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    Il Trump 2.0 scuote l’Ue. Entusiasmo dalle destre, per i progressisti è un “giorno buio”

    Bruxelles – Il vento di cambiamento con le elezioni americane è arrivato in Unione Europea ed è diventato bufera. Il secondo mandato Trump e la vittoria così netta sull’avversaria democratica Kamala Harris fanno discutere a Bruxelles, con reazioni agli antipodi dai vari gruppi politici e dai capi di stato e di governo dell’Ue.Scontata la gioia di Viktor Orban, che accoglie con grande calore la vittoria di un altro grande ‘uomo forte‘ oltreoceano. Su X, il primo ministro ungherese parla della “più grande rimonta nella storia politica degli Stati Uniti” e di una “vittoria necessaria per il mondo”.“Italia e Stati Uniti sono Nazioni ‘sorelle’, legate da un’alleanza incrollabile, valori comuni e una storica amicizia” commenta la Presidente del Consiglio dei ministri italiana, Giorgia Meloni, congratulandosi con Trump. Non solo ‘sorellanza’ ma anche legame strategico, che Meloni si augura “rafforzeremo ancora di più“.L’asse franco-tedesco si fa trovare compatto sul fronte del consolidamento delle relazioni. Così il Presidente francese Emmanuel Macron su X:Ho appena parlato con il cancelliere @OlafScholz.Lavoreremo per un’Europa più unita, più forte e più sovrana in questo nuovo contesto. Cooperando con gli Stati Uniti d’America e difendendo i nostri interessi e i nostri valori.@EmmanuelMacron – 9:15 AM · 6 nov 2024Se i leader cercano tutti di accaparrarsi la fetta più grande di relazioni privilegiate con Washington, l’Europarlamento si spacca in due. Da una parte, le destre europee che esultano e dall’altra parte la preoccupazione per il futuro dell’Occidente intero e la tenuta dell’Ue dai progressisti e dagli europeisti.Molto compiaciuti sono i Patrioti per l’Europa. L’elezione di Trump “contro tutto e contro tutti” riceve i complimenti di Paolo Borchia, capo delegazione della Lega al Parlamento europeo. Borchia aggiunge in una nota un monito all’Ue: “Ora serve che le istituzioni europee abbandonino l’atteggiamento ostile e i pregiudizi, per dialogare con Washington per trovare soluzioni alle sfide che accomunano l’Occidente”, riguardo a cui Lega e Patrioti sono aperti alla collaborazione con Trump.Dai ‘fratelli europei’ di Ecr, strettamente legati al “Grand Old Party”, arrivano i complimenti per l’”impressionante vittoria“, come la definisce il copresidente di Ecr Joachim Brudziński. Il conservatore ribadisce l’impegno del partito per “collaborare a un’agenda condivisa che promuova la stabilità, la sicurezza e la prosperità su entrambe le sponde dell’Atlantico“. L’altro copresidente del gruppo, Nicola Procaccini, aggiunge: “Questo nuovo capitolo offre un’opportunità unica per rafforzare i nostri ponti politici, portare avanti obiettivi condivisi e promuovere un futuro di prosperità“.Più cauto, anche rispetto alla leader Ursula von der Leyen, il capogruppo del Partito popolare europeo all’Eurocamera, Manfred Weber. Nell’inoltrare le proprie congratulazioni al tycoon, Weber sottolinea che “l‘Europa deve difendere i propri interessi con fermezza e forza, mantenendo al contempo una stretta cooperazione transatlantica”.‘Questo è un giorno buio’. Così iniziano i commenti social della presidente del gruppo S&d Iratxe García Pérez e della co-presidente dei Verdi/Ale Terry Reintke, che incarnando l’altra faccia della medaglia delle reazioni.“Conosciamo il progetto di Trump: autoritarismo, xenofobia e mancanza di opportunità“, scrive su X García Pérez. “Le forze democratiche e progressiste nell’Ue e negli Usa devono essere unite nella lotta per un futuro più giusto, sostenibile ed inclusivo”, aggiunge la leader dei social-democratici.Tra le preoccupazioni di Reintke non rientra solo difesa della democrazia, ma anche degli impegni europei in atto. “Come europei dobbiamo unirci per difendere la democrazia: Stato di diritto, diritti fondamentali, diritti sociali. Diritti delle donne. Solidarietà con l’Ucraina“, ricorda la copresidente dei Verdi.Dal gruppo S&d arriva anche la voce del capodelegazione Partito democratico Nicola Zingaretti. La vittoria di Trump, basata sulla rabbia e sull’indicazione di nemici, per Zingaretti pone una sfida all’Ue, che si deve impegnare a “lottare per un’Europa più forte, più vicina alle persone, che costruisca giustizia e susciti nuova speranza“.Dei rischi relativi all’Ucraina parla da S&d l’europarlamentare Elio Di Rupo: “Non possiamo escludere un disimpegno nei confronti dell’Ucraina. Tutti conosciamo Trump. Gli Stati Uniti sono al riparo, le conseguenze dell’Ucraina sono per noi europei, e Trump ha più margine di manovra.”Altro monito dal gruppo dei Verdi: “Con autocrati come Putin in Russia e Trump negli Stati Uniti al potere, l’Ue dovrà stare in piedi da sola in termini di sostegno all’Ucraina, all’azione per il clima e alla lotta per la democrazia“.L’incertezza che si prospetta dovrebbe spingere l’Ue ad allontanarsi dal ruolo di longa manus degli Usa, come osserva l’eurodeputato Sandro Gozi di Renew. Dice Gozi: “L’Europa deve avere il coraggio di prendere in mano il proprio destino, costruendo una vera potenza europea e una democrazia più forte“. Voce preoccupata anche quella della presidente del gruppo Valerie Hayer che dichiara: “E’ uno shock ma anche una realtà con cui dover fare i conti. Sappiamo che Trump non è né affidabile né prevedibile. Dobbiamo accelerare su difesa, competitività e innovazione“.Stoccata dal Movimento5Stelle Europa ai “finti progressisti liberisti e globalistici, che hanno ammainato la bandiera della pace per sposare ogni spinta guerrafondaia“. Nella nota dei 5Stelle si chiede una “riflessione nelle forze politiche europee”, che si devono avvicinare realmente alle persone “per togliere alle destre il consenso del voto popolare”. Non resistono a punzecchiare la destra italiana ed europea: “Quando Trump imporrà dazi sui prodotti Made in Italy vogliamo vedere i vari Meloni e Salvini esultare”.La prospettiva che nasce dai prossimi quattro anni di Trump 2.0 trova un’Unione Europea affaticata e debole sul piano internazionale, che non ha una voce univoca su nessuna questione e dovrà affrontare la lontananza (non solo geografica) statunitense. Dovrà essere ponderata la scelta degli impegni su cui l’Ue si vuole concentrare, con l’ombrello statunitense che potrebbe chiudersi più rapidamente del previsto e troppe priorità da gestire solo con le proprie finanze.

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    Presidenziali Usa: Trump contro Harris, e l’Europa nel mezzo

    Bruxelles – La corsa per le presidenziali statunitensi è ormai giunta all’ultimo miglio. La data fatidica del 5 novembre si fa sempre più vicina, e nell’Unione europea aumenta di giorno in giorno l’apprensione per l’esito di quello che è forse il voto più rilevante di questo anno elettorale senza precedenti nella storia globale. A Bruxelles, la vittoria di Donald Trump è vissuta come un pericolo da scongiurare a ogni costo, mentre se venisse eletta Kamala Harris tutte le cancellerie (o quasi) dei Ventisette tirerebbero un sospiro di sollievo. Su quasi tutti i temi di interesse europeo le priorità dell’ex presidente repubblicano e della sua sfidante democratica si pongono in sostanziale opposizione. Quali potrebbero essere dunque i risvolti per l’Europa (e soprattutto l’Ue) nel caso di una vittoria dell’uno o dell’altra contendente?Politica esteraSicuramente, uno degli ambiti nei quali si misurano distanze siderali tra i due candidati è quello della politica estera. Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, ad esempio, Trump ha ripetuto più volte che intende, a modo suo, mettere fine al più presto al conflitto. Secondo le indiscrezioni, il tycoon newyorkese intenderebbe proporre al presidente ucraino Volodymyr Zelensky di cedere alla Russia almeno una parte delle regioni occupate, probabilmente alcune aree del Donbass e la Crimea, in cambio della cessazione delle ostilità. Se Washington decidesse di interrompere dall’oggi al domani il sostegno militare e finanziario a Kiev, sarebbe difficile per gli europei continuare a difendere l’ex repubblica sovietica.L’effetto che il disimpegno statunitense dall’Ucraina avrebbe sulla sicurezza del Vecchio continente – cui Trump non sembra essere particolarmente interessato – è difficilmente calcolabile ma sarebbe senza dubbio estremamente negativo per gli alleati transatlantici, che solo di recente (anche di fronte alla prospettiva di un secondo mandato dell’ex presidente) hanno iniziato a prendere più seriamente la questione della cosiddetta autonomia strategica.Un’amministrazione Harris si porrebbe invece su una linea di continuità con le scelte prese dal presidente uscente Joe Biden: Congresso permettendo, il supporto all’Ucraina verrebbe garantito almeno nel medio periodo. La vicepresidente democratica uscente ha esplicitamente criticato come “arrendevoli” le posizioni del rivale, rifiutando qualunque negoziato bilaterale con Mosca che escluda Kiev.Riguardo allo scacchiere mediorientale le differenze tra Harris e Trump potrebbero essere più sfumate, data la tradizionale solidità dell’alleanza tra Washington e Tel Aviv. Tuttavia, è verosimile che una Casa Bianca guidata dall’ex presidente garantirebbe allo Stato ebraico un appoggio virtualmente incondizionato (va ricordato che fu Trump l’architetto dei cosiddetti accordi di Abramo del 2020 per la normalizzazione dei rapporti diplomatici nella regione), finendo per esacerbare ancora di più le divisioni tra i Ventisette sulla crisi regionale in corso.La sfidante democratica potrebbe tentare di mettere alle strette (si fa per dire) il premier israeliano Benjamin Netanyahu, anche se, ormai, quest’ultimo appare più una scheggia impazzita (disposto a colpire addirittura i caschi blu dell’Onu) che un partner affidabile. Ma il Medio Oriente è un tassello troppo importante per la politica estera statunitense perché qualunque presidente abbandoni l’alleato storico al proprio destino.Il futuro della NatoLa guerra d’Ucraina si intreccia poi con la questione relativa al futuro della Nato: da tempo, Trump denuncia quello che definisce un impegno insufficiente da parte degli alleati del Vecchio continente (alcuni dei quali non hanno ancora raggiunto il target del 2 per cento del Pil da destinare alle spese militari), e ha polemicamente invitato il presidente russo Vladimir Putin a invadere i Paesi europei che non fanno la propria parte. Nemmeno il Congresso sembra dormire sonni tranquilli, dato che ha recentemente adottato una legge in cui si mette nero su bianco che per ritirare gli Usa dall’Alleanza non basta un decreto presidenziale ma serve l’approvazione parlamentare.Nei fatti, comunque, se Trump volesse ridimensionare la partecipazione statunitense alla Nato non avrebbe bisogno di abbandonarla: basterebbe semplicemente, in caso di attivazione del famigerato articolo 5 della Carta nordatlantica (per cui, in caso di attacco ad uno Stato membro, tutti gli altri dovrebbero “adottare le misure che ritengono necessarie per proteggere l’alleato attaccato”), non fornire una risposta militare ma semplicemente supporto diplomatico o civile. Da mesi, nella sede della Nato a Bruxelles, le alte sfere degli altri 31 Paesi membri stanno escogitando piani su come mantenere funzionale l’organizzazione (la cui guida è da poco passata nelle mani dell’ex premier olandese Mark Rutte) anche nel caso di una rielezione del candidato repubblicano.Politica commercialeLa politica commerciale è invece una materia in cui le differenze tra Harris e Trump potrebbero non essere così marcate come si crede. Durante il suo primo mandato, quest’ultimo ha preso alla sprovvista i partner europei con un’agenda (eloquentemente soprannominata America first) di feroce protezionismo, imponendo tariffe doganali elevate sulle importazioni dall’estero e mettendo in crisi il principio alla base del commercio internazionale, cioè l’apertura dei mercati.Se con la Cina c’è stata una vera e propria guerra dei dazi, nemmeno i Ventisette si sono vissuti tranquillamente la presidenza Trump, a cominciare dalla Germania (che letteralmente sopravvive grazie all’export). Il candidato repubblicano ha recentemente ventilato l’idea di reintrodurre tasse del 10 per cento su tutti i prodotti esteri in entrata negli States, provocando un certo panico al di là dell’Atlantico. Un’altra tecnica che l’ex presidente potrebbe adottare è quella di colpire con dazi mirati solo determinate tipologie di merci, creando così una dinamica di rivalità e competizione interna in Europa, secondo la vecchia tattica del divide et impera.D’altra parte, una presidenza democratica significherebbe il mantenimento di normali rapporti commerciali con l’Europa e con il resto del mondo, ma le scelte di Harris si porrebbero verosimilmente in continuità con quelle del suo predecessore. Il quale, partendo dall’eredità dell’era Trump, ha espanso l’arsenale di armi economiche in funzione anti-cinese e ha stimolato la produzione interna con l’Inflation reduction act (Ira), che a Bruxelles è stato visto come un gesto di concorrenza sleale – tanto che ha fatto da base di partenza per le riflessioni, incluse quelle del report di Mario Draghi, sul rilancio della competitività europea e sulla necessità di una strategia industriale comune.Cooperazione internazionaleIl ritorno del trumpismo, che nella sua essenza (non solo economica) è isolazionista e protezionista, avrebbe dei riflessi anche nei rapporti internazionali degli Usa, il che a sua volta produrrebbe inevitabili ricadute anche sull’Ue. Non è un mistero che l’ex presidente nutra poco rispetto per il multilateralismo, che dipinge più spesso come una camicia di forza che non come un’opportunità.Una differenza fondamentale tra i due candidati è proprio l’approccio verso gli alleati e più in generale i partner internazionali: per Harris si tratta di risorse potenzialmente fondamentali, per Trump di pesi morti o addirittura sanguisughe di cui sbarazzarsi. Stesso dicasi per le istituzioni multilaterali: la prima, in continuità con il suo attuale capo, punterebbe a farne uso e, eventualmente, riformarle, mentre il secondo preferisce ignorarle se non direttamente eliminarle.Per citare un tema in cui la cooperazione internazionale è centrale, il tycoon è convintamente ostile agli sforzi multilaterali in ambito climatico e ambientale. Nel 2020 ha fatto ritirare gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi del 2015, che ha definito “un disastro”, e ha promesso che se verrà rieletto continuerà su questa strada, annullando il rientro del Paese nel trattato (voluto da Biden all’inizio della sua presidenza) e magari andando anche oltre.Sul versante energia, una presidenza Trump 2.0 riporterebbe poi in auge (ancora di più) l’approvvigionamento energetico tramite i combustibili fossili, il che andrebbe evidentemente contro agli obiettivi che Bruxelles si è imposta con il Green deal. Harris dovrebbe invece puntare più decisamente sulle fonti rinnovabili, potenzialmente coinvolgendo l’Europa e altri partner globali nel percorso verso il definitivo phasing out degli idrocarburi.

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    La Thailandia approva i matrimoni tra coppie dello stesso sesso. La Commissione europea se ne compiace

    Bruxelles – La Thailandia diventa il terzo paese asiatico, dopo Taiwan e Nepal, ad autorizzare legalmente matrimoni tra coppie dello stesso sesso.La legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Reale dopo l’approvazione del re Maha Vajiralongkorn ed entrerà in vigore tra 120 giorni. A gennaio, le coppie dello stesso sesso avranno finalmente la possibilità di registrare la propria unione in Thailandia. Il procedimento va avanti dalla primavera, con i due passaggi alla Camera dei Rappresentanti e al Senato rispettivamente in aprile e giugno che permettono il pieno riconoscimento dei diritti legali, finanziari e medici ai partner matrimoniali di qualsiasi sesso.Grande successo a favore della comunità Lgbtq+, che ha visto riconosciuti i propri diritti di fronte ad un governo e una società storicamente conservatori. Importante anche il cambiamento di linguaggio sul Codice civile per sostituire le parole specifiche di genere, come “uomo o donna”, con parole neutre, come “individuo”.L’Unione europea si congratula con la Thailandia per questo risultato, che la rende “il primo Paese del Sud-est asiatico a riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso”. Questo costituisce un esempio positivo per la regione, come modello di diffusione dell’inclusività e della promozione dell’uguaglianza. L’Ue ha poi rilanciato l’incoraggiamento verso il paese asiatico nel sostegno alla promozione del diritto alla libertà di espressione senza alcuna discriminazione.Nell’ambito dell’accordo di partenariato e cooperazione firmato da Ue e Thailandia, Bruxelles auspica un ulteriore rafforzamento delle relazioni riguardo a tutti gli aspetti che rendono le società più inclusive, considerando il condiviso impegno per la non discriminazione, l’uguaglianza di genere e il rispetto dei diritti umani.

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    Un progetto geopolitico minato dall’interno. Perché l’Ue deve cambiare passo sull’allargamento

    Bruxelles – Il futuro è un passo, ma in mezzo c’è l’ostacolo di un Consiglio Europeo a oggi ostaggio delle decisioni di un solo leader, il premier ungherese Viktor Orbán. La situazione evidenzia non solo l’importanza dell’allargamento Ue sul piano geostrategico – in particolare dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina – ma soprattutto le difficoltà attuali dell’Unione di portare a compimento le promesse decennali ai Paesi candidati realizzando contemporaneamente una riforma interna per non snaturare l’Unione con il potenziale ingresso di 10 nuovi Stati membri nel futuro a medio/lungo termine.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (8 novembre 2023)La necessità di focalizzarsi con più serietà sulla questione dell’allargamento Ue è emersa con urgenza dopo i fatti del 24 febbraio 2022 e con le richieste di Ucraina, Moldova e Georgia di aderire all’Unione. L’offensiva russa ha dimostrato i rischi di un continente in balia di un progetto imperialista da parte del Cremlino, che sarebbe interessato sia all’annessione degli ex-Paesi sovietici, sia alla destabilizzazione con una guerra ibrida a quello che rappresenta da sempre il buco nero dell’integrazione europea: i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), che in varie forme e a diversi stadi si sono tutti già incamminati da anni sulla strada dell’adesione all’Ue. In altre parole, il progetto di “pace, democrazia e stabilità sul continente” rappresentato dall’Unione Europea – come continuano a ripetere tutti i leader delle istituzioni comunitarie – non può concretizzarsi se i Paesi che hanno fatto richiesta di aderire continueranno a essere ignorati, dal momento in cui la frustrazione di politici e cittadini (a stragrande maggioranza europeisti) li spingerà a cercare supporto in regimi autocratici come quello russo. Il mancato allineamento della Serbia alle misure restrittive contro Mosca e il secessionismo serbo-bosniaco contro Sarajevo sono stati un chiaro campanello d’allarme.C’è da riconoscere che la spinta all’allargamento Ue non è solo una questione di rispetto delle promesse o anti-Russia, ma è diventata anche una vera e propria priorità dell’Unione sul piano politico ed economico. Lo dimostra in primis la serie di pacchetti da miliardi di euro in investimenti diretti e indiretti a sostegno di tutti i partner più stretti – da quelli per la sopravvivenza finanziaria dell’Ucraina a quello di crescita economica per i Balcani Occidentali, oltre al supporto contro la crisi energetica. E poi non va dimenticato il nuovo obiettivo al 2030 annunciato a fine agosto dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che ha fornito (anche in modo controverso) una data entro cui tutti siano pronti per l’allargamento Ue, dentro e fuori l’Unione. Seppur contestando implicitamente la definizione di un obiettivo temporale in un processo “basato sul merito”, anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha fatto un passo in avanti nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione a settembre, collegando in modo esplicito il processo di allargamento Ue alla riforma dei Trattati su cui si fonda l’Ue.Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (28 agosto 2023)È qui che si entra nel ventre molle dell’Unione, quello di un processo che rigeneri l’Unione rendendola all’altezza delle sfide future. Sulla base di una proposta franco-tedesca particolarmente articolata, i 27 leader Ue hanno iniziato al Consiglio informale di Granada a discutere di un’agenda strategica in tre punti – priorità future, sistema decisionale e modalità di finanziamento comune – che inevitabilmente tiene insieme allargamento Ue e riforma del Trattati. Oltre alle discussioni servirebbe ora un’azione urgente, perché le richieste di adesione sono già sul tavolo e richiedono una risposta immediata. Tra le altre cose, la riforma interna non potrebbe prescindere dall’abbandono dell’unanimità e del diritto di veto in Consiglio, perché non è immaginabile un’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi Kosovo e Georgia), in cui un solo Paese può tenere in stallo tutto il sistema decisionale comune.La riforma dovrà però essere concordata da tutti gli attuali membri dell’Unione ed è questo il punto in cui al momento tutto il palco rischia di cadere. Per questioni di fondi da redistribuire tra più Paesi (soprattutto quelli di coesione e dell’agricoltura) e consapevolezza che senza il diritto di veto il peso di ogni singola capitale vale meno (in altri termini, verrebbe meno la possibilità di ‘ricattare’ Bruxelles per ottenere qualcosa in cambio dell’unanimità), alcuni tra i Ventisette non mostrano alcun interesse ad allinearsi a questa ambizione comunitaria, da cui dipende lo stesso processo di allargamento Ue. In particolare l’Ungheria di Orbán ha scelto una posizione apertamente ostruzionista nei confronti dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ucraina e al proseguo del finanziamento a Kiev, come una sorta di vendetta per il congelamento di quasi 30 miliardi di euro in fondi Ue per il mancato rispetto dello Stato di diritto. Il rischio concreto ora è che non solo non arrivi il via libera del Consiglio Europeo in programma domani e dopodomani (14-15 dicembre) ai negoziati con l’Ucraina, ma che tutto il processo di allargamento Ue si incagli nella settimana più decisiva degli ultimi anni.A che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova – anche con la Bosnia ed Erzegovina quando sarà raggiunta la conformità ai criteri di adesione – e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.Come si aderisce all’Unione EuropeaIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.Per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il Club ‘anti-Cina’ delle materie prime critiche vedrà la luce alla prossima Cop28 sul clima

    Bruxelles – Il ‘Club’ delle materie prime critiche per la transizione gemella, verde e digitale, vedrà presto la luce. “Il mese prossimo, in occasione della Cop28 lanceremo il Club delle materie prime critiche per rafforzare questa cooperazione internazionale ai massimi livelli”, ha confermato ieri (9 novembre) il vicepresidente esecutivo per il Green Deal, Maros Sefcovic, nel suo intervento alla conferenza degli ambasciatori dell’Ue 2023. Il  Club è stato annunciato nei mesi scorsi dalla Commissione europea nel quadro del ‘Critical Raw Material Act’, la proposta di regolamento sulle materie prime critiche presentata lo scorso 16 marzo come pilastro normativo del Piano industriale per il Green Deal, la risposta ‘Made in Europe’ al piano statunitense da 370 miliardi di dollari di sussidi verdi che l’Ue teme possa svantaggiare le imprese dell’Ue. Pochi ancora i dettagli, ma nell’idea della Commissione dovrebbe trattarsi di un gruppo di partner internazionali considerati ‘affidabili’ con cui dialogare e riunirsi per garantire un approvvigionamento globale sicuro, sostenibile e conveniente di materie prime essenziali per la transizione verde e digitale, come il litio per le batteri.Quattro pilastri per l’approvvigionamento di materie prime Il Club dovrebbe dunque sviluppare principi per riunire i “consumatori” di materie prime e i Paesi ricchi di risorse e promuovere la cooperazione per consentire ai Paesi in via di sviluppo ricchi di risorse di risalire la catena del valore. E l’occasione migliore per lanciare l’iniziativa sarà la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, la Cop28 che si terrà dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti e che riunirà oltre 190 Paesi che cercheranno di alzare le ambizioni globali sul clima. Bruxelles non lo dice espressamente, ma il Club è pensato in chiave anti-Cina (che oggi concentra oltre il 90 per cento delle materie critiche importate dall’Ue) e dovrebbe essere un’iniziativa sostenuta anche dal governo statunitense, riflettendo il lavoro della partnership Usa già avviata sul fronte dei minerali (a cui l’Unione europea ha aderito insieme ad altri Stati membri, tra cui Italia, Francia e Germania). Sulle materie prime critiche l’Unione europea è già impegnata in una partnership bilaterale con il Canada, il club dovrebbe seguire gli stessi obiettivi ma su un piano multilaterale. Dall’anticipazione delle crisi di approvvigionamento agli investimenti, passando per la produzione sostenibile e la tutela ambientale. Nei mesi scorsi il vicepresidente della Commissione europea con delega al commercio, Valdis Dombrovskis, ha anticipato che quattro saranno i pilastri del futuro gruppo di amici delle materie prime critiche: condividere le conoscenze e cooperare per prevenire le crisi; promuovere la produzione sostenibile e le capacità di trasformazione locali; garantire un commercio affidabile e investimenti in materie prime e che l’aumento della fornitura di materie prime non vada a scapito delle comunità e dell’ambiente. 

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    Petrolio e misure anti elusione, Bruxelles annuncia nuove sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Nuovi nomi nella lista nera dell’Ue, stretta sul tetto al prezzo del petrolio e misure contro i Paesi terzi che eludono le sanzioni. A sei mesi dall’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’aggressione ai danni dell’Ucraina, Bruxelles ha ultimato i lavori sul dodicesimo, che sarà presentato in settimana agli ambasciatori dei 27 Stati membri dell’Ue.Ad annunciarlo nel fine settimana la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo discorso pronunciato sabato (4 novembre) di fronte ai membri della Verkhovna Rada, il Parlamento ucraino, in una visita a sorpresa a Kiev. “Tutti gli ucraini si oppongono alla brutalità russa. E di fronte al tuo coraggio c’è solo una cosa che noi, nel resto d’Europa, dobbiamo fare. E questo significa stare al fianco dell’Ucraina per tutto il tempo necessario”, ha ribadito la leader dell’Esecutivo comunitario, annunciando che la prossima “settimana annunceremo il nostro dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia”.A detta della presidente tedesca le nuove misure restrittive includeranno fino a 100 nuovi individui, nuovi divieti di importazione ed esportazione, azioni per inasprire il tetto del prezzo del petrolio e misure severe nei confronti delle società di paesi terzi che eludono le sanzioni. “Per troppo tempo molti in Europa hanno pensato che avremmo potuto commerciare con la Russia e integrarla nell’ordine di sicurezza europeo, ma non ha funzionato”, ha puntualizzato. A chiedere un ulteriore rafforzamento delle misure restrittive era stato lo stesso presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, intervenendo da remoto di fronte ai leader dell’Ue all’ultimo Vertice europeo del 27 e 28 ottobre. “È in discussione un nuovo pacchetto di sanzioni Ue. Dobbiamo tenere conto dell’esperienza di tutti i pacchetti precedenti e la potenza della nuova fase di sanzioni dell’UE dovrebbe essere maggiore di quelle precedenti”, aveva incalzato i leader in questi termini. Ha puntualizzato l’importanza di prestare particolare attenzione anche al “price cap” il tetto al prezzo applicato al petrolio russo. “E’ ovvio – ha detto – che non funziona così efficacemente come ci si aspettava quando è stato introdotto” ed è “necessario ridurre il “price cap” e rafforzare i meccanismi per la sua applicazione”. Il tetto massimo al prezzo del petrolio russo è stato stabilito a livello europeo nel quadro dell’ottavo pacchetto di sanzioni contro la Russia ed è stato imposto insieme ai Paesi G7 (Canada, Francia, Italia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti) dall’Unione Europea e dall’Australia, riuniti nella “Price Cap Coalition”. Sul prezzo effettivo del tetto l’intesa a livello europeo è arrivata a dicembre di un anno fa dopo aver convinto anche la Polonia che ha spinto per giorni per un tetto molto più basso. Nei fatti, l’imposizione del ‘cap’ consente al petrolio russo di essere spedito a Paesi terzi utilizzando petroliere dei Paesi G7 e dell’UE solo se il carico viene acquistato al di sotto della soglia dei 60 dollari al barile, anche se il prezzo di mercato è più alto (attualmente si aggira intorno agli 80 euro). Come per tutte le sanzioni contro Paesi terzi al Consiglio Ue è richiesto un voto all’unanimità
    Ursula von der Leyen annuncia per questa settimana l’adozione del dodicesimo pacchetto per l’aggressione dell’Ucraina, anticipando che includerà nella lista nera fino a 100 nuovi individui, nuovi divieti di importazione ed esportazione, azioni per inasprire il tetto del prezzo del petrolio e misure severe nei confronti delle società di paesi terzi che eludono le misure

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    Bruxelles sfida Pechino, von der Leyen avvia l’indagine anti-sussidi sulle auto elettriche cinesi

    Bruxelles – L’aveva annunciata Ursula von der Leyen nel suo Discorso sullo stato dell’Unione a metà settembre, ora è una realtà. La Commissione europea ha avviato formalmente oggi (4 ottobre) l’indagine antisovvenzioni sui veicoli elettrici a batteria provenienti dalla Cina, e si dice pronta a prendere misure compensative se sarà necessario.
    L’indagine – annuncia Bruxelles in una nota – è stata avviata di iniziativa della stessa Commissione (senza quindi che ci fosse qualche denuncia da parte di aziende europee) e “determinerà innanzitutto se le catene del valore” dei veicoli elettrici a batteria in Cina beneficiano “di sovvenzioni illegali e se tali sovvenzioni causano o minacciano di causare un danno economico ai produttori europei”, si legge nella nota. Se Bruxelles dovesse riscontrare che i fatti sussistono, l’indagine “esaminerà le probabili conseguenze e l’impatto delle misure su importatori, utenti e consumatori di veicoli elettrici a batteria nell’Ue”, spiega ancora.
    Sulla base dei risultati dell’indagine, la Commissione stabilirà se sia nell’interesse dell’Ue “porre rimedio agli effetti delle pratiche commerciali sleali accertate” imponendo dazi antisovvenzioni sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria dalla Cina. L’indagine si concluderà entro un massimo di 13 mesi dall’avvio, ma se “giuridicamente giustificato” eventuali dazi provvisori potranno essere imposti da Bruxelles già entro 9 mesi dall’apertura dell’indagine, mentre eventuali misure definitive possono essere istituite fino a 4 mesi dopo o entro 13 mesi dall’apertura dell’inchiesta. L’Unione europea è convinta che Pechino stia inondando i mercati globali con auto elettriche a basso prezzo. E il loro prezzo è tenuto artificialmente basso da enormi sussidi di stato. Questo, a detta di Bruxelles, rischia di distorcere i mercati.
    Valdis Dombrovskis
    “Il settore dei veicoli elettrici racchiude un enorme potenziale per la futura competitività dell’Europa e per la leadership industriale verde. I produttori automobilistici dell’Ue e i settori correlati stanno già investendo e innovando per sviluppare appieno questo potenziale”, ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Ovunque troveremo prove che i loro sforzi sono ostacolati da distorsioni del mercato e concorrenza sleale, agiremo con decisione. E lo faremo nel pieno rispetto dei nostri obblighi comunitari e internazionali, perché l’Europa rispetta le regole, all’interno dei suoi confini e a livello globale. Questa indagine antisovvenzioni sarà approfondita, equa e basata sui fatti”, ha assicurato la leader tedesca. A farle eco anche il vicepresidente esecutivo con delega al Commercio, Valdis Dombrovskis, che ricorda come i veicoli elettrici a batteria siano “fondamentali per la transizione verde e per rispettare i nostri impegni internazionali volti a ridurre le emissioni di CO2. Questo è il motivo per cui abbiamo sempre accolto con favore la concorrenza globale in questo settore, che significa più scelta per i consumatori e più innovazione. Ma la concorrenza deve essere leale e le importazioni devono competere alle stesse condizioni della nostra industria”. 

    Si concluderà entro un massimo di 13 mesi dall’avvio, ma se “giuridicamente giustificato” Bruxelles potrà imporre eventuali dazi provvisori entro 9 mesi dall’apertura dell’indagine

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    L’Ucraina entra nel consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (dove siede anche Mosca)

    Bruxelles – L’Ucraina entra a far parte del consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica per il periodo 2023-2025. “Ringrazio tutti i paesi che hanno sostenuto la nostra candidatura: l’Ucraina resta un partner affidabile nel settore dell’energia nucleare e faremo ogni sforzo per rafforzare l’importante ruolo dell’Aiea e per rafforzare la sicurezza nucleare globale”, ha confermato tramite X il presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyy, incalzando a lavorare insieme per porre fine a “tutti i tipi di ricatto nucleare che la Russia tenta di normalizzare”.

    Kiev aveva presentato la domanda di adesione al Consiglio lo scorso febbraio, per il periodo 2023-2025, e l’elezione formale è arrivata oggi a margine della sessione plenaria della 67a Conferenza generale dell’Aiea. Oltre all’Ucraina, anche Algeria, Armenia, Bangladesh, Burkina Faso, Ecuador, Indonesia, Repubblica di Corea, Paesi Bassi, Paraguay, Spagna faranno parte del consiglio dei governatori (di cui fa parte con un rappresentante anche la Federazione russa). Il Consiglio dei governatori è uno dei due organi decisionali dell’AIEA, insieme alla Conferenza generale annuale degli Stati membri dell’AIEA.

    Da Bruxelles sono arrivate nel pomeriggio le congratulazioni della commissaria europea per l’energia, Kadri Simson, che ha ricordato tramite X che il seggio di Kiev al Consiglio è “un importante sviluppo che ci aiuta a salvaguardare l’energia nucleare in Ucraina e a rafforzare la sicurezza nucleare nella regione”.
    Da quando è iniziata la guerra di aggressione di Mosca verso l’Ucraina a febbraio 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha minacciato a più riprese gravi ritorsioni e il ricorso alle armi atomiche, in caso di interventismo occidentale in una guerra che il capo del Cremlino considera legittima, facendo riferimento più o meno diretto alla bomba atomica. Nel corso dei mesi, il Cremlino ha occupato strategicamente impianti nucleari presenti sul territorio ucraino – come il più grande impianto nucleare attivo in Europa di Zaporizhzhya -, ricreando anche un clima di deterrenza nucleare tipico della Guerra fredda, in risposta alla raffica di sanzioni europee varate nei mesi ai danni dell’economia di Mosca.
    E’ improbabile un impiego di armi nucleari nella guerra in corso, ma chiaramente è impossibile escluderlo del tutto e per molti l’ingresso di Kiev nell’Agenzia internazionale per l’energia atomica è positivo in termini di sicurezza nucleare globale. Per il ministro ucraino dell’energia, German Galushchenko, il “futuro dell’energia nucleare si sta decidendo in Ucraina e dobbiamo unire i nostri sforzi per rafforzare la sicurezza nucleare e radioattiva in tutto il mondo”, ha scritto in un post su X.

    Kiev aveva presentato la domanda di adesione al Consiglio lo scorso febbraio, per il periodo 2023-2025, e l’elezione formale è arrivata oggi a margine della sessione plenaria della 67a Conferenza generale dell’Aiea