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    Per l’Alto rappresentante Ue, a Kiev va consentito di usare le armi occidentali in territorio russo

    Bruxelles – Non sembra esserci ambiguità nella posizione dell’Unione europea circa l’incursione ucraina nella regione russa di Kursk, che è già entrata sua terza settimana. Mentre le truppe di Kiev continuano ad avanzare nel territorio della Federazione, da Bruxelles arriva pieno supporto all’attacco a sorpresa orchestrato dall’Ucraina. Tanto che l’Alto rappresentante Josep Borrell ha suggerito ai partner della Nato di “eliminare le restrizioni” che ancora impediscono all’esercito del Paese aggredito di utilizzare i sistemi d’arma occidentali per colpire direttamente sul suolo del nemico.In un post su X, il capo della diplomazia Ue ha definito l’operazione ucraina nell’oblast’ di Kursk “un duro colpo alla narrazione del presidente russo Putin“, secondo cui il conflitto sta andando nella direzione prevista dal Cremlino. Al contrario, secondo Borrell, l’Ucraina esce rafforzata dall’offensiva in corso oltre confine, dalla quale potrebbe ottenere dei vantaggi in sede di eventuali negoziati. “Eliminare le restrizioni sull’uso delle capacità (fornite dall’Occidente all’Ucraina, ndr) contro l’esercito russo impegnato nell’aggressione dell’Ucraina, nel rispetto del diritto internazionale, avrebbe diversi importanti effetti” secondo l’Alto rappresentante. “Rafforzare l’autodifesa ucraina“, ad esempio, privando la Russia delle basi da cui lancia attacchi contro città e infrastrutture, ma anche “salvare vite” (dei civili ucraini, s’intende) e “contribuire a far progredire gli sforzi di pace“. I commenti di Borrell sembrerebbero diretti soprattutto alle cancellerie occidentali che ancora non hanno permesso a Kiev di utilizzare le armi da loro fornite direttamente sul territorio russo, la cui reticenza sarebbe motivata dal timore di un’escalation nel conflitto. Londra, ad esempio, ha chiarito nelle scorse ore che le attrezzature che ha inviato in Ucraina sono da intendersi come strumenti di difesa e non di attacco. Ad aver accordato agli ucraini l’uso delle proprie armi entro i confini della Federazione, per ora, ci sono invece Germania, Canada, Cechia, Danimarca e Svezia.Come ribadito a Eunews dal portavoce dell’Alto rappresentante, Peter Stano, il trasferimento di armi e materiale e attrezzature belliche all’Ucraina è una questione di accordi bilaterali tra Kiev e gli Stati fornitori. Per non essere sopraffatta dall’aggressione russa, l’ex repubblica sovietica “ha bisogno di difendersi nel migliore e più efficace modo possibile, e l’Alto rappresentante pensa che questo sarebbe possibile eliminando le restrizioni sull’uso delle armi fornite dall’Occidente per combattere il nemico”, ha dichiarato. Niente di nuovo, in effetti, dopo che a inizio mese lo stesso Stano aveva sottolineato che “l’Ucraina ha il diritto di colpire il nemico ovunque sia necessario sul suo territorio, ma anche nel territorio del nemico” in riferimento all’incursione di Kursk, iniziata pochi giorni prima. Fino ad ora, le “linee rosse” indicate da Mosca sono state superate senza che si verificasse un brusco aumento dell’intensità del conflitto (ad esempio tramite il paventato ricorso agli ordigni nucleari tattici), il che ha portato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a parlare di “bluff” da parte del suo omologo russo Vladimir Putin.

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    Ab InBev resta in Russia, Mosca non dà il permesso a fermare il business della birra

    Bruxelles – Birre belga in Russia, il business continua perché Mosca non concede il permesso di interrompere gli affari. La storia di Ab InBev, la multinazionale della ‘bionda’ con sede a Leuven, in Belgio, si arricchisce di un nuovo capitolo che continua a mettere in imbarazzo i belgi e arricchisce la macchina da guerra del Cremlino. Sono le autorità russe ad aver detto ‘niet’ all’intenzione di Ab InBev di uscire dal consorzio con i russi e cedere le quote ai turchi di Anadolu Efes. Questi ultimi si sarebbero detti a più riprese disponibili a rimpiazzare Ab InBev nel mercato della birra in Russia, ma, ammettono i belgi, “non sono state ottenute le necessarie approvazioni normative e governative” per completare la transazione.La Russia in sostanza tiene l’industria delle birra belga legata e ancorata in patria, contro il volere dichiarato del colosso che, tra i vari marchi, vanta Corona, Stella Artois, Budweiser, Beck’s, Birra del Borgo, Leffe, e Jupiler, il brand che sponsorizza la massima serie calcistica del Belgio. Ab InBev ha annunciato l’intenzione di lasciare la Russia nel 2022, sulla scia della guerra dichiarata da Mosca all’Ucraina. Un’intenzione rimasta fin qui lettera morta, per ragioni di contratti commerciali e questioni giuridiche onerose e complicate.Da parte russa è facile capire il motivo che spinge a fare in modo che il partner europeo resti presente e attivo all’interno delle Federazione. Alla fine del 2023 la multinazionale della birra ha registrato ricavi per 59,4 miliardi di dollari. Un partner redditizio, ricco, stabile, che fa gola al Cremlino, e su cui le autorità russe possono esercitare pressione e offrire una prova di forza contro le sanzioni a dodici stelle, che vorrebbero azzerrare i rapporto economico-commerciali con la Russia di Putin per fermarne la macchina bellica. Invece la Russia di Putin, almeno in questa partita, sembra avere la meglio.

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    La Commissione Ue vuole chiarezza dall’Ungheria sul nuovo sistema di visti rapidi per russi e bielorussi

    Bruxelles – È passato appena un mese di presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea per l’Ungheria, e già Budapest ha creato non pochi problemi all’unità dell’Unione nei confronti della Russia. Perché dopo la “missione di pace” del premier ungherese, Viktor Orbán, a Mosca dall’autocrate russo, Vladimir Putin, ora Budapest preoccupa Bruxelles per il potenziale buco che può creare nell’area Schengen, da cui potrebbero penetrare spie russe e bielorusse.La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson“Condivido le preoccupazioni espresse negli ultimi giorni in merito all’estensione del programma ‘Carta Nazionale’ ai cittadini di Russia e Bielorussia, entrato in vigore nei primissimi giorni della vostra presidenza”, è quanto messo nero su bianco dalla commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, in una lettera inviata ieri (primo agosto) al ministro degli Interni ungherese, Sándor Pintér, in cui ha voluto sottolineare come “l’estensione dell’elaborazione agevolata delle domande di permesso di soggiorno e di lavoro dei cittadini di Russia e Bielorussia potrebbe portare a un’elusione di fatto delle restrizioni imposte dall’Unione Europea”. Al centro della nuova contesa tra l’Ungheria di Orbán e la Commissione Ue c’è l’estensione ai cittadini di otto Paesi – prima era disponibile solo per quelli di Serbia e Ucraina – del programma ‘Carta Nazionale’, un sistema di visti rapidi per l’ingresso nel Paese e che consente di lavorare sul territorio nazionale ungherese per un massimo di due anni. Si tratta di un sistema più semplice rispetto al permesso di lavoro o al visto, e consente il ricongiungimento familiare.“Ci sono sempre più segnalazioni di sabotaggi e attacchi alle nostre infrastrutture critiche e altri atti ostili“, ricorda la commissaria Johansson a proposito della messa in campo di “ogni strumento disponibile per garantire la sicurezza dell’area Schengen”, tra cui la sospensione dell’accordo di facilitazione dei visti con la Russia nel settembre di due anni fa e “standard di controllo e vigilanza più elevati” per i cittadini russi in arrivo alle frontiere esterne dell’Unione. È pur sempre vero che gli Stati membri hanno la competenza per il rilascio di visti di lungo soggiorno e permessi di soggiorno, ma l’esecutivo Ue ricorda che i programmi nazionali “devono essere attentamente bilanciati per non mettere a rischio l’integrità del nostro spazio comune senza controlli alle frontiere interne e per considerare debitamente le potenziali implicazioni per la sicurezza“, senza dimenticare l’obbligo di “leale cooperazione” e di non pregiudicare “l’effetto utile delle disposizioni del diritto dell’Unione”, Schengen compreso. In questo quadro l’Ungheria (e tutti i Paesi membri Ue) devono garantire che “i cittadini russi che potrebbero rappresentare spionaggio o altre minacce alla sicurezza siano sottoposti al massimo livello di controllo“.Da sinistra: la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, e il ministro degli Interni ungherese, Sándor PintérÈ per queste ragioni che la commissaria Johansson chiede al ministro ungherese di rispondere alle domande allegate alla lettera “entro e non oltre il 19 agosto”, per fare chiarezza sul programma ‘Carta Nazionale’ e permettere all’esecutivo Ue di verificare se sia compatibile con il diritto dell’Unione o se metta a rischio il funzionamento complessivo dello spazio Schengen. “L’obbligo di valutare se gli individui che attraversano la frontiera esterna rappresentano una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali è un impegno fondamentale di tutti i membri Schengen” – conclude la titolare per gli Affari interni nel gabinetto von der Leyen – e per Russia e Bielorussia include anche “la piena e leale applicazione delle misure restrittive Ue sul divieto di ingresso o transito nei territori degli Stati membri da parte di alcuni dei suoi cittadini”. Come misura estrema la Commissione Ue potrebbe sospendere lo status Schengen di un Paese (membro Ue), ma si tratterebbe di un caso senza precedenti.

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    L’Ue ha sbloccato 1,5 miliardi dai profitti degli asset russi immobilizzati per armare l’Ucraina

    Bruxelles – Via libera al sostegno militare all’Ucraina con i soldi di Mosca. L’Ue ha versato oggi (26 luglio) un primo pagamento di 1,5 miliardi di euro generati dai proventi degli asset russi congelati sul territorio comunitario. “Non c’è simbolo migliore che usare il denaro del Cremlino per rendere l’Ucraina un posto più sicuro”, ha esultato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.Dopo l’accordo tra i Paesi membri lo scorso maggio, si aspettava solo che Euroclear, società di clearing belga che detiene la maggior parte dei titoli della Banca centrale russa, rendesse disponibile una prima fetta dei proventi. Secondo i calcoli della Commissione europea, a seconda dei tassi di interesse, Bruxelles sarà in grado di garantire circa 3 miliardi all’anno a Kiev attraverso i profitti degli asset russi immobilizzati. Asset e riserve che ammontano a circa 210 miliardi di euro.Questa prima tranche da 1,5 miliardi – e le prossime – sarà ora convogliata attraverso il Fondo europeo per la pace e il Fondo per l’Ucraina per sostenere le capacità militari dell’Ucraina e la ricostruzione del Paese. I 27 Ue hanno stabilito che il 90 per cento delle risorse saranno destinate all’assistenza militare, il restante dieci per la ricostruzione dell’Ucraina. Ma si sono dati la facoltà di rivedere la ripartizione già a gennaio 2025.“La prima tranche dei profitti imprevisti fornirà un sostegno concreto sul campo”, ha confermato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell. In particolare, l’Ue finanzierà “l’acquisto di equipaggiamenti militari prioritari”: difesa aerea e munizioni per l’artiglieria. Ed appalti per spingere lo sviluppo dell’industria ucraina della difesa.

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    Borrell condanna la decisione russa “totalmente infondata” di chiudere i siti di oltre 80 media dell’Unione

    Bruxelles – “L’Ue condanna la decisione totalmente infondata delle autorità russe di bloccare l’accesso a oltre ottanta media europei in Russia”. Reagisce così, a 24 ore di distanza dalla notizie, l’alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione Josep Borrell alla decisione del Cremlino di oscurare la visione nel territorio della Federazione di 81 media occidentali.“Questa decisione – continua Borrell in una nota – limita ulteriormente l’accesso a un’informazione libera e indipendente e amplia la già severa censura dei media in Russia. I media europei vietati lavorano secondo principi e standard giornalistici. Forniscono informazioni concrete, anche al pubblico russo, anche sulla guerra illegale di aggressione della Russia contro l’Ucraina”.L’Alto rappresentante sottolinea che “al contrario, gli organi di disinformazione e propaganda russi, contro i quali l’Ue ha introdotto misure restrittive, non rappresentano media liberi e indipendenti. Le loro attività di trasmissione nell’Ue sono state sospese perché sono sotto il controllo delle autorità russe e contribuiscono a sostenere la guerra di aggressione contro l’Ucraina”.Il rispetto della libertà di espressione e dei media “è un valore fondamentale per l’Unione – conclude Borrell -, che continuerà a sostenere la disponibilità di informazioni concrete anche per il pubblico russo”.A quanto si apprende l’Ungheria non ha approvato questa dichiarazione, che è stata condivisa con i 27 prima della sua diffusione.

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    L’Unione europea mantiene le sanzioni contro la Crimea, illegalmente annessa dalla Russia

    Bruxelles – L’Unione europea conferma la sua visione di un’Ucraina unita e libera. Oggi (17 giugno) il Consiglio dell’Unione europea ha deciso per il prolungamento di un anno delle sanzioni contro la Crimea, territorio ucraino illegalmente annesso dalla Russia dal 2014. Le misure, che si sommano a quelle in atto contro la Russia per l’invasione su larga scala dell’Ucraina, colpiscono settori chiave: dalle infrastrutture agli investimenti alla tecnologia.Dopo la conferma del sostegno all’Ucraina emersa nel vertice di pace in Svizzera, arriva il prolungamento delle sanzioni economiche contro la Crimea. I provvedimenti sono in vigore dal 2014 quando le truppe russe invasero la penisola ucraina per poi indire un referendum illegittimo che segnò l’ingresso della Crimea come parte della Federazione russa. Le sanzioni europee colpiscono tutte le merci prodotte nella regione, inoltre l’Ue mantiene anche il divieto all’export di tecnologie verso la penisola. L’Ue con la decisione odierna conferma la sua linea politica di non riconoscere l’annessione illegale compiuta da Mosca.

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    Peace Summit in Svizzera, 80 Paesi firmano per l’integrità territoriale dell’Ucraina. Von der Leyen: “Da Putin condizioni oltraggiose”

    Bruxelles – Più che una conferenza di pace, il tentativo di verificare la tenuta del supporto all’Ucraina da parte della comunità internazionale. Alla fine, il summit in Svizzera si chiude con una dichiarazione congiunta, firmata da 80 Paesi sui 92 presenti – tra cui i 27 Paesi Ue-, in cui si riafferma l’integrità territoriale dell’Ucraina e si sottolinea che “il dialogo tra tutte le parti è necessario per porre fine” al conflitto. “Un successo”, anche se “solo un primo passo”, è la valutazione di Volodymyr Zelensky, promotore della kermesse di Lucerna.La Russia non era stata invitata a Lucerna, la Cina è tra i 68 Paesi che hanno declinato – in tutto il governo svizzero ne ha invitati 160 -. E Armenia, Brasile, Colombia, Vaticano, India, Indonesia, Libia, Messico, Arabia Saudita, Sud Africa, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti non hanno approvato il comunicato finale. Paesi di quella zona grigia di equidistanza dalle parti in conflitto, ma soprattutto Paesi, Vaticano escluso, che storicamente hanno forti relazioni politiche ed economiche con Mosca. Discorso a parte per Riyad, che dovrebbe ospitare il prossimo summit per la pace in Ucraina e che – nella speranza di una partecipazione almeno di Pechino – ha preferito mostrarsi come un credibile mediatore e non ha sottoscritto la forte presa di posizione degli alleati di Zelensky.Ursula von der Leyen e Volodymyr Zelensky a Lucerna, Svizzera (Photo by MICHAEL BUHOLZER / POOL / AFP)Oltre ai 92 governi, nella lista dei firmatari anche la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio Europeo.  Durissima la presidente uscente dell’esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, che in conferenza stampa ha dichiarato che la proposta di pace di Vladimir Putin “non è seria” e che nessun Paese “accetterebbe mai i termini oltraggiosi” messi sul tavolo dal Cremlino. Sul mancato invito a Mosca, la leader Ue ha proseguito: “Quando la Russia sarà pronta” per una pace basata “sulla Carta delle Nazioni Unite, arriverà il momento di partecipare ai nostri sforzi”. Von der Leyen, così come i capi di Stato e di governo dei Paesi del G7, sono arrivati a Lucerna freschi dell’accordo raggiunto al vertice di Borgo Egnazia per un prestito da 50 miliardi di dollari all’Ucraina, sostenuto dai rendimenti derivanti dagli asset russi congelati.Ribaditi i principi “dell’integrità territoriale e della sovranità di tutti gli Stati” come base per raggiungere una pace “globale, giusta e duratura” in Ucraina, il comunicato finale individua tre aree di comune interesse su cui lavorare per mettere fine alle conseguenze devastanti dell’aggressione russa. La prima è la sicurezza nucleare: da un lato “qualsiasi utilizzo dell’energia nucleare e degli impianti nucleari deve essere sicuro, protetto, tutelato e rispettoso dell’ambiente, dall’altro “qualsiasi minaccia o uso di armi nucleari nel contesto della guerra in corso contro l’Ucraina è inammissibile”, recita il documento.Gli 80 firmatari denunciano poi “la militarizzazione della sicurezza alimentare”, che sta minacciando in particolare i Paesi del sud del mondo, e infine sollecitano lo scambio di prigionieri di guerra e il ritorno dei bambini ucraini deportati dalla Russia. Zelensky ha dichiarato di essere pronto ad “avviare negoziati anche domani” se la Russia “si ritirerà dal nostro territorio”. Nel frattempo, l’obiettivo è lavorare al prossimo vertice “per porre fine a questa guerra, per una pace giusta e duratura”. La metà dei governi invitati a Lucerna – 80 su 160 –  stanno con Zelensky, che ha chiesto il sostegno di quei Paesi che hanno un’influenza politica forte nei confronti di Mosca e che “dovrebbero aiutarci”. La Cina, che si spera che non snobberà anche il prossimo summit per la pace.

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    Le industrie della Spagna di Sanchez arricchiscono Putin: acquisti massicci di Gnl russo

    Bruxelles – Anche la Spagna di Pedro Sanchez finanzia il presidente russo Vladimir Putin e la sua macchina da guerra. Strano, eppur vero. Le aziende iberiche stanno acquistando il gas naturale liquefatto (Gnl) russo, e in modo massiccio. Accordi commerciali e politiche di approvvigionamento energetico che fanno storcere il naso Juan Ignacio Zoido Álvarez, europarlamentare spagnolo del Ppe che chiede conto alla Commissione europea e domanda anche eventuali provvedimenti. Provvedimenti però che non ci saranno. Perché, ricorda, la commissaria per l’Energia Kadri Simson, nella risposta fornita all’interrogazione parlamentare, “finora il Gnl russo non è stato soggetto a sanzioni, il che significa che alle società non è vietato acquistarlo“.Le imprese spagnole dunque non stanno violando alcuna norma Ue né aggirando le sanzioni decretate dall’Unione europea nei confronti della Russia e del suo presidente. Il governo di Madrid, a sua volta, non può impedire alle imprese spagnole di fare affari con i russi. E’ vero, ricorda Simson, che l’ultima proposta della Commissione per il 14esimo pacchetto di sanzioni comprende, tra le altre cose, restrizioni al trasbordo di Gnl russo nei porti europei”. Tuttavia il pacchetto proposto “richiede ancora l’adozione all’unanimità del Consiglio”.L’unica cosa che l’esecutivo può fare, e Simson assicura che il team von der Leyen “continuerà” a farlo, è  “invitare gli Stati membri e le imprese” a smettere di acquistare gas naturale liquefatto russo e a non firmare nuovi contratti per Gnl con società russe una volta scaduti quelli esistenti. La Commissione può fare pressione sul governo Sanchez affinché faccia pressione sulle imprese spagnole, ma in assenza di divieti e sanzioni è tutto rimesso alla singola compagnia.Con l’Unione europea impegnata a indebolire l’economia russa e minare le capacità di finanziare l’esercito russo per la guerra in Ucraina, il risultato, denuncia l’europarlamentare spagnolo, è che la Spagna “ora importa più gas naturale liquefatto dalla Russia di qualsiasi altro paese europeo”. Fornisce anche i dati, che sono quelli dell’Istituto di economia energetica e analisi finanziaria (Ieefa). Emerge che la quantità di gas russo in arrivo nei porti spagnoli “ha registrato nuovi massimi, aumentando del 30 per cento nel 2023 ed è aumentata per due anni consecutivi”.Zoido Álvarez critica e accusa il governo del proprio Paese di “chiudere un occhio”, ma esaminando il rapporto citato dall’europarlamentare emerge che fin qui non c’è solo la Spagna ad aver continuato a fare affari con il regime di Putin. L’Ieefa certifica sì che tra gennaio e settembre 2023 la Spagna risulta il principale importatore di Gnl russo tra i paesi dell’UE, con 5,21 miliardi di metri cubi importati. Ma ci sono anche altri che stanno continuando ad alimentare la macchina da guerra russa: la Francia di Emmanuel Macron (3,19 miliardi di metri cubi acquistati) e il Belgio (commesse per 3,14 miliardi di metri cubi).Sulla Spagna pesa anche la rivendita all’interno dell’Ue. L’Ieefa rileva nero su bianco come la Spagna acquisti il Gnl russo per poi rivenderlo a un terzo degli Stati membri dell’Ue, nello specifico a Italia, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Lituania, Paesi Bassi e Svezia.