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    Una Nato “preoccupata” per l’escalation in Medio Oriente accoglie la tregua temporanea a Gaza e avverte l’Iran

    Bruxelles – Per la prima volta dallo scoppio delle ostilità tra Israele e Hamas, i ministri degli Esteri della Nato hanno fatto il punto della situazione a Gaza e più in generale nel contesto della regione, considerate le “preoccupazioni per l’escalation di tensione in Medio Oriente” dei 31 Paesi membri. Così ha riassunto lo stato delle discussioni del vertice ministeriale a Bruxelles il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, parlando alla stampa al termine della prima giornata di lavori (28 novembre): “È essenziale che quello in corso non si trasformi in un conflitto regionale più grande”.Il vertice dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, 28 novembre 2023 (credits: Nato)“Gli alleati accolgono con favore l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi“, sono state le parole di speranza di Stoltenberg, dopo il via libera delle due parti in guerra al proseguo della tregua temporanea nella Striscia di Gaza in atto da quasi una settimana consecutiva: “C’è sollievo per la popolazione civile e anche per il fatto che gli aiuti umanitari possano essere consegnati, auspichiamo ulteriori proroghe“. Le notizie positive finiscono qui, anche perché il segretario generale della Nato ha un’idea precisa sull’origine di potenziali ulteriori minacce nel prossimo futuro: “L’Iran non deve complicare la crisi in Medio Oriente e deve tenere a freno i suoi delegati“, ovvero Hamas (in Palestina) e Hezbollah (in Libano).In ogni caso, come fatto notare dallo stesso Stoltenberg di fronte alle domande pressanti dei giornalisti internazionali, “è importante riconoscere che la Nato come alleanza non svolge un ruolo attivo nel conflitto israelo-palestinese“. È vero che alcuni dei 31 alleati sono attivi “in modi diversi” e soprattutto su fronti diversi – come Stati Uniti e Turchia – ma strettamente parlando di Alleanza Atlantica non si può affermare che ci sia un coinvolgimento diretto. Le preoccupazioni sorgono soprattutto per il fatto che esiste una presenza di ormai lunga data della Nato “nella più ampia regione del Medio Oriente“: attualmente è in corso una missione di addestramento in Iraq per aiutare l’esercito nazionale a combattere l’Isis, una “stretta collaborazione” con diversi Stati arabi del Golfo, del Nord Africa e del Medio Oriente, “inclusa un partenariato con la Giordania, dove svolgiamo alcune attività di rafforzamento delle capacità di difesa”, ha precisato Stoltenberg. Ecco perché una polveriera in Palestina non può lasciare l’Alleanza Atlantica indifferente.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg (credits: Nato)Eppure le discussioni tra i 31 ministri hanno anche riguardato il modo in cui Israele sta conducendo la guerra contro Hamas. “Il diritto internazionale e il diritto umanitario devono essere rispettati in tutte le guerre e la vita dei civili deve essere sempre tutelata ovunque nel mondo, a prescindere dal tipo di conflitto e dei rapporti con gli alleati”, ha messo in chiaro il segretario generale dell’Alleanza Atlantica. Interrogato a proposito del rapporto tra la situazione a Gaza e quella in Ucraina – altro tema caldo sul tavolo dei ministri – lo stesso Stoltenberg ha voluto sottolineare che “è diversa in molti modi, l’Ucraina non ha mai né provocato né attaccato la Russia, l’invasione russa non è stata provocata” da Kiev ed è stata “su larga scala contro un altro Paese” sovrano e indipendente. Ecco perché, passando ad analizzare anche il ruolo di supporto armato e operativo della Nato a Kiev, “gli ucraini hanno diritto di difendersi contro un attacco non provocato e per mantenere la propria integrità territoriale”, ha precisato Stoltenberg. “Sostenere l’Ucraina è qualcosa su cui tutti gli alleati concordano, non solo perché il diritto all’autodifesa è garantito dalla Carta delle Nazioni Unite”, ma anche per il fatto che “il diritto umanitario internazionale si applica in tutti gli scenari e noi abbiamo il dovere di proteggerlo”.
    Al vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord sono state accolte con favore “l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi”. Il segretario generale, Jens Stoltenberg a Teheran: “Tenga a freno i suoi delegati” Hamas ed Hezbollah

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    I Ventisette chiedono “pause umanitarie immediate” a Gaza. E iniziano le discussioni sulla Palestina post-guerra

    Bruxelles – Uno sforzo diplomatico a livello immediato, un impegno che inizia già ora per trovare una soluzione a medio/lungo termine alla situazione “catastrofica” nella Striscia di Gaza. Sotto la guida dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, i 27 ministri degli Esteri hanno definito oggi (13 novembre) la posizione condivisa dell’Ue sulla necessità di “pause umanitarie immediate” per permettere la consegna degli aiuti internazionali alla popolazione sotto i bombardamenti israeliani, ma soprattutto per definire un piano – al momento solo abbozzato – che guardi al “giorno dopo” la fine della guerra tra Israele e Hamas.Jabalia, Palestina (credits: Yahya Hassouna / Afp)Sul primo aspetto dell’analisi del conflitto, le discussioni si sono impostate sulla dichiarazione “unanime” pubblicata ieri (12 novembre) al termine di “un’intensa giornata di lavori, dopo la richiesta arrivata da diversi Stati membri”, ha spiegato l’alto rappresentante Borrell. Già al Consiglio Europeo del 26 ottobre era arrivata la richiesta di “pause umanitarie” ma, di fronte a una sempre più urgente necessità di portare soccorso, acqua, cibo, medicine e carburante alla popolazione della Striscia di Gaza, “la parola più importante è ‘immediate’“, ha rimarcato Borrell. È soprattutto la questione dei bombardamenti sugli ospedali a creare le preoccupazioni maggiori a Bruxelles: “L’Ue sottolinea che il diritto umanitario internazionale stabilisce che gli ospedali, le forniture mediche e i civili al loro interno devono essere protetti“, è il riferimento della dichiarazione sia ai limiti del diritto di autodifesa di Israele sia all’uso di ospedali e civili “come scudi umani” da parte di Hamas.“La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è catastrofica e sta solamente peggiorando con il passare delle ore“, è stata la sintesi del commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, con cui i 27 ministri degli Esteri hanno fatto il punto tecnico delle conseguenze dei bombardamenti agli ospedali e più in generale della situazione del conflitto: “È urgente definire e rispettare le pause umanitarie, devono essere significative, con tempistiche certe, senza bombardamenti e annunciate con anticipo, perché le organizzazioni umanitarie possano prepararsi a sfruttarle”. I numeri della crisi umanitaria sono stati forniti dall’alto rappresentante Borrell in conferenza stampa: “Le vittime sono oltre 11 mila, ci sono 1,5 milioni di sfollati, metà degli ospedali è al collasso per la mancanza di carburante, dal valico di frontiera con l’Egitto entrano in media 40 camion al giorno, meno del 10 per cento del necessario”. Se il valico di Rafah “non è sufficiente, bisogna aumentare le capacità di transito”, le soluzioni sono due: “O più punti terrestri o l’iniziativa cipriota per un corridoio marittimo“, ha spiegato Borrell, anche se la seconda opzione è più complessa considerato il problema infrastrutturale dell’assenza di porti sulla costa di Gaza.Il piano per il dopoguerra in Palestina e a GazaL’impegno diplomatico di Bruxelles per “evitare l’escalation nella regione e ai Paesi vicini” si connette con la soluzione sul medio/lungo termine post-conflitto per costruire la pace tra Israele e Palestina. Il capo della diplomazia Ue ha messo in chiaro che “questa drammatica crisi con costi immensi di vite umane deve essere l’occasione per far capire al mondo che la soluzione può essere basata solo su due Stati”. In altre parole, “non è solo questione di ricostruire Gaza, ma soprattutto di costruire lo Stato per i palestinesi“. Il piano presentato oggi per la prima volta da Borrell al Consiglio Affari Esteri richiede “parametri per iniziare a cercare una soluzione che propizi la pace” e al momento è una sorta di “schema mentale” che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”, da impostare con gli Stati Uniti e i Paesi arabi.Jabalia, Palestina (credits: Mahmud Hams / Afp)Per quanto riguarda i tre ‘no’, l’alto rappresentante Borrell ha messo in chiaro che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese, va considerata nel suo complesso”. E questi sono i paletti iniziali anche per Gerusalemme. I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione più generale di una soluzione per una pace strutturale e stabile. In primis, “a Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ha spiegato Borrell, precisando che intende “non l’Autorità Nazionale Palestinese, ma una sorta di autorità palestinese”, e che in ogni caso “non si può ricostruire la Palestina né sull’occupazione israeliana né a partire da Hamas”. Come secondo punto, la soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario “ma soprattutto politico”. E infine dovrà mettersi in campo “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“, ha assicurato Borell in partenza per la missione in Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania: “Se non troviamo una soluzione politica, continuerà la spirale di violenza che si ripeterà di funerale in funerale”.
    Al Consiglio Affari Esteri intenso confronto sulle modalità per far arrivare gli aiuti alla popolazione sotto bombardamenti israeliani. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha presentato un piano per cercare una soluzione a due Stati con Stati Uniti e Paesi arabi basata su “tre sì e tre no”

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    L’Ue sceglie il silenzio sugli “attacchi sproporzionati” di Israele a Jabalia. È iniziata l’evacuazione di 7.500 persone da Gaza

    Bruxelles – C’è il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, che in un tweet si dice “sconvolto dall’alto numero di vittime civili a causa delle bombe israeliane sul campo profughi di Jabalia”. Intorno a lui, dall’Unione Europea un silenzio sconcertante. Mentre dal quartier generale dell’Onu e dalle agenzie delle Nazioni Unite che lavorano nella Striscia di Gaza arrivano parole durissime sull’operazione militare delle Forze di Difesa israeliane.Il bilancio dei raid di martedì e mercoledì (31 ottobre e primo novembre) sulla città situata pochi chilometri a nord di Gaza City è di almeno 195 morti e 120 dispersi, secondo i dati diffusi dal ministero della Sanità controllato da Hamas. “L’ultima atrocità che ha colpito gli abitanti di Gaza”, l’ha descritta il sottosegretario per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, Martin Griffiths. Da Ginevra, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha denunciato i bombardamenti su Jabalia come “attacchi sproporzionati che potrebbero equivalere a crimini di guerra“, mentre il suo direttore della sede di New York, Craig Mokhiber, ha addirittura deciso di lasciare il suo incarico accusando il Palazzo di Vetro di essere incapace di agire per “prevenire il genocidio” della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza. “Stiamo assistendo a un genocidio che si sta svolgendo sotto i nostri occhi e l’organizzazione che serviamo sembra impotente a fermarlo”, ha scritto Mokhiber nella lettera di dimissioni.Il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, a Rafah il primo novembre 2023 (credits: Said Khatib / Afp)Dall’inferno dell’enclave palestinese, l’Unicef condanna gli “attacchi su larga scala in un’area residenziale densamente popolata”, che “possono avere effetti indiscriminati”. E il commissario generale dell’Unrwa – l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi – ha definito la situazione umanitaria come “una tragedia senza precedenti“. Il commissario generale Philippe Lazzarini, dopo aver ottenuto il permesso di entrare a Gaza per la prima volta dal 7 ottobre, ha confermato che “l’attuale risposta umanitaria non è di gran lunga sufficiente, né corrisponde agli enormi bisogni della popolazione di Gaza”. In particolare c’è bisogno di “consegne urgenti di carburante”, che “non è arrivato per quasi un mese impattando in modo devastante su ospedali, panifici, impianti idrici” e sulle attività stessa dell’Unrwa. Ma gli appelli per un cessate il fuoco umanitario lanciati dall’Agenzia – che tra le proprie fila conta già più di 70 vittime dei raid israeliani – “cadono nel vuoto”. Senza di esso, avverte Lazzarini, “più persone verranno uccise, coloro che sono vivi subiranno ulteriori perdite e la società, un tempo vivace, sarà in lutto per sempre”.L’Ue ringrazia l’Egitto per l’apertura del varco di RafahDai leader delle istituzioni europee nessuna parola sul bombardamento di Jabalia. In comunicato pubblicato ieri sera, la Commissione Europea ha “accolto con favore l’evacuazione di numerosi cittadini dell’Ue e di altri cittadini stranieri, nonché persone ferite attraverso il valico di frontiera di Rafah tra Gaza e l’Egitto”. La presidente dell’esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, ha “ringraziato calorosamente le autorità egiziane per i loro ammirevoli sforzi volti ad aiutare i cittadini stranieri, il personale delle organizzazioni internazionali e le loro famiglie, compresi i cittadini europei, ad entrare in sicurezza nel loro Paese”. Tralasciando completamente ciò che stava accadendo alla popolazione palestinese nel nord della Striscia.Cittadini stranieri e con doppio passaporto al varco di Rafah, tra Gaza e l’Egitto (credits: Mahmud Hams / Afp))Dal varco al confine tra Egitto e la Striscia di Gaza sono uscite ieri più di 400 persone, 335 cittadini stranieri e palestinesi con doppio passaporto e 76 feriti gravi che non potevano essere assistiti negli ospedali locali ormai allo stremo. Oggi è prevista l’evacuazione di altri 400 cittadini stranieri e di una sessantina di feriti, in totale nei prossimi giorni i cancelli di Rafah dovrebbero restare aperti per circa 7.500 persone, secondo una lista stilata da diversi Paesi e avallata dalle autorità egiziane e israeliane. L’accordo tra Il Cairo e Tel Aviv è stato reso possibile grazie alla mediazione di Stati Uniti e Qatar.Nella dichiarazione la Commissione Ue ha voluto sottolineare di aver già triplicato la sua assistenza umanitaria a Gaza, portandola a 78 milioni di euro, con l’obiettivo di “consentire ai partner di continuare il loro prezioso lavoro umanitario”, e di aver già effettuato 6 voli con oltre 263 tonnellate di aiuti umanitari, preposizionati in Egitto in attesa di una “rapida consegna di assistenza alle persone bisognose a Gaza”.
    Per l’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani i raid sul campo profughi potrebbero essere un crimine di guerra, l’Unicef parla di “scene di carneficina”. Da Bruxelles solo l’Alto rappresentante Josep Borrell si dice “sconvolto dal numero di vittime civili”

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    Conflitto Israele-Palestina: l’Ungheria ostacola l’intesa dei ministri Esteri UE per cessate il fuoco e rilancio dei negoziati di pace

    Bruxelles – Sulla ripresa del conflitto tra Israele e Palestina l’Unione Europea parla come un attore politico e diplomatico unito. Anzi no. Sono bastate 24 ore per affossare il miraggio di vedere tutti e 27 i Paesi membri UE allineati sulla stessa posizione, che in fondo è quella dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: la protezione dei civili, un cessate il fuoco immediato e la ripresa dei negoziati di pace per una soluzione “stabile e duratura, senza adagiarsi sullo status quo che non evita il ritorno della violenza”.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Nel corso del Consiglio Affari Esteri straordinario convocato dallo stesso Borrell per oggi (martedì 18 maggio), è stata l’Ungheria l’unico Stato membro a mettersi di traverso all’intesa di massima raggiunta dai ministri degli Esteri europei (non ci sono state conclusioni ufficiali, dal momento in cui si trattava di un vertice informale). “È stata una riunione intensa”, ha confermato Borrell, “ma ce n’era bisogno, perché i governi nazionali iniziavano a prendere posizioni autonomamente”. Ventisei su ventisette è una maggioranza che lascia l’alto rappresentante “abbastanza soddisfatto, perché partivamo da sensibilità diverse“. Ma l’amarezza per aver sfumato l’obiettivo dell’unanimità ha accompagnato tutta la conferenza stampa e alla fine è stata espressa in modo esplicito: “Sinceramente non riesco a capire come non si possa essere d’accordo con questo testo. Abbiamo bisogno di un orizzonte politico sul breve e sul lungo raggio nella regione, lo status quo non è un’opzione perché è chiaro che la violenza può tornare”.
    Al netto dell’ostacolo ungherese, come già anticipato ieri dal portavoce Peter Stano, per l’Unione Europea “la priorità è far cessare tutte le violenze e implementare il cessate il fuoco”, in modo da permettere di “proteggere i civili e dare accesso agli aiuti umanitari a Gaza“, ha confermato Borrell. “L’escalation tra Israele e Palestina ha causato un numero elevato di vittime, tra cui troppe donne e bambini. Questo è inaccettabile”. Sul breve periodo, l’UE riconosce il “diritto di Israele di difendersi, ma in modo rispettoso delle leggi internazionali e umanitarie” e pretende che “si fermi l’occupazione abusiva di territori palestinesi e le espulsioni da Gerusalemme Est“. Ma sul lungo periodo, “c’è bisogno di una soluzione politica efficace, l’unica che può portare davvero alla pace”: vale a dire, un impegno per “rilanciare i negoziati di pace, rimasti in stallo per troppo tempo”, favorendo il processo democratico anche in Palestina.
    Il dibattito in Parlamento 
    Proprio mentre i ministri degli Esteri concludevano il vertice informale, al Parlamento Europeo si è tenuto il dibattito in plenaria sulla strategia dell’Unione verso Israele e la Palestina. Un dibattito che, come fatto notare con disappunto dall’eurodeputato Pedro Marques (S&D), “si sarebbe potuto posticipare a domani, per permettere all’alto rappresentante UE un confronto con noi”. A suo nome, invece, ha parlato il ministro degli Esteri portoghese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Augusto Santos Silva, che ha posto l’accento sulla necessità di orientare “tutti gli sforzi verso la difesa delle vite umane e la fine dell’escalation di violenza” e ha ricordato i colloqui di Borrell con il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, e il ministro degli Esteri israeliano, Gabi Ashkenazy.
    Il ministro degli Esteri portoghese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Augusto Santos Silva
    Da parte del Consiglio dell’UE c’è stato un tentativo di tenere equidistanza verso le istanze di Israele e della Palestina: “Siamo particolarmente preoccupati per quello che succede a Gaza, sia per i raid aerei di Israele, sia per i razzi lanciati dalla Striscia”. Da una parte, vengono condannati gli “attacchi indiscriminati di Hamas, da cui Israele ha il diritto di difendersi”, ma allo stesso tempo sono considerate “illegali e contro il diritto internazionale le espulsioni di cittadini palestinesi da Gerusalemme Est”.
    Il dibattito in plenaria ha però messo in luce anche profonde divisioni tra i gruppi politici sulle dinamiche del conflitto, con le sinistre che hanno sottolineato la debolezza delle potenze internazionali nel condannare le occupazioni abusive da parte di Israele e le destre che hanno calcato la mano sul diritto del governo guidato da Benjamin Netanyahu di difendersi da organizzazioni terroristiche come Hamas. In mezzo, il PPE e Renew Europe, che hanno mantenuto una linea più aderente a quella dell’alto rappresentante Borrell: “Il lancio di razzi da Gaza non ha alcuna giustificazione, ma Israele deve rispondere con moderazione”, ha predicato calma David McAllister (PPE), sostenendo la necessità di un fronte unito con gli Stati Uniti, l’Egitto e la Giordania. Per Hilde Vautmans (Renew Europe), “finché le due parti saranno provocate da estremisti, non ci sarà pace” e per questo “dobbiamo lavorare a un nuovo accordo di Oslo e trovare una posizione comune anche in Parlamento”.
    L’eurodeputata del Partito Democratico, Pina Picierno (S&D)
    Da parte del gruppo S&D, Maria Arena ha accusato che “voler mettere fine alle ostilità senza considerare le cause del conflitto, significa voler riscrivere i fatti”. E mentre viene chiesto un cessate il fuoco, “l’equidistanza oggi ci disturba, perché dimentichiamo che ci troviamo di fronte a occupazioni abusive e un regime di apartheid, come ci dicono ONG internazionali e israeliane”. È per questo che serve una “pace durevole, ma per tutti”, che per la collega italiana Pina Picierno (PD) passa dall’impegno per la democrazia e l’affermazione dei diritti civili e politici anche in Palestina: ” Siamo rimasti impotenti per anni, mentre i terroristi di Hamas hanno messo da parte la classe politica palestinese. Dobbiamo ribaltare questa tendenza”.
    Anche per Jordi Solé (Verdi/ALE) la sola de-escalation “porterebbe a una situazione di ordinaria amministrazione, mentre sul terreno c’è un’ingiustizia di fondo che la comunità internazionale non riconosce”. La co-presidente del gruppo della Sinistra al Parlamento UE, Manon Aubry, definendosi “ardente partigiana per una soluzione pacifica che contempli due Stati”, ha ribadito che “non ci sarà soluzione duratura al conflitto senza porre fine alla colonizzazione israeliana e tornare al rispetto delle risoluzioni ONU“.
    Dura la replica dalle destre europee: “Accettereste mai un’organizzazione terroristica che attacca il vostro Paese democratico?”, ha tuonato Charlie Weimers (ECR). “Ecco perché dobbiamo sostenere Israele contro un gruppo che cerca la sua distruzione”. Secondo Anna Bonfrisco (ID), “Israele è un partner affine nell’area più strategica per l’Europa, mentre Hamas sponsorizza solo l’odio e attacca la democrazia”. Per questa ragione, “la pace che dia impulso alla rinascita economica della regione va costruita con Israele”.

    L’amarezza dell’alto rappresentante Borrell al termine del vertice straordinario: “Non capisco come si possa non essere d’accordo su queste priorità”. Ma anche la plenaria del Parlamento Europeo mostra divisioni tra gruppi politici su soluzioni e responsabilità per l’escalation di violenza

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    Conflitto Israele-Palestina, “proteggere i civili” è la priorità di Bruxelles. Domani riunione straordinaria dei ministri Esteri UE

    Bruxelles – A una settimana esatta dalla ripresa del conflitto tra Israele e Palestina, il quadro della situazione può essere tracciato da pochi – ma tragici – numeri: 197 palestinesi sono stati uccisi dai raid aerei israeliani su Gaza, tra cui almeno 58 bambini e 34 donne, e altri 1.235 feriti, mentre 10 israeliani hanno perso la vita a causa dei razzi lanciati da Hamas verso il sud del Paese (lo riportano rispettivamente il ministero della Salute palestinese e le Forze di Difesa israeliane). È la più grave escalation di violenza dal 2014 a oggi, che sta mettendo le diplomazie mondiali di fronte a grossi interrogativi sulle modalità di difesa di Israele e sul suo ininterrotto processo di occupazione abusiva dei territori palestinesi.
    Mentre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sta cercando (al momento senza successo) di trovare una posizione comune per un cessate il fuoco “immediato”, come confermato dal segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, anche l’Unione Europea si sta muovendo per “agire come un attore politico e diplomatico unito“. Lo ha spiegato oggi (lunedì 17 maggio) Peter Stano, portavoce dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, commentando la convocazione d’urgenza dei ministri degli Affari esteri UE di domani. “La riunione straordinaria ci permetterà di capire come affrontare al meglio l’escalation di violenza a Gaza, in Israele e nei territori palestinesi occupati”, ha riferito alla stampa, ponendo l’accento sul fatto che “la nostra priorità è la de-escalation, proteggere i civili e trovare soluzioni sostenibili sul lungo periodo“.

    In view of the ongoing escalation between Israel and Palestine and the unacceptable number of civilian casualties, I am convening an extraordinary VTC of the EU Foreign Ministers on Tuesday. We will coordinate and discuss how the EU can best contribute to end the current violence
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) May 16, 2021

    Traspare cautela dalle parole di Stano che, pressato dai giornalisti, ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte. Da una parte, “è sempre stata chiara” la posizione di Bruxelles sulle colonie israeliane e le relative espulsioni di cittadini palestinesi nei territori occupati: “Sono illegali e non in linea con la legge internazionale, perché impediscono il raggiungimento di una soluzione stabile nella regione“. Ma allo stesso tempo, “non dobbiamo dimenticare che Hamas ha iniziato a lanciare razzi indiscriminatamente su Israele, con l’obiettivo di colpire civili”, e questo per Bruxelles è “un atto terroristico inaccettabile”. In questo senso si definisce il “diritto di Israele di difendersi”, anche se l’UE ribadisce che la risposta “deve essere proporzionata e non deve violare le leggi internazionali”.
    A questo proposito va ricordata la polemica con il governo di Benjamin Netanyahu sull’abbattimento dell’edificio al-Jala in pieno centro a Gaza (lo scorso sabato 15 maggio), dove avevano sede al-Jazeera e diverse agenzie internazionali di informazione, tra cui Associated Press. “L’attacco israeliano è estremamente preoccupante, perché la sicurezza dei giornalisti è essenziale, specialmente in aree di conflitto“, ha commentato il portavoce della Commissione UE. “I media devono poter lavorare in uno scenario sicuro e riportare cosa sta accadendo in modo libero e indipendente”. Ma, aldilà degli operatori dell’informazione, il vero punto focale è la protezione dei civili: “Ogni vita persa è una tragedia e stiamo lavorando con i partner per fermare questa escalation”. L’obiettivo è ambizioso: “Dobbiamo cercare di risolvere il problema alla radice, ovvero puntare alla soluzione sostenibile e duratura dei due Stati indipendenti“. Serviranno ancora ventiquattro ore per capire se e come i Paesi membri UE riusciranno a spingere in questa direzione in modo unito.

    Non si ferma il lancio di razzi di Hamas verso il sud del Paese e i raid israeliani su Gaza, mentre si aggrava il bilancio delle vittime. I Ventisette convocati d’urgenza dall’alto rappresentante Borrell per rispondere all’escalation di violenza “come un attore politico e diplomatico unito”

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    Tensione a Gaza, l’UE invita alla de-escalation e alla protezione dei civili

    Bruxelles – L’Unione Europea è coinvolta in un’intensa attività diplomatica da quando lunedì 10 maggio sono ricominciate nuove tensioni tra Palestina e Israele. Lo ha riferito durante il punto giornaliero con la stampa Peter Stano, il portavoce dell’Alto Rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza comune, interpellato sulla posizione di Bruxelles sugli scontri che hanno nuovamente infiammato il conflitto tra le due parti nell’area.
    “Da quando le tensioni sono ricominciate l’UE è impegnata a parlare e a lavorare con le parti a livello internazionale”, ha affermato il portavoce. Le priorità per l’Unione restano la de-escalation e la protezione delle vite dei civili e quindi il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di “tutte e due i fronti”.
    In un comunicato l’Alto Rappresentante Josep Borrell ha definito “inaccettabile” il lancio dei razzi organizzato da Gaza verso la popolazione civile israeliana. “La violenza degli ultimi giorni dimostra la necessità di rilanciare i negoziati per cercare una soluzione pacifica sostenibile per l’attuale situazione, l’orizzonte politico deve essere ristabilito”, ha continuato Stano. Il portavoce ha anche dichiarato che gli sforzi dell’UE si stanno tutti concentrando sulla ripresa di un negoziato diretto che promuova la soluzione dell’esistenza di due Stati, uno di Israele e uno di Palestina.
    I missili lanciati da Gaza sono stati una risposta agli scontri registratisi lunedì mattina sulla Spianata delle Moschee, il principale sito religioso palestinese nella città di Gerusalemme. A fronte dei trecento feriti comunicati, Hamas, il movimento radicale che controlla la Striscia di Gaza ha lanciato decine di razzi verso lo Stato ebraico senza provocare morti. La reazione di Tel Aviv non si è fatta attendere: l’aviazione israeliana ha colpito 140 obiettivi militari a Gaza e ora minaccia un’operazione di terra. Le autorità palestinesi finora parlano di 20 morti e decine di feriti.

    Dopo gli scontri alla Spianata delle Moschee la risposta di Gaza e la successiva ritorsione da parte di Tel Aviv. Bruxelles tenta di mediare: “L’orizzonte politico deve essere ristabilito”