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    Afghanistan, l’UE vuole accelerare i rimpatri nel Paese dei talebani

    Bruxelles – In nome di garanzia di ordine pubblico e contrasto all’immigrazione illegale ora i governi nazionali dell’UE pensano ad una stretta delle politiche di accoglienza senza distinzioni, con ritorni coatti anche in Siria e Afghanistan. A premere sono soprattutto Austria e Svezia, capofila di un ragionamento che sembra stridere con il concetto di sicurezza della persona, in Paesi – Siria e Afghanistan, appunto – dove rispetto per la persona e i suoi diritti sono tutti da verificare.Per Gerhard Karner, ministro degli Interni austriaco, “è ormai chiaro a tutti che l’Europa deve diventare più robusta e dura nella lotta contro la migrazione illegale”, il che “significa anche procedere con rimpatri coerenti di criminali e irregolari, anche verso Paesi come Siria e Afghanistan“, scandisce al suo arrivo a Lussemburgo per i lavori del consiglio Affari interni.La linea dell’Austria mostra lo spostamento a destra non solo di uno Stato membro dell’UE, ma dell’UE nel suo complesso, pronta a sacrificare quei valori tanto sbandierati al governo dei talebani al potere in Afghanistan nei confronti del quale c’è peraltro non poco imbarazzo. L’UE dice di non riconoscere i talebani, eppure allo stesso tempo starebbe già lavorando per rispedire nel Paese dell’Asia meridionale uomini e donne altrimenti in rotta verso l’UE e già presenti su suolo comunitario.La necessità di contrastare i flussi migratori irregolari e di garantire sicurezza per le strade spinge gli Stati ad accelerare su un percorso fino a poco tempo fa impensabile. “Dobbiamo rimpatriare gli immigrati che hanno commesso crimini gravi qui in Svezia” e in Europa, sintetizza Johan Forssell, ministro degli Interni svedese, anch’egli convinto che “dopo aver registrato progressi sulla Siria è tempo di accelerare anche sull’Afghanistan“. Poco importa quello che potrà accadere dopo, una volta rientrati all’interno di un Paese dove non ci sono garanzie di sicurezza personale e dove il rischio di persecuzioni non può essere escluso.Del resto la presidenza danese del Consiglio dell’UE ha impresso un cambio di rotta che va incontro alle preoccupazioni e alle richieste dei governi nazionali, aprendo la strada per rimpatri più facili verso Paesi terzi non propriamente sicuri. La scelta danese si inserisce tuttavia in una decisione politica delle istituzioni UE, che hanno scommesso sulla nuova leadership siriana, rappresentata da un’organizzazione riconosciuta dalla stessa UE come terroristica.

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    Von der Leyen: “Global Gateway meglio delle attese, ora la piattaforma per le imprese”

    Bruxelles – Il Global Gateway funziona. La strategia lanciata nel 2021 dalla Commissione europea per una cooperazione mondiale volta a promuovere la doppia transizione energetica e digitale ha prodotto anche più di quello che ci si era prefissato. “Il nostro obiettivo iniziale era di mobilitare 300 miliardi di euro in cinque anni. Ma oggi abbiamo già raggiunto questo obiettivo“, annuncia la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, aprendo i lavori dell’edizione 2025 del Global Gateway Forum. “In quattro anni, abbiamo già mobilitato oltre 306 miliardi di euro. E sono fiduciosa che supereremo i 400 miliardi di euro entro il 2027“. Buone notizie, in un mondo meno prevedibile e in cui l’Unione europea fa fatica a posizionarsi. Il Global Gateway nasce per rispondere innanzitutto alla penetrazione e all’avanzata commerciale cinese, ma torna di maggiore utilità soprattutto oggi, scandisce von der Leyen, in un momento in cui “dazi e barriere commerciali tornano a essere uno strumento di geopolitica e geoeconomia”. Ogni riferimento agli Stati Uniti di Donald Trump non è casuale, visto che l’accordo UE-USA sui dazi sembra non considerare quella green economy, mentre con il Global Gateway “stiamo cercando di rafforzare la nostra autonomia in settori strategici, dall’energia pulita all’intelligenza artificiale“. Avanti con la doppia transizione, dunque, a vele spiegate e anche di più. L’entusiasmo per i risultati ottenuti induce von der Leyen ad annunciare il Global Gateway Investment Hub, “una piattaforma unica per le aziende che vogliono proporre investimenti” alla politica. Questo ‘hub’ intende essere “un luogo in cui Stati membri, banche di sviluppo, agenzie di credito all’esportazione e aziende si incontrano per elaborare offerte coordinate”. Perché, insiste, la presidente della Commissione europea, “insieme possiamo offrire solidi rendimenti per gli investitori, valore strategico per l’Europa e benefici duraturi per i nostri partner”.João Manuel Gonçalves Lourenço, presidente dell’Angola e dell’Unione Africana, al Global Gateway Forum 2025 [Bruxelles, 9 ottobre 2025]“La cooperazione tra Unione europea e Africa attraverso il Global Gateway ha un potenziale enorme“, riconosce Joao Manual Gonçalves Lourenço, presidente dell’Angola e dell’Unione africana. “In un momento di profonde interconnessioni questioni come sicurezza energetica, inclusione sociale e resistenza ai cambiamenti climatici diventano di vitale importanza”, ammette, promettendo di “dare più valore alla materie prime che abbiamo in Africa” e che sono fondamentali per la doppia transizione.Commissione europea ed Europa degli Stati trovano il sostegno e la sponda anche del Sudafrica, membro del G20 e dei BRICS, e dunque partner strategico in quanto attore ‘amico’ di Paesi quali Cina, Russia, India, tutti competitor dell’UE sullo scenario globale. “I dazi non dovrebbero essere usati come arma, ma regolamentati secondo le regole dell’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO)”, sottolinea Cyril Ramaphosa, presidente del Sudafrica, Paese che del G20 detiene la presidenza di turno. “Siamo pronti a collaborare con l’UE”, su questo punto come su altri. “Dobbiamo usare il commercio come strumento per rafforzare economia e industrializzazione e il Global Gateway rappresenta un buon modo per farlo”.Il mondo e la situazione globale visti dal sud America appaiono in modo diverso, tanto che Gustavo Francisco  Petro Urrego, presidente della Colombia e della comunità dei Paesi dell’America latina e dei Caraibi (CELAC), invita l’UE e i partner mondiali a riconsiderare le relazioni con Mosca, al centro di una guerra contro l’Ucraina che bisognerà imparare a superare. “Se vogliamo connetterci con l’est dobbiamo includere Cina, Giappone, e magari anche la Russia“, scandisce. Questo perché “gli Stati Uniti vogliono isolarsi, oggi la realtà è questa” e bisogna farci i conti. Mentre a livello di agenda politica Urrego guarda al Global Gateway per rilanciare fibra ottica, sostenibilità e lotta ai cambiamenti climatici.

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    Groenlandia, il primo ministro Nielsen parla all’Eurocamera: “L’Unione è un’amica leale”

    Dall’inviato a Strasburgo – Dall’estremo nord al Parlamento europeo di Strasburgo. Jens-Frederik Nielsen, 34 anni, primo ministro della Groenlandia. La prima volta di un discorso alle istituzioni europee per un politico groenlandese è un successo. “La Groenlandia ha bisogno dell’Unione Europea, e l’Unione Europea ha bisogno della Groenlandia” ricorda il premier tra gli applausi dell’aula.Dallo scranno principale, Nielsen parla senza giacca né cravatta. Addosso una felpa, o meglio un anorak tipico delle popolazioni inuit. L’indumento è di colore blu sulle stesse tonalità della bandiera dell’Unione. La scelta cromatica non è solo simbolica. Davanti ai 720 europarlamentari le sue parole hanno una linea chiara: collaborazione. Un’apertura, però, solo verso chi – ricorda il primo ministro – “condivide i nostri valori”.Gli amici europeiLa Groenlandia è formalmente parte del Regno di Danimarca, ma dal 2009 gode di autonomia ampliata e non fa parte della Comunità Europea. Questo, però, non toglie nulla alle buone relazioni tra le due entità. “L’Unione è stata un’amica leale e ci è rimasta accanto nei momenti in cui ne avevamo più bisogno”, ricorda Nielsen. Il futuro non può essere da meno: “Possiamo sviluppare partenariati in settori decisivi che porteranno benefici sia a noi che a voi”, afferma il primo ministro.Al di là della fraterna amicizia che esiste tra la popolazione artica e gli europei, la sua presenza a Strasburgo ha ragioni strategiche. “Siamo molto felici che nel prossimo piano economico quinquennale presentato dalla Commissione – continua il groenlandese – siano presenti fondi per 530 milioni dedicati alla nostra terra”. La proposta è quella, per stessa ammissione di Nielsen, di “sostenere lo sviluppo delle risorse minerarie in Groenlandia, creando al contempo catene di valore per la transizione verde nell’UE”.L’accordo è possibile perché sotto il suolo inuit si trovano materie prime preziose. L’isola artica, infatti, possiede 24 delle 34 terre rare critiche individuate dall’UE. Questi minerali sono perfetti per la creazione di batterie a ioni di litio, componenti elettronici e magneti, tutti elementi fondamentali per l’economia green.Greenland has vast, untapped mineral resources, including rare earth elements and other critical minerals. pic.twitter.com/tlRmiV40Dg— Civixplorer (@Civixplorer) September 14, 2025Soldi, foche e mineraliL’occasione per l’Unione Europea è interessante. Sotto questi auspici, la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, in conferenza stampa ribadisce: “Spero che incontri come questo non avvengano soltanto durante la Presidenza (del Consiglio Europeo, ndr) danese. Vorremmo più spesso la Groenlandia ai nostri tavoli”.La partnership sembra vantaggiosa per tutti. Il primo ministro non vuole però svendere le sue terre e, per questo, tra le righe chiede qualcosa in cambio. Sicuro delle sue ragioni, suggerisce davanti ai 720 eurodeputati di modificare le norme del regolamento sulla commercializzazione di prodotti derivati da foche. “Il divieto generale di immettere sul mercato dell’UE prodotti derivati da foche – ha lamentato Nielsen – ha avuto gravi conseguenze negative, causando un forte calo nella produzione interna e nelle esportazioni delle nostre pelli di foca. Questa pesca fa parte della nostra cultura e del nostro sostentamento”.Jens-Frederik Nielsen e Roberta MetsolaL’intrigo articoIn un discorso che parla di amicizia e fratellanza rimane sullo sfondo la questione americana. Le minacce di Trump di annessione risalgono solo a pochi mesi fa. Nielsen non ne parla e liquida la questione: «Abbiamo ottime relazioni da tantissimi anni con loro».Gli interessi a stelle e strisce sull’isola non si possono però ignorare. Per fare un esempio, l’azienda Critical Metals si è insediata nel giacimento minerario di Qaqortoq nel sud del Paese, uno dei più significativi al mondo. All’epoca dell’assegnazione dell’area, il 2024, la pressione danese e statunitense è stata decisiva. La Cina, nonostante il manifesto interesse, è stata esclusa.L’intrigo artico, insomma, è solo all’inizio. Tra riscaldamento globale, che aumenta i terreni sfruttabili, e rotte artiche per navi cargo, gli occhi delle superpotenze guardano verso nord. Nielsen, con il suo anorak blu, strizza l’occhio a tutti, cercando di fare gli interessi del, sempre meno solitario, popolo inuit.

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    UE-Balcani occidentali a ‘roaming zero’, Bruxelles lavora al quadro giuridico che ancora non c’è

    Bruxelles – Integrazione telefonica e allargamento, il roaming adesso fa discutere e costringe la Commissione europea a spingere sull’acceleratore, soprattutto per creare il quadro giuridico necessario del caso. I Paesi dei Balcani occidentali – Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del nord, Montenegro, Serbia – sono indietro in un processo per cui l’impegno dell’esecutivo comunitario appare svanito, e di cui si chiede conto.Sono i sovranisti di Patriots for Europe (PfE) a chiedere che ne è di quella dichiarazione del 2022 che annunciava l’abbattimento dei sovra-costi per telefonate e utilizzo di internet entro il 2027. Denunciano con tanto di interrogazione parlamentare il rischio di “doppio standard”, visto come il team von der Leyen abbia accelerato per eliminare i costi aggiuntivi con l’Ucraina.La questione al centro della richiesta di spiegazioni non è logica delle parti, con l’opposizione che prova a mettere pressioni sulla maggioranza. La questione in realtà si pone, perché come ammette la commissaria per l’Allargamento, Marta Kos, c’è un nodo di diritto da dover risolvere.Gli accordi di associazione che l’UE ha stipulato con Ucraina e Moldavia, ricorda Kos, “includono una zona di libero scambio globale e approfondita, che fornisce il quadro giuridico necessario per consentire alle parti di aprire reciprocamente i propri mercati di roaming, consentendo a sua volta all’UE di estendere l’area UE del ‘Roam Like at Home’” (vale a dire utilizzare il proprio telefono all’estero alle stesse condizioni del proprio Paese di residenza). “Gli accordi di stabilizzazione e associazione UE-Balcani occidentali sono privi di tale quadro giuridico“, e questo produce situazioni diverse con la necessità di lavorio maggiore.E’ vero che esiste la Dichiarazione sul roaming, con l’obiettivo di ridurre gradualmente, fino all’abbattimento completo, i costi aggiuntivi per telefonare e navigare su internet quando ci si trova all’estero, ma si tratta di un documento più politico che tecnico-giuridico, da quello che spiega la commissaria europea per l’Allargamento. Per questo “i servizi della Commissione stanno lavorando a una soluzione volta a integrare gli attuali accordi di stabilizzazione e associazione” tra l’Unione europea e i Paesi del Balcani occidentali al fine di “fornire il quadro giuridico necessario per estendere l’area UE del Roam Like at Home anche ai Balcani occidentali”. Il piano di crescita per i Balcani occidentali del 2023 serve proprio a questo, assicura Kos, a integrare i partner dei Balcani occidentali nel mercato unico dell’UE, “compreso il mercato unico digitale”.

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    Orban chiude (di nuovo) all’Ucraina: “Nessuna adesione all’UE, rispettare le regole per avviare negoziati”

    Bruxelles – L’Ucraina Stato membro dell’Unione europea è qualcosa che non si può fare. L’Ungheria di Viktor Orban si oppone con rinnovata forza all’ipotesi di un ingresso nell’UE, che il primo ministro ungherese respinge in modo categorico: “Per l’Ucraina chiediamo un accordo strategico, è giusto sostenerla, ma la membership è troppo“, taglia corto al suo arrivo a Copenhagen per il vertice informale del Consiglio europeo. E’ solo la premessa, peraltro nota, a quello che ne segue subito dopo: la chiusura ad ipotesi di scorciatoie per l’avvio dei capitoli negoziali. “C’è un procedimento giuridico molto rigido e dobbiamo attenerci a quello”, sostiene ancora Orban, che sfida tutti i partner.La riunione informale dei capi di Stato e di governo vuole essere per il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, l’occasione per provare ad aprire i primi capitoli negoziali per l’adesione all’UE aggirando il vincolo dell’unanimità, questione a cui nessuno ufficialmente si oppone in linea di principio, eccezione fatta per l’Ungheria e il suo primo ministro Orban. Quando questi fa riferimento al rispetto delle regole, peraltro non proprio chiarissime, lascia intendere di essere pronto anche a ricorsi in caso di soluzioni considerate dal governo di Budapest come contro le stesse regole.Al di là degli aspetti giuridici c’è una chiusura netta da parte di Orban, che non lo nasconde né si nasconde: “L’Ucraina non ha i soldi per potersi mantenere, dobbiamo aiutarla noi. E’ un fatto finanziario”, ricorda alla stampa al suo arrivo per i lavori. Un eventuale ingresso di Kiev nell’UE “porterebbe la guerra nell’Unione europea e i soldi degli europei in Ucraina”. Niente da fare, dunque.Le posizioni di Orban si scontrano con quelle degli altri leader, riassunte dalla premier lettone, Evika Silina, convinta del fatto che “dobbiamo integrare Moldova e Ucraina, e aprire il cluster 1“, l’insieme dei capitoli che riguardano i diritti fondamentali (giustizia, magistratura, appalti, controllo finanziario, statistiche). E’ esattamente il lavoro su cui si concentra parte del vertice dei leader, chiamati a fare i conti con Orban, che con la testa è però a Praga. Il 3 e 4 ottobre si tengono le elezioni politiche, e il capo di governo ungherese attende con impazienza il voto. “Spero che i patrioti cechi vincano, spero che Babis possa tornare” al governo, dice riferendosi al leader di Ano, Andrej Babis, contrario al sostegno militare a Kiev e all’avvio accelerato dell’adesione dell’Ucraina.

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    Dopo dieci anni l’UE reintroduce sanzioni contro l’Iran, bocciata la corsa di Teheran al nucleare

    Bruxelles – Congelamento dei beni bancari iraniani detenuti nella banche europee, divieto di fare affari, restrizione ai viaggi e agli spostamenti per le persone, divieti alla circolazione delle merci. L’Unione europea vara sanzioni contro l’Iran, in risposta alle intenzioni del regime degli ayatollah di riprende la corsa verso l’arricchimento dell’uranio e al nucleare a fini non civili. Si tratta di un ritorno al passato, dopo un processo di normalizzazione con Teheran avviato nel 2024, con la prima parziale sospensione di misure restrittive poi estesa nel 2015 e sfociata la cancellazione completa. Ora la nuova linea dura, peraltro annunciata dopo i provvedimenti presi da Francia, Germania e Regno Unito a fine agosto.Banche, commercio e trasporti: le sanzioni UEIl Consiglio dell’UE non si limita ad allinearsi alle decisioni prese in sede ONU. Vengono adottate misure restrittive autonome e tutte europee, a partire dal congelamento dei beni della Banca centrale dell’Iran e delle principali banche commerciali iraniane. Accanto a queste sanzioni finanziarie l’UE intende ripristinare misure volte a impedire l’accesso agli aeroporti UE dei voli cargo iraniani. In materia di trasporti si vuole inoltre impedire la manutenzione e il servizio degli aeromobili da carico o delle navi da carico iraniane.La guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei [foto: imagoeconomica via Arabic.Khamne]Oltre alle restrizioni agli scambi di merci i Ventisette varano una stretta commerciale che prevede il divietodi esportazione di armi verso l’Iran e il divieto di trasferimento di qualsiasi oggetto (materiale, bene e tecnologia) che possa tornare utile per le attività di arricchimento dell’uranio. A questo si aggiungono poi divieti di importazioni e trasporto di petrolio greggio, gas naturale, prodotti petrolchimici e petroliferi e derivati, divieto di vendita o fornitura di attrezzature chiave utilizzate nel settore energetico, divieto di vendita o fornitura di oro, altri metalli preziosi e diamanti. Infine disposte limitazioni nella vendita di programmi informativi e attrezzature navali.La presidenza danese del Consiglio dell’UE fa sapere che la decisione presa non pregiudica il prosieguo del cammino pacifico e diplomatico condotto fin qui: “Le porte per negoziati restano aperte“, il messaggio per Teheran.Il nucleare iraniano, quando Trump ha affossato le speranze di stabilitàLe relazioni tra UE e Iran hanno conosciuto una stagione di avvicinamento nel 2013, quando un accordo sul nucleare iraniano era già alla portata, e ancor di più nel 2015, quando il governo di Teheran sigla con la comunità internazionale il Piano d’azione congiunto globale (noto come JCPOA – Joint Comprehensive Plan of Action), l’intesa che permette la presenza di ispettori internazionali in Iran per verificare che il Paese non si doti della bomba atomica. E’ una nuova stagione di normalizzazione delle relazioni tra la repubblica islamica e il resto del mondo, e in particolare l’occidente, che vede nella cancellazione delle sanzioni europee uno dei momenti più alti.Per l’Ue l’accordo sul nucleare iraniano “non è morto”, Borrell ancora impegnato nelle trattative con TeheranA maggio 2018 il presidente USA Donald Trump annuncia di ritirarsi dall’acordo JCPOA, sconfessando l’attività del suo predecessore, Barack Obama, e gettando le basi per nuove instabilità regionali e mondiali. L’UE tenta di sostituirsi agli Stati Uniti, salvare gli accordi JCPOA ed ergersi a garante della pace mondiale, ma nonostante gli sforzi profusi prima da Federica Mogherini e poi da Josep Borrell – Alti rappresentanti per la politica estera e di sicurezza dell’UE succedutisi nel corso del tempo – le relazioni con Teheran si disfano nuovamente, a causa di una mossa vista dal governo iraniano come un tradimento dell’occidente.L’amministrazione Biden non ha saputo ricucire strappi divenuti ormai insanabili, e che con la nuova amministrazione Trump difficilmente miglioreranno. Nel frattempo l’UE ha preso posizione in maniera chiara, per quanto discutibile: gli attacchi israeliani in Iran, ‘giustificati’ dallo Stato ebraico per l’attività degli ayatollah sull’uranio, non sono stati condannati, a dispetto di attacchi russi in Ucraina. Un doppio standard che non è piaciuto a Teheran, finito comunque nella lista nera dell’UE per il suo ruolo giocato nella guerra in Ucraina.

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    Sefcovic: “Accordo sui dazi non è in conflitto con obiettivi di sostenibilità”

    Bruxelles – L’accordo sui dazi raggiunto tra Unione europea e Stati Uniti non sconfessa l’impegno dell’UE in termini di sostenibilità e green economy. Lo assicura il commissario per il Commercio, Maros Sefcovic, rispondendo a un’interrogazione parlamentare in cui si accusa l’esecutivo comunitario di aver agito in contraddizione alla transizione ecologica. Si critica nello specifico l’impegno ad acquistare energia negli USA in quantitativi massicci, puntando sulle fonti fossili più clima-alteranti.“I parametri concordati il ​​27 luglio 2025 non sono in conflitto con i piani di transizione energetica e decarbonizzazione dell’UE“, sostiene Sefcovic, in riferimento agli impegni per 750 miliardi di dollari di acquisti in gas, combustibile nucleare e anche petrolio. Non è in conflitto con il Green Deal e i suoi obiettivi, ricorda, il passaggio verso un modello economico-produttivo sostenibile non sarà immediato. “L‘economia dell’UE continuerà a necessitare di gas, petrolio e combustibili nucleari nel percorso verso la neutralità climatica entro il 2050″.Inoltre, continua ancora il commissario per il Commercio, “sebbene l’accordo preveda un aumento delle importazioni di energia dagli Stati Uniti nei prossimi tre anni, esso verrà attuato nel contesto di REPowerEU per aiutare l’UE a eliminare gradualmente le restanti importazioni di energia dalla Russia”.

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    UE: approvato in Commissione Affari Costituzionali il rapporto Gozi su allargamento e riforme

    Bruxelles – La commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo ha adottato oggi, a larga maggioranza, il rapporto presentato da Sandro Gozi (Renew Europe) sulle conseguenze istituzionali e politiche dei negoziati di allargamento dell’Unione europea.“L’unificazione del continente europeo è una scelta strategica. Rappresenta il miglior investimento per la democrazia, la stabilità e la sicurezza del nostro continente. Ma non potrà riuscire senza un’Unione europea più efficace, più potente e più democratica. L’approvazione di questo rapporto è uno dei primi passi concreti della volontà delle forze pro-europee di rilanciare l’Europa, emersa nel dibattito sullo stato dell’Unione”, ha spiegato Gozi.Il “Rapporto sulle conseguenze istituzionali e politiche dei negoziati di allargamento dell’Unione europea” individua tre grandi sfide istituzionali: migliorare l’efficacia dei processi decisionali eliminando i veti e generalizzando l’uso della maggioranza qualificata in Consiglio; rafforzare i poteri e le risorse riformando il bilancio dell’Unione e superando l’obsoleto tetto dell’1 per cento del reddito nazionale lordo; approfondire la democrazia, conferendo più poteri al Parlamento europeo, armonizzando le regole elettorali e coinvolgendo più direttamente i cittadini.Il testo sottolinea inoltre la necessità di costruire una vera Unione europea della difesa, facendo leva su strumenti come la cooperazione strutturata permanente (PESCO), che consentono agli Stati membri più determinati di avanzare senza attendere l’unanimità. Propone anche di sfruttare appieno le flessibilità dei trattati, valutare revisioni mirate quando necessario e come ultima istanza ricorrere ad accordi intergovernativi esterni all’Ue. Centrale il tema della libera scelta politica di ogni Stato e dell’integrazione differenziata, per consentire agli Stati più ambiziosi di procedere più rapidamente. In un contesto segnato dalla guerra in Ucraina e dalla competizione geopolitica globale, il rapporto avverte che un blocco del processo di unificazione del continente rischierebbe di spingere i Paesi candidati verso altre potenze, come Russia o Cina.“Oggi l’Europa deve scegliere: o si prepara seriamente all’unificazione del continente, o corre il rischio di perdere definitivamente influenza e credibilità. Con questo rapporto indichiamo una via chiara: allargamento e riforma dell’Ue devono andare di pari passo. Ora contiamo sull’impegno della maggioranza pro-europea in vista della plenaria, e su un impegno all’altezza delle sfide da parte di Ursula von der Leyen e António Costa”, ha concluso Gozi.