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    Gaza, avvocati e giuristi di Jurdi chiamano Commissione e Consiglio Ue a “rispondere della loro inazione”

    Bruxelles – L’inazione può essere un reato. Per questo, oggi Commissione europea e Consiglio dell’Unione europea vengono chiamati a rispondere delle “proprie responsabilità” a Gaza. A farlo è JURDI – Giuristi per il Rispetto del Diritto Internazionale – associazione che, fondata nel 2024, riunisce avvocati, magistrati, professori, giuristi e altri esperti di diritto internazionale, con l’obiettivo di promuovere il rispetto e l’applicazione del diritto internazionale nel contesto del conflitto israelo-palestinese. Dopo aver inviato, lo scorso maggio, due lettere di diffida a Commissione e Consiglio Ue per “non aver adempiuto al proprio obbligo di prevenire il genocidio a Gaza”, oggi Jurdi ha annunciato di aver intentato un ricorso davanti la Corte di Giustizia dell’Ue contro le due istituzioni per “grave e prolungata inazione di fronte alle violazioni del diritto internazionale nei Territori Palestinesi Occupati”. Secondo il team di Jurdi, “nonostante le notifiche formali del 12 e 15 maggio 2025 e la valanga di prove che documentano un genocidio in corso a Gaza, non sono state avviate sospensioni degli accordi di cooperazione, misure restrittive o verifiche di emergenza“. E “non è stata intrapresa alcuna azione per interrompere il flusso di finanziamenti e i trasferimenti di tecnologia militare, in diretta violazione del diritto internazionale ed europeo“.Tutto ciò ha delle conseguenze, per Jurdi. “La Commissione europea, sebbene autorizzata ad agire da sola, è rimasta passiva”, scrive l’associazione. “Tale inazione impegna la responsabilità giuridica delle istituzioni europee in relazione agli articoli 2, 3, 21, 29 e 215 Trattato sul funzionamento dell’Ue; all’accordo di associazione Ue-Israele; e agli obblighi imperativi del diritto internazionale (jus cogens)”. In particolare, per Jurdi, sono stati violati quattro principi fondamentali del diritto internazionale pubblico, applicabili all’Unione: l’obbligo di prevenire il genocidio, a partire dalla soglia del rischio plausibile; il dovere di porre fine agli ostacoli all’autodeterminazione del popolo palestinese; il divieto di riconoscimento o di assistenza a una situazione illegittima, come un’occupazione prolungata; l’obbligo di garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario, in particolare di fronte a crimini di guerra e crimini contro l’umanità. A ciò si aggiunge “una chiara violazione del Trattato sul commercio delle armi (ATT)“, di cui tutti gli Stati membri dell’Ue sono firmatari, “e della Posizione Comune 2008/944/PESC che vieta i trasferimenti di armi in caso di evidente rischio di utilizzo per commettere gravi violazioni del diritto umanitario”, mentre “diversi Stati membri hanno continuato a fornire armi a Israele, senza alcuna risposta da parte delle istituzioni europee“, spiegano gli avvocati e giuristi.Sono queste le basi su cui oggi l’associazione chiede alla Corte di Giustizia di constatare formalmente questa inadempienza e di ordinare alle istituzioni dell’Ue di sospendere la cooperazione con Israele, di adottare sanzioni mirate e di adempiere al loro dovere di prevenzione. “Quando le istituzioni sanno, possono e non fanno nulla, si parla di complicità passiva“, ha affermato il presidente di Jurdi, Patrick Zahnd. “Ci auguriamo che la Corte rispetti la legge, nient’altro che la legge”, ha osservato.E proprio alla legge stanno facendo ricorso anche altre associazioni di avvocati e giuristi che chiedono ai propri Paesi di rispondere dell’inazione, o della complicità. E’ il caso dei Paesi Bassi, dove il Centro di ricerca sulle multinazionali SOMO e altre nove organizzazioni della società civile palestinese e olandese stanno facendo causa ai Paesi Bassi “per il ruolo svolto nel facilitare le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, tra cui l’occupazione illegale del territorio palestinese e il plausibile genocidio commesso contro il popolo palestinese a Gaza”: una delle richieste della causa, che è ora in fase di appello, è l’interruzione dell’esportazione verso Israele di cani addestrati per le torture. L’udienza d’appello del caso dovrebbe svolgersi questa estate. Ed è anche il caso del Belgio, dove il collettivo Droit pour Gaza ha diffidato lo Stato per la sua inazione a Gaza: Bruxelles ha “obblighi e responsabilità di fronte al genocidio attualmente in corso nella Striscia di Gaza” e, se non risponderà entro otto giorni, i querelanti intraprenderanno un’azione legale.Giustamente, anche Pilato verrebbe chiamato oggi a rispondere.

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    Guardian: Missili europei venduti a Israele usati per uccidere bambini a Gaza

    Bruxelles – Secondo un esclusiva del Guardian, il più grande produttore europeo di missili, MBDA, vende componenti chiave per le bombe che sono state spedite a migliaia in Israele e utilizzate in numerosi attacchi aerei in cui, secondo le ricerche, sono stati uccisi anche bambini palestinesi e altri civili. Questa compagnia europea fa parte di un gruppo composto dalla più grande azienda di difesa britannica BAE Systems, la francese Airbus e l’italiana Leonardo.Con l’aumentare delle preoccupazioni sulla misura in cui le aziende europee potrebbero trarre profitto dalla devastazione della Palestina, un’inchiesta del Guardian, in collaborazione con le redazioni indipendenti Disclose e Follow the Money, ha esaminato la catena di approvvigionamento della bomba GBU-39 e i modi in cui è stata impiegata durante il conflitto.MBDA possiede uno stabilimento negli Stati Uniti, che produce le “ali” che vengono montate sul GBU-39, prodotto da Boeing. Esse si dispiegano dopo il lancio, consentendo alla bomba di essere guidata verso il suo obiettivo.I ricavi della società statunitense MBDA Incorporated passano attraverso MBDA UK, con sede in Inghilterra, che poi trasferisce gli eventuali profitti al gruppo MBDA, con sede in Francia. L’anno scorso l’azienda ha distribuito dividendi per quasi 350 milioni di sterline (400 milioni di euro) ai suoi tre azionisti.A settembre, il ministro degli Esteri britannico, David Lammy, ha sospeso alcune licenze di esportazione di armi verso Israele, citando il rischio di “gravi violazioni” del diritto umanitario internazionale. Lammy ha dichiarato che la mossa era volta a colpire “articoli che potrebbero essere utilizzati nell’attuale conflitto a Gaza”.Utilizzando informazioni di fonte aperta e analisi di esperti di armi, l’indagine del Guardian ha verificato 24 casi in cui le GBU-39 sono state impiegate in attacchi che hanno causato la morte di civili. Ognuno di essi includeva bambini tra le vittime. Molti degli attacchi sono avvenuti di notte, senza preavviso, in edifici scolastici e tendopoli dove si rifugiavano le famiglie sfollate. Alcuni sono stati esaminati dalle Nazioni Unite e dal gruppo umanitario Amnesty International, che li ha segnalati come sospetti crimini di guerra.Casi verificati nel 2023, suggeriscono che l’esercito israeliano ha aumentato drasticamente l’uso delle GBU-39 nel 2024. Uno degli attacchi più devastanti è avvenuto nella notte del 26 maggio 2024, quando i jet hanno bombardato il Campo della Pace Kuwait 1 a Rafah, scatenando un incendio che ha messo a fuoco file di tende. Un bambino e una donna sono stati decapitati dai frammenti di esplosivo, ha riferito Amnesty. Il ministero della Sanità di Gaza ha contato 45 morti e 249 feriti.“I GBU-39 sono stati usati spesso per colpire scuole e aree in cui altre persone si rifugiano”, ha affermato Trevor Ball, associato all’Armaments Research Services, che riceve alcuni finanziamenti dall’Ue.Degli attacchi verificati, 16 erano contro scuole. Sebbene gli edifici non funzionino più come strutture educative, sono diventati luoghi di rifugio per la popolazione sfollata della Palestina. Gli altri attacchi hanno colpito tendopoli, case di famiglia e una moschea durante le preghiere del mattino.Nonostante le parole forti e le minacce di ulteriori sanzioni dopo la rottura del cessate il fuoco da parte di Israele a marzo, e le conclusioni delle Nazioni Unite secondo cui: “i metodi di guerra a Gaza sono compatibili con il genocidio, i leader europei non hanno preso ulteriori provvedimenti per impedire alle imprese di armamenti nazionali di trarre profitto”.In un rapporto del mese scorso, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, ha esaminato i profitti delle imprese derivanti dal conflitto. La relatrice ha concluso che: “Il presente rapporto mostra perché il genocidio condotto da Israele continua: perché è redditizio per molti”.

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    Più risorse per allargamento e Mediterraneo, Bruxelles: “La loro sicurezza è la nostra sicurezza”

    Bruxelles – Nel caotico programma di spesa pluriennale presentato ieri (16 luglio) da Ursula von der Leyen, resta una certezza: buona parte del bilancio Ue 2028-34 è orientato al tema della sicurezza. Militare, economica, energetica, alimentare. L’imperativo di rispondere a un contesto geopolitico “sempre più instabile” permea anche la strategia di Bruxelles – e le risorse – per l’allargamento dell’Unione e per i rapporti con il vicinato meridionale. Nel nuovo quadro finanziario, la Commissione europea ha proposto di raddoppiare i finanziamenti per la regione del Mediterraneo e di aumentare del 37 per cento quelli per i Paesi candidati e il vicinato orientale.“La loro sicurezza è la nostra sicurezza. Il loro successo è il nostro successo comune”, ha affermato la commissaria europea per il Mediterraneo, Dubravka Šuica, nel presentare le linee di spesa proposte per Global Europe, lo strumento Ue per il Vicinato e la cooperazione internazionale. In particolare, la Commissione propone di raddoppiare i finanziamenti per Medio Oriente e Nord Africa e portarli a 42,5 miliardi di euro. “Investiremo nella stabilità, nella sicurezza e nella prosperità attraverso partenariati reciprocamente vantaggiosi con i nostri vicini meridionali“, ha proseguito la commissaria, citando come esempi gli accordi di cooperazione già stretti con Tunisia, Egitto, Giordania.Dubravka Šuica, commissaria europea per il MediterraneoIl tesoretto che l’Ue prevede di mettere sul piatto per il Vicinato meridionale “aiuterà i nostri partner ad affrontare le cause profonde della fragilità socioeconomica, che è alla base dell’instabilità politica e della radicalizzazione”, ha insistito Šuica. L’intento è – in vista del Nuovo patto per il Mediterraneo che la stessa commissaria presenterà ad ottobre – mettersi al lavoro per siglare accordi trasversali, che spazino dalla “sfida della transizione verde” agli “investimenti nella sicurezza e nella protezione delle frontiere, per controllare meglio il traffico di esseri umani e l’immigrazione illegale“.Parallelamente, Bruxelles si prepara ad una inevitabile nuova stagione di allargamento dei suoi Paesi membri. “I negoziati di adesione all’Unione Europea con Montenegro, Albania, Moldavia e Ucraina non sono mai stati così rapidi e molti dei nostri Paesi candidati ambiscono a concludere i negoziati nei prossimi anni“, ha confermato Marta Kos, commissaria per l’Allargamento, convinta che “il nuovo quadro finanziario pluriennale riflette questa realtà”. Perché “prevede un aumento significativo dei finanziamenti per adeguarsi alla maggiore velocità dei Paesi candidati”, da 31 a 42,6 miliardi di euro. “Si tratta di un aumento del 37 per cento“, ha sottolineato Kos.Un capitolo a parte è dedicato a Kiev, per cui la Commissione ha previsto lo stanziamento di 100 miliardi per sostenerne le riforme e la ricostruzione dopo il 2028. “I finanziamenti per l’Ucraina sono mantenuti separati e al di sopra del massimale” del bilancio, ha spiegato Kos. “Chiunque pensasse che il sostegno europeo si sarebbe indebolito nel tempo, si sbagliava”, ha concluso. Ma la commissaria ha contemporaneamente lanciato un piccolo allarme: per i prossimi due anni – prima dell’adozione del nuovo budget settennale -, l’Ucraina ha bisogno di circa 80 miliardi all’anno “per poter funzionare come Stato, e l’Ue da sola non sarà sufficiente”.

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    Ucraina, la Slovacchia continua a mettersi di traverso sulle sanzioni alla Russia

    Bruxelles – Fumata nera per il 18esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. A ritardare l’adozione delle nuove misure restrittive, che l’Alta rappresentante Kaja Kallas sperava di finalizzare durante il Consiglio Affari esteri di ieri, è ancora una volta la Slovacchia di Robert Fico. Bratislava non è soddisfatta delle rassicurazioni offerte dalla Commissione sulle forniture di gas russo, che l’esecutivo comunitario vuole bandire entro la fine del 2027.La lettera inviata ieri (15 luglio) dal Berlaymont, e firmata da Ursula von der Leyen in persona, “non offre alla Slovacchia garanzie sufficienti” rispetto alla questione cruciale dell’approvvigionamento di gas a basso costo dalla Russia. Con queste parole, condivise sui social il giorno stesso, il primo ministro Robert Fico ha chiuso la porta alle discussioni sul 18esimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino, allungando un braccio di ferro politico che si trascina da mesi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas, sperava che l’adozione del nuovo round di misure restrittive – presentato dall’esecutivo a dodici stelle a inizio giugno – potesse avvenire durante la riunione dei ministri degli Esteri dei Ventisette svoltasi ieri a Bruxelles. Ma dovrà aspettare ancora.Il primo ministro slovacco Robert Fico (sinistra) e il presidente russo Vladimir Putin (foto: Gavriil Grigorov/Afp via Sputnik)Fico giustifica l’opposizione slovacca sulla base di preoccupazioni per la sicurezza energetica di Bratislava. Di fatto, il premier nazional-populista (uno dei più stretti alleati di Vladimir Putin in Europa, insieme all’omologo ungherese Viktor Orbán) sta legando l’adozione delle sanzioni contro Mosca – che richiedono l’unanimità – alla transizione energetica dell’Ue nel quadro della strategia RePower Eu.Il piano di Bruxelles – definito “assurdo” da Fico – prevede il graduale abbandono (phase out) delle fonti fossili importate dalla Federazione entro il 2028, incluso il gas naturale, con una decisione che andrà presa a maggioranza qualificata dagli Stati membri (e che, pertanto, Fico non riuscirebbe a bloccare).Il premier slovacco ha puntato i piedi durante il vertice Ue di giugno, chiedendo garanzie per tutelare la sua economia, fortemente dipendente dalle importazioni di gas russo. Ma continua a dichiararsi aperto a negoziare un accordo che possa “garantire un certo livello di comfort” al Paese mitteleuropeo. Se Bratislava riceverà rassicurazioni accettabili circa la mitigazione dell’impatto del phase out, dice, non bloccherà più l’adozione delle sanzioni.La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Dati Bendo/Commissione europea)La soluzione preferita da Fico sarebbe un’esenzione nazionale fino al 2034, data in cui scadrà il contratto di forniture a lungo termine siglato con Gazprom, il colosso dell’energia russo di proprietà statale. In caso contrario, sostiene, Bratislava dovrà affrontare una causa legale e potrebbe dover pagare una multa fino a 20 miliardi di euro. Ma la Commissione non ne vuole sapere e fa notare che i divieti legali imposti a livello Ue possono essere fatti valere come cause di forza maggiore in sede di contenzioso con Gazprom.Per tendere una mano verso il governo slovacco, von der Leyen ha proposto di creare una task force per esaminare le necessità del Paese e monitorarne la transizione verde, coadiuvando Bratislava nell’escogitare e implementare soluzioni tecniche, economiche e normative di vario genere, inclusi un utilizzo più flessibile degli aiuti di Stato ed il ricorso ai fondi europei per compensare le perdite dovute al phase out e alla diversificazione energetica. Inoltre, ha ribadito la possibilità di ricorrere ad un “freno d’emergenza” per sospendere temporaneamente l’applicazione del divieto d’importazione del gas nel caso in cui si raggiungano picchi estremi dei prezzi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Tutte proposte rispedite al mittente da Fico, i cui partner di coalizione in patria si sarebbero categoricamente opposti alle aperture di Bruxelles, per la frustrazione di von der Leyen e Kallas. L’ex premier estone ha dichiarato ieri di essere “davvero triste” di non aver raggiunto l’accordo e ribadito che “eravamo davvero vicini a convincere la Slovacchia“, sottolineando che “questi negoziati vanno avanti da parecchio tempo” e puntando il dito contro l’atteggiamento ostruzionista del governo di Bratislava che, lamenta, presenta continuamente nuove condizioni. “Ora la palla è nel campo della Slovacchia”, ha aggiunto.Le discussioni tecniche, a livello di ambasciatori al Coreper, stanno proseguendo oggi. La speranza è di trovare una quadra entro la fine della settimana: “Sono ottimista e ancora fiduciosa” che si raggiungerà una conclusione oggi, ha affermato ieri Kallas. Forse una spinta al premier slovacco potrebbe arrivare dall’annunciata intenzione della Casa Bianca di Donald Trump di imporre pesanti “tariffe secondarie” a tutti i partner commerciali di Mosca se non ci saranno progressi nei negoziati con l’Ucraina nei prossimi 50 giorni.

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    L’Ue monitora l’accordo con Israele sugli aiuti umanitari a Gaza: “Segnali positivi, ma serve di più”

    Bruxelles – L’Unione europea cerca di salvare contemporaneamente la faccia e il prezioso rapporto con Israele. L‘accordo raggiunto in extremis, la scorsa settimana, tra Bruxelles e Tel Aviv per l’ingresso massiccio di aiuti umanitari a Gaza permette ai 27 di svincolarsi dall’urgenza di prendere misure più decise nei confronti del governo di Benjamin Netanyahu. Così per ora Bruxelles accoglie con favore “i segnali positivi” che arrivano dalla Striscia e chiede “misure più concrete”, congelando le possibili azioni da sfoderare nel caso la situazione umanitaria non migliori.Sono queste le conclusioni a cui sono giunti oggi i ministri degli Esteri dei 27, riuniti nella capitale europea per l’ultimo Consiglio prima della pausa estiva. Dopo l’esercizio di revisione dell’Accordo di associazione Ue-Israele che ha certificato le violazioni da parte israeliana, erano stati gli stessi capi di stato e di governo Ue a chiedere all’Alta rappresentante, Kaja Kallas, di mettere sul tavolo un ventaglio di possibili misure da intraprendere contro Tel Aviv. “Manterremo aperte tutte le opzioni e saremo pronti ad agire se Israele non rispetterà i suoi impegni”, ha dichiarato al termine della riunione il capo della diplomazia europea.Kallas – ben consapevole delle profonde divisioni tra le capitali sul tema – si appiglia ai “segnali positivi” che arrivano dalla Striscia: “Vediamo entrare più camion e rifornimenti, più varchi aperti e riparazioni alle linee elettriche”. Insomma, abbastanza per sperare di aver mosso qualcosa. “Non è chiaramente abbastanza, l’Ue continuerà a seguire da vicino l’attuazione di questo accordo comune e fornirà aggiornamenti ogni due settimane“, ha garantito l’Alta rappresentante.L’esito appariva scontato, tant’è che lo stesso ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, ieri sera a Bruxelles per un vertice dei Paesi del Mediterraneo, si era detto sicuro che “nessuna delle 10 proposte contenuta nel rapporto sarà applicata dai 27 Stati membri domani”.L’accordo strappato da Kallas lo scorso 10 luglio prevede che “gli aiuti su larga scala siano forniti direttamente alla popolazione” – tagliando fuori la controversa Gaza Humanitarian Foundation – e che Israele permetta un aumento sostanziale del numero di camion giornalieri per il trasporto di generi alimentari e beni non alimentari in entrata a Gaza, l’apertura di diversi altri valichi di frontiera nelle zone nord e sud, la riapertura delle rotte umanitarie giordano-egiziane, la distribuzione di generi alimentari attraverso panifici e mense pubbliche in tutta la Striscia, la ripresa delle forniture di carburante per le strutture umanitarie, la protezione degli operatori umanitari e la riparazione e l’agevolazione dei lavori sulle infrastrutture vitali.Se è vero che alcune misure sono state attuate già nel fine settimana da Tel Aviv, è altrettanto vero che i raid su Gaza sono continuati, uccidendo decine di civili palestinesi. “Per la prima volta in 130 giorni, questa settimana è entrata a Gaza una piccola quantità di carburante. Si tratta di uno sviluppo positivo, ma è solo una piccola parte di ciò che serve ogni giorno per garantire la vita quotidiana e le operazioni di soccorso”, hanno dichiarato in un comunicato congiunto diverse agenzie delle Nazioni Unite presenti sul territorio. Ma nel frattempo oggi, in un attacco a Gaza City, sono morti 6 cittadini palestinesi.“L’unica garanzia che abbiamo è che tutte le opzioni sono sul tavolo e che se la situazione non migliora potremo usarle”, ha ammesso Kallas ai cronisti che sottolineavano le fragilità dei termini dell’intesa con Israele. A margine della riunione, il ministro degli Esteri irlandese, Thomas Byrne, ha affermato che “non abbiamo nulla di scritto, Kallas ci ha comunicato solo dellle previsioni”.La prossima riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue sarà solamente ad ottobre, tra più di due mesi. Fino ad allora, qualsiasi saranno gli sviluppi sul terreno, sicuramente Bruxelles non si muoverà. Un rischio, sottolineato dall’eurodeputato del Movimento 5 Stelle, Danilo Della Valle: “Non possiamo accontentarci di un accordo sulla consegna degli aiuti umanitari e di un semplice monitoraggio, mentre poi Israele si macchia di genocidio e continua ad avere libertà di sterminare un’intera popolazione”, ha affermato in una nota.

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    Diritti umani, l’Ue sanziona l’Iran per la repressione transnazionale dei dissidenti

    Bruxelles – L’Unione europea ha imposto nuove sanzioni contro l’Iran per le continue violazioni dei diritti umani. Le misure restrittive colpiscono otto individui e una rete criminale, responsabili della repressione transnazionale portata avanti dalla Repubblica islamica, tramite cui gli ayatollah silenziano oppositori e dissidenti all’estero.Le nuove sanzioni sono state decise oggi (15 luglio) dai ministri degli Esteri dei Ventisette riuniti a Bruxelles, durante una sessione del Consiglio i cui piatti principali sono stati la guerra d’Ucraina – alla luce dell’apparente riallineamento della Casa Bianca dalla parte di Kiev e contro Mosca – e la crisi mediorientale, con le diplomazie europee che hanno accolto positivamente l’accordo sull’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza stipulato la scorsa settimana dall’Alta rappresentante Kaja Kallas col governo israeliano.Con le misure restrittive odierne, Bruxelles cerca di colpire la capacità di Teheran di praticare la cosiddetta repressione transnazionale, vale a dire di mettere a tacere le voci critiche nei confronti del regime iraniano al di fuori dei confini di quest’ultimo. Si tratta di un fenomeno preoccupante e in crescita, di cui si sta occupando anche l’Eurocamera (Eunews ha intervistato la relatrice dell’Aula, Chloé Ridel, per comprendere meglio questo argomento).L’eurodeputata Chloé Ridel (Ps/S&D), relatrice dell’Aula sulla repressione transnazionale (foto: Philippe Stirnweiss/Parlamento europeo)Nello specifico, l’Ue ha comminato sanzioni contro otto individui e un’entità iraniani, macchiatisi di gravi abusi ai danni di oppositori politici, dissidenti e attivisti in giro per il mondo, in particolare esecuzioni e uccisioni extragiudiziali, sommarie e arbitrarie, nonché sparizioni forzate. Le misure comprendono il congelamento dei beni e il divieto di fornire ai bersagli del pacchetto assistenza economica e finanziaria diretta o indiretta, nonché l’impossibilità per i soggetti coinvolti di entrare nel territorio dell’Unione.A fare le spese del regime sanzionatorio a dodici stelle sono la rete Zindashti, un’organizzazione collegata al ministero dell’Intelligence e della sicurezza di Teheran (Mois) e considerata un gruppo criminale dall’Ue, e diversi suoi membri: il capo Naji Ibrahim Sharifi-Zindashti e i suoi collaboratori Abdulvahap Kocak, Ali Esfanjani, Ali Kocak, Ekrem Oztunc e Nihat Asan. Costoro sarebbero implicati, tra le altre cose, nell’assassinio del dissidente iraniano Mas’ud Molavi Vardanjani e del proprietario dell’emittente televisiva iraniana Gem TV, Saeed Karimian, uccisi in Turchia rispettivamente nel 2019 e 2017.Oltre a loro, sono finiti nel mirino dell’Ue anche Mohammed Ansari, uno dei leader della Forza Quds del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, e Reza Hamidiravari, ufficiale d’intelligence che, secondo Bruxelles, supervisiona le operazioni portate avanti dalla rete Zindashti per conto del Mois.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Parlando ai giornalisti al termine della sessione odierna, Kallas ha ribadito per l’ennesima volta la linea dell’Ue rispetto alla recente escalation militare tra Israele e Iran, ribattezzata guerra dei 12 giorni: la Repubblica islamica “non deve possedere armi nucleari”, ha scandito, sottolineando che l’unica strada per raggiungere questo obiettivo è quella diplomatica.Il cessate il fuoco negoziato da Donald Trump “è fragile ma presenta un’opportunità per continuare il dialogo”, ha proseguito, aggiungendo che Teheran “dovrà accogliere di nuovo gli ispettori dell’Onu”. Un punto, quest’ultimo, su cui però la dirigenza iraniana non sembra voler cedere.

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    Trump si riallinea sull’Ucraina: armi a Kiev e sanzioni a Mosca. L’Ue cerca l’accordo sul 18esimo pacchetto

    Bruxelles – Nuova giravolta di Donald Trump, che riporta gli Stati Uniti con entrambi i piedi nel fronte occidentale che si oppone alla logorante guerra di Russia in Ucraina. Il presidente americano ha annunciato ieri sera (14 luglio) che invierà “le armi migliori” a Kiev – pagate dagli alleati europei – e ha minacciato Mosca di severe sanzioni se non verrà raggiunta la pace entro 50 giorni.Un decisi cambio di strategia, dopo il controverso taglio alle forniture militari all’Ucraina a cui l’amministrazione americana aveva dato il via libera solo due settimane fa. L’accordo messo a terra durante la visita a Washington del segretario generale della Nato, Mark Rutte, prevede l’invio – “entro pochi giorni”, ha promesso il tycoon – di ulteriori batterie antiaeree Patriot, finanziati da alcuni dei partner dell’Alleanza atlantica. Rutte ha confermato che un numero significativo di alleati, tra cui Germania, Finlandia, Danimarca, Svezia, Norvegia, Paesi Bassi e Canada, è pronto a coprire le spese nell’ambito dell’accordo.Non solo, Trump si è detto “molto scontento” del comportamento di Vladimir Putin e ha lanciato un ultimatum a Mosca: se non si arriverà a una pace entro 50 giorni, gli Stati Uniti imporranno “dazi molto rigidi”. Dazi del 100 per cento sulle esportazioni russe e sanzioni secondarie contro i partner commerciali del Cremlino, in primis Cina e India.L’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, a Bruxelles, 15/07/25Questa mattina, al suo arrivo al Consiglio Ue Affari Esteri, l’Alta rappresentante Kaja Kallas ha salutato con favore il rinnovato impegno statunitense e ha rilanciato sul diciottesimo pacchetto di sanzioni europee al Mosca e sul tetto al prezzo del greggio russo: i 27 sono “molto, molto vicini” all’accordo sul nuovo round di misure restrittive – presentato a inizio giugno, ma c’è da superare il veto dell’Ungheria – e non hanno abbandonato l’idea di ridurre da 60 a 45 dollari al barile il tesso massimo per il prezzo del petrolio russo. “Spero che troveremo un accordo ora, anche se gli americani non sono a bordo, ma gli altri Paesi del G7 lo sono, allora andremo avanti con questa cosa”, ha affermato il capo della diplomazia europea.Le ha fatto eco la presidenza danese del Consiglio dell’Ue: il ministro degli Esteri di Copenaghen, Lars Løkke Rasmussen, ha sottolineato l’importanza di “sfruttare lo slancio creato anche dai nuovi messaggi di Trump di ieri” per aumentare la pressione sulla Russia e strappare un accordo a 27 sulle nuove sanzioni.

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    Von der Leyen e Costa: “Armenia sulla buona strada nel processo di integrazione europea”

    Bruxelles – Oggi (14 luglio), la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo António Costa hanno incontrato il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan per riaffermare e far progredire la crescente cooperazione tra l’Unione europea e l’Armenia.Durante l’incontro a Bruxelles, i leader hanno accolto con favore il recente accordo politico sul testo dell’Agenda del Nuovo Partenariato Ue-Armenia, una pietra miliare nel loro comune impegno ad approfondire i legami. Hanno inoltre preso atto “con soddisfazione” dei progressi nel processo di liberalizzazione dei visti e della recente legge armena sull’avvio del processo di integrazione europea, hanno annunciato Ursula von der Leyen e António Costa.Inoltre, l’Ue ha ribadito il suo forte impegno a sostenere la resilienza e lo sviluppo a lungo termine dell’Armenia. Nell’ambito della strategia Global Gateway, gli investimenti dell’Ue in Armenia dovrebbero raggiungere i 2,5 miliardi di euro, favorendo la crescita inclusiva e l’interconnessione. Il Piano di resilienza e crescita da 270 milioni di euro, annunciato nell’aprile 2024, ha incrementato del 50 per cento i finanziamenti dell’Unione all’Armenia. Con 200 milioni di euro di assistenza a fondo perduto e 70 milioni di euro di finanziamenti a costo zero per incentivare gli investimenti, Bruxelles continua a sostenere il programma di riforme socio-economiche dell’Armenia, una più stretta cooperazione settoriale e investimenti nei settori dell’energia, dei trasporti e del settore privato.In questo ambito, l’Ue ha ribadito il suo sostegno all’iniziativa Crossroads of Peace dell’Armenia, volta a promuovere la connettività e la riconciliazione regionale. Von der Leyen e Costa hanno inoltre riconosciuto i “continui sforzi dell’Armenia per promuovere la stabilità nel Caucaso meridionale”, in particolare attraverso il costante impegno nei colloqui di pace con l’Azerbaigian e i passi verso la normalizzazione delle relazioni con la Turchia. I leader hanno inoltre sottolineato l’importanza della possibilità di includere l’Armenia nelle iniziative regionali ed economiche dell’Unione Europea, in particolare nel quadro della Strategia del Mar Nero.Sulla questione, von der Leyen ha sottolineato che “il progetto di trattato di pace con l’Azerbaigian è un momento cruciale. Chiude decenni di ostilità. Spero che il trattato possa essere firmato al più presto. Siate certi che l’Europa continuerà ad aiutarvi nel vostro cammino”.Le discussioni sulla sicurezza sono state ugualmente importanti. I leader hanno accolto con favore l’avvio delle consultazioni Ue-Armenia in materia di sicurezza e difesa. Tra essi problemi di sicurezza che riguarda la manipolazione e l’interferenza dell’informazione dall’estero, la disinformazione e le minacce informatiche; l’Ue ha proposto di collaborare con l’Armenia per valutarne le esigenze, individuare le aree prioritarie di cooperazione e sfruttare gli strumenti Ue disponibili. Per sostenere l’ecosistema informativo armeno, l’Ue ha annunciato una nuova dotazione di 1,5 milioni di euro per rafforzare i media indipendenti.Infine, i leader hanno concluso che l’incontro ha rappresentato “un passo importante nelle relazioni Ue-Armenia e hanno invitato a proseguire i progressi nel prossimo Consiglio di partenariato” tra le parti che si terrà in autunno.