sia un Paese intero dietro l’ombra del presidente”, ragiona l’eurodeputato rimarcando la vitalità dei movimenti pro-democrazia e pro-Ue, e il coraggio di chi protesta da oltre un mese contro l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoğlu, lo sfidante più agguerrito per scalzare il sultano dal suo trono.

Sono i turchi stessi che “ci chiedono di non chiudere la porta” dell’adesione, e “se ci sono le condizioni, noi siamo pronti a valutare la volontà politica e l’impegno” della leadership di Ankara. “Non stiamo chiudendo il processo“, sostiene Sánchez Amor, ma quest’ultimo rimane a tutti gli effetti congelato. E al momento nessuno, in Europa, sembra realmente interessato a riaprirlo. Insomma, la porta non è chiusa del tutto ma lo spiraglio è minimo.

D’altro canto, quella del partenariato Ue-Turchia è una questione sostanzialmente diversa. Attraverso questo genere di accordi – per definizione transazionali – “si possono affrontare tanti altri temi e indagare quali sono gli interessi comuni“, per stabilire relazioni che siano “basate sulla fiducia reciproca“, ha dichiarato Sánchez Amor. La Turchia rimane un Paese cruciale del vicinato, con cui è inevitabile parlare di un’ampia gamma di temi come energia, commercio, difesa e sicurezza.

Quest’ultima voce, nello specifico, è duplice: Bruxelles mantiene aperto il dialogo con Ankara sia nel campo della cooperazione militare europea in chiave anti-russa, sia nell’ambito della gestione dei flussi migratori, una formula edulcorata per rendere accettabile il pagamento di miliardi di euro affinché Erdoğan si tenga in casa decine di migliaia di disperati che vorrebbero raggiungere il Vecchio continente.

Lo riconosce, con crudo realismo, lo stesso Sánchez Amor. L’Ue intesse relazioni con Paesi in tutto il mondo che non rispettano i diritti umani, ammette citando come esempi l’Egitto, la Tunisia e Israele, perché “inevitabilmente la politica estera ha una componente di realpolitik“. “Non facciamo sconti sull’adesione ma non possiamo nemmeno allargare il Bosforo”, ribadisce, spiegando che il vicino sudorientale rappresenta un importante “cuscinetto” tra l’Europa e la polveriera mediorientale.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Christophe Licoppe/European Union)

C’è infine la questione, bollente, di Cipro. Nell’isola del Mediterraneo orientale perdura da decenni l’occupazione turca, e lo stesso Erdoğan si è recato nei giorni scorsi nel nord del Paese – che praticamente solo Ankara riconosce come uno Stato sovrano – ribadendo il suo intento di difendere la soluzione a due Stati, in barba al diritto internazionale e alle risoluzioni delle Nazioni Unite (supportate da Bruxelles) che riconoscono l’indivisibilità della Repubblica cipriota, uno dei 27 membri dell’Ue.

“Più la Turchia difende la soluzione dei due Stati, più Cipro del nord sembra una provincia di Ankara“, ha scandito Sánchez Amor, che durante la sessione di voto odierna ha aggiunto al testo della relazione un emendamento orale, approvato a larga maggioranza, proprio per condannare la “visita illegale” del presidente turco.


Source: https://www.eunews.it/category/politica-estera/feed


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