Il destino intrecciato dell’allargamento Ue e della riforma dei Trattati nel discorso sullo stato dell’Unione di von der Leyen
Bruxelles – Non c’è allargamento Ue senza ripensamento sui meccanismi interni dell’Unione, non c’è riforma dei Trattati senza aspirazione a “completare la nostra Unione Europea” con i nuovi Paesi che hanno iniziato il percorso di avvicinamento all’adesione. Parola della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dal podio nell’emiciclo del Parlamento Ue a Strasburgo per l’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione di questi cinque anni di mandato per il suo gabinetto: “È giunto il momento per l’Europa di pensare ancora una volta in grande e di scrivere il nostro destino”.
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo (13 settembre 2023)
L’allargamento Ue occupa un posto di notevole rilievo nell’ora di intervento della presidente von der Leyen alla sessione plenaria dell’Eurocamera questa mattina (13 settembre): “Il futuro dell’Ucraina, dei Balcani Occidentali, della Moldova è nella nostra Unione, e so bene quanto sia importante la prospettiva europea per molti abitanti della Georgia”. In un mondo in cui potenze come la Russia “cercano di eliminare i Paesi uno ad uno”, la numero uno dell’esecutivo comunitario ha ricordato che “non possiamo permetterci di lasciare indietro i nostri concittadini europei” – ucraini, balcanici, moldavi, georgiani – anche perché “è chiaramente nell’interesse strategico e di sicurezza dell’Europa”. Prima di ogni azione è però necessario “delineare una visione per un allargamento di successo”, per non snaturare un’Unione “libera, democratica e prospera” in cui Stato di diritto e i diritti fondamentali “saranno sempre il fondamento” degli Stati membri attuali e “in quelli futuri”. Ecco perché tra gli annunci dello Stato dell’Unione sui nuovi tavoli aperti dalla Commissione c’è anche quello sulle relazioni sullo Stato di diritto “a quei Paesi in via di adesione che si aggiorneranno ancora più rapidamente”, per metterli “sullo stesso piano degli Stati membri” e “sostenere i loro sforzi di riforma”.
Ripensare alla struttura dell’Unione di fronte alla prospettiva di allargamento Ue che al momento conta 10 ‘ospiti’ a varie fasi di avvicinamento – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina – significa riflettere già ora a “come funzioneranno le nostre istituzioni, come saranno il Parlamento e la Commissione“, ma anche al “futuro del nostro bilancio, cosa finanzia, come lo finanzia e come viene finanziato”. Tutte questioni che “dobbiamo affrontare oggi se vogliamo essere pronti per il domani”, è l’esortazione della numero uno della Commissione Europea, annunciando che “presenteremo le nostre idee alla discussione dei leader sotto la presidenza belga” del Consiglio dell’Ue nel primo semestre del 2024: “Dobbiamo rispondere alle domande su come funzionerà in pratica un’Unione di oltre 30 Paesi e in particolare sulla nostra capacità di agire”.
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo (13 settembre 2023)
Sul rapporto tra allargamento Ue e riforma dei Trattati la presidente von der Leyen non potrebbe essere più chiara: “Non si tratta di approfondire l’integrazione o di allargare l’Unione, possiamo e dobbiamo fare entrambe le cose“. In altre parole, “dobbiamo superare i vecchi dibattiti binari sull’allargamento”, anche considerato il fatto che “ogni ondata di allargamento è stata accompagnata da un approfondimento politico”: dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio alla piena integrazione economica, fino alla “vera e propria Unione di popoli e Stati” dopo la caduta della Cortina di Ferro. “Abbiamo dimostrato di poter essere un’Unione geopolitica e di poterci muovere velocemente quando siamo uniti, credo che Team Europe funzioni anche a più di 30″ Paesi membri, così come l’Unione della Salute e l’Unione Europea della Difesa “iniziate a 27 e potremo portarle a termine a più di 30”. L’impegno di von der Leyen è quello di “sostenere questa Assemblea e tutti coloro che vogliono riformare l’Unione” per farla funzionare meglio: “E sì, questo significa anche modificare la Convenzione europea e il Trattato se e dove è necessario”.
Nel discorso sullo Stato dell’Unione la presidente della Commissione non fa promesse su una data per la fine del processo dell’allargamento Ue – come fatto in maniera piuttosto controversa dal leader del Consiglio Ue, Charles Michel – ma dà indicazioni politiche piuttosto nette: “Non possiamo – e non dobbiamo – aspettare la modifica del Trattato per procedere con l’allargamento Ue“, perché un’Unione adatta a questo scopo “può essere realizzata più rapidamente”. La “buona notizia” su cui si può partire è che “ad ogni allargamento Ue è stato dimostrato che chi diceva che ci avrebbe reso meno efficienti si sbagliava”. Il Next Generation Eu, l’acquisto di vaccini anti-Covid, le sanzioni contro la Russia e l’acquisto congiunto di gas – “non solo a 27, ma anche in Ucraina, Moldova e Serbia” – parlano da sé. Ma ora bisogna fare un passo oltre: “Dobbiamo esaminare più da vicino ogni politica e vedere come verrebbe influenzata da un’Unione più ampia” e con questo obiettivo “la Commissione inizierà a lavorare su una serie di revisioni delle politiche pre-allargamento Ue, per vedere come ogni settore dovrebbe essere adattato”. Segnali di apertura a quell’idea di “processo più rapido, graduale e reversibile” avanzata dal presidente del Consiglio Ue, anche se “l’adesione è basata sul merito e la Commissione difenderà sempre questo principio”, ha messo in chiaro senza mezzi termini von der Leyen dal podio di Strasburgo.
A che punto è l’allargamento Ue
Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.
Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, e della presidente moldava Sandu. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.
La presidente della Commissione Europea ha annunciato che “presenteremo le nostre idee alle discussioni dei leader sotto la presidenza belga” nel primo semestre 2024. Il “completamento dell’Unione” è una priorità strategica che “non può aspettare” la fine del rinnovamento interno