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I Ventisette chiedono “pause umanitarie immediate” a Gaza. E iniziano le discussioni sulla Palestina post-guerra

Bruxelles – Uno sforzo diplomatico a livello immediato, un impegno che inizia già ora per trovare una soluzione a medio/lungo termine alla situazione “catastrofica” nella Striscia di Gaza. Sotto la guida dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, i 27 ministri degli Esteri hanno definito oggi (13 novembre) la posizione condivisa dell’Ue sulla necessità di “pause umanitarie immediate” per permettere la consegna degli aiuti internazionali alla popolazione sotto i bombardamenti israeliani, ma soprattutto per definire un piano – al momento solo abbozzato – che guardi al “giorno dopo” la fine della guerra tra Israele e Hamas.

Jabalia, Palestina (credits: Yahya Hassouna / Afp)

Sul primo aspetto dell’analisi del conflitto, le discussioni si sono impostate sulla dichiarazione “unanime” pubblicata ieri (12 novembre) al termine di “un’intensa giornata di lavori, dopo la richiesta arrivata da diversi Stati membri”, ha spiegato l’alto rappresentante Borrell. Già al Consiglio Europeo del 26 ottobre era arrivata la richiesta di “pause umanitarie” ma, di fronte a una sempre più urgente necessità di portare soccorso, acqua, cibo, medicine e carburante alla popolazione della Striscia di Gaza, “la parola più importante è ‘immediate’“, ha rimarcato Borrell. È soprattutto la questione dei bombardamenti sugli ospedali a creare le preoccupazioni maggiori a Bruxelles: “L’Ue sottolinea che il diritto umanitario internazionale stabilisce che gli ospedali, le forniture mediche e i civili al loro interno devono essere protetti“, è il riferimento della dichiarazione sia ai limiti del diritto di autodifesa di Israele sia all’uso di ospedali e civili “come scudi umani” da parte di Hamas.

La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è catastrofica e sta solamente peggiorando con il passare delle ore“, è stata la sintesi del commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, con cui i 27 ministri degli Esteri hanno fatto il punto tecnico delle conseguenze dei bombardamenti agli ospedali e più in generale della situazione del conflitto: “È urgente definire e rispettare le pause umanitarie, devono essere significative, con tempistiche certe, senza bombardamenti e annunciate con anticipo, perché le organizzazioni umanitarie possano prepararsi a sfruttarle”. I numeri della crisi umanitaria sono stati forniti dall’alto rappresentante Borrell in conferenza stampa: “Le vittime sono oltre 11 mila, ci sono 1,5 milioni di sfollati, metà degli ospedali è al collasso per la mancanza di carburante, dal valico di frontiera con l’Egitto entrano in media 40 camion al giorno, meno del 10 per cento del necessario”. Se il valico di Rafah “non è sufficiente, bisogna aumentare le capacità di transito”, le soluzioni sono due: “O più punti terrestri o l’iniziativa cipriota per un corridoio marittimo“, ha spiegato Borrell, anche se la seconda opzione è più complessa considerato il problema infrastrutturale dell’assenza di porti sulla costa di Gaza.

Il piano per il dopoguerra in Palestina e a Gaza

L’impegno diplomatico di Bruxelles per “evitare l’escalation nella regione e ai Paesi vicini” si connette con la soluzione sul medio/lungo termine post-conflitto per costruire la pace tra Israele e Palestina. Il capo della diplomazia Ue ha messo in chiaro che “questa drammatica crisi con costi immensi di vite umane deve essere l’occasione per far capire al mondo che la soluzione può essere basata solo su due Stati”. In altre parole, “non è solo questione di ricostruire Gaza, ma soprattutto di costruire lo Stato per i palestinesi“. Il piano presentato oggi per la prima volta da Borrell al Consiglio Affari Esteri richiede “parametri per iniziare a cercare una soluzione che propizi la pace” e al momento è una sorta di “schema mentale” che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”, da impostare con gli Stati Uniti e i Paesi arabi.

Jabalia, Palestina (credits: Mahmud Hams / Afp)

Per quanto riguarda i tre ‘no’, l’alto rappresentante Borrell ha messo in chiaro che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese, va considerata nel suo complesso”. E questi sono i paletti iniziali anche per Gerusalemme. I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione più generale di una soluzione per una pace strutturale e stabile. In primis, “a Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ha spiegato Borrell, precisando che intende “non l’Autorità Nazionale Palestinese, ma una sorta di autorità palestinese”, e che in ogni caso “non si può ricostruire la Palestina né sull’occupazione israeliana né a partire da Hamas”. Come secondo punto, la soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario “ma soprattutto politico”. E infine dovrà mettersi in campo “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“, ha assicurato Borell in partenza per la missione in Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania: “Se non troviamo una soluzione politica, continuerà la spirale di violenza che si ripeterà di funerale in funerale”.

Al Consiglio Affari Esteri intenso confronto sulle modalità per far arrivare gli aiuti alla popolazione sotto bombardamenti israeliani. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha presentato un piano per cercare una soluzione a due Stati con Stati Uniti e Paesi arabi basata su “tre sì e tre no”


Source: https://www.eunews.it/category/politica-estera/feed


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