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    È stato pubblicato il nuovo report Ue-Turchia per un riavvicinamento “progressivo, proporzionato e reversibile”

    Bruxelles – È arrivata la nuova relazione strategica sui rapporti Ue-Turchia e ora i Ventisette avranno una base più aggiornata su cui impostare il confronto sulle prospettive di cooperazione con uno dei vicini più complessi di gestire, perché stretto partner ma spesso anche elemento di instabilità sulla scena internazionale. Il report richiesto dai 27 leader Ue al Consiglio Europeo di fine giugno è stato presentato oggi (29 novembre) dalla Commissione e dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, dopo il via libera al Collegio dei commissari: “La Turchia è un partner importante, siamo partiti dalla valutazione già fornita nella primavera del 2021 e abbiamo considerato lo sviluppo delle relazioni” politiche, economiche e commerciali “negli ultimi due turbolenti anni”.Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenL’ultima volta che il Consiglio Affari Esteri si era riunito per discutere della questione dei rapporti con Ankara era il 20 luglio e da allora è stato serrato il lavoro dell’esecutivo comunitario per valutare lo stato dell’arte e le direttrici di una possibile maggiore cooperazione con il padre-padrone della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. “Vediamo uno spirito costruttivo, ma ora dobbiamo affrontare insieme i problemi a partire dalla questione cipriota”, ha subito messo in chiaro l’alto rappresentante Borrell, facendo riferimento alla controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso. Ma nel confronto ci deve essere anche la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, dal momento in cui Ankara dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci (e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione) a sud dell’isola di Creta: “Abbiamo chiare le nostre priorità” – con le condizioni tracciate già nel 2021 dai Ventisette – “dobbiamo rafforzare la nostra sicurezza, e questo ha un impatto sui rapporti con la Turchia”.L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (29 novembre 2023)È per questo che si sta iniziando a pensare ai “prossimi passi” per una serie di opzioni di un processo “progressivo, proporzionato e reversibile” di riavvicinamento tra Unione Europea e Turchia, ha spiegato il capo della diplomazia Ue. E in questo senso non si può prescindere dal passare “da una dinamica conflittuale a una più cooperativa”. Da Ankara l’Unione si aspetta che “affronti i contrasti commerciali, cooperi contro l’aggiramento delle sanzioni contro la Russia e crei un clima che favorisca la ripresa dei negoziati per risolvere la questione cipriota”, ha precisato Borrell, ponendo forte attenzione alla cooperazione per isolare la Russia fino a quando non metterà fine all’invasione dell’Ucraina. Parallelamente si punta a stringere i rapporti anche sull’altro fronte caldo di conflitto, ovvero quello della guerra tra Israele e Hamas: “La Turchia può svolgere un ruolo attivo e positivo nel processo di pace, entrambi sostentiamo la necessità di arrivare a un negoziato politico per la soluzione a due Stati” (Israele e Palestina).La relazione, che ora sarà presentata al Consiglio Europeo (verosimilmente a quello in programma il 14-15 dicembre) per l’esame e la definizione degli orientamenti, punta anche alla ripresa del dialogo di alto livello del Consiglio di associazione Ue-Turchia sospeso nel 2019 e al lancio dei negoziati per modernizzare l’Unione doganale, anche se vanno considerate le difficoltà nella poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca”, l’inflazione alle stelle e le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Infine si vuole sviluppare un “partenariato di mutuo beneficio” con un vicino che è anche candidato all’adesione all’Unione Europea dal 1999 (i negoziati sono stati avviati nel 2005). Nella relazione apposita all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023 pubblicato lo scorso 8 novembre è però emerso chiaramente che “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”. Anche questo dovrà essere tenuto in considerazione dai Ventisette nel definire i prossimi passi del rapporto con il vicino più ingombrante.
    La Commissione Ue ha fornito al Consiglio la relazione strategica sullo stato sui rapporti tra Bruxelles e Ankara. Si punta alla ripresa del Consiglio di associazione (fermo dal 2019), negoziati sull’Unione doganale e cooperazione su Mediterraneo orientale, Russia e Gaza

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    Il Consiglio dell’Ue spera in un nuovo Erdoğan per ridare vigore alle relazioni con la Turchia

    Bruxelles – Se il vicino di casa ingombrante rinnova l’affitto, tanto vale provare a distendere i rapporti. Con la rielezione di Recep Tayyip Erdoğan alla guida della Turchia, all’ultimo Consiglio Europeo Bruxelles ha reinserito nelle priorità le relazioni con Ankara. A maggior ragione dopo il – seppur timido – segnale lanciato dal presidente turco, che ritirando il veto sull’adesione della Svezia alla Nato ha aperto uno spiraglio su un riavvicinamento con Bruxelles.
    Se non si tratta ancora di riprendere le redini di un processo di adesione all’Unione Europea congelato da ormai cinque anni, i ministri degli Esteri dei Paesi membri Ue hanno comunque indicato i primi passi da compiere per rendere quell’orizzonte credibile. “Non si tratta solo di quello che l’Ue si aspetta dalla Turchia, ma anche di quello che la Turchia si aspetta dall’Ue”, ha dichiarato l’alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a margine del Consiglio Affari Esteri tenutosi oggi (20 luglio) a Bruxelles. Da un lato Erdogan mette sul tavolo la finalizzazione dell’accordo sull’Unione doganale e la liberalizzazione dei visti, dall’altro l’Ue chiede garanzie su “due aspetti fondamentali di questo tentativo di stabilire nuovamente una relazione costruttiva con la Turchia”: una de-escalation nel Mediterraneo orientale e un serio impegno a riprendere le negoziazioni per risolvere la questione della sovranità di Cipro, in linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite sul tema.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (20 luglio 2023)
    Perché dal 2019 Ankara continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando la Turchia ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia e “le navi da guerra turche hanno ostacolato illegalmente le attività di rilevamento nella zona economica esclusiva cipriota”. Ma soprattutto perché dal 2017 sono fermi i tentativi di risolvere la controversia sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord. Come ricordato dal ministro degli Esteri cipriota, Constantinos Kombos, proprio oggi cade il 49esimo anniversario dell’invasione turca dell’isola. “Le aspirazione turche passano da Cipro, ci aspettiamo la ripresa rapida di negoziati sostanziali”, ha avvisato il ministro.
    Da riscrivere non c’è solo il capitolo sulle relazioni esterne e l’aggressiva politica estera portata avanti dalla Turchia nel Mediterraneo. Per rilanciare i negoziati per l’adesione all’Ue sarà essenziale anche il rispetto delle libertà e dei valori fondamentali definiti dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo, di cui tra l’altro – ha ricordato Borrell – Ankara fa parte. Sulle violazioni dei diritti umani e dello stato di diritto si è espresso con toni durissimi il Parlamento europeo che, proprio in vista della riunione dei ministri di oggi, aveva messo in chiaro che “il processo di adesione non può riprendere, a meno che non ci sia un drastico cambio di rotta da parte del governo turco”, mentre si può ragionare su formule diverse come “partenariato più stretto” o “quadro parallelo e realistico per le relazioni Ue-Turchia”.
    Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan
    Il quadro più pragmatico è quello fornito dalla ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, secondo cui “dopo le elezioni turche, è importante riflettere ancora una volta su come continueremo a lavorare insieme non a un semplice vicino ma a un attore globale strategicamente importante”. Senza essere “ingenui”, ma tenendo a mente che “in questi tempi geopoliticamente difficili vogliamo lavorare insieme a un partner chiave nella nostra regione, anche se non è sempre facile”. Approccio condiviso dal vicepremier italiano, Antonio Tajani, che sottolineando “i tanti interessi economici” di Roma nel Paese ha suggerito di “discutere con spirito positivo per costruire”.

    I 27 ministri degli Esteri convinti “dell’interesse reciproco” su rapporti costruttivi con Ankara. Sul piatto la revisione dell’accordo sull’Unione doganale e la liberalizzazione dei visti, a patto che il presidente avvii una de-escalation nel Mediterraneo orientale e riprenda i negoziati con Cipro

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    Il dossier Turchia torna sul tavolo dei ministri Ue degli Esteri dopo il vertice dei 27 leader e le minacce di Erdoğan

    Bruxelles – Dopo le sbandate a margine del summit Nato a Vilnius, è tempo di fare ordine a Bruxelles. Il dossier Turchia torna sul tavolo del Consiglio Affari Esteri, per fare un punto della situazione dei rapporti tra l’Unione e Ankara, alla luce non solo delle conclusioni dell’ultimo vertice dei leader Ue, ma soprattutto delle piccole crepe emerse tra Consiglio e Commissione di fronte alle minacce – poi ritirate – del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, di vincolare l’adesione della Svezia alla Nato solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea.
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Nell’agenda delle discussioni in programma domani (20 luglio) tra i 27 ministri Ue degli Esteri è previsto verso ora di pranzo uno scambio di vedute sulle relazioni Ue-Turchia, considerata la necessità di muoversi in modo “strategico e lungimirante”. Il punto di partenza saranno le conclusioni dell’ultimo Consiglio Europeo del 29-30 giugno che – nel paragrafo dedicato al Mediterraneo orientale – invitavano l’alto rappresentante Ue e la Commissione a “presentare al Consiglio Europeo una relazione sulla situazione delle relazioni Ue-Turchia” in linea con le direttrici tracciate già nel 2021 dai Ventisette. L’Ue rimane impegnata a cercare di compiere progressi “nei settori in cui è possibile”, precisano funzionari europei, e le discussioni di domani andranno alla ricerca degli interessi comuni (anche alla luce delle recenti elezioni vinte di nuovo da Erdoğan) per provare a “colmare le lacune” esistenti.
    È proprio qui che si inserisce il punto più delicato: lo stallo ormai quinquennale del processo di adesione di Ankara all’Ue. Una questione che ha creato non pochi imbarazzi tra i leader delle istituzioni comunitarie, quando la scorsa settimana al summit Nato di Vilnius è tornata di strettissima attualità per il quasi ricatto (inaspettato) da parte dell’autocrate turco. Nonostante nella serata del 10 luglio alla fine sia stata trovata un’intesa all’ultimo minuto tra Ankara e Stoccolma per l’ingresso del Paese scandinavo nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, la minaccia di Erdoğan di voler legare i due processi l’uno all’altro – e dunque di ricattare Bruxelles per un’accelerazione dei negoziati di adesione Ue – ha aperto qualche divisione tra Consiglio e Commissione. Da una parte il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, dopo il bilaterale con l’uomo forte di Ankara ha fatto sapere che l’intenzione è quella di “rivitalizzare le nostre relazioni“, dall’altra l’esecutivo comunitario ha risposto seccamente che “non si possono collegare i due processi“.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, a Vilnius (10 luglio 2023)
    Anche se il dossier Turchia era da tempo nell’agenda del Consiglio Affari Esteri del 20 luglio, è inevitabile che questi sviluppi avranno un impatto sulle discussioni dei 27 ministri. Perché se è vero che la Turchia “è un partner fondamentale” per l’Unione Europea (in particolare per la politica migratoria di esternalizzazione delle persone migranti in arrivo), allo stesso tempo a Bruxelles non si può negare che “nelle attuali circostanze” i negoziati di adesione di Ankara all’Unione “si sono arenati”, ribadiscono le fonti. Durissimo è invece il Parlamento Europeo che, in vista della riunione dei ministri degli Affari Esteri di domani, ha messo in chiaro che “il processo di adesione non può riprendere, a meno che non ci sia un drastico cambio di rotta da parte del governo turco”, mentre si può ragionare su formule diverse come “partenariato più stretto” o “quadro parallelo e realistico per le relazioni Ue-Turchia”.
    La Turchia nel Pacchetto Allargamento Ue 2022
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei “continui gravi passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura”, come ripete dal 2020 il commissario responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Lo stato dei rapporti tra Bruxelles e Ankara – per quanto riguarda il percorso di avvicinamento del Paese del Vicino Oriente all’Unione – è definito nel Pacchetto annuale sull’allargamento (pubblicato ogni autunno dalla Commissione Ue), come tutti i Paesi terzi candidati o che hanno fatto richiesta di adesione. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultima relazione presentata nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”.
    Le questioni riguardano sia gli affari interni, sia le relazioni con l’Unione. “Il funzionamento delle istituzioni democratiche turche presenta gravi carenze”, si legge nel rapporto dell’esecutivo comunitario, con un chiaro riferimento alle politiche di Erdoǧan: “L’architettura costituzionale ha continuato ad accentrare i poteri a livello della Presidenza senza garantire una solida ed efficace separazione dei poteri tra esecutivo, legislativo e giudiziario” e in assenza di un meccanismo di pesi e contrappesi “la responsabilità democratica del ramo esecutivo continua a essere limitata alle elezioni” (appena vinte dal leader al potere da 20 anni). La magistratura continua a prendere “sistematicamente” di mira i membri dei partiti di opposizione, mentre la democrazia locale nel Sud-est (dove vive una consistente minoranza curda) è “gravemente” ostacolata. La supervisione civile delle forze di sicurezza “non è stata consolidata” e non sono stati registrati progressi nel campo della riforma della pubblica amministrazione e della lotta anti-corruzione.
    Critico il rispetto dei diritti umani, con molte delle misure introdotte durante lo stato di emergenza del 2018 che rimangono in vigore: “La procedura d’infrazione avviata dal Consiglio d’Europa nel febbraio 2022 ha segnato l’ennesimo punto di riferimento dell’allontanamento della Turchia dagli standard per i diritti umani e le libertà fondamentali“. Un “grave arretramento” è stato registrato anche per la libertà d’espressione, considerate le cause penali e le condanne di “giornalisti, difensori dei diritti umani, avvocati, scrittori, politici dell’opposizione, studenti, artisti e utenti dei social media”, così come per la libertà di riunione e associazione. Fonte di “grave preoccupazione” è anche la violenza di genere, la discriminazione e i discorsi di odio contro le minoranze, in particolare quella Lgbtq+.
    Considerata la volontà di Ankara di modernizzare l’Unione doganale con l’Ue, spicca la poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca” e l’inflazione ormai alle stelle, ma soprattutto le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Sono in “fase iniziale” i preparativi nei settori della libera circolazione dei lavoratori, del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi, mentre “è proseguito l’arretramento della politica economica e monetaria, che riflette una politica inefficiente nel garantire la stabilità dei prezzi e nell’ancorare le aspettative di inflazione”. Al tema economico si connette anche la questione della guerra russa in Ucraina, nonostante il ruolo importante giocato da Ankara nello sblocco del grano ucraino e nella condanna dell’invasione: “Il mancato allineamento della Turchia alle misure restrittive dell’Ue” contro il Cremlino pone gravi problemi alla libera circolazione dei prodotti all’interno dell’Unione doganale, dal momento in cui “comporta il rischio di compromettere” le sanzioni Ue per i beni a duplice uso.
    Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan
    Durissimo il capitolo sulle relazioni esterne. “La politica estera unilaterale della Turchia ha continuato a essere in contrasto con le priorità dell’Ue”, in particolare per le azioni militari in Siria e Iraq e per il dispiegamento di soldati in Libia. A questo si somma la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, con Ankara che dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando Ankara ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia e “le navi da guerra turche hanno ostacolato illegalmente le attività di rilevamento nella zona economica esclusiva cipriota”. Nel contesto mediterraneo si inserisce anche la controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso.
    Ultimo, ma non per importanza, il file sulla politica migratoria e l’asilo. Nonostante il quadro di rapporti tesi tra Bruxelles e Ankara, nel marzo 2016 il leader turco è riuscito a far pesare il proprio potere negoziale nell’accordo stretto tra l’Ue e la Turchia per bloccare e accogliere sul suo territorio i rifugiati siriani in fuga dalla guerra in cambio di finanziamenti comunitari: “Del bilancio operativo completo di 6 miliardi di euro nell’ambito dello strumento per i rifugiati, oltre 4,7 miliardi di euro sono stati erogati entro giugno 2022“, ha reso noto la Commissione. Tuttavia per Bruxelles rimangono criticità sia sull’attuazione delle disposizioni sui cittadini di Paesi terzi contenute nell’accordo di riammissione Ue-Turchia, sia il rispetto dei parametri per la liberalizzazione dei visti ancora lontano.

    Nell’agenda del Consiglio Affari Esteri del 20 luglio è previsto anche uno scambio di vedute sul rapporto tra l’Unione e Ankara, in particolare sul processo di allargamento e sul modo di procedere “strategico e lungimirante”. Pesano gli sviluppi al margine del summit Nato a Vilnius

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    Le minacce di Erdoğan sull’adesione Ue della Turchia dividono Bruxelles. La Commissione frena, il Consiglio apre

    Bruxelles – Le minacce del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, di sbloccare lo stallo sull’adesione della Svezia alla Nato solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea alla fine hanno avuto qualche effetto. Nonostante nella serata di ieri (10 luglio) sia stata trovata un’intesa all’ultimo minuto tra Ankara e Stoccolma prima del vertice Nato in programma tra oggi e domani a Vilnius per l’ingresso del Paese scandinavo nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, il quasi ricatto di Erdoğan ha messo in luce qualche crepa tra le istituzioni comunitarie nell’approccio al percorso di avvicinamento della Turchia all’Unione. In particolare tra Consiglio e Commissione.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, a Vilnius (10 luglio 2023)
    A mostrare che non c’è totale allineamento tra l’istituzione presieduta dal belga Charles Michel e quella guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen sono state le dichiarazioni a sorpresa del primo, al termine di un incontro a Vilnius con il presidente turco a poche ore dalle minacce su un possibile legame tra il percorso di adesione della Svezia nella Nato e quello della Turchia nell’Ue. “Abbiamo esplorato le opportunità per riportare la cooperazione Ue-Turchia in primo piano”, ha reso noto il numero uno del Consiglio al termine del bilaterale, utilizzando l’espressione controversa “rivitalizzare le nostre relazioni” per riferirsi al rilancio del dialogo tra le due parti. Che non si tratti solo di parole di circostanza lo dimostrerebbe la precisazione fatta dallo stesso Michel che coinvolge anche la Commissione: “Il Consiglio Europeo ha invitato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza [Josep Borrell, ndr] e la Commissione Europea a presentare un rapporto per procedere in modo strategico e lungimirante“. La prossima settimana i ministri degli Esteri Ue si riuniranno per discutere anche delle relazioni tra Ue e Turchia (già in programma da tempo nell’agenda del Consiglio Affari Esteri).
    Non è chiaro al momento se il presidente Michel si sia consultato con i Ventisette e con von der Leyen prima dell’incontro con Erdoğan, né il valore concreto delle sue promesse in relazione allo sblocco dell’adesione della Svezia alla Nato. Sta di fatto che solo poche ore prima era arrivata dalla Commissione una risposta gelida all’indirizzo di Ankara: “I due processi che avvengono in parallelo – l’adesione di nuovi membri alla Nato e il processo di allargamento dell’Unione Europea – sono separati“, ha messo in chiaro la portavoce dell’esecutivo comunitario, Dana Spinant. L’Unione ha un processo di allargamento “molto strutturato” e misure “molto chiare”, che sono richieste a “tutti i Paesi candidati e anche quelli che desiderano diventarlo”, è stata la netta precisazione sul fatto che “non si possono collegare i due processi“.
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, a Vilnius (10 luglio 2023)
    Alcuni interrogativi su cosa abbia promesso Michel a Erdoğan si sono però sollevati a Bruxelles, dal momento in cui la decisione della Turchia di togliere il veto all’adesione della Svezia alla Nato è arrivata a stretto giro dal bilaterale con il numero uno del Consiglio Ue. Da tenere in considerazione c’è anche una condizione stabilita dall’accordo tra Turchia e Svezia proprio nel trilaterale con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, in cui è stato sbloccato l’ingresso del nuovo membro nell’Alleanza Atlatica. Considerate le minacce di Erdoǧan, la risposta piccata della Commissione e il tweet di Michel, non è di poco conto il passaggio sul sostegno “attivo” che la Svezia si è impegnata ad assumere per “rinvigorire il processo di adesione della Turchia all’Unione Europea, compresa la modernizzazione dell’Unione doganale Ue-Turchia e la liberalizzazione dei visti“.
    La Turchia nel Pacchetto Allargamento Ue 2022
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei “continui gravi passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura”, come ripete dal 2020 il commissario responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Lo stato dei rapporti tra Bruxelles e Ankara – per quanto riguarda il percorso di avvicinamento del Paese del Vicino Oriente all’Unione – è definito nel Pacchetto annuale sull’allargamento (pubblicato ogni autunno dalla Commissione Ue), come tutti i Paesi terzi candidati o che hanno fatto richiesta di adesione. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultima relazione presentata nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”.
    Le questioni riguardano sia gli affari interni, sia le relazioni con l’Unione. “Il funzionamento delle istituzioni democratiche turche presenta gravi carenze”, si legge nel rapporto dell’esecutivo comunitario, con un chiaro riferimento alle politiche di Erdoǧan: “L’architettura costituzionale ha continuato ad accentrare i poteri a livello della Presidenza senza garantire una solida ed efficace separazione dei poteri tra esecutivo, legislativo e giudiziario” e in assenza di un meccanismo di pesi e contrappesi “la responsabilità democratica del ramo esecutivo continua a essere limitata alle elezioni” (appena vinte dal leader al potere da 20 anni). La magistratura continua a prendere “sistematicamente” di mira i membri dei partiti di opposizione, mentre la democrazia locale nel Sud-est (dove vive una consistente minoranza curda) è “gravemente” ostacolata. La supervisione civile delle forze di sicurezza “non è stata consolidata” e non sono stati registrati progressi nel campo della riforma della pubblica amministrazione e della lotta anti-corruzione.
    Critico il rispetto dei diritti umani, con molte delle misure introdotte durante lo stato di emergenza del 2018 che rimangono in vigore: “La procedura d’infrazione avviata dal Consiglio d’Europa nel febbraio 2022 ha segnato l’ennesimo punto di riferimento dell’allontanamento della Turchia dagli standard per i diritti umani e le libertà fondamentali“. Un “grave arretramento” è stato registrato anche per la libertà d’espressione, considerate le cause penali e le condanne di “giornalisti, difensori dei diritti umani, avvocati, scrittori, politici dell’opposizione, studenti, artisti e utenti dei social media”, così come per la libertà di riunione e associazione. Fonte di “grave preoccupazione” è anche la violenza di genere, la discriminazione e i discorsi di odio contro le minoranze, in particolare quella Lgbtq+.
    Al centro: l’autocrate russo, Vladimir Putin, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, all’inaugurazione del gasdotto TurkStream nel 2020
    Considerata la volontà di Ankara di modernizzare l’Unione doganale con l’Ue, spicca la poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca” e l’inflazione ormai alle stelle, ma soprattutto le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Sono in “fase iniziale” i preparativi nei settori della libera circolazione dei lavoratori, del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi, mentre “è proseguito l’arretramento della politica economica e monetaria, che riflette una politica inefficiente nel garantire la stabilità dei prezzi e nell’ancorare le aspettative di inflazione”. Al tema economico si connette anche la questione della guerra russa in Ucraina, nonostante il ruolo importante giocato da Ankara nello sblocco del grano ucraino e nella condanna dell’invasione: “Il mancato allineamento della Turchia alle misure restrittive dell’Ue” contro il Cremlino pone gravi problemi alla libera circolazione dei prodotti all’interno dell’Unione doganale, dal momento in cui “comporta il rischio di compromettere” le sanzioni Ue per i beni a duplice uso.
    Durissimo il capitolo sulle relazioni esterne. “La politica estera unilaterale della Turchia ha continuato a essere in contrasto con le priorità dell’Ue”, in particolare per le azioni militari in Siria e Iraq e per il dispiegamento di soldati in Libia. A questo si somma la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, con Ankara che dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando Ankara ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia e “le navi da guerra turche hanno ostacolato illegalmente le attività di rilevamento nella zona economica esclusiva cipriota”. Nel contesto mediterraneo si inserisce anche la controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso.
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Ultimo, ma non per importanza, il file sulla politica migratoria e l’asilo. Nonostante il quadro di rapporti tesi tra Bruxelles e Ankara, nel marzo 2016 il leader turco è riuscito a far pesare il proprio potere negoziale nell’accordo stretto tra l’Ue e la Turchia per bloccare e accogliere sul suo territorio i rifugiati siriani in fuga dalla guerra in cambio di finanziamenti comunitari: “Del bilancio operativo completo di 6 miliardi di euro nell’ambito dello strumento per i rifugiati, oltre 4,7 miliardi di euro sono stati erogati entro giugno 2022“, ha reso noto la Commissione. Tuttavia per Bruxelles rimangono criticità sia sull’attuazione delle disposizioni sui cittadini di Paesi terzi contenute nell’accordo di riammissione Ue-Turchia, sia il rispetto dei parametri per la liberalizzazione dei visti ancora lontano.

    Prima di sbloccare l’ingresso Nato della Svezia, il presidente turco aveva annunciato di volerlo legare al processo di allargamento dell’Unione ad Ankara. Gelida la risposta dal Berlaymont, ma il leader del Consiglio Ue, Charles Michel, ha chiesto un piano per “rivitalizzare le nostre relazioni”

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    L’intesa sul suono della sirena. Erdoğan dà il via libera alla Svezia nella Nato prima del vertice di Vilnius

    Bruxelles – Quando ormai sembrava tutto destinato a slittare dopo il vertice Nato di Vilnius, lo stallo sull’adesione della Svezia all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord si è sbloccato sul suono della sirena, la notte prima dell’inizio del summit nella capitale lituana. Dopo aver minacciato (solo 24 ore fa) di voler legare il percorso di allargamento della Nato a quello di adesione della Turchia all’Unione Europea, il presidente turco Recep Tayyip Erdoǧan, ha dato il via libera all’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica nel corso di un trilaterale risolutorio voluto dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, insieme al primo ministro svedese, Ulf Kristersson.
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, a Vilnius (10 luglio 2023)
    “Sono lieto di annunciare che dopo l’incontro che ho ospitato, il presidente Erdoǧan ha accettato di trasmettere il protocollo di adesione della Svezia alla Grande Assemblea Nazionale il prima possibile e di assicurarne la ratifica“, ha reso noto con un tweet il segretario generale Stoltenberg nella serata di ieri (10 luglio), parlando di “un passo storico che rende tutti gli alleati della Nato più forti e sicuri”. Con l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza, i Paesi membri saliranno a 32 (la Finlandia è già entrata lo scorso 4 aprile). La base di partenza delle discussioni sono stati i progressi svedesi proprio secondo la lista di condizioni definite il 29 giugno dello scorso anno nel memorandum tra Stoccolma, Ankara e Helsinki: emendamenti alla Costituzione, rafforzamento delle leggi anti-terrorismo, ripresa delle esportazioni di armi verso la Turchia, ampliamento della cooperazione con Ankara sulla lotta antiterrorismo contro il movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). Considerato tutto questo lavoro, “Svezia e Turchia hanno concordato di stabilire un nuovo Patto di sicurezza bilaterale“.
    L’ennesimo sgarbo di Erdoǧan all’autocrate russo Vladimir Putin sul piano militare (il primo è stato un’apertura netta all’adesione dell’Ucraina alla Nato alla vigilia del vertice di Vilnius) si basa su un accordo di cooperazione “sia nell’ambito del Meccanismo congiunto trilaterale permanente” con la Finlandia istituito a Madrid, “sia nell’ambito di un nuovo Patto di sicurezza bilaterale che si riunirà annualmente a livello ministeriale e creerà gruppi di lavoro a seconda delle necessità“. Secondo quanto messo nero su bianco dalle due parti, nel corso della prima riunione Stoccolma presenterà una tabella di marcia “come base della sua lotta continua contro il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni verso la piena attuazione di tutti gli elementi” del memorandum: “La Svezia ribadisce che non fornirà sostegno alle Unità di Protezione Popolare (Ypg) e al Partito dell’Unione Democratica (Pyd) curdi e all’organizzazione movimento di Gülen (Fetö)”. Sempre sul piano della lotta anti-terrorismo – “che continuerà anche dopo l’adesione della Svezia alla Nato” – il segretario generale Stoltenberg ha promesso di istituire all’interno dell’Alleanza la nuova carica di Coordinatore speciale per la lotta al terrorismo.
    Tra le condizioni stabilite nel corso della riunione-fiume di ieri, è di non poca importanza – considerate le minacce di ieri di Erdoǧan e la risposta piccata della Commissione Europea – il passaggio sul sostegno “attivo” della Svezia a “rinvigorire il processo di adesione della Turchia all’Unione Europea, compresa la modernizzazione dell’Unione doganale Ue-Turchia e la liberalizzazione dei visti”. Stoccolma e Ankara si sono poi impegnate a “eliminare restrizioni, barriere o sanzioni al commercio e agli investimenti nel settore della difesa” tra gli alleati e hanno concordato di “intensificare la cooperazione economica” attraverso il Comitato economico e commerciale misto turco-svedese (Jetco): “Sia la Turchia sia la Svezia cercheranno di massimizzare le opportunità per aumentare gli scambi e gli investimenti bilaterali”. Messo infine sulla carta – come annunciato da Stoltenberg – il passaggio del Protocollo di adesione Nato della Svezia alla Grande Assemblea Nazionale turca, con l’impegno dell’uomo forte di Ankara di “lavorare a stretto contatto” per garantirne la ratifica. “Un passo storico a Vilnius, accolgo con favore l’importante passo che la Turchia ha promesso di compiere, ratificando l’adesione della Svezia alla Nato”, ha commentato su Twitter la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    Il veto di Erdoğan alla Svezia nella Nato
    La Svezia – insieme alla Finlandia – ha presentato domanda di adesione alla Nato nel maggio dello scorso anno, dando seguito alla più grande svolta strategica storica nella propria politica di sicurezza nazionale in risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. A sbarrare la strada a un percorso che sembrava essere destinato a procedere in modo spedito è stato proprio Erdoğan, a causa dei rapporti tesi sulla repressione della minoranza curda in Turchia. Le tensioni con Stoccolma e Helsinki sembravano essere diminuite con la firma del memorandum d’intesa alla vigilia del vertice di Madrid del 29 giugno 2022, in cui sono state definite le condizioni per lo sblocco dell’allargamento della Nato ai due Paesi scandinavi: tra queste in particolare le richieste di estradare i membri del movimento politico-militare curdo del Pkk.
    Da sinistra: il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan (credits: Adem Altan / Afp)
    La posizione irremovibile del leader turco non ha però portato a sostanziali progressi nella seconda metà dell’anno, in particolare per quanto riguarda la Svezia. Il punto più basso dei rapporti con gli altri alleati è stato raggiunto in occasione del via libera alla richiesta della Finlandia, quando è stato ribadito lo stop a Stoccolma: in questo modo è sfumato l’ingresso congiunto dei due Paesi scandinavi nell’Alleanza Atlantica nello stesso giorno. Il leader turco – fresco vincitore delle elezioni presidenziali di maggio – ha continuato a sostenere che il governo svedese non stesse facendo abbastanza contro quelli che Ankara definisce terroristi. Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan è considerato un’organizzazione terroristica anche dall’Unione Europea – di cui Finlandia e Svezia fanno parte – ma l’attribuzione è controversa proprio per le persecuzioni messe in atto dal regime turco. Le minacce di ieri di Erdoğan sembravano far presagire il peggio, fino all’incontro risolutorio in serata che ha definitivamente spalancato le porte a Stoccolma per l’ingresso nell’Alleanza.
    Come si entra nella Nato
    Per diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.
    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.
    Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

    In un trilaterale con il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, e il premier svedese, Ulf Kristersson, il leader turco ha sbloccato lo stallo sull’adesione di Stoccolma, promettendo che trasmetterà il protocollo alla Grande Assemblea Nazionale per la ratifica

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    Stoltenberg spera nell’ingresso Nato della Svezia al vertice di Vilnius. Ma Erdoğan lo lega all’adesione Ue della Turchia

    Bruxelles – Una mossa a sorpresa, che sa di ricatto a due organizzazioni, una a cui appartiene a l’altra a cui vorrebbe aderire. Alla vigilia del vertice Nato di Vilnius il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, ha aggiunto una mezza minaccia alla propria opposizione all’ingresso della Svezia nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord: “Prima si aprano le porte alla Turchia verso l’Ue, poi apriremo la strada alla Svezia nella Nato come abbiamo fatto con la Finlandia”. Due processi che non hanno nulla a che fare uno con l’altro, ma che il leader turco sta cercando di collegare per aumentare il proprio potere negoziale con Bruxelles, sfruttando l’arma del veto che gli permette di continuare a tenere in ostaggio la richiesta di adesione svedese all’Alleanza Atlantica.
    Sbloccare il processo di adesione Ue per la Turchia nella speranza che la Nato possa portare a termine l’allargamento iniziato un anno fa al vertice di Madrid. Finora il veto di Erdoğan – che ha di fatto impedito al Parlamento turco di ratificare la richiesta di Stoccolma, come previsto dalla procedura per l’ingresso di un nuovo membro nell’Alleanza – è sempre stato legato alla questione curda. È per questo motivo che la nuova rivendicazione dell’autocrate turco ha spiazzato entrambe le organizzazioni, sia la Nato sia l’Unione Europea: “Sostengo le ambizioni della Turchia di diventare membro dell’Unione Europea, ma allo stesso tempo dobbiamo ricordare che la Svezia ha rispettato le condizioni concordate a Madrid“, ha voluto sottolineare alla stampa nel pre-vertice di Vilnius il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, a proposito della lista di richieste fatte a Stoccolma nella riunione dei leader della Nato del 2022: “Si trattava di rimuovere le restrizioni sull’export di armi, rafforzare la cooperazione con la Turchia per combattere il terrorismo, cambiare la Costituzione e rafforzare le leggi anti-terrorismo, e tutto questo la Svezia l’ha fatto”. Ecco perché – nonostante il nuovo ricatto di Erdoğan – il segretario generale Stoltenberg si mostra ancora positivo sull’ingresso della Svezia alla Nato: “È ancora possibile avere una decisione positiva, sfrutteremo lo slancio del vertice per garantire quanti più progressi possibili”.
    Non poteva essere più netta la risposta da Bruxelles. “I due processi che avvengono in parallelo – l’adesione di nuovi membri alla Nato e il processo di allargamento dell’Unione Europea – sono separati“, ha messo in chiaro la portavoce della Commissione Ue, Dana Spinant, nel corso del punto quotidiano con la stampa di Bruxelles. L’Unione ha un processo di allargamento “molto strutturato” e misure “molto chiare”, che sono richieste a “tutti i Paesi candidati e anche quelli che desiderano diventarlo”, ha aggiunto la portavoce dell’esecutivo comunitario, ribadendo con fermezza che “non si possono collegare i due processi“. Anche il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha voluto ricordare nella sua conferenza pre-vertice di Vilnius che non esistono legami tra i due allargamenti: “Non va considerato come un argomento correlato” e – fatta eccezione per le resistenze di Erdoğan – “nulla ostacola l’adesione della Svezia alla Nato”.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati avviati nel 2005 durante il primo mandato di Erdoğan come primo ministro, ma ormai da anni sono “a un punto morto” a causa dei “continui gravi passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura”, ripete dal 2020 il commissario responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Nonostante il quadro di rapporti tesi tra Bruxelles e Ankara, nel marzo 2016 il leader turco è riuscito a far pesare il proprio potere negoziale nell’accordo stretto tra l’Ue e la Turchia per bloccare e accogliere sul suo territorio i rifugiati siriani in fuga dalla guerra in cambio di finanziamenti comunitari.
    Il veto di Erdoğan alla Svezia nella Nato
    La Svezia – insieme alla Finlandia – ha presentato domanda di adesione alla Nato nel maggio dello scorso anno, dando seguito alla più grande svolta strategica storica nella propria politica di sicurezza nazionale in risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. A sbarrare la strada a un percorso che sembrava essere destinato a procedere in modo spedito è stato proprio Erdoğan, a causa dei rapporti tesi sulla repressione della minoranza curda in Turchia. Le tensioni con Stoccolma e Helsinki sembravano essere diminuite con la firma del memorandum d’intesa alla vigilia del vertice di Madrid del 29 giugno 2022, in cui sono state definite le condizioni per lo sblocco dell’allargamento della Nato ai due Paesi scandinavi: tra queste in particolare le richieste di estradare i membri del movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan).
    Da sinistra: il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan (credits: Adem Altan / Afp)
    La posizione irremovibile del leader turco non ha però portato a sostanziali progressi nella seconda metà dell’anno, in particolare per quanto riguarda la Svezia. Il punto più basso dei rapporti con gli altri leader Nato e Ue è stato raggiunto in occasione del via libera alla richiesta della Finlandia, quando è stato ribadito lo stop a Stoccolma: in questo modo è sfumato l’ingresso congiunto dei due Paesi scandinavi nell’Alleanza Atlantica nello stesso giorno (il 4 aprile 2023). Il leader turco – fresco vincitore delle elezioni presidenziali di maggio – continua a sostenere che la Svezia non stia facendo abbastanza contro quelli che Ankara definisce terroristi. Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan è considerato un’organizzazione terroristica anche dall’Unione Europea – di cui Finlandia e Svezia fanno parte – ma l’attribuzione è controversa proprio per le persecuzioni messe in atto dal regime turco. Nel pomeriggio di oggi si svolgerà un vertice trilaterale tra Erdoğan, Stoltenberg e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, per cercare un punto d’intesa prima del vertice di Vilnius. Che è sempre più distante dopo l’ultimo ricatto dell’uomo forte di Ankara.

    Alla vigilia della riunione dei 31 leader dell’Alleanza Atlantica in Lituania, il segretario generale ricorda che Stoccolma “ha rispettato le condizioni concordate a Madrid”. Da Bruxelles i portavoce della Commissione respingono il ricatto inaspettato del presidente turco: “Sono processi separati”

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    La rimonta dell’opposizione turca fallisce. L’Ue si congratula con Erdoğan per l’ennesima rielezione alla presidenza

    Bruxelles – Le speranze già flebili dell’opposizione turca di mettere fine al potere di Recep Tayyip Erdoğan sono arrivate al capolinea. Al ballottaggio delle elezioni presidenziali in Turchia, il leader in carica ha vinto ancora, mettendo fine all’illusione di quasi metà della popolazione di un cambio al vertice, dopo 20 anni quasi da capo assoluto del Paese. Erdoğan ha vinto, non trionfato, e questo mostra una Turchia molto divisa soprattutto tra città e aree rurali.
    La mappa delle circoscrizioni elettorali in Turchia vinte da Recep Tayyip Erdoğan (in giallo) e da Kemal Kılıçdaroğlu (in rosso)
    Chiamati al secondo turno di voto ieri (28 maggio), gli elettori turchi hanno riconfermato la fiducia nel presidente in carica, che ha conquistato il 52,16 per cento dei voti. Tre punti percentuali in più rispetto al primo turno, abbastanza per garantirsi la rielezione alle spese dello sfidante Kemal Kılıçdaroğlu, che ha tentato la rimonta impossibile e si è fermato al 47,84 per cento delle preferenze nel testa a testa. Ribaltati completamente i sondaggi di sole poche settimane fa, quando una vittoria del candidato unico dell’opposizione turca veniva dato alle stesse percentuali (se non leggermente più alte) di quelle conquistate ieri da Erdoğan. Una vittoria che – nonostante non sia arrivata già al primo turno come invece accaduto nelle tornate del 2018 e del 2014 – può sancire definitivamente l’aura di invincibilità del ‘sultano’ turco.
    Perché sei partiti di opposizione si erano uniti nella cosiddetta ‘Tavola dei Sei’ per esprimere un candidato comune e aumentare le possibilità di scalzare il leader del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) dalla presidenza del Paese. I sondaggi avevano evidenziato una reale occasione per Kılıçdaroğlu, economista dai toni pacati e leader del Partito popolare repubblicano (Chp), il principale partito d’opposizione fondato nel 1923 dal primo presidente turco, Mustafa Kemal Atatürk. La prima doccia fredda è arrivata al primo turno del 14 maggio, quando Erdoğan è riuscito a mettere il sigillo quasi perfetto sulle presidenziali del 2023 – contrariamente alle aspettative – e arrivando a mezzo punto percentuale dalla rielezione. Ben sotto le aspettative il risultato di Kılıçdaroğlu, fermo al 45 per cento e costretto alla rimonta. Prospettiva diventata ancora più ardua dopo che il terzo candidato escluso dal ballottaggio, il nazionalista di estrema destra Sinan Oğan, ha espresso l’indicazione di voto per i suoi sostenitori a favore proprio del presidente in carica e ha così indirizzato l’esito finale delle elezioni.
    “L’unico vincitore oggi è la Turchia”, ha rivendicato Erdoğan nel suo discorso post-vittoria, attaccando nuovamente l’opposizione sulle questioni Lgbtq+, dei curdi e del terrorismo. “Tutti i mezzi dello Stato sono stati messi ai piedi di un solo uomo, sono le elezioni più ingiuste degli ultimi anni“, ha contrattaccato Kılıçdaroğlu, che però non ha contestato l’esito delle urne. Con la seconda rielezione a presidente (prima ha rivestito la carica di premier dal 2003 al 2014, carica abolita nel 2018), Erdoğan si appresta a diventare il leader più longevo dopo Atatürk (1923-1938), il padre fondatore della Turchia moderna rinata dalle rovine dell’Impero Ottomano: il centenario della nascita della Repubblica sarà celebrato il prossimo 29 ottobre proprio con il nuovo ‘sultano’ saldamente alla testa del Paese. Un leader che sta portando la Turchia su una strada nazionalista, conservatrice e di matrice islamista.
    Quali sfide attendono l’Ue con la Turchia di Erdoğan
    Quasi immediate nella serata delle vittoria di Erdoğan le congratulazioni da parte dei leader delle istituzioni dell’Unione Europea. “Non vedo l’ora di lavorare ancora con lei per approfondire le relazioni Ue-Turchia negli anni a venire“, ha commentato in un tweet il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. A fargli eco la numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “È di importanza strategica per l’Ue e la Turchia lavorare per far progredire queste relazioni, a beneficio dei nostri popoli”. Al momento nessun commento è invece arrivato dalla presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, mentre l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, si sono esposti in una nota congiunta: “L’Ue ha un interesse strategico a continuare a intrattenere relazioni cooperative e reciprocamente vantaggiose con la Turchia e con tutto il suo popolo, nonché a creare un ambiente stabile e sicuro nel Mediterraneo orientale“. A questo si aggiunge l’impegno con Ankara per la “prosperità e stabilità condivisa, sulla base degli impegni per i diritti umani, lo Stato di diritto, il diritto internazionale e la stabilità regionale”.
    Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan (credits: Adem Altan / Afp)
    Tutte questioni calde per i rapporti tra Bruxelles e Ankara negli ultimi anni di presidenza Erdoğan, destinati a continuare (almeno) per altri cinque anni. Uno dei temi più caldi sul tavolo è quello della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, con la Turchia che dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando Ankara ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia. Nel contesto mediterraneo si inserisce anche la controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso.
    C’è poi il congelamento dei capitoli negoziali per l’adesione della Turchia all’Unione Europea, avviati nel 2005 e da anni “a un punto morto” per i “continui gravi passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura”, aveva sottolineato ancora nel 2020 il commissario Várhelyi. Per Bruxelles è di cruciale importanza anche la questione della gestione delle persone migranti dirette verso l’Europa: se nel marzo 2016 l’Ue ha stretto un accordo con la Turchia per bloccare e accogliere sul suo territorio i rifugiati siriani in fuga dalla guerra in cambio di finanziamenti comunitari (oggi Erdoğan parla esplicitamente di rimpatri in Libia per milioni di persone), in diverse occasioni la Grecia ha lanciato dure accuse ad Ankara per violazioni dell’accordo stesso e sta implementando una politica di costruzione di barriere fisiche alla frontiera.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio Europe, Charles Michel, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, ad Ankara (6 aprile 2021)
    Per la presidenza di turno svedese del Consiglio dell’Ue è invece caldissimo il tema del veto sull’adesione di Stoccolma alla Nato, legato alla repressione della minoranza curda. Ora che Erdoğan si è riconfermato leader del Paese, ci si aspettano movimenti sul dossier – che riguarda sia la politica interna sia quella estera del presidente – fermo da mesi per le richieste intransigenti da Ankara a Stoccolma di estradare i membri del movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). La posizione irremovibile del leader turco ha indispettito non poco i leader dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord e dei Paesi membri Ue, che hanno visto sfumare l’ingresso congiunto di Svezia e Finlandia nell’Alleanza nello stesso giorno (il 4 aprile 2023).
    Ultimo, ma non per importanza diplomatica, quello che è passato alle cronache politiche come ‘Sofagate’. Il 6 aprile 2021 i presidenti von der Leyen e Michel si erano recati ad Ankara in visita istituzionale per rilanciare il dialogo Ue-Turchia. Ma l’accoglienza al palazzo presidenziale per la numero uno dell’esecutivo comunitario era stata tutt’altro che piacevole e rispettosa: mentre al leader del Consiglio è stata riservata una sedia accanto a Erdoğan, von der Leyen si era dovuta accomodare – con evidente imbarazzo e disappunto – su un sofà, appunto. Uno sgarbo istituzionale arrivato a poche settimane dalla decisione del presidente turco di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, che ancora una volta aveva evidenziato tutta la tensione nei rapporti tra Bruxelles e Ankara.

    Il leader al potere da 20 anni si riconferma alla guida del Paese, superando al ballottaggio lo sfidante Kemal Kılıçdaroğlu con il 52,16 per cento dei voti. Per Bruxelles ora si apre una nuova fase su temi già caldi, dalla migrazione all’allargamento, fino a Nato, energia e diritti umani

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    L’indipendente Oğan appoggia Erdoğan al ballottaggio. In Turchia è sempre più probabile la rielezione del sultano

    Bruxelles – Le speranze dell’opposizione in Turchia di estromettere dal potere il presidente in carica, Recep Tayyip Erdoğan, sono appese a un filo sempre più sottile. Perché il terzo candidato sconfitto al primo turno delle presidenziali, l’indipendente Sinan Oğan, ha reso finalmente nota la propria indicazione di voto ai sostenitori in vista del ballottaggio del prossimo 28 maggio. E il sostegno non è andato a chi avrebbe avuto più bisogno di quei 5,2 punti percentuali per insidiare da vicino l’uomo forte di Ankara e riaprire la partita elettorale, ovvero lo sfidante Kemal Kılıçdaroğlu. “Chiedo ai miei elettori di appoggiare Erdoğan“, ha annunciato il leader ultra-nazionalista in una conferenza stampa convocata nel tardo pomeriggio di ieri (22 maggio), in cui ha messo in chiaro che il presidente in carica è il candidato che potrà dare più stabilità al Paese.
    Il candidato indipendente sconfitto al primo turno delle elezioni presidenziali in Turchia, Sinan Oğan (credits: Adem Altan / Afp)
    In verità l’annuncio non ha sorpreso gli analisti, considerato il fatto che il partito da cui Oğan proviene, il Partito del Movimento Nazionalista (Mhp), farà parte della nuova maggioranza di 323 deputati che in Parlamento sosterrà l’esecutivo a trazione Akp (il Partito della Giustizia e dello Sviluppo del presidente Erdoğan). L’Alleanza Ata che ha sostenuto Oğan – formata da piccoli partiti di destra nazionalista e ultranazionalista – si è già sciolta, ma sembra verosimile che i quasi tre milioni di elettori del primo turno seguiranno le indicazioni dell’ormai ex-candidato comune. Ad accomunarli ci sono gli stessi sentimenti di odio sia nei confronti delle persone migranti arrivate dalla Siria, sia nei confronti della minoranza curda, che hanno fatto propendere la scelta del candidato sconfitto al primo turno più per Erdoğan che per Kılıçdaroğlu.
    Nei giorni successivi al voto del 14 maggio il candidato estromesso dalla corsa a due di domenica prossima ha incontrato il presidente in carica che, secondo quanto riportato in conferenza stampa, condivide la sua visione di “prendere tutte le misure per rimpatriare i migranti” nel più breve tempo possibile. Buona parte della campagna elettorale è stata giocata proprio sul tema della gestione degli oltre tre milioni di cittadini siriani rifugiati in Turchia dopo lo scoppio della guerra civile del 2011. Erdoğan ha promesso che incoraggerà il rimpatrio di almeno un milione di persone e negli ultimi giorni Kılıçdaroğlu l’ha seguito su questa strada di consenso elettorale, nella speranza di strappare voti al leader dell’Akp su questo tema, ma non è sembrato sufficientemente credibile agli occhi dei nazionalisti. Un’altra questione di non poco conto è quella delle accuse dell’ex-Alleanza Ata alla cosiddetta ‘Tavola dei Sei’ – il patto tra sei partiti di opposizione per esprimere un candidato comune – di sostenere il movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), a causa del sostegno dal Partito della Sinistra Verde (Ysp), di orientamento filo-curdo.
    Il primo turno delle elezioni in Turchia
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Al primo turno delle elezioni presidenziali in Turchia la presenza Oğan è stata decisiva per portare gli elettori di nuovo alle urne per il ballottaggio tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu. Dopo un recupero quasi clamoroso rispetto ai sondaggi elettorali, il presidente in carica è andato molto vicino a farsi eleggere già il 14 maggio, conquistando il 49,5 per cento delle preferenze, mentre lo sfidante dell’opposizione si è fermato al 44,89, ben sotto le aspettative. Il candidato dell’Alleanza Ata ha incassato un 5,17 per cento, che ha significato diventare l’ago della bilancia per il secondo turno, mentre lo 0,43 è andato al candidato del Partito della Patria Muharrem İnce, il cui nome è rimasto sulle schede nonostante il ritiro dalla corsa elettorale a due giorni dall’appuntamento elettorale.
    Da Bruxelles i leader delle istituzioni comunitarie non si sono esposti – dopo aver chiesto trasparenza e incisività alle elezioni – sottolineando più il successo della tornata elettorale in termini di affluenza (attorno al 90 per cento). “È molto importante sottolineare il processo democratico, ora dobbiamo aspettare il risultato del secondo turno”, è stato il commento post-voto del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. A fargli eco la numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “La Turchia è un partner importante, abbiamo visto un’affluenza enorme a queste elezioni e questa è davvero un’ottima notizia, perché è un segno che i cittadini turchi danno valore alle istituzioni democratiche”.

    Il candidato ultra-nazionalista sconfitto al primo turno delle elezioni presidenziali ha sciolto le riserve, chiedendo ai sostenitori di votare il presidente in carica. Ridotte al minimo le possibilità dell’opposizione unita guidata da Kemal Kılıçdaroğlu di raggiungere la maggioranza assoluta