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    Von der Leyen lancia l’Alleanza globale contro il traffico di persone migranti: “Prevenzione, risposta e alternative legali”

    Bruxelles – L’annuncio era arrivato a metà settembre, durante l’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione, e dopo due mesi l’Alleanza globale per contrastare il traffico di persone migranti si è riunita per la prima volta a Bruxelles per tentare di definire il campo d’azione e i partenariati internazionali necessari per “combattere questa attività criminale e fermare questa intollerabile sofferenza umana”. Ad aprire oggi (28 novembre) la prima conferenza internazionale della nuova Alleanza è stata la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, con un intervento che non solo ha tracciato le tre direttrici dell’azione globale contro il traffico di persone migranti, ma che ha anche anticipato il lavoro in corso per l’aggiornamento della legislazione comunitaria in materia.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (28 novembre 2023)“Sappiamo quanto è difficile, ma dove siamo riusciti a unire le forze con i Paesi vicini e lontani e con le organizzazioni internazionali, i progressi stanno già accadendo”, ha esordito la numero uno della Commissione, facendo subito un riferimento all’Italia (rappresentata alla conferenza di oggi dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi). “A settembre ero a Lampedusa, una delle porte tra Europa e Africa”, quando – insieme con la premier Giorgia Meloni – è stato lanciato un piano d’azione in 10 punti (che ha però nascosto alcuni punti controversi tra Roma e Bruxelles): “Da allora abbiamo migliorato la situazione con un duro lavoro insieme all’Italia, le agenzie Onu e la Tunisia”. Tuttavia von der Leyen ha voluto ricordare che “la gestione della crisi è importante, ma non è abbastanza, dobbiamo costruire una risposta sistemica” sulla base dei partenariati anti-traffico “che abbiamo creato in questi anni con i Balcani Occidentali e con altri Paesi-chiave ai nostri confini, come Marocco e Tunisia”.Di qui si arriva alla necessità secondo la leader della Commissione Ue di una “più ampia cooperazione globale“, che affronti la “natura internazionale delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti e operano in modo trans-frontaliero lungo tutte le rotte migratorie”. La nuova Alleanza “dovrebbe essere globale non solo in senso geografico, ma anche nei suoi obiettivi: focalizzata sulla prevenzione, sulla riposta e sulle alternative legali“. La direttrice più urgente è quella della risposta al traffico di persone migranti, che coinvolge da vicino Bruxelles. “Stiamo lavorando a livello Ue per aggiornare la nostra legislazione anti-traffico che è vecchia di 20 anni“, ha annunciato von der Leyen, riferendosi alla direttiva del 2002 che stabilisce una definizione comune del reato di favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali. “Lo faremo con un aggiornamento della definizione di crimine di traffico di migranti, un rafforzamento delle sanzioni, un’estensione della giurisdizione, un miglioramento della cooperazione e con un centro europeo di coordinamento”, sono le linee anticipate dalla leader della Commissione Ue.Da sinistra: la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (28 novembre 2023)Per quanto riguarda le altre due direttrici della conferenza presieduta dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, è considerata “essenziale” la dissuasione delle persone migranti “dal mettersi nelle mani dei trafficanti”, ha spiegato von der Leyen, parlando di “campagne informative e lotta contro le pubblicità sui social media degli attraversamenti illegali con pagamenti digitali”. Sul piano delle “alternative legali per le persone che vogliono cercare fortuna all’estero“, la stessa leader della Commissione ha voluto sottolineare che “è un interesse di tutti, in Europa la carenza di manodopera ha raggiunto livelli record, mentre in altri continenti ci sono milioni di persone che cercano lavoro e istruzione”, anche se le iniziative per l’abbinamento di domanda e offerta di lavoro vanno di pari passo con “il ritorno di persone irregolari nei Paesi di origine”. Dalla conferenza di oggi a Bruxelles parte il lavoro di un gruppo di esperti a livello tecnico per portare avanti le tre direttrici, prima di una nuova conferenza fra un anno. “È l’inizio di un percorso condiviso, per questo lanciamo un invito all’azione aperto a tutti quelli che vogliono unirsi in questa missione“, dalle istituzioni Ue alle agenzie Onu, fino a governi, autorità nazionali, organizzazioni internazionali e piattaforme online: “Con l’Alleanza globale possiamo iniziare una nuova era di cooperazione”, è la promessa di von der Leyen.Cosa prevede la proposta Ue contro il traffico di persone migrantiLa commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson (28 novembre 2023)Al termine della conferenza sull’Alleanza globale, è stata la commissaria Johansson a dettagliare alla stampa la proposta vera e propria dell’esecutivo comunitario per l’aggiornamento del quadro legislativo con “norme minime” rispetto alla direttiva del 2002. Il primo dei cinque obiettivi è quello di arrivare a “una definizione più chiara del reato di traffico”, compresa “l’istigazione pubblica a entrare nell’Ue senza autorizzazione”, che diventerà “un reato penale” (così come la strumentalizzazione messa in atto da attori statali, “per esempio quello che sta facendo ora la Russia alla frontiera con la Finlandia“, ha precisato Johansson). Il secondo obiettivo è quello dell’armonizzazione delle sanzioni, con un innalzamento del massimo della pena detentiva da 8 a 15 anni per “casi di reati aggravati”. Il terzo obiettivo è far in modo che la giurisdizione degli Stati membri si applichi anche in acque internazionali in caso di morte delle persone a bordo di un’imbarcazione o di reati commessi a bordo di navi o aerei immatricolati negli Stati membri. In ogni caso la Commissione Ue precisa chiaramente che “attività come l’assistenza umanitaria da parte delle Ong, l’adempimento di un obbligo legale di ricerca e salvataggio, l’assistenza da parte dei familiari e degli stessi migranti non devono essere criminalizzate“.L’aggiornamento della legislazione comunitaria riguarda “risorse adeguate” per gli Stati membri “per garantire un’efficace prevenzione, indagine e perseguimento dei trafficanti” e il miglioramento della raccolta e della comunicazione dei dati statistici “su base annuale”. È anche per questo motivo che la proposta della Commissione Ue prevede un nuovo Regolamento per rafforzare il ruolo di Europol e la cooperazione tra agenzie nella lotta contro il traffico di persone migranti e la tratta di esseri umani. Il Centro europeo apposito “sarà rafforzato e sostenuto” dagli Stati membri, da Eurojust, Frontex e dalla Commissione Europea, per la produzione di relazioni annuali, analisi strategiche, valutazioni delle minacce e azioni investigative. Il Regolamento include concetti di “task force” e “dispiegamento di Europol per il supporto operativo”, definiti “strumenti avanzati di coordinamento e supporto analitico, operativo, tecnico e forense” agli Stati membri, mentre non cambia il quadro operativo in Paesi terzi, “che può avvenire solo con accordi bilaterali”, ha precisato Johansson.
    A margine della conferenza a Bruxelles, l’esecutivo Ue ha presentato anche l’aggiornamento della legislazione comunitaria anti-traffico “vecchia di 20 anni”, attraverso il rafforzamento delle sanzioni, l’estensione della giurisdizione e il miglioramento della cooperazione con Europol

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    L’Ue ha siglato un nuovo accordo con il Montenegro per dispiegare Frontex lungo tutte le frontiere del Paese

    Bruxelles – Il secondo Paese dei Balcani Occidentali, il terzo partner dell’Ue candidato all’adesione che a partire dal primo luglio garantirà il dispiegamento provvisorio degli agenti Frontex anche lungo le frontiere non comuni con l’Unione. Il Montenegro ha siglato oggi (16 maggio) un accordo con la Commissione Europea sul nuovo mandato dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che consentirà di organizzare operazioni congiunte e di dispiegare squadre di gestione delle frontiere nel Paese balcanico candidato all’adesione.
    La commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, e il ministro degli interni del Montenegro, Filip Adžić
    L’accordo tra Bruxelles e Podgorica è stato firmato al Palazzo del Berlaymont (sede dell’esecutivo comunitario) tra la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, il ministro degli interni montenegrino, Filip Adžić, e il ministro svedese per la Giustizia e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Gunnar Strömmer, a uno solo giorno dal via libera dei 27 titolari Ue per la Giustizia e gli Affari interni. “L’intero processo è stato estremamente efficiente e ha definito uno standard su cui future negoziati saranno misurate, sono passati solo sei mesi dall’inizio dei negoziati e dalla presentazione del Piano sulla rotta balcanica”, ha commentato la commissaria Johansson nel corso della cerimonia di firma dell’intesa. Dal primo luglio l’intesa sarà applicata in maniera provvisoria, in attesa del via libera definitivo dal Parlamento Ue. “La migrazione è una sfida che possiamo affrontare solo se siamo uniti”, ha aggiunto Johansson, sottolineando che “dobbiamo implementare un modello di gestione delle frontiere sicuro, dignitoso e che assicuri che chi ha diritto alla protezione possa averne accesso”.
    L’accordo con Podgorica si inserisce nell’ambito del nuovo regolamento di Frontex del 2019, che prevede l’assistenza dell’Agenzia Ue ai Paesi partner in tutto il territorio nazionale e non solo nelle regioni confinanti con l’Unione: il Montenegro è il caso più esemplificativo, dal momento in cui è l’unico Paese balcanico a non avere alcun tratto di confine in comune con l’Ue (si potrebbe dire lo stesso del Kosovo, ma rimane ancora un buco nero per l’assenza di unanimità tra i Ventisette sul riconoscimento della sua sovranità e di conseguenza di un accordo in vigore con Frontex). L’accordo così negoziato consentirà all’Agenzia di assistere le autorità di Podgorica nella gestione delle persone migranti in arrivo, nel contrastare l’immigrazione irregolare e nell’affrontare la criminalità trans-frontaliera e – a differenza del precedente mandato – con poteri esecutivi, come i controlli di frontiera e la registrazione delle persone. In altre parole, i corpi permanenti dell’Agenzia Ue saranno dispiegati con pieni poteri esecutivi lungo i confini del Paese balcanico con Albania, Serbia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo.
    Gli accordi Frontex con i Balcani Occidentali
    Il dispiegamento degli agenti Frontex su tutte le frontiere del Montenegro si basa sulla decisione dello scorso 18 novembre da parte del Consiglio dell’Ue di autorizzare la Commissione ad avviare negoziati con tutti i Paesi dei Balcani Occidentali e con la Repubblica di Moldova per ampliare gli accordi sulla cooperazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, su raccomandazione dello stesso esecutivo comunitario il 26 ottobre.
    Gli accordi sullo status di Frontex nell’ambito del precedente mandato dell’Agenzia europea erano stati conclusi con l’Albania nell’ottobre 2018, con il Montenegro nell’ottobre 2019 e con la Serbia un mese più tardi, mentre dal 2017 è in stallo quello con la Bosnia ed Erzegovina, mai firmato dal momento dell’entrata in vigore del regolamento rivisto.
    Al momento sono tre i Paesi con cui è entrato in vigore il nuovo mandato Frontex: Moldova, Macedonia del Nord e Montenegro (rimangono ancora Albania, Bosnia ed Erzegovina e Serbia). L’accordo con Chișinău è arrivato nel marzo dello scorso anno, seguito a sette mesi di distanza da quello con Skopje, nel corso della tappa nella capitale macedone della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (nel contesto del suo viaggio nei Balcani Occidentali). Il 26 ottobre la numero uno dell’esecutivo comunitario ha dato il benestare al dispiegamento dei corpi Frontex sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). Si è trattato del primo documento ufficiale firmato dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue della Macedonia del Nord, in cui ha rivestito un ruolo significativo la traduzione anche in lingua macedone.

    Con l’intesa firmata dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, i corpi permanenti dell’Agenzia potranno operare anche alle frontiere interne del partner balcanico. Lo stesso è stato fatto con Macedonia del Nord e Moldova (in attesa di Albania, Bosnia ed Erzegovina e Serbia)

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    La commissaria Johansson è in Tunisia per spingere la cooperazione sulla migrazione e le riforme chieste dall’Fmi

    Bruxelles – La Commissione Europea torna in Tunisia, un mese dopo. La titolare per gli Affari interni, Ylva Johansson, è a Tunisi per una serie di incontri con i membri del governo per cercare di rafforzare la cooperazione su due temi principali: migrazione e stabilità socio-economica del Paese, con l’accento posto sul programma di riforme da accettare per sbloccare un finanziamento da 1,9 miliardi di dollari. Ma, a differenza di quanto anticipato a margine dell’ultimo Consiglio Europeo di marzo dalla stessa commissaria Johansson, si tratta di un viaggio in solitaria: nessun membro del governo italiano o di quello francese l’ha accompagnata a Tunisi.
    “La commissaria Johansson è in Tunisia, in una della serie di missioni nel Paese da parte della Commissione”, ha annunciato oggi (26 aprile) nel corso del punto quotidiano con la stampa europea la portavoce responsabile per gli Affari interni, Anitta Hipper, facendo riferimento anche a quella del commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni, dello scorso 27 marzo. Interpellata dai giornalisti sull’assenza di ministri italiani e francesi, la portavoce dell’esecutivo comunitario non ha risposto nel merito, sottolineando invece che “la visita rafforzerà il partenariato strategico nell’ambito di un approccio Team Europe”. Da Roma invece i portavoce del ministro per gli Interni, Matteo Piantedosi (il più quotato insieme all’omologo francese, Gérald Darmanin), smentiscono impegni istituzionali del Viminale a Tunisi per oggi: “Non era previsto e non va, la commissaria rappresenta tutti gli Stati membri“, è il commento rilasciato a Eunews, con la precisazione che i contatti bilaterali tra il ministro e la Tunisia “sono costanti”.
    Per quanto riguarda l’agenda della commissaria Johansson, nel corso della visita incontrerà il ministro dell’Interno, Kamel Feki, degli Affari sociali, Malek Ezzah, e degli Affari Esteri, Nabil Ammar, con le discussioni che si concentreranno sulla “lotta congiunta al traffico di migranti per contribuire alla prevenzione della migrazione irregolare, ai rimpatri e alla reintegrazione, garantendo la protezione dei migranti più vulnerabili e la migrazione legale”, rende noto la Commissione Ue. Sul tavolo c’è l’intenzione di definire un partenariato operativo contro il traffico di esseri umani, con l’obiettivo di “prevenire le partenze e le perdite di vite umane e aumentare i rimpatri”, di fronte a un aumento di partenze irregolari – oltre 30 mila dall’inizio dell’anno – dal Paese nord-africano che sta affrontando una situazione economica disastrosa.
    La Tunisia tra crisi politica e prestiti dell’Fmi
    A questo proposito, la questione migratoria si lega strettamente alla crisi politica in Tunisia, legata all’autoritarismo crescente del presidente Kais Saied. Mentre da mesi sono in corso le repressioni delle manifestazioni popolari (che hanno portato pochi giorni fa all’arresto di Rached Ghannouchi, leader del principale partito di opposizione Ennahda, islamista e moderato), il 6 aprile Saied ha respinto le condizioni del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) per l’erogazione di un finanziamento da 1,9 miliardi di dollari. “Stiamo aspettando che la Tunisia chiuda l’accordo con l’Fmi per procedere con un potenziale ulteriore pacchetto di assistenza macro-finanziaria da parte dell’Ue“, ha confermato alla stampa la portavoce per i Partenariati internazionali, Ana Pisonero, il contenuto del non-paper fatto circolare tra i Ventisette la settimana scorsa. Il valore del pacchetto non è stato reso noto, ma è stato sottolineato con forza che l’accordo sul programma di riforme economiche e politiche richieste dal Fondo Monetario Internazionale è una “pre-condizione” per qualsiasi altro supporto oltre a quello bilaterale Ue-Tunisia.
    La stessa portavoce della Commissione ha ricordato che per il periodo 2021-2024 l’assistenza bilaterale prevista per Tunisi è di 600 milioni di euro e con tre priorità fondamentali: “Buona governance e Stato di diritto, stimolo alla crescita economica e rafforzamento della coesione sociale”. A oggi è stato già adottato un primo programma dal valore di 50 milioni per l’azione ambientale, un altro per mitigare le conseguenze della pandemia Covid-19 da 100 milioni di euro e infine un ultimo programma di supporto all’educazione e alla sicurezza alimentare.

    La titolare per gli Affari interni dell’esecutivo Ue incontrerà i membri del governo tunisino ma senza la ‘scorta’ italiana o francese (come annunciato). Pronto a un pacchetto di assistenza macro-finanziaria per Tunisi, se accetterà il piano di riforme del Fondo Monetario Internazionale

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    L’Ue al fianco della Moldova nella lotta contro i disordini sobillati dalla Russia: “Supporto incrollabile a Chișinău”

    Bruxelles – Dopo l’allarme, la reazione. Le autorità della Repubblica di Moldova hanno annunciato di aver arrestato sette persone con l’accusa di favoreggiamento di disordini durante le proteste antigovernative filo-russe di ieri (12 marzo). Una rete “orchestrata da Mosca” per destabilizzare la situazione interna al Paese candidato all’adesione all’Unione Europea, di cui farebbero parte cittadini moldavi e “agenti russi” inviati direttamente dal Cremlino per organizzare “disordini di massa” a Chișinău.
    Proteste anti-governative a Chișinău, Moldova, il 12 marzo 2023 (credits: Daniel Mihailescu / Afp)
    “Congratulazioni alla polizia moldava, che ha arrestato persone sospettate di aver pagato per promuovere disordini filorussi e antigovernativi”, è il commento della commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, ricordando che “il sostegno dell’Ue alla Moldova rimane essenziale“. Una dimostrazione è stata la riunione di venerdì (10 marzo) del Nucleo di sostegno Ue insieme alla ministra degli Interni moldava, Ana Revenco, in cui è stata firmata una lettera di intenti con Europol per garantire un supporto nella lotta al crimine organizzato. A margine dello stessa riunione a Bruxelles la ministra Revenco ha avvertito che “la Repubblica di Moldova è la seconda linea dell’aggressione russa contro l’Ucraina”. Nel corso della giornata di ieri migliaia di manifestanti filo-russi hanno marciato nella capitale del Paese, guidati da esponenti di Șor, il partito di Ilan Shor, oligarca moldavo sanzionato nell’ottobre dello scorso anno dagli Stati Uniti per la sua vicinanza al governo russo (la stessa cosa il governo moldavo chiede a Bruxelles di fare) e oggi in esilio in Israele per proteggersi da un furto bancario da 1 miliardo di dollari.
    Prima della riunione con la commissaria Johansson la ministra Revenco aveva fatto un riferimento implicito alle responsabilità anche di Shor nel rischio di colpo di Stato in Moldova, parlando di “sforzi e risorse di Mosca, gruppi di interesse e oligarchi fuggiti per aumentare il livello di destabilizzazione nel Paese”. Le autorità di polizia hanno anche informato che nell’ultima settimana è stato negato l’ingresso in Moldova a 182 cittadini stranieri – tra cui un “possibile rappresentante” del gruppo militare privato russo Wagner – mentre l’agenzia anti-corruzione ha effettuato un sequestro pari a oltre 200 mila euro per un presunto finanziamento illegale di Șor da parte di un gruppo di criminalità organizzata legato a Mosca. “La Moldova è uno dei Paesi più negativamente colpiti dalle conseguenze della guerra russa in Ucraina, negli ultimi mesi è diventato sempre più target degli attacchi ibridi e della disinformazione russa”, ha ricordato alla stampa il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano: “L’obiettivo è chiaro, minare e destabilizzare il Paese e le sue riforme anti-corruzione del governo pro-Ue”.
    Nelle ultime settimane si sono svolte diverse proteste da parte del gruppo Movimento per il Popolo – che riunisce diversi gruppi, associazioni e partiti filo-russi come Șor – per spingere la presidente europeista Maia Sandu a rassegnare le dimissioni. Non è un caso se poco meno di un mese fa Sandu ha confermato un report dell’intelligence ucraina, secondo cui il Cremlino ha messo in atto un piano per “rompere l’ordine democratico e stabilire il controllo” russo sul Paese candidato all’adesione Ue: l’obiettivo sarebbe “un cambio di potere a Chișinău”, attraverso “azioni violente, mascherate da proteste della cosiddetta opposizione“, con il coinvolgimento di “cittadini stranieri”. Per sostenere la leadership moldava, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha telefonato ieri alla presidente Sandu: “Il sostegno dell’Ue è incrollabile“, ha confermato il numero uno del Consiglio, precisando che è necessario “continuare a lavorare insieme in questa nuova fase di relazioni strategiche”. La conversazione telefonica è stata anche un’occasione per discutere della seconda riunione della Comunità Politica Europea, che il primo giugno porterà i capi di Stato e di governo dei Paesi proprio a Chișinău, ma anche della “determinazione della Moldova a portare avanti le riforme e gli sforzi per avanzare sulla strada Ue”.
    Le tensioni interne in Moldova
    Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio 2022 sono aumentate le tensioni nella Repubblica di Moldova e in particolare nell’autoproclamata Repubblica filo-russa della Transnistria, nell’est del Paese, con attacchi a Tiraspol e lungo il confine con l’Ucraina (primi segnali di strategia di destabilizzazione russa e di tentativo di trovare un pretesto per un possibile intervento armato). Nell’ultimo mese si sono registrati sempre più numerosi atti di provocazione palese di Mosca, con missili che attraversano lo spazio aereo della Repubblica di Moldova in direzione del territorio ucraino, mentre lo scorso 9 febbraio il presidente Volodymyr Zelensky ha informato per primo i 27 leader Ue (come poi confermato dalla presidente Sandu) del piano del Cremlino per “rompere l’ordine democratico e stabilire il controllo” russo sul Paese che ha ottenuto lo status di candidato dal 23 giugno dello scorso anno.
    Sul piano politico la situazione è particolarmente delicata, con le dimissioni dimissioni a sorpresa dello scorso 10 febbraio da parte della prima ministra europeista, Natalia Gavrilița. A succederle è stato scelto l’ex-segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza ed ex-ministro degli Affari Interni, Dorin Recean, che ha subito tranquillizzato sul fatto che sicurezza, economia e integrazione Ue saranno le priorità del governo, a partire dalla “realizzazione di tutte le condizioni per l’adesione all’Unione Europea” nel più breve tempo possibile. La Moldova aveva fatto richiesta formale per aderire all’Ue il 3 marzo dello scorso anno, a una settimana dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ricevendo il via libera della Commissione tre mesi più tardi e il successivo benestare del Consiglio Ue alla concessione dello status di Paese candidato il 23 giugno.

    La polizia ha arrestato sette persone legate al Cremlino durante le proteste antigovernative guidate da Șor, il partito filo-russo dell’oligarca Ilan Shor. Colloquio telefonico tra i presidenti del Consiglio Ue, Charles Michel, e del Paese candidato all’adesione Ue, Maia Sandu

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    La Moldova mette in guardia i Ventisette: “Ci troviamo sulla strada di Putin verso l’obiettivo di disunire l’Europa”

    Bruxelles – L’avvertimento che arriva da Chișinău è sempre più urgente. “La Repubblica di Moldova è la seconda linea dell’aggressione russa contro l’Ucraina, ci troviamo solo sulla strada di Mosca per rompere la stabilità e l’unione in Europa”, è l’allarme lanciato dalla ministra degli Interni moldava, Ana Revenco, a Bruxelles oggi (10 marzo) in occasione della quinta riunione del Nucleo di sostegno Ue al Paese dell’Europa orientale: “L’obiettivo di Putin sono la democrazia e la pace in Europa, noi dobbiamo lavorare con operazioni congiunte per affrontare tutte le conseguenze di questa guerra”.
    Approfondendo la questione, la ministra Revenco ha sottolineato che “la lotta degli ucraini mantiene distante il fronte da noi, ma in Moldova sentiamo ogni giorno le conseguenze e la complessità della crisi”, determinata dalla convergenza di “sforzi e risorse di Mosca, gruppi di interesse e oligarchi fuggiti per aumentare il livello di destabilizzazione nel Paese“. Poco meno di un mese fa la presidente della Moldova, Maia Sandu, ha confermato il report dell’intelligence ucraina, secondo cui il Cremlino ha messo in atto un piano per “rompere l’ordine democratico e stabilire il controllo” russo sul Paese candidato all’adesione Ue. Dopo diversi tentativi nel corso dell’ultimo anno il piano di Mosca “prevede azioni che coinvolgono diversivi con addestramento militare, camuffati in abiti civili, che avrebbero intrapreso azioni violente, effettuato attacchi a edifici di istituzioni statali o addirittura preso ostaggi”, è stato l’attacco della presidente Sandu in conferenza stampa lo scorso 13 febbraio. L’obiettivo sarebbe “un cambio di potere a Chișinău”, attraverso “azioni violente, mascherate da proteste della cosiddetta opposizione”, con il coinvolgimento di “cittadini stranieri”.
    A Bruxelles la ministra degli Interni moldava ha confermato che la situazione della sicurezza del Paese “continua a essere estremamente volatile“, con il rischio reale di “cambiare il corso democratico” in Moldova. “Questo influenza il modo in cui vediamo la pace e l’essere parte dell’Unione Europea”, ha ribadito Revenco, che nella richiesta di “unire gli sforzi per rispondere le minacce alla democrazia in Europa” ha trovato nella commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, una solida sponda: “La Moldova riveste un ruolo chiave per l’Ue, perché beneficia del nostro supporto ma fornisce anche un sostegno alla nostra sicurezza comune”. Con conferme alla visione di Chișinău sulle mire del Cremlino: “Putin non vuole solo distruggere l’Ucraina come Paese, popolo e cultura, Putin vorrebbe destabilizzare, disunire e distruggere tutta l’Unione Europea“.
    La situazione interna alla Repubblica di Moldova
    È dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio 2022 che sono aumentate le tensioni nell’autoproclamata Repubblica filo-russa della Transnistria, nell’est del Paese, lungo il confine con l’Ucraina. Nell’ultimo mese si sono però registrati sempre più numerosi atti di provocazione palese di Mosca, con missili che attraversano lo spazio aereo della Repubblica di Moldova in direzione del territorio ucraino. Il tutto a meno di tre mesi dalla seconda riunione della Comunità Politica Europea, che il primo giugno porterà i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’intero continente proprio nella capitale del Paese che ha ottenuto lo status di candidato il 23 giugno dello scorso anno.
    Anche sul piano politico la situazione è particolarmente instabile. Non solo per le parole della presidente Sandu che hanno confermato il timore dei servizi segreti di piani russi per il rovesciamento del regime democratico nel Paese, ma anche per il cambio di governo a sorpresa. Lo scorso 10 febbraio si è dimessa la prima ministra europeista, Natalia Gavrilița, accusando l’opinione pubblica nazionale di non sostenere il processo verso l’adesione Ue “come i partner internazionali”. A succederle è stato scelto l’ex-segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza ed ex-ministro degli Affari Interni, Dorin Recean, che ha subito tranquillizzato sul fatto che sicurezza, economia e integrazione Ue saranno le priorità del governo: “A partire dalla Seconda Guerra Mondiale non abbiamo mai corso rischi come quelli attuali, dobbiamo consolidare il sistema di sicurezza in modo tale che tutti i cittadini si sentano protetti”, anche e soprattutto attraverso la “realizzazione di tutte le condizioni per l’adesione all’Unione Europea” nel più breve tempo possibile.

    In occasione della riunione del Nucleo di sostegno Ue la ministra degli Interni moldava, Ana Revenco, ha parlato di “situazione estremamente volatile” per la sicurezza del Paese, di fronte ai tentativi di destabilizzazione russi: “Siamo la seconda linea dell’aggressione all’Ucraina”

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    L’affondo della commissaria Johansson sulla legge sulla migrazione del Regno Unito: “Contro diritto internazionale”

    Bruxelles – È difficile sentire nelle sale stampa delle istituzioni comunitarie attacchi diretti alle politiche nazionali di Paesi terzi, soprattutto di quelli di altri Paesi europei extra-Ue. Ma il Regno Unito e la sua nuova proposta di legge sulla migrazione sono un’eccezione dettata non solo dall’appartenenza di Londra all’Unione fino a pochi anni fa, ma soprattutto dai punti particolarmente controversi della politica migratoria perseguita dal governo di Rishi Sunak.
    La commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson
    “Quando ho sentito di questa legge ho avuto subito l’impressione che si trattasse di una violazione degli accordi internazionali e della Convenzione di Ginevra“, è il commento senza filtri della commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, a margine del Consiglio Affari interni di ieri (9 marzo). Una prima “reazione a caldo” esternata anche alla segretaria di Stato per gli Interni britannica, Suella Braverman, nel corso di una conversazione telefonica “ancora prima che la proposta venisse presentata” alla Camera dei Comuni martedì (7 marzo): “Mi ha contattata due giorni fa, presentandomi per telefono la nuova proposta di legge” sulla migrazione del Regno Unito. “Le ho detto proprio di temere che questa misura potrebbe essere una violazione del diritto internazionale” e della Convenzione sullo status del rifugiati del 1951, ha reso noto la stessa commissaria Johansson, lasciando intendere un botta e risposta con Braverman: “Mi ha detto di non essere d’accordo, le ho risposto che esamineremo il progetto di legge e faremo una valutazione più approfondita“.
    “A prima vista” si tratterebbe di una violazione degli accordi internazionali sullo statuto dei rifugiati, come si legge nella Convenzione del 1951 sottoscritta dal Regno Unito: “I Paesi non devono imporre sanzioni ai rifugiati per il loro ingresso e la loro presenza illegale sul territorio, a condizione che si presentino alle autorità e dimostrino una buona causa”, e devono inoltre “consentire un accesso senza ostacoli alle procedure di asilo“. Il documento si basa sui principi di non discriminazione, non penalizzazione e non respingimento delle persone migranti, tutto il contrario del progetto di legge del governo Sunak. “La mia è una prima impressione”, ha precisato la commissaria Johansson, a cui dovrà seguire un esame “nei dettagli” che la stessa titolare per gli Affari interni del gabinetto von der Leyen si augura possa smentirla: “Spero che questa proposta rispetti il diritto internazionale“.
    Cosa prevede il progetto di legge del Regno Unito
    La nuova proposta di legge è un tentativo estremo del governo britannico di contrastare l’immigrazione irregolare dal Canale della Manica, il cui numero di arrivi di persone su imbarcazioni di fortuna dalla Francia è aumentato da circa 300 a più di 45 mila tra il 2018 e il 2022. Il progetto presentato alla Camera dei Comuni prevede che chiunque entri in modo irregolare nel Regno Unito sia posto in stato di fermo e poi espulso, o nel Paese di origine o in uno terzo “sicuro”, come il Rwanda. Non è un caso il riferimento esplicitato proprio dalla segretaria di Stato Braverman, dal momento in cui Londra ha già stretto il 13 aprile dello scorso anno un accordo con Kigali per il trasferimento di richiedenti asilo le cui domande devono ancora essere esaminate dal Regno Unito. Due mesi più tardi l’accordo è stato però bocciato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu), la cui sentenza del 14 giugno ha bloccato la partenza di un volo in partenza verso la capitale ruandese con sette persone richiedenti asilo a bordo.
    Da sinistra: la segretaria di Stato per gli Interni del Regno Unito, Suella Braverman, e la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson (17 novembre 2022)
    Ai tempi del governo Truss – in cui Braverman rivestiva sempre la carica di segretaria di Stato per gli Interni – l’esponente del partito conservatore aveva affermato a una convention dei tories che “vorrei vedere una prima pagina del Daily Telegraph con un aereo che decolla per il Rwanda, è il mio sogno, la mia ossessione“. Dichiarazioni che ora vanno sostanzialmente in questa direzione. La nuova legge – che deve essere approvata dalle due Camere di Westminster – si pone l’obiettivo di “fermare le imbarcazioni che portano decine di migliaia di persone sulle nostre coste” e di perseguire il “dovere di allontanare chi entra illegalmente nel Regno Unito” dalla possibilità di accedere al diritto di asilo, come ha dichiarato la segretaria di Stato per gli Interni.
    La proposta di legge consentirebbe la detenzione nei primi 28 giorni senza possibilità di cauzione o ricorso e non concederebbe a chi entra in modo irregolare nel Regno Unito di appellarsi alle leggi britanniche contro la schiavitù e la tratta di esseri umani del 2015. Alcune eccezioni sono previste per i minori di 18 anni, persone “gravemente malate” o a rischio di un “reale e irreversibile danno”. Tutti gli altri sarebbero arrestati, espulsi e la loro richiesta di asilo esaminata successivamente, in loro assenza. La prima valutazione “a caldo” della commissaria Johansson mette in luce tutta la criticità della proposta di legge del governo britannico in materia di migrazione.

    It’s very simple – it’s this country and government who should decide who comes here – not criminal gangs.
    Our new laws show we will do what is necessary to achieve that. pic.twitter.com/pbJ8o6YxKH
    — Conservatives (@Conservatives) March 7, 2023

    In una conversazione telefonica con la segretaria di Stato britannica, Suella Braverman, la titolare per gli Affari interni del gabinetto von der Leyen ha messo in chiaro che “a prima vista mi sembra una violazione della Convenzione di Ginevra” del 1951 sullo status dei rifugiati

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    Un nuovo piano Ue per un’altra rotta migratoria. Le 5 linee d’azione per i Balcani Occidentali secondo la Commissione

    Bruxelles – Come promesso lo scorso 25 novembre, nel giorno della presentazione ai 27 ministri Ue degli Interni del piano d’azione per il Mediterraneo centrale, la Commissione ha presentato una nuova strategia operativa per affrontare l’aumento degli arrivi di persone migranti lungo la rotta balcanica, in tempo per il vertice Ue-Balcani Occidentali di domani (martedì 6 dicembre) a Tirana. “Ci basiamo sulla buona cooperazione con i partner e forniamo un percorso per continuare a lavorare a stretto contatto” con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, ha spiegato in conferenza stampa oggi (lunedì 5 dicembre) la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson.
    La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson
    Per il gabinetto von der Leyen l’obiettivo del piano d’azione per la rotta balcanica è quello di definire una serie di misure per rafforzare il sostegno dell’Unione verso gli Stati membri e i partner extra-Ue “che si trovano ad affrontare una maggiore pressione migratoria lungo le rotte” che attraversano la penisola. La ragione principale che ha reso necessario questa strategia è l’aumento “significativo” dei movimenti di persone migranti nel corso del 2022 “a causa di diversi fattori, tra cui le pressioni economiche e l’insicurezza derivante dai conflitti in corso”, sottolinea la Commissione. Secondo i dati recentemente pubblicati da Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), tra gennaio e ottobre 2022 si sono verificati 281 mila attraversamenti irregolari attraverso la rotta balcanica, per un aumento del 77 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021 e il totale più alto dal 2016 (oltre 130 mila). A oggi, la rotta balcanica rappresenta il movimento migratorio di più ampia portata alle frontiere esterne dell’Unione, maggiore – in termini di ingressi irregolari – anche di quello del Mediterraneo centrale.
    Tra i problemi maggiori riscontrati da Bruxelles c’è in particolare quello del mancato allineamento del regime di esenzione dei visti con la politica dell’Unione, che “contribuisce ad aumentare il numero di persone che arrivano direttamente in aereo nei Paesi dei Balcani Occidentali e proseguono verso l’Ue”. La commissaria Johansson ha avvertito che “tutti i partner balcanici presentano carenze sulla politica dei visti liberi, ma i problemi principali sono registrati con Belgrado“, ed è per questo che – in concomitanza con il vertice di Tirana – “domani una missione Ue si recherà in Serbia per capire come proteggere le frontiere con l’Ungheria, anche attraverso Frontex”. Ma, più in generale, la Commissione spinge per affrontare tutte le questioni aperte all’interno di un quadro più ampio, proprio attraverso il piano d’azione per la rotta balcanica, che individua 20 misure operative strutturate su 5 pilastri: dal rafforzamento della gestione delle frontiere alla velocizzazione delle procedure di asilo e il sostegno alle capacità di accoglienza, dalla lotta contro il traffico di esseri umani al miglioramento della cooperazione per riammissioni e rimpatri, fino all’allineamento – appunto – della politica dei visti.
    Cosa prevede il Piano d’azione per la rotta balcanica
    Il piano d’azione per la rotta balcanica prevede come prima strategia operativa il rafforzamento della gestione delle frontiere, non solo quelle esterne dell’Ue, ma anche quelle tra i sei Paesi balcanici. Per questo motivo l’esecutivo comunitario punta su dispiegamenti congiunti di Frontex, attraverso accordi come quello firmato con la Macedonia del Nord lo scorso 26 ottobre a Skopje, e spingendo sui negoziati con altri quattro Paesi (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia) dopo l’autorizzazione del Consiglio. A questo si aggiunge la fornitura di attrezzature per la gestione e la sorveglianza delle frontiere attraverso i 40 milioni di euro previsti dallo strumento di assistenza pre-adesione (Ipa), “concentrandosi su Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro e Serbia”, ma anche la possibilità di “aumentare il sostegno di Frontex agli Stati membri alle frontiere esterne dell’Ue“.
    Campo di Lipa dopo l’incendio del 23 dicembre 2021 (credits: S&D)
    Il secondo pilastro del piano d’azione per la rotta balcanica si focalizza sul garantire procedure di asilo più rapide e sul sostegno alle capacità di accoglienza. Per Bruxelles è prioritaria l’attuazione della tabella di marcia dell’Agenzia Ue per l’Asilo, ma anche azioni mirate attraverso lo strumento Ipa per “alloggi ed esigenze di base” per le persone migranti, sul modello del centro di accoglienza multifunzionale di Lipa in Bosnia ed Erzegovina (dopo l’incendio che lo aveva distrutto nel dicembre 2021). Sul fronte interno dell’Ue – punto di arrivo delle persone lungo la rotta balcanica – si punta invece sulla registrazione “accurata” in Eurodac (il database europeo delle impronte digitali per coloro che richiedono l’asilo), su progetti-pilota per procedure più rapide “in particolare applicando la procedura di frontiera, i concetti di Paese terzo sicuro e Paese d’origine sicuro”, sui trasferimenti Dublino per affrontare i movimenti secondari e sulla possibilità di istituire gruppi di gestione della migrazione a partire da quello esistente in Grecia.
    Rimane centrale la lotta al traffico di esseri umani lungo la rotta balcanica, attraverso la task-force operativa di Europol al confine Serbia-Ungheria e il programma regionale Ipa da 30 milioni di euro, per aumentare indagini, procedimenti giudiziari e condanne da parte delle autorità giudiziarie dei Paesi balcanici, in collaborazione con agenzie Ue e organizzazioni internazionali. I Paesi membri dell’Unione dovranno invece “riprendere e concludere” i negoziati sulla proposta della Commissione di sanzionare gli operatori dei trasporti coinvolti nell’agevolazione del traffico di migranti e della tratta di esseri umani.
    Il rafforzamento della cooperazione per la riammissione e i rimpatri è il quarto pilastro del piano d’azione per la rotta balcanica, che prevede uno sforzo più intenso da parte dell’Unione nell’aumentare i ritorni di persone direttamente dai Paesi dei Balcani Occidentali. A questo proposito la Commissione intende sviluppare nel 2023 un nuovo programma che copra i rimpatri volontari e non volontari dalla regione, incentrato sul rafforzamento della cooperazione tra l’Ue, i sei partner balcanici e i Paesi di origine e sul sostegno di Frontex attraverso il dispiegamento di specialisti e la formazione alle autorità nazionali.
    L’ultimo punto del piano d’azione per la rotta balcanica ritorna invece sull’allineamento della politica di esenzione dei visti, a partire dal “ripristino e attuazione efficace” dell’obbligo per Paesi terzi “in linea con la politica dei visti dell’Ue”. A questa azione richiesta (e non solo supportata, come negli altri quattro pilastri) ai partner dei Balcani Occidentali, si accompagnano gli sforzi dei Ventisette sulle “attività di sensibilizzazione e di monitoraggio” degli sviluppi operativi sul campo e delle azioni legislative dei Sei balcanici, con iniziative congiunte delle delegazioni Ue e delle ambasciate nazionali e nel contesto del meccanismo di sospensione dei visti.

    Alla vigilia del vertice di Tirana, l’esecutivo Ue presenta la strategia per affrontare l’aumento degli arrivi dalla rotta balcanica. Dal rafforzamento della gestione delle frontiere all’allineamento della politica dei visti, fino alla cooperazione per procedure di asilo, riammissioni e rimpatri

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    La Commissione presenterà prima del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana un piano d’azione sulla rotta balcanica

    Bruxelles – Dopo il Piano per il Mediterraneo centrale la Commissione Europea è pronta a presentare una linea d’azione anche per la rotta balcanica, per affrontare l’aumento di arrivi di persone migranti lungo quello che rimane sempre il movimento migratorio più ampio alle frontiere dell’Unione. “Annuncerò che siamo pronti a preparare velocemente un Piano d’azione per affrontare le sfide sulla rotta balcanica“, ha reso noto alla stampa europea la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, facendo ingresso al vertice straordinario con i 27 ministri Ue questo pomeriggio (25 novembre).
    A confermare la notizia, aggiungendo dettagli, è stato il vicepresidente della Commissione Ue, Margaritis Schinas, sempre a margine del Consiglio Affari Interni straordinario a Bruxelles: “Oggi il focus sarà sulla rotta mediterranea centrale e sul Piano d’azione che abbiamo presentato questa settimana, ma questo non significa che non discuteremo delle altre rotte migratorie” e, nello specifico, “stiamo pianificando di presentare un Piano sulla rotta balcanica, che sarà pronto prima del vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana il 6 dicembre“. Secondo il vicepresidente Schinas, “dobbiamo sempre tenere a mente che il nostro obiettivo è lavorare come degli architetti per un quadro Ue comprensivo e strutturale sulla migrazione e l’asilo”, attraverso l’adozione del Patto presentato dalla Commissione nel settembre 2020.
    Era stata la stessa commissaria Johansson ad anticipare a Politico che “è giunto il momento di presentare un Piano d’azione adeguato anche per la rotta dei Balcani Occidentali”, mettendo in evidenza che “l’Austria è molto colpita” dall’aumento di persone in arrivo alle frontiere dell’Unione. I lavori dell’esecutivo comunitario sono già in corso e ai 27 ministri degli Interni la notifica dell’imminente proposta – da discutere verosimilmente al Consiglio ordinario dell’8 dicembre – arriverà proprio nel vertice straordinario di oggi. A preoccupare la Commissione è la possibilità di farsi trovare impreparati come nel biennio 2015-2016: “È importante affrontare in modo più efficiente la rotta balcanica rispetto a quanto abbiamo fatto finora“, ha avvertito Johansson parlando con la stampa. Secondo i dati recentemente pubblicati da Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), tra gennaio e ottobre 2022 si sono verificati 281 mila attraversamenti irregolari attraverso la rotta balcanica, per un aumento del 77 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021 e il totale più alto dal 2016 (oltre 130 mila).
    Le preoccupazioni di Bruxelles sulla rotta balcanica
    È da ottobre che il gabinetto guidato da Ursula von der Leyen – e più precisamente la commissaria Johansson – parla insistentemente dell’aumento del numero di arrivi di persone migranti lungo la rotta balcanica, mettendo in risalto il fatto che “molti arrivano da Paesi per cui non riconosciamo la protezione internazionale“, come India, Tunisia e Burundi, sfruttando la possibilità di viaggiare senza visto in Paesi balcanici e di lì tentare di entrare nell’Ue in modo irregolare.
    Proprio per questo motivo “all’ultimo Consiglio ho proposto quattro pilastri di azione“, ha ricordato la commissaria titolare degli Affari interni. Il primo è un “partenariato anti-trafficanti con i Paesi dei Balcani Occidentali“. In secondo luogo “ho firmato un nuovo accordo Frontex con la Macedonia del Nord” lo scorso 26 ottobre a Skopje, che permetterà all’Agenzia Ue di dispiegare squadre sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). “E ho ricevuto l’autorizzazione dal Consiglio ad avviare i negoziati con altri quattro Paesi“, ovvero Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia.
    Il terzo punto coinvolge l’erogazione di “finanziamenti contro il traffico di esseri umani in questa rotta” e infine, “lavoriamo sull’allineamento della Serbia alla politica dei visti” dell’Unione Europea. È questo uno dei temi più urgenti per la Commissione Ue, dal momento in cui una parte delle persone migranti – prima di presentarsi alle frontiere dell’Unione – può arrivare in aereo in alcuni Paesi che si trovano sulla rotta balcanica e a cui l’Ue ha riconosciuto un regime di esenzione (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, mentre il Kosovo attende dal 2018 una decisione del Consiglio sulla liberalizzazione dei visti per i propri cittadini). “Non è giusto che l’Unione Europea abbia concesso l’esenzione dei visti ai Paesi dei Balcani Occidentali e che questi abbiano accordi di esenzione con Paesi terzi a cui noi non la riconosciamo“, aveva attaccato il vicepresidente Schinas dopo il suo viaggio in Serbia a inizio ottobre. Pochi giorni dopo Belgrado ha annunciato di aver reintrodotto l’obbligo dei visti per i cittadini del Burundi e della Tunisia (in vigore dal 20 novembre).

    Arriverà entro il 6 dicembre, come confermato dal vicepresidente Margaritis Schinas. La commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha reso noto che lo annuncerà oggi ai 27 ministri Ue durante la riunione straordinaria, sottolineando che “dobbiamo essere più efficienti”