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    Ecco il “piano per la vittoria” che Zelensky presenterà al vertice dei leader Ue

    Bruxelles – Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dovrebbe partecipare in presenza al Consiglio europeo che partirà domani (17 ottobre) a Bruxelles, durante il quale presenterà ai leader dei Ventisette il suo “piano per la vittoria”, che aveva già anticipato nelle scorse settimane e di cui ha svelato oggi gli elementi principali al Parlamento di Kiev. Si tratta di un elenco di priorità strategiche che dovrebbero permettere al Paese aggredito di sedersi al tavolo delle trattative da una posizione che non sia di netta inferiorità – o almeno queste sono le intenzioni. Ma la strada appare tutt’altro che in discesa.Sono cinque i punti principali di questo piano: l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, l’aumento delle sue capacità di difesa, la deterrenza verso nuove aggressioni da parte della Russia, la crescita economica e l’architettura di sicurezza una volta terminata la guerra in corso. Il documento include anche tre elementi secretati, che Zelensky ha già anticipato agli alleati internazionali nelle ultime settimane – il presidente Usa Joe Biden e i due candidati alle elezioni del mese prossimo, il primo ministro britannico Keir Starmer, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente francese Emmanuel Macron e la premier italiana Giorgia Meloni.“Se il piano viene sostenuto” dai partner occidentali, ha dichiarato Zelensky di fronte ai deputati della Verchovna Rada (il legislativo monocamerale ucraino), “possiamo mettere fine alla guerra non più tardi del prossimo anno”. Si tratta, nelle parole del presidente, di “un piano per rafforzare il nostro Stato e la nostra posizione”, per permettere al Paese “di essere abbastanza forte per porre fine alla guerra, per assicurarci che l’Ucraina abbia tutti i suoi muscoli”. E ha chiarito che l’implementazione del piano “dipende dai nostri partner”, e “non dipende sicuramente dalla Russia”.L’Ucraina nella Nato?Ma è precisamente la priorità che Zelensky ha deciso di mettere in cima alla lista che potrebbe essere la più difficile da realizzare. L’ingresso dell’Ucraina nella Nato è stata ripetutamente indicata, negli ultimi tre anni, come una linea rossa invalicabile dal presidente russo Vladimir Putin, che ha motivato l’invasione su larga scala del febbraio 2022 (avvenuta dopo l’occupazione della Crimea e le infiltrazioni nel Donbass del 2014) proprio con la necessità di impedire che Kiev entrasse nel blocco militare occidentale.I rapporti dell’Ucraina con la Nato sono lunghi e complessi e risalgono ai tempi della dissoluzione dell’Urss nel 1991, ma Kiev ha formalmente avanzato la richiesta di entrare nell’Alleanza solo nel settembre 2022, dopo che Mosca proclamò l’annessione unilaterale dei territori occupati nell’ex repubblica sovietica. “Ci rendiamo conto che l’adesione alla Nato è una questione del futuro, non del presente”, ha concesso Zelensky nel suo discorso, ma ha aggiunto che se l’Alleanza invitasse l’Ucraina come 33esimo membro manderebbe un forte segnale del fatto che “i calcoli geopolitici” di Putin erano profondamente sbagliati.Tuttavia, anche se al summit di Washington dello scorso luglio la Nato ha ribadito che il percorso di Kiev verso l’adesione è “irreversibile”, è piuttosto improbabile che questa avvenga nel breve periodo. La decisione è politica, e va presa all’unanimità dai 32 Stati membri. Includere l’Ucraina, secondo diversi leader, sarebbe come uno schiaffo in faccia a Putin. Ma c’è anche un altro ostacolo: la Nato non può accettare al suo interno un Paese in guerra, poiché questo comporterebbe un’attivazione immediata dell’articolo 5 della Carta atlantica (il trattato fondamentale dell’organizzazione), che prevede il supporto di tutti gli alleati nel caso di aggressione ad uno di loro.Difesa dalla RussiaIl secondo punto del piano prevede la rimozione delle restrizioni sulle armi occidentali consegnate all’Ucraina, per consentire a quest’ultima di colpire in profondità oltre il confine con la Russia. Portare la guerra direttamente sul territorio della Federazione impedirebbe la creazione di “zone cuscinetto” sul suolo ucraino, un obiettivo cui mirava l’incursione dello scorso agosto nell’oblast’ di Kursk. La stessa Commissione europea aveva detto chiaro e tondo, all’epoca, che Kiev aveva il diritto di difendersi “anche in territorio nemico”.Oltre all’eliminazione delle restrizioni sui sistemi d’arma a lungo raggio, Zelensky continua a chiedere agli alleati occidentali ulteriori forniture di materiale bellico (a cominciare dalle munizioni) e maggiore supporto diretto al rafforzamento delle capacità militari dell’ex repubblica sovietica (dalle truppe terrestri alla contraerea, passando per l’assistenza a livello di intelligence), nonché una maggiore partecipazione nell’abbattimento di droni e missili russi nello spazio aereo ucraino.La terza parte del documento fa riferimento alla deterrenza contro future aggressioni da parte dell’ingombrante vicino. Per quanto questo punto rimanga secretato, si sa che vi è menzionata una deterrenza esplicitamente non-nucleare – giova ricordare a tal proposito che Kiev ha ceduto tutte le sue testate atomiche a Mosca in base al memorandum di Budapest del 1994, in cambio della garanzia che la Russia avrebbe rispettato la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. L’idea è di mettere in piedi “un pacchetto globale di deterrenza strategica non-nucleare” sul territorio del Paese aggredito, che verosimilmente includerebbe asset convenzionali dei partner della Nato.Il rapporto coi partner occidentaliAl quarto punto, Kiev offre all’Ue e agli Stati Uniti un “accordo speciale” relativo a investimenti congiunti per lo sfruttamento delle risorse naturali presenti nel suo sottosuolo (tra cui uranio, titanio, grafite e litio). Un accordo sulle materie prime critiche è già in piedi con Bruxelles dal 2021, mentre recentemente anche a Washington sembrano essersi accorti che l’Ucraina è “una miniera d’oro” di minerali del valore di circa 11mila miliardi di dollari, che l’Occidente non può permettersi di lasciar cadere in mani russe.Infine, il quinto elemento del piano riguarda l’architettura della sicurezza ucraina nel dopoguerra, che prevederebbe secondo Zelensky un grado avanzato d’integrazione tra le forze militari del suo Paese e quelle della Nato. “Se i nostri partner sono d’accordo, dopo la guerra pensiamo di sostituire alcuni dei contingenti militari statunitensi stazionati in Europa con unità ucraine”, ha dichiarato alla Rada. Il piano per la vittoria dev’essere realizzato, ha concluso, per “costringere la Russia” a “terminare la guerra”.Nel suo discorso, il presidente ucraino ha pubblicamente ammesso per la prima volta che gli alleati occidentali stanno aumentando le pressioni diplomatiche su Kiev per avviare al più presto delle trattative di pace con Mosca. E che la parola “negoziati” si sta sostituendo sempre di più a “giustizia”: un segnale eloquente della crescente stanchezza internazionale nei confronti della guerra. Così, il piano per la vittoria rappresenta nelle speranze di Zelensky un modo per sedersi al tavolo con il capo del Cremlino da una posizione che, se non di superiorità, almeno non sia di netta debolezza. L’Ucraina non vuole scambiare “territori o sovranità” in cambio dello stop all’aggressione, ha scandito di fronte all’emiciclo.Ma non tutto il Parlamento di Kiev ha accolto con favore la comunicazione del presidente. Alcuni membri dell’opposizione hanno criticato il piano di Zelensky come “irrealistico”, una “lista di desideri” priva di dettagli concreti su come vanno realizzati. E richiamarsi alla “vittoria” dell’Ucraina nel momento in cui il fronte orientale nel Donetsk sta cedendo davanti all’avanzata nemica e oltre metà delle infrastrutture energetiche sono fuori uso a causa dei bombardamenti, hanno rimarcato, è “contraddittorio”.I prossimi passi a BruxellesStando alla bozza di conclusioni del Consiglio europeo circolata nelle ultime ore, i leader dei Ventisette dovrebbero discutere, oltre che del piano di Zelensky, anche di altri aspetti del sostegno dell’Ue all’Ucraina. Uno dei piatti principali sul tavolo dei capi di Stato e di governo sarà il maxi-prestito a Kiev – da finanziare con gli extraprofitti generati dai fondi russi congelati in Occidente – che potrebbe arrivare a toccare i 35 miliardi di euro.E sul quale, per l’ennesima volta, aleggia il veto dell’Ungheria di Viktor Orbán, che minaccia di bloccare la decisione con cui Bruxelles vorrebbe modificare l’orizzonte temporale per il congelamento degli asset russi da sei a 36 mesi (decisione dalla quale potrebbe dipendere la partecipazione di Washington al prestito G7, che dovrebbe valere 45 miliardi di euro in tutto). Budapest ha chiesto, come condizione per non opporre il proprio veto, che non venga toccata la deroga che attualmente consente al Paese con la presidenza di turno dell’Ue di continuare ad acquistare petrolio dalla Russia, proprio nelle stesse ore in cui ha annunciato un aumento delle importazioni di gas da Mosca per il 2025.

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    L’Ue ai Paesi del Golfo: “Più fermezza contro Putin”. Il mondo arabo: “Riconoscete la Palestina”

    Bruxelles – Da una parte l’invito a più fermezza nella risposta alle manovre militari russe in Ucraina, dall’altra parte l’invito a fare di più per la Palestina e la causa palestinese. Unione europea e Paesi del golfo arabico provano a rafforzare le proprie relazioni, ma sul piano politico il primo approccio è di quelli che mostrano distanze e difficoltà a capirsi e intendersi. Un dialogo da costruire, certo, che inizia però all’insegna di richieste fugate. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, esorta i partner extra-europei a considerare un cambio di rotta nei confronti di Mosca. “L’aggressione della Russia qui in Europa è molto sentita, e so quanto anche per voi il concetto di sovranità sia importante”, premette ai rappresentanti dei Paesi arabi: “I conflitti attorno a noi richiedono una risposta tempestiva“.Von der Leyen tocca un tema per l’Ue cruciale, quello di un sostegno incondizionato all’Ucraina e la necessità di mettere il presidente russo Vladimir Putin all’angolo. Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno sostenuto la risoluzione dell’Assemblea generale della Nazioni Unite che condanna l’aggressione russa, ma il fare affari con Mosca è qualcosa che genera malumori al blocco dei Ventisette, che ricevono un impegno di circostanza e una risposta molto evasiva.“Noi riconosciamo la carta Onu, e siamo quindi per la difesa dell’integrità territoriale”, scandisce l’emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani. “Il consiglio dei Paesi del golfo sostiene chiunque cerca una soluzione pacifica del conflitto“, aggiunge, senza però specificare quali dovrebbero essere le condizioni di una pace tra Russia e Ucraina. Dichiarazioni evasive a cui si aggiunge la richiesta politica del blocco del golfo persico per l’Ue: riconoscere la Palestina.“Ringrazio tutti quelli che riconoscono la Palestina come Stato, e chiedo altri di fare altrettanto“, scandisce il leader qatariota. Parole che servono a ricordare all’Europa degli Stati come al netto degli impegni e dei proclami del Vecchio continente, l’ipocrisia di fondo percepita nel golfo persico si annida nella contraddizione tra chi dice di volere una soluzione a due Stati e chi ancora – più della metà dei 27 – non ha riconosciuto la Palestina come Stato.Non un dialogo tra sordi, tutt’altro. Due mondi distanti che cercano un riavvicinamento, non semplice, fatto di priorità e sensibilità diverse per cultura, storia, geografia. Non sarà semplice, e a Bruxelles, dove si ospita il primo summit di questo tipo, lo sanno bene. Von der Leyen è consapevole della portata del primo vertice Ue-Paesi del golfo. “La vostra presenza è storica”, segno che oggi “ci vediamo l’un l’altro come partner strategici”. Però, aggiunge, “per essere partner strategici bisogna ascoltarsi, impegnarsi per un altro futuro, fidarsi”. La fiducia è tutta da trovare e da costruire. La vera sfida è questa, e le premesse, però, non sembrano delle più incoraggianti.L’Europa insiste su Putin, i Paesi arabi del golfo rispondono con la questione israelo-palestinese e l’implicita richiesta di ricalibrare il peso politico più sulla parte araba e meno su quella israeliana. Per il segretario generale del Consiglio di cooperazione dei Paesi arabi del golfo, Jasem Mohamed Albudaiwi, “il futuro della nostra cooperazione è promettente”. L’esordio sembra però suggerire, se non l’esatto contrario, un percorso piuttosto tortuoso.

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    Ue e Paesi del golfo persico, a Bruxelles le prove politiche di nuova collaborazione

    Bruxelles – Commercio, energia, contrasto ai cambiamenti climatici, e poi sicurezza, soprattutto marittima, e coinvolgimento in materia di sicurezza regionale. Unione europea e Paesi del golfo arabico (Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) cercano una nuova stagione di relazioni bilaterali con il primo summit di alto livello politico, che a Bruxelles viene salutato come il momento più alto di sempre. Un punto di arrivo di un lavoro condotto meticolosamente da Luigi di Maio nella sua veste di inviato speciale dell’Ue nel golfo Persico, il primo di sempre.Un’opportunità salutata nella capitale dell’Unione europea con soddisfazione, che mostra la disponibilità del mondo arabo di mettersi in gioco, provare a dialogare su temi comunque spinosi, tutt’altro che agevoli, e su cui orientamenti e punti di vista sono tutt’altro che convergenti, a cominciare dalla questione del conflitto russo-ucraino.Tutti i Paesi della regione hanno sostenuto la risoluzione dell’Assemblea generale della Nazioni Unite che condanna l’aggressione russa, ma a differenza degli europei non hanno varato pacchetti di sanzioni. Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi “hanno relazioni con la Russia, che chiaramente cambia posizionamenti”, riconoscono fonti Ue. Questo complica anche il lavorio tecnico per la stesura di conclusioni di fine summit, che l’Ue vorrebbe ma su cui si riconoscono difficoltà e lo scenario di una fine seduta senza dichiarazioni non viene escluso.“E’ chiaro che ci sono rischi che dobbiamo correre”, ragionano le stesse fonti comunitarie. Ma si sottolinea con enfasi come “il fatto che i leader dei Paesi del golfo vengano a Bruxelles è già un elemento importante, un segno”. Certo, nel momento di discutere le conclusioni le conclusioni “verranno a galla delle problematiche”, non ci si fanno illusioni, “ma lavoriamo per trovare una soluzione”.Non si nascondono poi le difficoltà per ciò che riguarda le relazioni commerciali, che si vorrebbero rilanciare ma su cui pesano almeno due grandi ostacoli: differenza di regole per l’accesso nel settore degli appalti pubblici e idrocarburi. L’Unione europea è impegnata nella transizione verde e lo spostamento dai combustibili fossili a fonti rinnovabili, mentre i Paesi del golfo arabico dispongono di petrolio in abbondanza (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait sono membri dell’Opec, l‘Organizzazione dei Paesi Esportatori del Petrolio) e a prezzi ridotti rispetto a quelli pagati dagli europei, il che rende poco attraente e meno competitivo optare per la transizione sostenibile su cui punta l’Ue.Ciò nonostante a Bruxelles andranno in scena prove politiche per una nuova stagione di cooperazione bilaterale. Tre gli obiettivi principali: rendere più strategiche le relazioni con questi paesi da un punto di vista geopolitico, rispondere insieme alle sfide globali (clima, energia), e rafforzare relazioni bilaterali (commercio, regime di visti). Si inizia dal summit di Bruxelles, per provare a gettare nuove basi. E avere di più al fianco degli europei Paesi ancora troppo sbilanciati verso la Russia. Un messaggio per il ‘signore di Russia’, Vladimir Putin.

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    Il Parlamento europeo punta il dito contro Putin: “Stop alle interferenze in Moldova”

    Bruxelles – La Russia deve cessare immediatamente le sue operazioni di interferenza nella vita democratica della Moldova in vista della giornata elettorale del prossimo 20 ottobre, quando i cittadini dell’ex repubblica sovietica si recheranno alle urne per scegliere il nuovo capo dello Stato ed esprimere la propria preferenza circa l’adesione del Paese all’Unione europea. Lo ha messo nero su bianco l’Europarlamento, che continua a supportare il cammino di Chisinau lontano da Mosca e verso l’Ue.La risoluzione è stata approvata mercoledì (9 ottobre) dalla Plenaria riunita a Strasburgo a larghissima maggioranza: 508 voti favorevoli, 53 contrari e 104 astensioni, che includono la pattuglia leghista e le delegazioni italiane della sinistra (il M5s e i due eletti di Avs che siedono in The Left). Nel testo adottato, gli eurodeputati hanno condannato con forza le attività destabilizzartici che Mosca porta avanti nel Paese balcanico, nel cui processo democratico il Cremlino sta interferendo tramite una guerra informatica.Tra due settimane, il 20 ottobre, i moldavi dovranno votare in due importanti appuntamenti elettorali: l’elezione del nuovo presidente della Repubblica e il referendum sull’adesione di Chisinau al club europeo. In questo contesto, denuncia l’Aula, la Federazione Russa avrebbe finanziato con circa 100 milioni di euro operazioni ibride di vario genere volte a influenzare il comportamento degli elettori.Le stesse autorità del Paese est-europeo hanno recentemente portato alla luce una frode elettorale su larga scala che avrebbe dovuto corrompere 100mila cittadini moldavi, ricompensandoli con 15 milioni di dollari (circa 13,7 milioni di euro) attraverso l’oligarca Ilan Shor. E proprio contro una serie di individui che, come Shor, lavorerebbero per minare la sovranità del Paese, i deputati premono sul Consiglio per adottare nuove sanzioni, mentre chiedono di estradare verso Chisinau i “fuggitivi moldavi ricercati” come Shor e Vladimir Plahotniuc (i quali al momento si trovano rispettivamente in Russia e Turchia).Nell’ingiungere al presidente russo Vladimir Putin di rispettare l’indipendenza della Moldova, l’Eurocamera ha reiterato per l’ennesima volta la richiesta di ritirare le truppe della Federazione dall’autoproclamata repubblica separatista della Transnistria, un lembo di terra de facto indipendente al confine con l’Ucraina e nel quale sono ammassate grandi quantità di armi e munizioni (ad esempio nel deposito di Cobasna).Quanto al percorso dell’ex Stato sovietico verso l’Ue, l’Aula di Strasburgo ha esortato la Commissione a includere Chisinau nello Strumento di assistenza preadesione (Ipa nell’acronimo inglese), con cui l’esecutivo comunitario sostiene i Paesi candidati nelle riforme volte a soddisfare i cosiddetti criteri di convergenza. La Moldova ha chiesto di entrare nel club europeo nel marzo 2022 e ha ottenuto lo status di candidato nel giugno dello stesso anno, mentre lo scorso dicembre il Consiglio europeo ha approvato l’apertura dei negoziati di adesione, formalmente cominciati a giugno di quest’anno.

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    Il “regresso democratico” della Georgia preoccupa l’Eurocamera in vista delle elezioni parlamentari

    Dall’inviata a Strasburgo – Con le elezioni parlamentari del 26 ottobre alle porte, ed un governo fortemente filo-russo ed anti libertario, la democrazia in Georgia è a rischio. Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione in risposta all’allontanamento georgiano dall’Unione europea e dai suoi valori, con la prospettiva di un’adesione che sembra sempre più difficile.L’Ue aveva promesso che non avrebbe lasciato correre l’operato del governo georgiano e la risoluzione mette nero su bianco che la Georgia deve rispettare gli impegni presi da quando ha presentato la sua richiesta per l’ingresso nell’Ue.Si parla di “regresso democratico” e “clima di odio e intimidazione” per la Georgia, che ha adottato leggi che sono “incompatibili con i valori e i principi democratici dell’Ue” e ovviamente frenano (se non bloccano) il processo di adesione georgiano. “Profonda preoccupazione dinanzi all’accresciuta influenza della Russia in Georgia” per l’Eurocamera, che viene confermata anche dall’uso di immagini di guerra in Ucraina del partito Sogno georgiano per manipolare l’opinione pubblica.Arriva una ferma condanna per quanto riguarda la criminalizzazione delle forze di opposizione da parte dell’oligarca Bidzina Ivanishvili e di personalità eminenti al governo. Sempre in tema di contrasto agli avversari politici, gli eurodeputati spingono l’Ufficio di investigazione del paese ad indagare sulle brutali repressioni delle manifestazioni pro-Ue.Lo status di Paese candidato è stato garantito alla Georgia nella convinzione che venissero seguite le raccomandazioni della Commissione per raggiungere gli standard europei. “La legislazione recentemente adottata è chiaramente in contrasto con tale ambizione e ha effettivamente sospeso l’integrazione della Georgia nell’Ue“, si legge nella raccomandazione. L’invito rivolto all’Ue e agli Stati membri è di procedere nei confronti di coloro che compromettono la democrazia nel paese, anche con sanzioni personali (come già fatto dagli Usa verso i membri di Sogno georgiano).Le elezioni sono un tema caldissimo per gli eurodeputati, e si chiede con fermezza che siano garantiti i più alti standard internazionali per avere elezioni democratiche, eque e libere. E, soprattutto, che si rispetti la volontà e la libera scelta del popolo georgiano, che il partito al governo, Sogno georgiano, ha decisamente in poca considerazione.La situazione politica in GeorgiaLa situazione politica georgiana è complessa, vista la divisione tra popolazione filo-Ue e un governo che guarda alla Russia putiniana.Nel maggio di quest’anno è stata approvata una legge sulla “trasparenza dell’influenza straniera”, che richiama, non troppo vagamente, quella russa. La legge impone alle organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero di registrarsi come “organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera”. Qua la prima frattura evidente con l’Ue nel cammino per l’adesione.L’”arresto al processo di adesione” della Georgia aveva comportato dall’Ue il congelamento del Fondo europeo per la pace, bloccando di fatto 30 milioni di euro per l’anno corrente. L’ambasciatore Ue in Georgia, Paweł Herczyński, aveva dichiarato che “si stanno valutando altre misure se la situazione dovesse ulteriormente deteriorarsi”. Nella risoluzione di oggi si conferma il blocco ai finanziamenti “fino a che le leggi antidemocratiche non saranno state abrogate”.A settembre, l’approvazione di un ulteriore provvedimento relativo ai “valori della famiglia e la protezione dei minori” ha dato un’ulteriore stoccata alla Georgia europeista. La legge “mina i diritti fondamentali della popolazione georgiana”, per il Servizio di azione esterna europeo (Seae). Il riconoscimento e la tutela della famiglia solo come unione tra un uomo (“biologicamente maschio”) e di una donna (“biologicamente femmina”) ha un impatto forte sulla società civile georgiana, minacciando i diritti della comunità Lgbtq+.Il Parlamento europeo ha deciso di dare un segnale forte, nella speranza che il 26 ottobre faccia rientrare in carreggiata la Georgia e la sua democrazia sempre più claudicante. Per altro, la legge sulla “trasparenza delle influenze straniere” ha “di fatto rimosso l’obbligo di disporre di osservatori nazionali”, la cui presenza per l’Eurocamera poteva favorire la trasparenza.Non si registra unità nella decisione, dal momento che il piccolo gruppo di estrema destra Esn, Europa delle Nazioni Sovrane, aveva proposto un emendamento opposto rispetto al testo adottato. Tra i 495 favorevoli il Ppe quasi in blocco e S&D, Patrioti per l’Europa si divide tra favorevoli e contrari (e qualche astenuto) e Esn resta all’opposizione. In attesa delle elezioni, l’Europa parla chiaro: la Georgia deve invertire completamente la rotta, spostando il suo favore dalla Russia all’Europa, oppure l’adesione diventerà un altro “sogno georgiano”.

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    Ucraina, l’Eurocamera chiede a gran voce di eliminare le restrizioni all’uso di armi sul territorio russo

    Bruxelles – Via le restrizioni sull’utilizzo delle armi occidentali per colpire obiettivi militari in Russia. L’appello del Parlamento europeo è forte e chiaro: con 425 voti a favore, 131 contrari e 63 astensioni, l’Aula di Strasburgo ha chiesto agli Stati membri di permettere all’Ucraina di “esercitare pienamente il suo diritto all’autodifesa”, revocando “immediatamente” le restrizioni sulle armi consegnate a Kiev. Hanno fatto resistenza le delegazioni dei partiti italiani, salvo poi – nella maggior parte dei casi – mettersi il cuore in pace e avallare una risoluzione che ribadisce il forte sostegno Ue all’Ucraina.La questione dell’utilizzo delle armi occidentali sul territorio russo tiene banco da tempo. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, aveva invitato i Paesi dell’Alleanza atlantica a riconsiderare le restrizioni già a maggio. Anche l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borell, si è fatto portavoce dell’istanza, arrivando a definire “ridicola” la posizione fermamente contraria difesa dal ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. In quell’occasione – era la riunione informale dei ministri degli Esteri dell’Ue dello scorso 29 agosto -, a quanto si apprende diversi Paesi avevano manifestato la propria “contrarietà a forzare un messaggio di consenso Ue relativo all’utilizzo di armi europee in territorio russo”: Slovenia, Romania, Germania, Slovacchia. Alla discussione innescata da Borrell, passò dunque velocemente la linea di mantenere la decisione a livello bilaterale.A giudicare da come hanno votato gli europarlamentari italiani al paragrafo 8 della risoluzione, quello sulla revoca alle restrizioni, l’Italia è rimasta singolarmente compatta nel fronte di quel manipolo di Paesi che antepongono il rischio di una pericolosa escalation militare alle esigenze belliche della controffensiva ucraina. L’invito a dare il via libera all’uso delle armi è stato approvato con 377 voti favorevoli, 191 contrari e 51 astenuti. Tra gli italiani, solo in 7 hanno votato a favore. Sono Ruggero Razza e Lara Magoni di Fratelli d’Italia (FdI), Giuseppina Princi, Massimiliano Salini e Marco Falcone di Forza Italia, Elisabetta Gualmini e Pina Picierno del Partito Democratico. La quasi totalità di FdI si è opposta, così come l’intera compagine europea della Lega. Forza Italia si è spaccata in due, con Caterina Chinnici, Salvatore De Meo e Flavio Tosi contro la revoca alle restrizioni. Mentre la delegazione dem si è sfilacciata, votando comunque no in netta maggioranza, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra sono rimasti uniti all’opposizione.In una nota, l’eurodeputato pentastellato Danilo Della Valle ha definito la risoluzione “un invito alla guerra”, denunciando il respingimento da parte dell’Aula di “tutti gli emendamenti che auspicavano l’apertura di un vero e proprio negoziato di pace”. La delegazione dei Verdi Italiani ha motivato il no alla risoluzione nel suo insieme perché “ostinatamente volta a perseguire la vittoria militare ad ogni costo senza realmente affrontare il tema dei negoziati di pace”. Se M5S, AVS e Lega hanno ribadito la contrarietà anche alla risoluzione generale, il Pd ha deciso di approvare il testo finale. Così come Fi e Fdi, che non hanno voluto mettere in discussione il supporto del governo a Kiev.L’Eurocamera chiede di accelerare la fornitura di armi all’UcrainaIl testo approvato dall’Eurocamera dice molto altro. Punta il dito contro gli Stati membri, colpevoli di aver diminuito il volume degli aiuti militari bilaterali all’Ucraina, chiede di accelerare la consegna di armi, sistemi di difesa aerea e munizioni e di rispettare l’impegno assunto nel marzo 2023 – non ancora conseguito – per la fornitura di un milioni di munizioni a Kiev. Ma non solo: gli eurodeputati chiedono di rafforzare le sanzioni contro l’Iran e la Corea del Nord per il loro sostegno militare a Mosca e spronano l’Ue e la comunità internazionale a stabilire un regime giuridico per la confisca dei beni statali russi congelati, di modo da utilizzare come “parte degli sforzi per compensare l’Ucraina per gli ingenti danni subiti”.Nel documento finale (comunque non vincolante), sono stati aggiunti alcuni emendamenti che sottolineano la crescente ambiguità dell’Ungheria nei confronti del conflitto in Ucraina. Su questi – complice l’ingresso nel gruppo sovranista fondato dal filo-russo Viktor Orban, è uscito allo scoperto il Carroccio. La delegazione della Lega a Bruxelles, ha dichiarato in una nota di non poter condividere “iniziative che alimentano pericolosamente la tensione e l’escalation militare, in cui si prevede di destinare lo 0.25 per cento del Pil in aiuti militari” e che attaccano “chi, come il governo ungherese, lavora attivamente per far prevalere la diplomazia”.

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    Ucraina, gli europarlamentari italiani insistono sulla ricerca della pace. E’ tempo di più diplomazia

    Bruxelles – Sostegno all’Ucraina, quello si. Senza se, ma… con dei ‘ma’. Uno su tutti, quello delle trattative di pace per porre fine a un conflitto che anima sempre di più le delegazioni italiane del Parlamento europeo. Non c’è dubbio che Kiev abbia il diritto di difendersi, e non si discute il sostegno dell’Ue, questa è una precisazione d’obbligo, oltre che a concetti ribaditi dai rappresentanti dei vari partiti italiani in occasione del briefing con la stampa che precedere la sessione plenaria del Parlamento, dove la questione Ucraina sarà oggetto dei lavori. Ma emerge in modo trasversale la necessità di dare nuovo impulso alla diplomazia.Chi pone l’accento sul tema in modo più urgente è Ignazio Marino (Verdi-Avs), che guarda con una certa apprensione all’immediato futuro. Le elezioni statunitensi si terranno tra 42 giorni, ricorda, e ricorda anche che il candidato repubblicano “Donald Trump ha detto che se vince non aspetterà l’insediamento per andare da Putin e negoziare la pace alle condizioni che più fanno gli interessi degli Stati Uniti“. Ecco che, alla luce di queste premesse, “anziché spingere per più armamenti bisognerebbe agire prima che agiscano altri“, visto che, insiste “se non ricordo male l’Ucraina si trova in Europa”.Inizia a farsi strada una preoccupazione tutta nuova, quella di un ruolo secondario e subalterno in politica estera. Non è detto che a succedere a Joe Biden nella Casa bianca sarà Trump, ma comunque si avverte la necessità di accompagnare il sostegno economico e armato dell’Ucraina a un dialogo fin qui ridotto al minimo. Salvatore De Meo, capodelegazione di Forza Italia, ben riassume la necessità di questa doppia linea d’azione. “Per quanto riguarda l’Ucraina non possiamo non continuare a rafforzare la vicinanza dell’Europa, insistendo per creare le condizioni per uno spiraglio di pace“.Linea e posizione analoga quella espressa dal Pd, attraverso Annalisa Corrado. “Il sostegno all’Ucraina resta necessario”, ma al tempo stesso, aggiunge, occorre un “potenziamento di tutti gli strumenti diplomatici“, perché quello che preoccupa sicuramente una parte dei socialisti è il rischio di “una escalation che poi diventa difficile da gestire”.I partiti di maggioranza e opposizione descrivono una certa convergenza sul tema, come dimostra una volta di più Stefano Cavedagna (Ecr), esponente del partito della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Per l’europarlamentare di Fratelli d’Italia resta fermo il principio per cui “l’Ucraina ha il diritto di difendersi, ci sono un aggredito e un aggressore”, con Fdi che “sostiene” Kiev, ma al tempo stesso anche all’interno del Fratelli d’Italia si è dell’idea che “l’obiettivo deve essere la pace“.Anche dalle fila della Lega viene esternata la necessità di “creare le prospettive di pace” quando si parla del conflitto russo-ucraino, sostiene Anna Maria Cisint. L’europarlamentare del Carroccio sottolinea come il suo partito e il suo gruppo “non si è mai sottratto a votare per il sostegno all’Ucraina”, ma, aggiunge, “non abbiamo mai fatto mistero della necessità di accompagnare l’aiuto con un’azione diplomatica forte”, perché “un tavolo di pace è necessario”.Serve dunque un riorientamento dell’Ue, che però è tutt’altro che scontato. Il motivo lo spiega Gaetano Pedullà (M5S-laSinistra). “Se vogliamo la pace dobbiamo cambiare la narrativa e smettere di fare quanto fatto negli ultimi due anni e mezzo, vale a dire andare avanti con sanzioni e rifornimento armi”. Per il pentastellato non ci sono grandi alternative. “Senza dialogo non ci può essere pace”, ma per avere un dialogo occorre avere le condizioni per agevolarlo. Quindi per forza di cose serve “ragionare con la Russia, prima che lo facciano gli Stati Uniti“.Nel gruppo italiano all’europarlamento serpeggerebbe dunque una generale necessità di una soluzione non armata del conflitto, a riprova delle insofferenze, non solo italiane, prodotte da un conflitto che va avanti contro ogni interesse a dodici stelle. Su una cosa tutte le delegazioni tricolore sembrano non avere dubbi: le armi fornite dall’Italia all’Ucraina devono essere utilizzate solo per scopi di difesa e non di offesa. un concetto espresso e ribadito da tutti.

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    L’Ue avverte la Serbia: “Allinearsi alla Russia in contrasto con obiettivo dichiarato di adesione”

    Bruxelles – O la Russia o l’Unione europea. Una cosa esclude l’altra e la Serbia deve chiarire che intenzioni ha per il suo presente e ancor di più per il proprio futuro. La Commissione europea non gradisce il viaggio del vice primo ministro serbo Aleksandar Vulin in Russia e il suo incontro col presidente russo Vladimir Putin, e avverte che scelte troppo filo-russe potrebbero chiudere le porte dell’Ue per Belgrado bloccando di fatto il processo di adesione.“Sotto la guida di Vladimir Putin la Russia viola lo Statuto delle Nazioni Unite e il diritto internazionale su cui si fonda l’Unione europea, e allinearsi alla Russia non è compatibile con i principi dell’Ue e in contrasto con ciò che richiede l’adesione all’Ue”, mette in chiaro Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell. La missione istituzionale condotta da Vulin “è in contrasto con l’obiettivo dichiarato di aderire all’Ue”, e da Bruxelles arriva l’invito esplicito ad “astenersi dal rafforzare i legami con la Russia”.La richiesta è però un minaccia. L’incompatibilità delle politica di Belgrado con i valori e l’acquis comunitario implica per l’Unione europea il dover riconsiderare il processo di adesione, il che vuol dire minacciare di sospenderlo come l’esecutivo comunitario ha iniziato a fare con la Georgia. La Serbia ha fatto richiesta di adesione all’Ue nel 2009, e a marzo 2012 ha ottenuto lo status di Paese candidato. Da allora oltre un decennio di lavorio continuo, reso più complicato dalla questione del Kosovo e la normalizzazione dei rapporti tra le due entità (il Kosovo continua a non essere riconosciuto come Stato indipendente e sovrano da tutti i 27), ma comunque mai messo in discussione come oggi.