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    Piano Mattei, da vertice con Meloni e von der Leyen intese per 1,2 mld e strategia contro debito Africa

    Roma – Accordi per 1,2 miliardi di euro per far crescere l’Africa e con l’Africa l’Europa. Non è un semplice “pacchetto di progetti”, quello che Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen portano a casa oggi, dopo un vertice sul Piano Mattei e il Global Gateway a Villa Pamphilj a Roma. E’, spiega la premier italiana, un “patto tra nazioni libere, che scelgono di cooperare perché credono nei valori della dignità, del lavoro, della libertà”. Ed è il segno che “quando l’Europa agisce con coraggio, quando l’Italia ci mette il suo, con la sua visione, con la sua concretezza, i risultati arrivano“.Non solo. Roma e Bruxelles lavorano a un’iniziativa per affrontare il debito delle nazioni africane. Un tema centrale per lo sviluppo del continente, che rischia di vanificare tutti gli sforzi dei due piani, se non affrontato. Si pensa di convertire nei prossimi dieci anni l’intero ammontare del debito per le nazioni meno sviluppate “secondo i criteri della banca mondiale”, riferisce la premier, e di abbattere del 50 per cento quello delle nazioni a reddito medio-basso. L’intera operazione in dieci anni permetterà di convertire in progetti di sviluppo, da attuale in loco, circa 235 milioni di euro di debito.A Roma, Meloni e von der Leyen riuniscono autorità africane da Angola, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Zambia, e i vertici delle istituzioni finanziarie internazionali (il Fondo Monetario Internazionale, il Gruppo della Banca Mondiale, la Banca Africana di Sviluppo e la Africa Finance Corporation).Le parole d’ordine sono “crescita sostenibile, resilienza e cooperazione reciprocamente vantaggiosa”. Commissione europea e Italia si impegnano a mobilitare investimenti trasformativi lungo corridoi economici strategici. Con un focus particolare su tre punti: il Corridoio di Lobito, l’agricoltura, e il cavo Blue-Ranman.Il corridoio di Lobito è non solo un progetto di sviluppo ferroviario, ma è anche un corridoio economico più ampio che collegherà le regioni ricche di risorse dell’Africa meridionale, prive di sbocco sul mare, ai mercati globali, compresa l’Europa. L’intenzione è quella di accelerare gli investimenti in settori interconnessi, tra cui le infrastrutture di trasporto, i sistemi energetici, le catene del valore agricole e la facilitazione del commercio, sulla base di un approccio che rafforza le economie locali e promuove un’integrazione regionale “inclusiva“. Fondamentale sarà l’intervento del settore privato, con investimenti scalabili, in linea con gli obiettivi climatici e commercialmente sostenibili.La promozione della cooperazione trilaterale nell’agricoltura sostenibile è il secondo punto strategico degli accordi, che si concentrano su filiere resilienti al clima. Una nuova iniziativa rafforzerà il settore del caffè dell’Africa orientale attraverso l’integrazione regionale e il coinvolgimento del settore privato italiano. Promossa dal Ministero degli Affari Esteri italiano e sostenuta dall’Unido, dalla Cassa Depositi e Prestiti e da partner multilaterali, l’iniziativa esplorerà la possibilità di introdurre regimi assicurativi per rafforzare la resilienza. L’Ue firma poi una garanzia con Cassa Depositi e Prestiti per accelerare lo sviluppo di sistemi agroalimentari sostenibili attraverso lo sviluppo di capacità e l’accesso a finanziamenti innovativi nell’iniziativa Terra (Transforming and Empowering Resilient and Responsible Agribusiness), con un contributo di 109 milioni di euro.Sul fronte digitale, il cavo sottomarino Blue Raman ha un potenziale strategico. Co-finanziato con un contributo di 37 milioni di euro dalla Commissione europea e sostenuto da Sparkle, l’interconnessione digitale migliorerà la connettività, stimolerà la ricerca e l’innovazione e sosterrà la convergenza tecnologica tra Europa, Africa e India. Il progetto coinvolge reti di ricerca e istruzione, tra cui Geant per l’Europa e UbuntuNet Alliance per l’Africa, e beneficia delle competenze tecniche della Banca europea per gli investimenti.Oggi, inoltre, è stato raggiunto un accordo per mobilitare investimenti privati in settori chiave come la connettività digitale, le energie rinnovabili e i trasporti nell’Africa subsahariana attraverso il programma Cassa Depositi e Prestiti per le infrastrutture rinnovabili e l’energia sostenibile (Rise) con un contributo di 137 milioni di euro.In questo scenario rientra anche l’AI Hub for Sustainable Development, l’iniziativa nata nell’ambito della presidenza G7 dell’Italia lo scorso anno, in partenariato con i leader globali del settore come Microsoft e il supporto operativo del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. “Stamattina è stato inaugurato a Roma l’AI Hub che coinvolgerà centinaia di startup per applicare soluzioni di intelligenza artificiale ai settori prioritari del Piano Mantei, salute agricoltura, energia, acqua, formazione di infrastrutture”, ricorda Meloni.Tra le intese, la firma di una lettera di intenti sulle iniziative di connettività energetica sinergiche tra l’Italia, la Commissione europea e il Gruppo della Banca mondiale nel continente africano.I progressi del partenariato strategico saranno riesaminati in occasione del Forum Global Gateway che si terrà il 9-10 ottobre 2025 a Bruxelles. “Riteniamo che l’Africa sia un continente nel quale più che altrove si gioca il nostro futuro, dove noi italiani, noi europei siamo chiamati a fare la differenza, possiamo fare la differenza”, scandisce la premier. “Global Gateway e il Piano Mattei sono nati per essere iniziative collettive, esistono per affrontare sfide comuni”, commenta von der Leyen, convinta che il potenziale inesplorato della partnership sia “grande” e Bruxelles, conferma, è pronta a investire. “Soprattutto in questi tempi di incertezza globale, potete contare sull’Europa“.

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    Piano Mattei, da vertice con Meloni e von der Leyen intese per 1,2 mld e strategia contro debito Africa

    Roma – Accordi per 1,2 miliardi di euro per far crescere l’Africa e con l’Africa l’Europa. Non è un semplice “pacchetto di progetti”, quello che Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen portano a casa oggi, dopo un vertice sul Piano Mattei e il Global Gateway a Villa Pamphilj a Roma. E’, spiega la premier italiana, un “patto tra nazioni libere, che scelgono di cooperare perché credono nei valori della dignità, del lavoro, della libertà”. Ed è il segno che “quando l’Europa agisce con coraggio, quando l’Italia ci mette il suo, con la sua visione, con la sua concretezza, i risultati arrivano“.Non solo. Roma e Bruxelles lavorano a un’iniziativa per affrontare il debito delle nazioni africane. Un tema centrale per lo sviluppo del continente, che rischia di vanificare tutti gli sforzi dei due piani, se non affrontato. Si pensa di convertire nei prossimi dieci anni l’intero ammontare del debito per le nazioni meno sviluppate “secondo i criteri della banca mondiale”, riferisce la premier, e di abbattere del 50 per cento quello delle nazioni a reddito medio-basso. L’intera operazione in dieci anni permetterà di convertire in progetti di sviluppo, da attuale in loco, circa 235 milioni di euro di debito.A Roma, Meloni e von der Leyen riuniscono autorità africane da Angola, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Zambia, e i vertici delle istituzioni finanziarie internazionali (il Fondo Monetario Internazionale, il Gruppo della Banca Mondiale, la Banca Africana di Sviluppo e la Africa Finance Corporation).Le parole d’ordine sono “crescita sostenibile, resilienza e cooperazione reciprocamente vantaggiosa”. Commissione europea e Italia si impegnano a mobilitare investimenti trasformativi lungo corridoi economici strategici. Con un focus particolare su tre punti: il Corridoio di Lobito, l’agricoltura, e il cavo Blue-Ranman.Il corridoio di Lobito è non solo un progetto di sviluppo ferroviario, ma è anche un corridoio economico più ampio che collegherà le regioni ricche di risorse dell’Africa meridionale, prive di sbocco sul mare, ai mercati globali, compresa l’Europa. L’intenzione è quella di accelerare gli investimenti in settori interconnessi, tra cui le infrastrutture di trasporto, i sistemi energetici, le catene del valore agricole e la facilitazione del commercio, sulla base di un approccio che rafforza le economie locali e promuove un’integrazione regionale “inclusiva“. Fondamentale sarà l’intervento del settore privato, con investimenti scalabili, in linea con gli obiettivi climatici e commercialmente sostenibili.La promozione della cooperazione trilaterale nell’agricoltura sostenibile è il secondo punto strategico degli accordi, che si concentrano su filiere resilienti al clima. Una nuova iniziativa rafforzerà il settore del caffè dell’Africa orientale attraverso l’integrazione regionale e il coinvolgimento del settore privato italiano. Promossa dal Ministero degli Affari Esteri italiano e sostenuta dall’Unido, dalla Cassa Depositi e Prestiti e da partner multilaterali, l’iniziativa esplorerà la possibilità di introdurre regimi assicurativi per rafforzare la resilienza. L’Ue firma poi una garanzia con Cassa Depositi e Prestiti per accelerare lo sviluppo di sistemi agroalimentari sostenibili attraverso lo sviluppo di capacità e l’accesso a finanziamenti innovativi nell’iniziativa Terra (Transforming and Empowering Resilient and Responsible Agribusiness), con un contributo di 109 milioni di euro.Sul fronte digitale, il cavo sottomarino Blue Raman ha un potenziale strategico. Co-finanziato con un contributo di 37 milioni di euro dalla Commissione europea e sostenuto da Sparkle, l’interconnessione digitale migliorerà la connettività, stimolerà la ricerca e l’innovazione e sosterrà la convergenza tecnologica tra Europa, Africa e India. Il progetto coinvolge reti di ricerca e istruzione, tra cui Geant per l’Europa e UbuntuNet Alliance per l’Africa, e beneficia delle competenze tecniche della Banca europea per gli investimenti.Oggi, inoltre, è stato raggiunto un accordo per mobilitare investimenti privati in settori chiave come la connettività digitale, le energie rinnovabili e i trasporti nell’Africa subsahariana attraverso il programma Cassa Depositi e Prestiti per le infrastrutture rinnovabili e l’energia sostenibile (Rise) con un contributo di 137 milioni di euro.In questo scenario rientra anche l’AI Hub for Sustainable Development, l’iniziativa nata nell’ambito della presidenza G7 dell’Italia lo scorso anno, in partenariato con i leader globali del settore come Microsoft e il supporto operativo del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. “Stamattina è stato inaugurato a Roma l’AI Hub che coinvolgerà centinaia di startup per applicare soluzioni di intelligenza artificiale ai settori prioritari del Piano Mantei, salute agricoltura, energia, acqua, formazione di infrastrutture”, ricorda Meloni.Tra le intese, la firma di una lettera di intenti sulle iniziative di connettività energetica sinergiche tra l’Italia, la Commissione europea e il Gruppo della Banca mondiale nel continente africano.I progressi del partenariato strategico saranno riesaminati in occasione del Forum Global Gateway che si terrà il 9-10 ottobre 2025 a Bruxelles. “Riteniamo che l’Africa sia un continente nel quale più che altrove si gioca il nostro futuro, dove noi italiani, noi europei siamo chiamati a fare la differenza, possiamo fare la differenza”, scandisce la premier. “Global Gateway e il Piano Mattei sono nati per essere iniziative collettive, esistono per affrontare sfide comuni”, commenta von der Leyen, convinta che il potenziale inesplorato della partnership sia “grande” e Bruxelles, conferma, è pronta a investire. “Soprattutto in questi tempi di incertezza globale, potete contare sull’Europa“.

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    Piano Mattei, da vertice con Meloni e von der Leyen intese per 1,2 mld e strategia contro debito Africa

    Roma – Accordi per 1,2 miliardi di euro per far crescere l’Africa e con l’Africa l’Europa. Non è un semplice “pacchetto di progetti”, quello che Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen portano a casa oggi, dopo un vertice sul Piano Mattei e il Global Gateway a Villa Pamphilj a Roma. E’, spiega la premier italiana, un “patto tra nazioni libere, che scelgono di cooperare perché credono nei valori della dignità, del lavoro, della libertà”. Ed è il segno che “quando l’Europa agisce con coraggio, quando l’Italia ci mette il suo, con la sua visione, con la sua concretezza, i risultati arrivano“.Non solo. Roma e Bruxelles lavorano a un’iniziativa per affrontare il debito delle nazioni africane. Un tema centrale per lo sviluppo del continente, che rischia di vanificare tutti gli sforzi dei due piani, se non affrontato. Si pensa di convertire nei prossimi dieci anni l’intero ammontare del debito per le nazioni meno sviluppate “secondo i criteri della banca mondiale”, riferisce la premier, e di abbattere del 50 per cento quello delle nazioni a reddito medio-basso. L’intera operazione in dieci anni permetterà di convertire in progetti di sviluppo, da attuale in loco, circa 235 milioni di euro di debito.A Roma, Meloni e von der Leyen riuniscono autorità africane da Angola, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Zambia, e i vertici delle istituzioni finanziarie internazionali (il Fondo Monetario Internazionale, il Gruppo della Banca Mondiale, la Banca Africana di Sviluppo e la Africa Finance Corporation).Le parole d’ordine sono “crescita sostenibile, resilienza e cooperazione reciprocamente vantaggiosa”. Commissione europea e Italia si impegnano a mobilitare investimenti trasformativi lungo corridoi economici strategici. Con un focus particolare su tre punti: il Corridoio di Lobito, l’agricoltura, e il cavo Blue-Ranman.Il corridoio di Lobito è non solo un progetto di sviluppo ferroviario, ma è anche un corridoio economico più ampio che collegherà le regioni ricche di risorse dell’Africa meridionale, prive di sbocco sul mare, ai mercati globali, compresa l’Europa. L’intenzione è quella di accelerare gli investimenti in settori interconnessi, tra cui le infrastrutture di trasporto, i sistemi energetici, le catene del valore agricole e la facilitazione del commercio, sulla base di un approccio che rafforza le economie locali e promuove un’integrazione regionale “inclusiva“. Fondamentale sarà l’intervento del settore privato, con investimenti scalabili, in linea con gli obiettivi climatici e commercialmente sostenibili.La promozione della cooperazione trilaterale nell’agricoltura sostenibile è il secondo punto strategico degli accordi, che si concentrano su filiere resilienti al clima. Una nuova iniziativa rafforzerà il settore del caffè dell’Africa orientale attraverso l’integrazione regionale e il coinvolgimento del settore privato italiano. Promossa dal Ministero degli Affari Esteri italiano e sostenuta dall’Unido, dalla Cassa Depositi e Prestiti e da partner multilaterali, l’iniziativa esplorerà la possibilità di introdurre regimi assicurativi per rafforzare la resilienza. L’Ue firma poi una garanzia con Cassa Depositi e Prestiti per accelerare lo sviluppo di sistemi agroalimentari sostenibili attraverso lo sviluppo di capacità e l’accesso a finanziamenti innovativi nell’iniziativa Terra (Transforming and Empowering Resilient and Responsible Agribusiness), con un contributo di 109 milioni di euro.Sul fronte digitale, il cavo sottomarino Blue Raman ha un potenziale strategico. Co-finanziato con un contributo di 37 milioni di euro dalla Commissione europea e sostenuto da Sparkle, l’interconnessione digitale migliorerà la connettività, stimolerà la ricerca e l’innovazione e sosterrà la convergenza tecnologica tra Europa, Africa e India. Il progetto coinvolge reti di ricerca e istruzione, tra cui Geant per l’Europa e UbuntuNet Alliance per l’Africa, e beneficia delle competenze tecniche della Banca europea per gli investimenti.Oggi, inoltre, è stato raggiunto un accordo per mobilitare investimenti privati in settori chiave come la connettività digitale, le energie rinnovabili e i trasporti nell’Africa subsahariana attraverso il programma Cassa Depositi e Prestiti per le infrastrutture rinnovabili e l’energia sostenibile (Rise) con un contributo di 137 milioni di euro.In questo scenario rientra anche l’AI Hub for Sustainable Development, l’iniziativa nata nell’ambito della presidenza G7 dell’Italia lo scorso anno, in partenariato con i leader globali del settore come Microsoft e il supporto operativo del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. “Stamattina è stato inaugurato a Roma l’AI Hub che coinvolgerà centinaia di startup per applicare soluzioni di intelligenza artificiale ai settori prioritari del Piano Mantei, salute agricoltura, energia, acqua, formazione di infrastrutture”, ricorda Meloni.Tra le intese, la firma di una lettera di intenti sulle iniziative di connettività energetica sinergiche tra l’Italia, la Commissione europea e il Gruppo della Banca mondiale nel continente africano.I progressi del partenariato strategico saranno riesaminati in occasione del Forum Global Gateway che si terrà il 9-10 ottobre 2025 a Bruxelles. “Riteniamo che l’Africa sia un continente nel quale più che altrove si gioca il nostro futuro, dove noi italiani, noi europei siamo chiamati a fare la differenza, possiamo fare la differenza”, scandisce la premier. “Global Gateway e il Piano Mattei sono nati per essere iniziative collettive, esistono per affrontare sfide comuni”, commenta von der Leyen, convinta che il potenziale inesplorato della partnership sia “grande” e Bruxelles, conferma, è pronta a investire. “Soprattutto in questi tempi di incertezza globale, potete contare sull’Europa“.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    Niente più mascherine, protesi e dispositivi medici dalla Cina: l’Ue esclude le imprese di Pechino dagli appalti pubblici

    Bruxelles – Nuovo bisticcio commerciale tra Bruxelles e Pechino: la Commissione europea ha deciso che escluderà le imprese cinesi dagli appalti pubblici dell’Ue per dispositivi medici di valore superiore a 5 milioni di euro. E lo fa come “risposta proporzionata alle barriere imposte dalla Cina”, che secondo l’esecutivo Ue discrimina sistematicamente le aziende europee nelle proprie gare d’appalto.Proprio mentre sono in corso i preparativi per il summit di fine luglio che celebrerà i 50 anni di relazioni diplomatiche tra l’Unione europea e la Cina, i due partner (e competitor e rivali, ndr) aggiungono benzina sul fuoco. Oltre agli attriti sul ruolo di Pechino nella guerra della Russia in Ucraina, c’è ancora da risolvere il nodo dei dazi aggiuntivi che Bruxelles ha imposto dallo scorso novembre alle importazioni di auto elettriche cinesi, in risposta ai sussidi che la Cina fornisce ai suoi produttori di veicoli a batteria.La chiusura dell’Ue a mascherine, protesi, apparecchiature e software per radiografie e diagnosi specialistiche prodotte in Cina fa seguito alle conclusioni di un’approfondita indagine avviata già ad aprile 2024 ai sensi del regolamento Ue per gli appalti internazionali (IPI). La Commissione europea accusa sostanzialmente il gigante asiatico di aver eretto “ostacoli giuridici e amministrativi significativi e ricorrenti al proprio mercato degli appalti”: secondo Bruxelles, l’87 per cento degli appalti pubblici per dispositivi medici in Cina è soggetto a misure e pratiche di esclusione e discriminazione nei confronti dei dispositivi medici fabbricati nell’Ue e dei fornitori dai 27 Paesi membri. Mentre d’altra parte, tra il 2015 e il 2023, le esportazioni cinesi di dispositivi medici verso l’Ue “sono più che raddoppiate”.Dopo aver “sollevato ripetutamente la questione con le autorità cinesi alla ricerca di una soluzione costruttiva ed equa”, l’Ue ha deciso di rispondere con la stessa moneta. Oltre a escludere le imprese cinesi dagli appalti dal valore superiore a 5 milioni di euro, il contenuto cinese delle offerte aggiudicatrici sarà limitato ad un massimo del 50 per cento. La Commissione europea assicura che la rappresaglia non metterà a rischio la disponibilità dei dispositivi necessari ai sistemi sanitari dei Paesi membri, e che in ogni caso “sono previste deroghe nei casi in cui non esistono fornitori alternativi“.Il commissario Ue per il Commercio, Maroš Šefčovič, ha riaffermato “l’impegno nel dialogo con la Cina per risolvere tali questioni”. In una nota, la Commissione precisa che “qualora la Cina offrisse soluzioni concrete, verificabili e soddisfacenti che affrontino efficacemente le preoccupazioni individuate, il quadro IPI consentirebbe la sospensione o la revoca delle misure”. Da Pechino, la risposta a caldo non è stata conciliante: il portavoce del Ministero degli Affari esteri cinese, Guo Jiakun, ha denunciato i “doppi standard” di Bruxelles, che “agisce in nome della concorrenza leale mentre pratica la concorrenza sleale”.

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    Niente più mascherine, protesi e dispositivi medici dalla Cina: l’Ue esclude le imprese di Pechino dagli appalti pubblici

    Bruxelles – Nuovo bisticcio commerciale tra Bruxelles e Pechino: la Commissione europea ha deciso che escluderà le imprese cinesi dagli appalti pubblici dell’Ue per dispositivi medici di valore superiore a 5 milioni di euro. E lo fa come “risposta proporzionata alle barriere imposte dalla Cina”, che secondo l’esecutivo Ue discrimina sistematicamente le aziende europee nelle proprie gare d’appalto.Proprio mentre sono in corso i preparativi per il summit di fine luglio che celebrerà i 50 anni di relazioni diplomatiche tra l’Unione europea e la Cina, i due partner (e competitor e rivali, ndr) aggiungono benzina sul fuoco. Oltre agli attriti sul ruolo di Pechino nella guerra della Russia in Ucraina, c’è ancora da risolvere il nodo dei dazi aggiuntivi che Bruxelles ha imposto dallo scorso novembre alle importazioni di auto elettriche cinesi, in risposta ai sussidi che la Cina fornisce ai suoi produttori di veicoli a batteria.La chiusura dell’Ue a mascherine, protesi, apparecchiature e software per radiografie e diagnosi specialistiche prodotte in Cina fa seguito alle conclusioni di un’approfondita indagine avviata già ad aprile 2024 ai sensi del regolamento Ue per gli appalti internazionali (IPI). La Commissione europea accusa sostanzialmente il gigante asiatico di aver eretto “ostacoli giuridici e amministrativi significativi e ricorrenti al proprio mercato degli appalti”: secondo Bruxelles, l’87 per cento degli appalti pubblici per dispositivi medici in Cina è soggetto a misure e pratiche di esclusione e discriminazione nei confronti dei dispositivi medici fabbricati nell’Ue e dei fornitori dai 27 Paesi membri. Mentre d’altra parte, tra il 2015 e il 2023, le esportazioni cinesi di dispositivi medici verso l’Ue “sono più che raddoppiate”.Dopo aver “sollevato ripetutamente la questione con le autorità cinesi alla ricerca di una soluzione costruttiva ed equa”, l’Ue ha deciso di rispondere con la stessa moneta. Oltre a escludere le imprese cinesi dagli appalti dal valore superiore a 5 milioni di euro, il contenuto cinese delle offerte aggiudicatrici sarà limitato ad un massimo del 50 per cento. La Commissione europea assicura che la rappresaglia non metterà a rischio la disponibilità dei dispositivi necessari ai sistemi sanitari dei Paesi membri, e che in ogni caso “sono previste deroghe nei casi in cui non esistono fornitori alternativi“.Il commissario Ue per il Commercio, Maroš Šefčovič, ha riaffermato “l’impegno nel dialogo con la Cina per risolvere tali questioni”. In una nota, la Commissione precisa che “qualora la Cina offrisse soluzioni concrete, verificabili e soddisfacenti che affrontino efficacemente le preoccupazioni individuate, il quadro IPI consentirebbe la sospensione o la revoca delle misure”. Da Pechino, la risposta a caldo non è stata conciliante: il portavoce del Ministero degli Affari esteri cinese, Guo Jiakun, ha denunciato i “doppi standard” di Bruxelles, che “agisce in nome della concorrenza leale mentre pratica la concorrenza sleale”.