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    Trump sta abbandonando Kiev per abbracciare Mosca

    Bruxelles – “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”. Come nel celebre adagio di Agatha Christie, non c’è più spazio per nutrire ancora dubbi circa la scelta di campo, in apparenza definitiva e certo inequivocabile, compiuta dall’amministrazione statunitense sulla guerra in Ucraina.In effetti, di indizi in questo caso ce ne sono in abbondanza, e puntano tutti ad una conclusione che sarebbe stata inimmaginabile solo un paio di mesi fa: gli Stati Uniti hanno voltato le spalle a Kiev per abbracciare Mosca. Nelle ultime ore si sono moltiplicati i colpi che Donald Trump sta assestando al Paese aggredito, in un’escalation che dura ormai da settimane e che avvantaggia solo Vladimir Putin.L’ultima tessera del puzzle è l’incontro di alcuni membri del cerchio magico del tycoon newyorkese con alcune figure chiave dell’opposizione domestica a Volodymyr Zelensky, inclusa l’ex presidente Yulia Tymoshenko e alcuni luogotenenti di Petro Poroshenko, capo dello Stato fino al 2019. I colloqui si sarebbero incentrati sulla possibilità di celebrare delle presidenziali in Ucraina (si sarebbero dovute tenere nel maggio 2024), manovrando alle spalle dello stesso Zelensky.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Consiglio europeo di Bruxelles, il 19 dicembre 2024 (foto: European Union)Quello delle elezioni a Kiev è di fatto un tema controverso solo in Occidente, data la sostanziale contrarietà degli ucraini a recarsi alle urne sotto le bombe (qualcosa che viene peraltro vietata dalla Costituzione, essendo attualmente in vigore la legge marziale), ma rappresenta un fuoco su cui Trump non ha mai smesso di soffiare, spingendosi fino a definire il leader ucraino un “dittatore” privo di legittimità democratica e suggerendo che Zelensky se ne dovrebbe andare se non accetta di stipulare l’accordo sui minerali con Washington. Ingerenze estere in piena regola.C’è poi l’annunciata intenzione di revocare lo status di protezione speciale per circa 240mila profughi ucraini, che rischiano così di venire espulsi e rispediti nel Paese in guerra. In realtà, questa decisione sarebbe stata presa prima dell’imboscata tesa da Trump e dal suo vice JD Vance a Zelensky la settimana scorsa, e non riguarderebbe solo i rifugiati provenienti dal Paese est-europeo ma anche quelli di altre nazionalità (soprattutto dall’America centro-meridionale e dall’Afganistan) per un totale di quasi 2 milioni di persone non più gradite negli Stati Uniti.Negli scorsi giorni, Trump ha assestato numerosi altri colpi all’ex repubblica sovietica, sulla carta un’alleata ma nei fatti una vittima del bullismo istituzionalizzato del tycoon, intento a recuperare quello che percepisce come “maltolto” (cioè il sostegno finanziario alla resistenza ucraina), del quale peraltro sovrastima abbondantemente l’entità. Tra gli aiuti militari a Kiev di cui ha annunciato la sospensione c’è anche la condivisione dell’intelligence, che negli ultimi tre anni si è rivelata cruciale per l’esercito ucraino. In linea con l’approccio muscolare e transazionale di Trump, lo stop alla condivisione delle informazioni sembrerebbe uno strumento di pressione impiegato da Washington per costringere Kiev a sedersi al tavolo delle trattative. In altre parole, un ricatto.Il presidente statunitense Donald Trump (destra) accoglie nello Studio ovale il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Quella dell’intelligence è del resto una partita delicatissima, poiché rappresenta un asset fondamentale (almeno al pari delle capacità operative) nel settore strategico. E le agenzie d’intelligence a stelle e strisce sono universalmente riconosciute come le più efficienti al mondo: erano state loro a lanciare l’allarme, tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, di un’imminente operazione russa in Ucraina, venendo peraltro tacciate di isterismo dalle cancellerie di mezzo mondo.L’azzardo di Trump non ha fatto altro che aggravare i problemi di fiducia reciproca tra i membri Nato, soprattutto nel quadro in cui Stati come l’Ungheria e la Slovacchia (guidati da governi filorussi) vengono percepiti come inaffidabili da gran parte degli alleati occidentali. Ma le crepe si iniziano a vedere anche tra i Paesi che sono sempre stati dallo stesso lato della barricata. Da un lato, in aperta polemica con Washington, Parigi ha rivendicato orgogliosamente che sta continuando a condividere le informazioni con Kiev. Dall’altro, dalla Casa Bianca starebbero spingendo per estromettere il vicino canadese dal gruppo dei Five Eyes, un’alleanza di intelligence globale che comprende anche il Regno Unito, l’Australia e la Nuova Zelanda.Zelensky tenta di fare buon viso a cattivo gioco, perché non può prescindere dal sostegno di Washington. Dopo aver inviato al suo omologo statunitense una lettera in cui si è reso disponibile a rinegoziare l’accordo sulle materie prime chimiche, deragliato venerdì scorso proprio a seguito della riunione disastrosa alla Casa Bianca, il presidente ucraino ha dichiarato oggi di fronte ai leader dei Ventisette, riuniti a Bruxelles per un vertice straordinario, che le delegazioni dei due Paesi sono in contatto e stanno lavorando per organizzare un nuovo incontro la prossima settimana.Il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky (al centro) con il presidente del Consiglio europeo e la presidente della Commissione europea [Bruxelles, 6 marzo 2025]Ma è ormai evidente che a Trump, della sorte dell’Ucraina, importa poco. La pace di cui continua a riempirsi la bocca non è la “pace giusta e duratura” che continuano a invocare le cancellerie europee (qualunque cosa questa formula possa significare concretamente), ma una pace che va più che altro a favore della Russia. Di pari passo con il “grande tradimento” di Kiev, dunque, si sta compiendo un riavvicinamento a Mosca che nessun osservatore si sarebbe aspettato con una simile velocità.Colloqui telefonici diretti con Putin, incontri diplomatici di alto livello con i vertici del Cremlino, negoziati sottotraccia in corso per porre fine alle ostilità nell’ex repubblica sovietica, o almeno metterle in pausa. Il tutto contornato da attacchi frontali al leader ucraino e agli alleati europei (con la pretesa di dare a tutti lezioni di democrazia da parte di chi ha istigato l’assalto al Campidoglio) e dall’amplificazione della propaganda putiniana, per finire a votare insieme al Cremlino all’Onu.Abbandonando l’Ucraina al suo destino e allineandosi così convintamente alla Russia, Washington mette in difficoltà l’intera Europa. E il tycoon sta tirando così tanto la corda che neppure i suoi tradizionali sostenitori nel Vecchio continente – i nazional-populisti della destra radicale – riescono più a stargli dietro. Critiche più e meno dirette al repentino voltafaccia dell’amministrazione statunitense sono arrivate, tra gli altri, dalla francese Marine Le Pen, dall’olandese Geert Wilders e dal britannico Nigel Farage, che peraltro sono stati tutti accusati in passato di essere troppo vicini alla Russia. L’ennesimo risultato impensabile solo fino a poche settimane fa.

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    Zelensky: “Noi pronti alla pace, la Russia vuole smettere di fare la guerra?”

    Bruxelles – L’Ucraina è pronta a sedersi al tavolo delle trattative e discutere le condizioni per la fine del conflitto con la Russia, ma in questo esercizio non semplice e scontato il vero punto interrogativo è rappresentato dalle intenzioni del Cremlino. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, condivide ai capi di Stato e di governo dell’Ue quello che è il suo dubbio più grande: “Gli ucraini vogliono davvero la pace, ma non a costo di rinunciare all’Ucraina. È la Russia capace di rinunciare alla guerra – questa è la domanda a cui qualsiasi negoziato deve rispondere”. E’ questo il timore che ha voluto condividere in occasione della partecipazione al vertice straordinario del Consiglio europeo.A riprova delle vere intenzioni ai Ventisette Zelensky confida che “i nostri team, quelli di Ucraina e Stati Uniti, hanno ripreso il lavoro“. Si torna a discutere e a trattare, nonostante lo strappo consumato alla Casa Bianca di appena una settimana fa. Un’evoluzione positiva e costruttiva, che fa ben sperare in prima battuta le autorità ucraine e che potrebbe infondere fiducia anche ad un’Ue preoccupata a dover ridefinire le relazioni con il partner transatlantico. Per questo il presidente ucraino invita gli alleati europei a “sostenerci in questo” sforzo diplomatico che non è solo parole: “L’Ucraina non è solo pronta a compiere i passi necessari per la pace, ma stiamo anche proponendo quali sono questi passi“.[foto: European Council]Nel piano di pace a cui Zelensky ragiona ci sono “due forme di silenzio” bellico che si possono cercare in quanto “facili da stabilire e monitorare”. Da una parte, spiega ai leader dell’Ue, stop ad attacchi a infrastrutture energetiche e obiettivi civili, nella forma di tregua per missili, bombe e droni a lungo raggio. Seconda condizione: tregua via mare, il che significa “nessuna operazione militare nel Mar Nero”.Il discorso di Zelensky incassa apprezzamento e sostegno degli interlocutori, senza però superare le riserve attorno al tavolo. L’Ungheria di Viktor Orban continua a non voler sentire ragioni su un’escalation di tensioni con Mosca e mantiene la minaccia di veto sulle conclusioni dei leader, mentre la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ribadisce il ‘no’ dell’Italia a invio di truppe su suolo ucraino, neppure per missioni di peacekeeping. Pochi distinguo in un’Unione europea che comunque si schiera con l’Ucraina e il suo presidente Zelensky.

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    L’accoglienza Ue a Zelensky traccia il solco con gli Usa di Trump: “Qui sei sempre il benvenuto”

    Bruxelles – “Non siamo soli. Lo sappiamo e lo avvertiamo“. Ucraina e Unione europea sono davvero realtà vicine e amiche, e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky vuole sottolinearlo con riconoscenza e pure con la necessità di rassicurare un popolo, quello ucraino, umiliato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Lo strappo della Casa Bianca induce l’Ue a riservare la migliore accoglienza possibile, studiata in ogni dettaglio. Zelensky non solo è stato invitato a partecipare di persona al vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue, ma a lui viene riservata una passerella d’eccezione.I presidenti di Commissione e Consiglio europeo, Antonio Costa e Ursula von der Leyen, lo accolgono insieme. Insieme restano a parlare tranquillamente, in modo disteso nonostante la situazione, con sorrisi e toni cordiali. Il tutto davanti alle telecamere, perché chiunque possa vedere il clima amichevole. Cosa si siano detti non è possibile saperlo, perché lontani dai microfoni, ma le telecamere interne indugiano tutto il tempo sul trio che si prende tempo, prima di concedersi alla stampa.Il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, con i presidenti di Consiglio europeo e Commissione Ue, a colloquio prima di incontrare la stampa [Bruxelles, 6 marzo 2025]“Caro Volodymyr, sei sempre il benvenuto qui a Bruxelles“, la prima frase pronunciata da Costa. Un modo per mostrare la differenza tra l’accoglienza ricevuta oltre Atlantico e quella avuta un Europa. “Siamo qui per sostenere l’Ucraina, e lo faremo in futuro, per i negoziati, quando deciderete che è il momento”, continua Costa. Un’altra affermazione utile a mostrare quanto è diverso il modo di fare in Europa, rispetto all’amministrazione Trump. Quindi l’impegno pubblico a nome dei Ventisette: “Rafforzare la nostra difesa significa rafforzare la difesa dell’Ucraina”.Il sostegno incondizionato dell’Ue viene confermato a Zelensky anche da von der Leyen: “L’Ucraina è parte della nostra famiglia europea“, scandisce, in relazione a un processo di allargamento che promette a Kiev un futuro a dodici stelle, ma non solo. “E’ molto importante mostrare che saremo al fianco dell’Ucraina per tutto il tempo necessario”.Non sorprende, dunque, che alla fine Zelensky voglia dire “grazie ai leader europei per questo messaggio, e questo forte sostegno” mostrato all’Ucraina. L’Europa, a differenza di altri, ha le idee chiare e anche modi di fare diversi.

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    Trump getta acqua sul fuoco: “Firmiamo la pace” tra Russia e Ucraina

    Bruxelles – Prove di distensione tra Washington e Kiev. In un discorso di fronte al Congresso, Donald Trump è parso ammorbidire i toni nei confronti di Volodymyr Zelensky, gettando acqua sul fuoco divampato in seguito al catastrofico incontro nello Studio ovale della scorsa settimana. A sua volta, il leader ucraino si è reso disponibile a rinegoziare con la Casa Bianca non solo il controverso accordo sulle materie prime critiche ma anche, più in generale, le condizioni per un cessate il fuoco con la Russia.Pace in vista?Parlando durante una sessione congiunta del Congresso ieri (4 marzo), il presidente statunitense ha annunciato di aver ricevuto una lettera inviatagli personalmente dal suo omologo ucraino. “L’Ucraina è pronta a sedersi al tavolo dei negoziati il prima possibile per far avvicinare una pace duratura“, ha dichiarato Trump riportando un passaggio della missiva.“Apprezzo il fatto che abbia inviato questa lettera”, ha aggiunto, sottolineando contestualmente di aver intrattenuto “serie discussioni” con Mosca, dalle quali avrebbe ricevuto “forti segnali” sulla disponibilità di Vladimir Putin di intraprendere le trattative, sostenendo che i russi sarebbero “pronti per la pace”. “È ora di fermare questa follia, è ora di fermare le uccisioni, è ora di porre fine a questa guerra insensata”, ha detto, sottolineando che “se si vuole porre fine alle guerre, bisogna parlare con entrambe le parti”. Ci sono del resto già stati due incontri di alto livello tra funzionari e diplomatici di Usa e Russia, prima a Riad e poi a Istanbul.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Dal canto suo, Zelensky si è detto pronto a lavorare “sotto la forte leadership del presidente Trump” e ha dimostrato riconoscenza per il sostegno fornito da Washington in questi anni di guerra. Il leader ucraino aveva precedentemente espresso il medesimo messaggio su X, osservando che “nessuno di noi vuole una guerra infinita” e che “apprezziamo molto quanto l’America abbia fatto per aiutare l’Ucraina a mantenere la propria sovranità e indipendenza”.“Il momento in cui le cose sono cambiate” nel sostegno a stelle e strisce alla resistenza ucraina contro l’imperialismo russo, ha riconosciuto Zelensky (facendo apparentemente tesoro del suggerimento arrivatogli qualche giorno fa dal capo della Nato, Mark Rutte), è stata la fornitura dei razzi anticarro Javelin nel 2019, decisa proprio da Trump nel suo primo mandato: “Ne siamo grati”, ha scritto.Il presidente ucraino ha anche delineato quali passi si potrebbero intraprendere verso un potenziale cessate il fuoco. “Le prime fasi potrebbero essere il rilascio dei prigionieri e la tregua nel cielo“, cioè una moratoria sul ricorso a droni, missili e bombardamenti aerei, “e la tregua nel mare“, un’idea contenuta anche nella bozza di accordo cui starebbero lavorando Francia e Regno Unito. “Poi vogliamo procedere molto velocemente in tutte le fasi successive e lavorare con gli Stati Uniti per concordare un accordo finale forte”, ha continuato Zelensky.Da sinistra: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il primo ministro britannico Keir Starmer e il presidente francese Emmanuel Macron si incontrano a Londra, il 2 marzo 2025 (foto: Justin Tallis/Afp)Parrebbe dunque aver funzionato l’annuncio shock dello stop agli aiuti militari statunitensi, mollato come una bomba a mano dall’inquilino della Casa Bianca giusto l’altroieri. Secondo diversi osservatori, si sarebbe trattato principalmente di una mossa per mettere pressione su Kiev (in linea con l’approccio muscolare e transazionale di Trump alle relazioni internazionali), che avrebbe infine dato i suoi frutti.L’accordo sui mineraliE sembra essere di nuovo sul tavolo il controverso accordo sulle materie prime critiche ucraine, che era stato al centro del disastroso incontro svoltosi lo scorso venerdì nello Studio ovale ma la cui stipula era saltata in seguito all’aggressione verbale di Trump e del suo vice JD Vance ai danni di Zelensky. “L’Ucraina è pronta a firmarlo in qualsiasi momento sia conveniente per voi”, ha detto il presidente Usa leggendo dalla lettera.Il tycoon ha reiterato la sua convinzione per cui questo accordo contribuirà ad avvicinare la fine delle ostilità nell’ex repubblica sovietica, garantendo una partecipazione finanziaria a stelle e strisce nel futuro di quest’ultima. Da un lato, dice, è un modo per i contribuenti statunitensi per “riprendersi” una parte dei miliardi di dollari versati a Kiev in tre anni di conflitto. Dall’altro, sempre secondo la lettura di Trump, avere sul proprio territorio lavoratori dagli States rappresenterebbe la miglior garanzia di sicurezza per l’Ucraina contro un eventuale nuovo attacco russo.Il presidente statunitense Donald Trump (destra) accoglie nello Studio ovale il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Al momento attuale non è chiaro se i termini del patto siano rimasti gli stessi o siano cambiati. L’ultima bozza del documento – che aveva sostituito un paio di versioni precedenti la cui formulazione era stata giudicata troppo svantaggiosa dalla leadership ucraina – prevedeva l’istituzione di un fondo congiunto d’investimento per la ricostruzione del Paese, co-gestito da Kiev e Washington, ma non includeva alcun impegno militare da parte degli Stati Uniti per garantire il rispetto di un’eventuale tregua.Quello che è chiaro è l’intenso lavoro diplomatico tra le due amministrazioni, pur dietro le quinte, per far vedere la luce a questo accordo. I funzionari statunitensi starebbero soprattutto esortando i loro omologhi ucraini affinché convincano Zelensky a scusarsi pubblicamente per gli eventi trasmessi in mondovisione venerdì, facendogliene dunque assumere la responsabilità. Per ora, il presidente ucraino ha affermato su X che il colloquio di venerdì “non è andato come doveva”, rammaricandosi per il suo esito “deplorevole”. “È tempo di sistemare le cose“, ha continuato, tendendo al tycoon un ramoscello d’olivo: “Vorremmo che la cooperazione e la comunicazione future fossero costruttive”.Trump ha recentemente lamentato che Kiev “dovrebbe essere più riconoscente” nei confronti di Washington poiché “questo Paese è rimasto al fianco (degli ucraini, ndr) nella buona e nella cattiva sorte”, ripetendo peraltro le false affermazioni per cui gli Stati Uniti avrebbero contribuito “molto di più dell’Europa” alla resistenza ucraina. Numeri alla mano, gli aiuti statunitensi ammontano a circa 114 miliardi di dollari dal 2022 ad oggi (meno della metà dei 350 miliardi millantati da Trump), mentre quelli inviati dai Paesi del Vecchio continente arrivano nel complesso a quota 132 miliardi.L’allora presidente-eletto Donald Trump (sinistra) e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si incontrano alla cerimonia di riapertura della cattedrale di Notre Dame a Parigi, il 7 dicembre 2024 (foto: Ludovic Marin/Afp)Trump non molla su Groenlandia e PanamaDi fronte a deputati e senatori, il presidente statunitense ha anche confermato l’intenzione – espressa a inizio gennaio, prima ancora del suo insediamento – di prendere il controllo della Groenlandia “in un modo o nell’altro”, sostenendo di essere pronto ad accogliere sotto la giurisdizione Usa la popolazione del territorio autonomo danese. “Vi terremo al sicuro”, ha promesso, e “vi faremo diventare ricchi”. In realtà, i groenlandesi non sembrano intenzionati a fare il cambio da Copenaghen a Washington.Trump ha usato un analogo tono aggressivo nei confronti di Panama (dove dice di voler “reclamare” il canale omonimo), rivendicando infine l’introduzione di dazi doganali contro il Canada e il Messico, i due maggiori partner commerciali degli Stati Uniti.

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    L’Ue sostiene il piano arabo per Gaza. Costa: “No a modifiche demografiche e territoriali”

    Bruxelles – Da un lato il piano di Donald Trump per Gaza, indigeribile per tutti tranne che per Israele, dall’altro la proposta messa sul piatto dall’Egitto, che ha ricevuto l’endorsement dei vertici delle Nazioni Unite e dell’Unione europea. Dal summit della Lega araba a Il Cairo arriva un segnale forte in direzione di Washington e Tel Aviv: come ha detto il presidente del Consiglio europeo, António Costa, non c’è spazio per alcun “tentativo di cambiamento demografico o territoriale” a Gaza.Un mese dopo l’idea shock di “trasformare Gaza nella riviera del Medio Oriente”, i Paesi arabi della regione rispondono alla provocazione di Trump. Il presidente egiziano al-Sisi ha presentato un piano per il futuro della Striscia, che prevede l’istituzione di un comitato amministrativo “composto da esperti palestinesi indipendenti e tecnocrati“, responsabile della supervisione degli aiuti e dell’amministrazione a Gaza “in vista del ritorno dell’Autorità Palestinese”.Nella bozza del piano, secondo quanto riporta Reuters, è prevista un’amministrazione provvisoria di sei mesi, descritta come un passo verso la ripresa completa del controllo di Gaza da parte dell’Autorità Palestinese. Egitto e Giordania sarebbero incaricate di formare le forze di sicurezza palestinese. Nel piano sarebbe però menzionata anche la possibilità del dispiegamento di un contingente internazionale di pace a Gaza e in Cisgiordania, da ottenere attraverso una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (e quindi con il via libera degli Stati Uniti).I leader al vertice della Lega Araba a Il CairoNiente più Hamas, ma nessuno sfollamento forzato della popolazione gazawi. Al vertice, il presidente palestinese Abu Mazen si è detto pronto a indire nuove elezioni entro l’anno prossimo. Ma per ricostruire un territorio ridotto in macerie, secondo l’Onu serviranno circa 53 miliardi. Nel piano egiziano, la ricostruzione durerebbe cinque anni. Dopo una prima fase incentrata sulla rimozione delle macerie, la bonifica dagli ordigni inesplosi e la fornitura di alloggi temporanei, prevederebbe la creazione di un fondo supervisionato a livello internazionale per finanziare con un budget di 20 miliardi di dollari fino al 2027 per la ricostruzione delle infrastrutture essenziali, tra cui strade, reti di distribuzione e impianti di servizi pubblici. Nell’ultima fase – fino al 2030 e con un costo stimato di 30 miliardi di dollari – a Gaza sorgerebbero progetti infrastrutturali e la creazione di zone industriali, un porto per la pesca, un porto commerciale e un aeroporto.Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha sposato il piano presentato dal presidente al-Sisi e ha assicurato che le Nazioni Unite sono “pronte a collaborare pienamente a questo sforzo”. Così come il presidente del Consiglio europeo, António Costa, che ha ringraziato l’Egitto e i Paesi arabi e messo sul piatto “un sostegno concreto” da parte dei 27 Paesi membri. “Dovremmo attuare questo piano insieme, l’Unione Europea, i suoi partner nel mondo arabo e la comunità internazionale“, ha dichiarato.Il leader Ue ha lanciato un messaggio alla nuova amministrazione americana, oltre che al premier israeliano Netanyahu: “Vorrei essere chiaro. L’Unione Europea respinge fermamente qualsiasi tentativo di cambiamento demografico o territoriale. A Gaza e in altre parti del mondo. Ovunque”. In un momento di stallo del negoziato per la continuazione del cessate il fuoco nell’enclave palestinese, Costa ha ribadito l’importanza del successo dei colloqui per l’inizio della seconda fase, che Israele e gli Stati Uniti hanno proposto di rinviare. Il leader Ue ha anche affermato che l’Unione europea starebbe già “utilizzando tutti gli strumenti possibili” per sostenere il ruolo cruciale dell’Autorità Palestinese nel futuro di Gaza, “compresi gli sforzi diplomatici nei confronti di Israele e Palestina”.

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    Trump sospende gli aiuti a Kiev (e si prepara per allentare le sanzioni contro Mosca)

    Bruxelles – Il momento che tutti temevano, soprattutto a Kiev, è arrivato. Donald Trump ha sospeso gli aiuti militari per l’Ucraina, in quella che molti interpretano come una mossa per indurre Volodymyr Zelensky ad accettare le condizioni di Washington rispetto all’accordo sulle materie prime critiche e, più in generale, a seguire l’iniziativa della Casa Bianca sui negoziati di pace con la Russia. Russia che, a breve, potrebbe vedersi allentare alcune sanzioni proprio dall’amministrazione a stelle e strisce.Rubinetti chiusi (per ora)Con uno schiocco di dita, una parte importante del flusso degli aiuti militari che sostenevano la resistenza ucraina da tre anni è stata interrotta. Lo stop si applica a tutte le attrezzature militari e le munizioni statunitensi non ancora fisicamente in Ucraina, comprese quelle in transito.Per il momento, la sospensione sarebbe temporanea. Donald Trump rimarrebbe in attesa di sapere se la leadership ucraina, a partire dal suo omologo Volodymyr Zelensky, vuole impegnarsi “in buona fede” per la pace. Cioè per la pace ventilata dal presidente Usa, che dovrebbe includere lo sfruttamento da parte di Washington delle risorse minerarie di Kiev ma nessuna garanzia di sicurezza militare, almeno non dal Pentagono.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto: Sergei Supinsky/Afp)Commentando un’osservazione del presidente ucraino, secondo cui la fine delle ostilità con la Russia è ancora “molto lontana”, il tycoon ha lamentato che “questo tizio non vuole che ci sia la pace finché ha l’appoggio dell’America“. Dall’amministrazione fanno sapere che gli aiuti all’ex repubblica sovietica stanno venendo rimodulati “per garantire che contribuiscano a una soluzione” del conflitto, anziché prolungarlo.Strumento di pressione?Gli ucraini e i loro alleati occidentali (quelli che rimangono) stavano aspettando con terrore questo momento da quando, venerdì scorso, si è consumata la catastrofe diplomatica. Vale a dire da quando l’inquilino della Casa Bianca e il suo numero due, JD Vance, hanno finalmente gettato la maschera tendendo un’imboscata a Zelensky, bullizzandolo e redarguendolo per aver cercato di assicurare la sopravvivenza del suo Paese.Per qualche giorno era parso che si potesse ancora salvare il rapporto tra Washington e Kiev. Sia Trump sia Zelensky avevano ribadito durante il weekend che l’accordo era nell’interesse tanto degli Stati Uniti quanto dell’Ucraina. La chiusura dei rubinetti decisa dall’amministrazione a stelle e strisce potrebbe essere in effetti una mossa per mettere pressione sul governo ucraino, forzandolo a stipulare il patto sui minerali e gli idrocarburi – magari con nuovi termini, ancora più vantaggiosi per Washington – senza avanzare ulteriori pretese.Il presidente statunitense Donald Trump (destra) accoglie nello Studio ovale il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Secondo Trump, Zelensky “dovrebbe essere più riconoscente, perché questo Paese è rimasto con loro nella buona e nella cattiva sorte”. “Non dovrebbe essere un accordo così difficile da fare“, ha ragionato il tycoon, aggiungendo che “se qualcuno non vuole fare un accordo, penso che quella persona non resterà in giro molto a lungo”. Una velata invocazione per un cambio di regime a Kiev?In molti, a partire dal capo della Nato Mark Rutte, stanno esortando il presidente ucraino a scusarsi pubblicamente per aver osato rispondere alle accuse false rivoltegli in mondovisione, per riallacciare al più presto i rapporti con l’amministrazione statunitense. Dietro le quinte, sono febbrilmente all’opera i pontieri europei, Giorgia Meloni e Keir Starmer in testa, per ricucire lo strappo e ripristinare le relazioni transatlantiche sconvolte dal primo mese del Trump bis.Allentare le sanzioniMa non finisce qui. Contemporaneamente, Trump starebbe puntando a sospendere alcune delle sanzioni che i suoi predecessori Joe Biden e Barack Obama avevano imposto contro la Russia (le azioni illegali russe in Ucraina sono iniziate nel 2014, durante il secondo mandato di Obama, con l’annessione unilaterale della Crimea e il supporto ai separatisti del Donbass).La Casa Bianca ha incaricato il dipartimento di Stato e quello del Tesoro di redigere una lista delle misure restrittive che potrebbero essere alleggerite, come segno tangibile di buona volontà da parte di Washington nei confronti di Mosca nel quadro della distensione dei rapporti tra le due superpotenze globali seguita all’insediamento del tycoon. Non è ancora chiaro quali ambiti potrebbero essere interessati dalla revisione del regime sanzionatorio Usa, ma potrebbero essere coinvolti tanto degli oligarchi vicini al Cremlino quanto la produzione petrolifera della Federazione.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Sergei Ilnitsky/Afp)Dopo aver minacciato il suo omologo russo Vladimir Putin di inasprire le sanzioni se non avesse accettato di sedersi al tavolo delle trattative per fermare il conflitto nell’ex repubblica sovietica, il presidente statunitense ha cambiato approccio e sembra ora preferire la carota al bastone. In effetti, il bastone lo usa ancora: ma con Kiev, anziché con Mosca.Dal canto suo, Mosca ha già aperto alla cooperazione economica con gli Stati Uniti del dopo-Biden. Negli scorsi giorni ha addirittura offerto a Washington una collaborazione sull’estrazione delle terre rare dai propri giacimenti, dopo il naufragio dell’accordo con l’Ucraina. Come sottolineato dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, la nuova politica estera a stelle e strisce “è in gran parte allineata con la nostra visione” del mondo. Più di così.Testa sotto la sabbiaNonostante la rapidità e la profondità di questi cambiamenti, di qua dell’Atlantico non sembrano vedersi all’orizzonte grandi novità. Il maxi-pacchetto da 20 miliardi di euro in aiuti militari caldeggiato nei giorni scorsi dall’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas è sparito dal radar e non verrà discusso al Consiglio europeo straordinario in calendario per dopodomani (6 marzo), dove pure i leader dei Ventisette discuteranno di difesa e Ucraina.We are living in dangerous times.Europe‘s security is threatened in a very real way.Today I present ReArm Europe.A plan for a safer and more resilient Europe ↓ https://t.co/CYTytB5ZMk— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) March 4, 2025La presidente dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen ha svelato giusto stamattina un piano da 800 miliardi per riarmare il Vecchio continente, ma si tratta di soldi che gli Stati membri useranno per le proprie forze armate. Per quelle di Kiev, almeno per ora, non c’è nulla sul tavolo. L’ennesima vittoria per il primo ministro ungherese Viktor Orbán che, col suo collega slovacco Robert Fico, ha sempre messo i bastoni tra le ruote di Bruxelles ogni volta che cercava di sostenere la resistenza ucraina all’aggressione russa.

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    A Gaza salta la tregua e Israele ricomincia a affamare la popolazione. L’Ue condanna Hamas

    Bruxelles – La fragile tregua siglata a metà gennaio tra Israele e Hamas è durata 42 giorni. Scaduta la prima delle tre fasi previste, l’accordo è saltato nella notte tra sabato e domenica e ieri (2 marzo) il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato nuovamente il blocco degli aiuti umanitari a Gaza. Mentre le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie sul campo lanciano “l’allarme” per le conseguenze della decisione di Tel Aviv su quasi due milioni di civili, l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, attribuisce interamente le responsabilità al gruppo armato palestinese.L’Ue “condanna il rifiuto di Hamas di accettare la proroga della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza. La successiva decisione di Israele di bloccare l’ingresso di tutti gli aiuti umanitari a Gaza potrebbe potenzialmente avere conseguenze umanitarie”, dichiara il portavoce di Kallas, Anouar el Anouni. In questa prima fase di sei settimane, insieme al rilascio di una parte degli ostaggi israeliani da parte di Hamas in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane, Tel Aviv ha garantito l’ingresso nell’enclave di un maggiore flusso di aiuti umanitari, necessari per assistere una popolazione a cui per diversi tratti del conflitto sono stati negati anche i bisogni primari.L’accordo dello scorso 15 gennaio prevedeva poi il passaggio ad una seconda fase in cui Hamas avrebbe dovuto concludere la liberazione di tutti gli ostaggi ancora in vita e le truppe israeliane il completo ritiro dalla Striscia di Gaza. Ma i dettagli di questa delicata fase, si era detto a Doha, avrebbero potuto essere soggetti a ulteriori negoziati durante la prima fase. Nelle ultime settimane, di fronte alle provocazioni della nuova amministrazione americana, all’intensificarsi delle operazioni militari israeliane in Cisgiordania e ad alcuni episodi di potenziali attentati nelle città israeliane, le trattative sono naufragate.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Ohad Zwigenberg/Afp)In sostanza, Tel Aviv ha appoggiato un piano presentato dall’inviato speciale degli Stati Uniti nominato da Trump, Steve Witkoff, per estendere la prima fase del cessate il fuoco fino alla fine del Ramadan e della Pasqua, e continuare così a rilasciare gli ostaggi israeliani senza però procedere al ritiro del proprio esercito da Gaza. Una bozza di nuovo accordo che Hamas ha invece declinato. Tel Aviv nega di aver violato i termini dell’accordo di gennaio, che prevedeva appunto ulteriori negoziazioni e addirittura che Israele potesse tornare a combattere dopo il 42esimo giorno “se ha l’impressione che i negoziati siano stati inefficaci”.Secondo Euro-Med Human Rights Monitor, ong con sede a Ginevra, durante le sei settimane di tregua l’esercito israeliano avrebbe ucciso almeno 115 civili a Gaza. Netanyahu però ha accusato Hamas di aver violato “ripetutamente” i termini del cessate il fuoco, in particolare su tempistiche e modalità del rilascio degli ostaggi del 7 ottobre. Alla riunione del consiglio dei ministri convocata per discutere i nuovi sviluppi, Netanyahu ha dichiarato: “Non ci saranno più pranzi gratis. Se Hamas pensa che sarà possibile continuare il cessate il fuoco o beneficiare dei termini della prima fase, senza che noi riceviamo ostaggi, si sbaglia di grosso”.Una famiglia palestinese prepara la colazione prima del digiuno imposto dal Ramadan al campo profughi di Bureij nella Striscia di Gaza, 1/3/25 (Photo by Eyad BABA / AFP)In una nota, il gabinetto del premier ha precisato che Israele “cesserà ogni ingresso di merci e rifornimenti nella Striscia di Gaza“. Nella giornata di ieri, il portavoce di Netanyahu, Omer Dostri, ha confermato: “Nessun camion è entrato a Gaza questa mattina, né lo farà in questa fase”. Si tratta di uno dei capi d’accusa con cui la Corte Penale Internazionale ha già emesso un mandato d’arresto contro il premier israeliano e l’ex ministro della Difesa, Noav Gallant: i due sono già ritenuti responsabili di aver affamato la popolazione civile palestinese come metodo di guerra, di aver causato intenzionalmente “grandi sofferenze, gravi lesioni al corpo o alla salute o trattamenti crudeli”, di “dirigere intenzionalmente attacchi contro una popolazione civile“.L’Egitto e il Qatar, che insieme agli Stati Uniti sono i principali mediatori tra il governo di Netanyahu e Hamas, hanno accusato Israele di violare l’accordo raggiunto faticosamente a gennaio. Il ministero degli Esteri del Cairo ha affermato che Israele usa la fame “come arma contro il popolo palestinese”, mentre Doha ha aggiunto:  “Il Qatar condanna fermamente la decisione del governo di occupazione israeliano di interrompere l’invio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la considera una palese violazione dell’accordo di cessate il fuoco (e) del diritto internazionale umanitario“.Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha chiesto che “gli aiuti umanitari tornino immediatamente a Gaza”, mentre il sottosegretario dell’Ufficio dell’Onu per gli Affari Umanitari, Tom Fletcher, ha descritto la mossa come “allarmante”. Di fronte alla palese violazione del diritto umanitario da parte di Netanyahu – tralasciando il rispetto dei termini del cessate il fuoco da entrambe le parti – la nota del capo della diplomazia europea appare quanto meno debole, se non accondiscendente nei confronti di Tel Aviv. Oltre alla condanna ad Hamas per non aver accettato la proroga della prima fase, l’Ue “ribadisce la richiesta di un accesso completo, rapido, sicuro e senza ostacoli agli aiuti umanitari su larga scala per i palestinesi bisognosi”. Ma non c’è alcun accenno alla gravità estrema della decisione presa come rappresaglia su tutta una popolazione civile da parte di un governo democratico alleato.

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    Ucraina, i pontieri europei all’opera per tenere Washington dalla parte di Kiev

    Bruxelles – Mettere insieme i cocci. Dopo il terremoto (l’ennesimo) sprigionatosi venerdì con epicentro alla Casa Bianca, l’Europa fa quadrato attorno al presidente ucraino umiliato dagli alti papaveri dell’amministrazione Trump. Ma prova anche a guardare avanti.Mentre tra le cancellerie dei Ventisette e a Bruxelles si inizia a parlare con insistenza di riarmo, c’è contemporaneamente chi si muove per tentare di ricucire lo strappo, spegnere le fiamme divampate tra Kiev e Washington e riavvicinare le due sponde dell’Atlantico che sembrano allontanarsi sempre più. La premier italiana lavora con l’omologo britannico ad un summit Ue-Usa, mentre il capo della Nato esorta Zelensky a fare un passo indietro e riallacciare i rapporti con Trump.Rutte striglia ZelenskyDopo l’incendio, i pompieri. Che per l’occasione indossano anche i panni dei pontieri. L’incendio da spegnere è quello appiccato dal presidente statunitense Donald Trump e dal suo vice JD Vance quando, lo scorso venerdì (28 febbraio), hanno teso un agguato al leader ucraino Volodymyr Zelensky mettendolo al muro per poi cacciarlo malamente dallo Studio ovale, rendendo esplicite in diretta mondiale le fratture nella coalizione occidentale che dovrebbe supportare l’ex repubblica sovietica nella resistenza all’invasione russa.E ci sono ponti che sembrano essere stati tagliati e vanno ora ricostruiti. Quello tra Washington e Kiev, e quello tra Washington e Bruxelles. Del primo si occupa il Segretario generale della Nato, Mark Rutte. “Penso che tu debba trovare un modo, caro Volodymyr, per ripristinare le tue relazioni con Donald Trump e l’amministrazione americana. Questo è importante per il futuro“, ha detto l’ex premier olandese al presidente ucraino, esortandolo a mettere urgentemente una pezza per rimediare al disastro diplomatico appena consumatosi alla Casa Bianca. Come dire alla vittima di un bullo che deve chiedergli scusa se non ha voluto cedergli la merenda.Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte (destra), accoglie il segretario della Difesa statunitense Pete Hegseth al quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles, il 13 febbraio 2025 (foto: Nato via Imagoeconomica)“Dobbiamo davvero rispettare ciò che il presidente Trump ha fatto finora per l’Ucraina“, ha osservato Rutte, riferendosi ad esempio alla fornitura (risalente al 2019) dei razzi anticarro Javelin, con cui l’esercito di Kiev ha potuto fermare l’avanzata delle colonne corazzate di Mosca a inizio 2022. “Dobbiamo dare credito a Trump per quello che lui ha fatto allora, per quello che l’America ha fatto da allora e anche per quello che l’America sta ancora facendo” per sostenere il Paese aggredito, ha aggiunto il capo dell’Alleanza.L’iniziativa di Meloni e StarmerSul ponte transoceanico stanno invece lavorando Giorgia Meloni e Keir Starmer. Quest’ultimo ha organizzato ieri un summit tra leader europei, vertici comunitari e membri Nato, per coordinare gli sforzi del Vecchio continente nel difendere l’Ucraina aggredita e garantire la tenuta di un eventuale cessate il fuoco, qualora dovesse venir stipulato.La sera prima dell’incontro a Lancaster House, la premier italiana ha sentito al telefono il presidente statunitense: “Penso che sia molto, molto importante evitare il rischio che l’Occidente si divida“, ha ragionato ieri dalla capitale britannica, evitando di schierarsi tra quelle che ha chiamato “tifoserie” pro-Trump o pro-Zelensky. Meloni è stata l’unica tra i principali leader europei a non esprimere pubblicamente solidarietà al presidente ucraino dopo l’imboscata di venerdì.La premier italiana Giorgia Meloni e il primo ministro britannico Keir Starmer (foto via Imagoeconomica)Poi la carta diplomatica: “Ho proposto una riunione tra gli Stati Uniti e i leader europei perché se ci dividiamo saremo tutti più deboli”. Un vertice inter-alleato sotto l’egida di Roma e Londra, che sembrano aver trovato un’inedita sinergia e puntano ora a giocare “un ruolo importante nella costruzione di ponti” (Meloni dixit). In materia di difesa, i due governi collaborano già allo sviluppo di un caccia di sesta generazione insieme a Tokyo. Basterà un summit per convincere l’inquilino della Casa Bianca a non abbandonare l’Alleanza nordatlantica? Giusto in queste ore, il suo braccio destro (oramai di fatto una sorta di vicepresidente ombra) Elon Musk ha caldeggiato l’uscita di Washington da Nato e Onu.La sponda di VarsaviaItalia e Regno Unito hanno trovato la sponda importante della Polonia. Varsavia è tra le più ferventi sostenitrici della resistenza ucraina (come Londra ma non come Roma, almeno in termini di risorse finanziarie e asset militari mobilitati), ma insiste sulla necessità di una partnership transatlantica forte. “Noi polacchi siamo sostenitori dell’alleanza più stretta possibile tra la Polonia, l’Europa e l’intero Occidente con gli Stati Uniti“, ha ribadito il primo ministro Donald Tusk ieri, ostentando soddisfazione per l’iniziativa proposta da Meloni a Trump, “visti i loro ottimi rapporti”.Il primo ministro polacco Donald Tusk (foto: European Council)Sulla questione cruciale della sicurezza continentale, la via indicata dal leader polacco è quella della “indipendenza militare e di difesa dell’Europa” rispetto a Washington, purché si tratti di “indipendenza, non isolamento“. Il fantomatico pilastro europeo della Nato, insomma, tanto dibattuto e mai realizzato. Il suo Paese è quello col bilancio per la difesa più ampio tra i 32 membri dell’Alleanza, in termini relativi: le previsioni per il 2025 parlano del 4,7 per cento del Pil.“L’Europa è una potenza“, dice, e “non sarà un’alternativa all’America, ma il suo alleato più desiderabile“. Come chiesto da Trump, “dobbiamo contare su noi stessi”: per farlo, occorre colmare il “deficit di immaginazione e di coraggio” che affligge il Vecchio continente, e attrezzarlo per metterlo nelle condizioni di “difendere i suoi confini” anche autonomamente, senza dover sempre aspettare che lo zio Sam apra l’ombrello. Del resto, è lo Zeitgeist: da Parigi a Berlino, passando per Bruxelles, la parola d’ordine in Europa è “riarmo”. Ma quando persino a Varsavia si parla così, non ci si può più illudere: il mondo che conoscevamo è finito.