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    Frontex, energia e negoziati di adesione Ue. In Macedonia del Nord von der Leyen definisce le linee del viaggio nei Balcani

    Bruxelles – Il ritorno a Skopje dopo tre mesi e mezzo è quasi un trionfo per la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che non a caso ha iniziato proprio in Macedonia del Nord il suo tour di quattro giorni nei Balcani Occidentali. Forte dell’impegno mai messo in dubbio dai partner macedoni per l’avvio dei negoziati di adesione all’Ue, per la numero uno dell’esecutivo Ue è arrivato il momento dell’incasso: “Ricordo molto chiaramente le promesse fatte quel giorno“, ha fatto riferimento von der Leyen al suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento nazionale del 14 luglio, solo cinque giorni prima dell’avvio delle prime conferenze intergovernative con Skopje e Tirana.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski (Skopje, 26 ottobre 2022)
    “Come avevo promesso, il processo di screening dell’acquis comunitario è iniziato immediatamente, ora è in carreggiata e il processo negoziale sta guadagnando slancio”, ha rivendicato la presidente della Commissione, affiancata dal primo ministro della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, in conferenza stampa ieri sera (26 ottobre). “Rispetteremo pienamente la vostra identità e la vostra lingua“, è il passaggio-chiave del suo intervento, legato alle controversie con la vicina Bulgaria e alle tensioni interne scoppiate a inizio luglio tra i nazionalisti macedoni. Lo stesso capo del governo di Skopje ha confermato che “l’Unione Europea si è dimostrata un partner credibile, non ci sono alternative alla nostra adesione, è il luogo a cui apparteniamo”.
    La dimostrazione tangibile è il primo documento ufficiale firmato dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione. Come promesso – “senza note, senza asterischi, su un piano di parità con tutte le 24 lingue dell’Unione Europea”, ha sottolineato von der Leyen – Ue e Macedonia del Nord hanno siglato l’accordo di cooperazione operativa nella gestione delle frontiere da parte di Frontex (Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), tradotto anche in lingua macedone: “Dimostra che non ci sono dubbi sul fatto che è la vostra lingua e noi la rispettiamo pienamente, sono profondamente convinta che non ci vorrà molto tempo prima di avere 25 lingue ufficiali nell’Ue”.
    A proposito dell’accordo su Frontex – firmato dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, e dal ministro dell’Interno macedone, Oliver Spasovski – il corpo permanente dell’Agenzia Ue potrà effettuare operazioni congiunte con le autorità di Skopje in Macedonia del Nord nell’ambito del contrasto alla migrazione irregolare e potrà essere dispiegato sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania), come la Commissione sta spingendo per fare anche con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia. Se il piano riceverà l’approvazione del Parlamento Europeo e sarà adottato dal Consiglio dell’Ue, Frontex potrà aumentare la propria presenza in Macedonia del Nord (attualmente conta 300 agenti) attraverso un piano operativo condiviso con Skopje.

    The Frontex agreement we are signing today is important.
    Not just because it strengthens our cooperation on migration.
    But because it is translated in the Macedonian language.
    On equal footing with all 24 EU languages.
    The Macedonian language is your language. pic.twitter.com/r5cxEqFAnm
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) October 26, 2022

    La Macedonia del Nord e la politica energetica Ue
    Tutto questo avviene “in un contesto molto impegnativo”, in cui la Russia “sta usando l’energia come arma e manipolando pesantemente il mercato”, ha ricordato von der Leyen. Ma anche in questo caso le parole d’ordine sono “solidarietà e unità” per affrontare l’aumento dei prezzi e i problemi di sicurezza degli approvvigionamenti anche della Macedonia del Nord: “Risolveremo questa crisi e la supereremo insieme, l’Unione Europea è al vostro fianco”. Le parole della numero uno della Commissione sono state accompagnate dai fatti: “Stiamo presentando un pacchetto di sostegno energetico per l’intera regione dei Balcani occidentali, si comincia con 80 milioni di euro di sovvenzioni per la Macedonia del Nord come sostegno immediato al bilancio”. La finalizzazione è prevista entro la fine dell’anno, “in modo che possiate ottenere i finanziamenti già a gennaio”, con l’orizzonte di “altri 500 milioni di euro per l’intera regione per investire in connessioni ed efficienza energetica e risorse rinnovabili“.
    “Uniti possiamo affrontare la crisi energetica, oggi e nel futuro”, ha confermato il premier Kovačevski, facendo eco alle parole di von der Leyen. Grazie al Piano economico e di investimenti dell’Ue per i Balcani Occidentali saranno finanziari “parchi eolici, centrali solari e nuove interconnessioni di gas con Serbia e Kosovo“. Anche la Macedonia del Nord è coinvolta nel progetto di appalti comuni europei per gasdotti e Gnl (gas naturale liquefatto): “Questo rafforza il nostro potere d’acquisto, vi invitiamo a stare con noi per andare insieme sul mercato globale”. Infine, grazie allo stretto legame tra Bruxelles e Skopje, “anche voi beneficerete delle proposte legali che abbiamo adottato per ridurre i prezzi del gas e dell’elettricità nell’Unione Europea, perché siamo in un’unica Unione dell’Energia“, ha concluso con forza la presidente von der Leyen: “Qualsiasi cosa facciamo, la faremo insieme”.

    La presidente della Commissione ha iniziato a Skopje il suo tour nella regione, per ribadire il sostegno di Bruxelles ai partner prima del vertice del 6 dicembre a Tirana: “Stiamo rispondendo alla crisi energetica con unità e solidarietà”. E con un pacchetto di sovvenzioni contro il caro-prezzi

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    Dopo un’attesa di quasi tre anni sono iniziati i negoziati di adesione Ue di Albania e Macedonia del Nord

    Bruxelles – Dopo anni di un processo fermo ai box per trovare il giusto assetto per ripartire, il 19 luglio 2022 segna una nuova data da segnare in rosso nel calendario della politica di allargamento dell’Unione Europea nella regione dei Balcani Occidentali. Con le prime conferenze intergovernative svoltesi oggi a Bruxelles, Albania e Macedonia del Nord hanno avviato i negoziati di adesione Ue, andando a unirsi a Montenegro e Serbia (i cui processi sono iniziati rispettivamente nel 2012 e nel 2014).
    “È il vostro successo e dei vostri cittadini, avete dimostrato resistenza ai nostri valori comuni e fede in quelli dell’accesso all’Unione”, ha salutato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, la giornata “storica” per l’Ue e per i due Paesi balcanici: “Avete fatto tutto questo perché era importante per i vostri Paesi, noi continueremo a supportarvi”. A questo punto inizierà l’esame dell’acquis dell’Ue, che “consentirà ad Albania e Macedonia del Nord di familiarizzare con i diritti e gli obblighi della nostra Unione”, dai trattati agli accordi internazionali, mentre parallelamente si procederà a un avvicinamento in alcune aree-chiave: “L’Albania entrerà nel Meccanismo di protezione civile dell’Ue, per aumentare la resistenza contro incendi, terremoti e alluvioni, mentre la Macedonia del Nord negozierà un accordo con Frontex per rafforzare la cooperazione in materia di migrazione”. Nel frattempo, “con i progressi nei negoziati arriveranno i benefici per il commercio, l’energia, i trasporti e la massimizzazione dei fondi europei per nuovi lavori”, ha assicurato von der Leyen, che ha esortato infine a “stare uniti fino a quando non sarete membri a pieno diritto”.

    We will now start the screening of the EU acquis – and proceed very quickly. Dear @P_Fiala, @EU2022_CZ will also play an important role in advancing this negotiations process. The people of 🇦🇱🇲🇰 deserve it. pic.twitter.com/r39GHTWGpp
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) July 19, 2022

    A prendere immediatamente parola è stato il premier albanese, Edi Rama, che solo un mese fa criticava aspramente l’Unione per l’incapacità di liberare i due “ostaggi” dal ricatto bulgaro: “Ringrazio la presidente von der Leyen che ha saputo lottare per l’Ue e per noi, l’ex-cancelliera tedesca, Angela Merkel, perché senza di lei non saremmo qui, e i recenti sforzi del presidente francese, Emmanuel Macron, che è arrivato a una proposta per sbloccare una situazione assurda”. Il premier Rama ha definito gli ultimi tre anni “una tempesta perfetta”, per i veti prolungati, la pandemia Covid-19, i terremoti che hanno colpito il Paese e le conseguenze della guerra russa in Ucraina: “Sappiamo che questa è solo la fine dell’inizio della prima parte del processo, ma ne avevamo bisogno per continuare a costruire un’Albania e una regione balcanica forti e democratiche“, ha sottolineato con forza Rama.
    Da sinistra: Il premier della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (19 luglio 2022)
    Da rilevare nel punto con la stampa europea è stato un passaggio specifico del discorso della numero uno della Commissione. Rivolgendosi al premier macedone, Dimitar Kovačevski, la presidente von der Leyen ha assicurato di poter “contare sul mio sostegno” per garantire che tutti i passaggi del processo negoziale siano tradotti in lingua macedone, “senza note a piè di pagina, senza asterischi, su un piano di parità con tutte le 24 lingue dell’Ue”. Una dimostrazione pratica della volontà di Bruxelles di rimanere fedele alle promesse fatte a Skopje – anche la settimana scorsa dalla stessa leader dell’esecutivo comunitario direttamente al Parlamento nazionale – in merito al riconoscimento della lingua e dell’identità macedone nella contesa identitaria con la Bulgaria. “L’Ue ci accoglierà come un Paese a cui riconosce la propria lingua madre, è un principio sancito per sempre, che non sarà sottoposto a trattative“, ha esultato il premier macedone, che ha voluto rimarcare come la proposta di mediazione francese per superare il veto della Bulgaria sia “la migliore possibile, che rispetta le nostre linee rosse, e ora siamo pronti per entrare nell’Ue con un processo veloce come è stato quello di adesione alla Nato” nel 2020. “Il nostro sogno si sta avverando”, ha commentato il premier macedone, sottolineando che “siamo una piccola Unione Europea, un Paese multietnico e multi-confessionale unito nella diversità”.
    A rendere la questione più complessa è però la posizione controversa della Bulgaria, che non si è ammorbidita nemmeno dopo la firma protocollo bilaterale che ha permesso di avviare i negoziati di adesione Ue della Macedonia del Nord. In una dichiarazione unilaterale presentata al Coreper (gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio), la delegazione bulgara ha ribadito che Sofia considera il macedone solo un dialetto della propria lingua e che il riferimento alla lingua ufficiale della Repubblica di Macedonia del Nord nei documenti di Bruxelles non ne implica il riconoscimento.
    Tre anni di stallo
    Macedonia del Nord e Albania sono Paesi candidati all’adesione Ue rispettivamente dal 2005 e dal 2014. Il processo di adesione di Skopje è stato ostacolato fino al 2018 dalla Grecia, per la contesa identitaria e sul cambio del nome del Paese balcanico: solo con gli Accordi di Prespa firmati il 12 giugno 2018, la Repubblica di Macedonia è diventata Repubblica della Macedonia del Nord. Era il 19 ottobre 2019 quando il Consiglio Ue, stimolato per due volte dalla Commissione ad aprire i negoziati di adesione con Skopje e Tirana, chiudeva la porta ai due Paesi, con l’opposizione di Francia, Danimarca e Paesi Bassi e la richiesta di implementare le riforme strutturali prima di sedersi ai tavoli negoziali. Dopo cinque mesi, al Consiglio del 25-26 marzo 2020, era arrivato il via libera dei Ventisette, che sembrava aver risolto tutte le questioni rimaste in sospeso. Tuttavia, il 9 dicembre 2020 si era registrato – nemmeno troppo a sorpresa – lo stop della Bulgaria, con il veto all’avvio dei negoziati di adesione di Skopje.
    Da allora il processo è rimasto in stallo sia per la Macedonia del Nord, sia per l’Albania, legate dallo stesso dossier sull’allargamento. A nulla sono servite le pressioni della Commissione e di Paesi membri come l’Italia e la Germania, con due vertici Ue-Balcani Occidentali – il primo a Kranji (Slovenia) nel 2020 e il secondo lo scorso 23 giugno a Bruxelles – che hanno prodotto risultati insoddisfacenti per le ambizioni dell’allargamento dell’Unione in tutta la regione balcanica. La svolta si è concretizzata solo con la spinta decisiva del presidente francese Macron (che fino al 31 giugno era anche a capo della presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Ue), con la proposta di mediazione tra Sofia e Skopje per risolvere una volta per tutte una disputa che ha rischiato di far saltare il banco, a causa della frustrazione sempre più esplicita dei leader balcanici. Grazie a questa iniziativa, prima il Parlamento bulgaro ha revocato il veto e poi – dopo aver accantonato la prima proposta definita “irricevibile” dalla Macedonia del Nord – anche il Parlamento macedone ha dato l’approvazione nella giornata di sabato (16 luglio). Con la firma del protocollo bilaterale tra Bulgaria e Macedonia del Nord si è sbloccata definitivamente la situazione e si è potuti arrivare alle prime conferenze intergovernative per Skopje e Tirana, dopo un’attesa lunga quasi tre anni.

    Finito lo stallo iniziato il 19 ottobre 2019 con il primo veto in Consiglio ai due Paesi balcanici e proseguito nell’ultimo anno e mezzo con l’opposizione della Bulgaria a Skopje. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen: “Avete dimostrato resistenza e fede nei nostri valori comuni”

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    Von der Leyen a Skopje ha sperimentato personalmente le divisioni in Macedonia del Nord sulla proposta francese

    Bruxelles – Non una passerella a Skopje per la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ma un vero e proprio bagno di realtà sulla situazione particolarmente delicata in Macedonia del Nord, a proposito del possibile sblocco dello stallo sui negoziati di adesione all’Ue. Nel suo discorso di oggi (giovedì 14 luglio) alla sessione plenaria del Parlamento nazionale la numero uno dell’esecutivo comunitario ha vissuto in prima persona il significato delle divisioni del Paese balcanico sulla proposta francese aggiornata per superare il veto bulgaro: da una parte dell’emiciclo – quello dell’opposizione nazionalista di VMRO-DPMNE (Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone) – è stata fischiata, mentre la maggioranza le ha riservato una lunga standing ovation per il suo ergersi a tutela dell’identità nazionale macedone, al pari di tutte le altre nell’Unione Europea.
    “Volevo esser qui con voi per dirvelo direttamente: l’Europa vi sta aspettando e speriamo che facciate un nuovo passo verso l’Unione“, ha esordito davanti ai deputati macedoni la presidente von der Leyen. Il riferimento è al voto del Parlamento, che stabilirà se il governo guidato da Dimitar Kovačevski potrà presentare ufficialmente la risposta positiva a Bruxelles sulla nuova versione della mediazione francese, che tiene conto delle richieste della Macedonia del Nord sul riconoscimento della lingua macedone al pari di tutte le altre in uso nel Paesi membri dell’Unione e dell’esclusione delle questioni storiche, culturali e di istruzione (quelle che fanno parte della contesta identitaria con la Bulgaria) dal quadro dei negoziati a livello UE.
    “Dobbiamo cogliere l’opportunità che abbiamo davanti”, ha esortato la leader della Commissione, indicando nella “prossima settimana” il momento in cui si potrà compiere “il primo passo della proposta francese rivista”. La decisione “spetta a voi e voi solamente”, ha sottolineato von der Leyen, che però ha voluto anche ricordare che “se deciderete di approvarla, nei giorni immediatamente successivi si terrà una Conferenza intergovernativa“, il primo passo del processo negoziale. E ancora, se saranno introdotti gli emendamenti alla Costituzione sul piano dei diritti fondamentali, “questo completerà automaticamente la fase di apertura dei negoziati e si attiverà un’altra conferenza intergovernativa, senza ulteriori decisioni”. È stato a questo punto che dai banchi dell’opposizione si sono alzati fischi e proteste, con una deputata che è arrivata al podio di von der Leyen e ha appoggiato un foglio con la scritta “la Macedonia dice NO!“, con quel’нe (‘no’) che è diventato il simbolo delle proteste nazionaliste dell’ultima settimana a Skopje (anche durante il discorso della presidente della Commissione).
    La protesta dell’opposizione nazionalista al Parlamento della Macedonia del Nord durante il discorso della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (14 luglio 2022)
    Ma al Parlamento della Macedonia del Nord c’è tutto uno schieramento – che al momento costituisce la maggioranza delle forze politiche rappresentate – che ha applaudito a lungo alle parole della presidente von der Leyen. Il momento di standing ovation si è registrato dopo la “garanzia” offerta dalla presidente della Commissione Europea non solo sul fatto che “non ci possono essere dubbi che lingua macedone è la vostra lingua, né sul rispetto della vostra identità nazionale“, ma anche che “il processo si baserà su principi e standard europei non negoziabili”, a cui proprio la proposta francese aggiornata fa riferimento: “Il principio dell’autoidentificazione è importante per ognuno di noi, potete contare su di me”, ha insistito con forza von der Leyen. Altri applausi sono arrivati sulla precisazione che “Le questioni bilaterali [con la Bulgaria, ndr] come l’interpretazione della storia non sono condizioni per l’accesso all’UE“, sgombrando il campo dai dubbi che temi come l’istruzione, la storia e la cultura possano entrare nei negoziati tra Skopje e Bruxelles. Allo stesso tempo “la cooperazione regionale e le buone relazioni fanno parte del Dna europeo ed è un elemento essenziale del processo di allargamento”, ha avvertito la numero uno dell’esecutivo comunitario, per ricordare che comunque tutte queste criticità tra i due Paesi dovranno essere risolte bilateralmente. 

    I assured President @SPendarovski and Prime Minister @DKovachevski of my full support to progress towards making North Macedonia an EU Member State. pic.twitter.com/hDhEVQQKJd
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) July 14, 2022

    Durante il suo discorso al Parlamento nazionale, la presidente della Commissione Ue è stata fischiata dai nazionalisti sul tentativo di sblocco dei negoziati di adesione, ma applaudita a lungo dalla maggioranza per aver garantito il rispetto della lingua e dell’identità macedone

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    I giorni caldi di Skopje. La Macedonia del Nord di fronte alla proposta aggiornata per lo sblocco dei negoziati adesione UE

    Bruxelles – Siamo entrati nella settimana più calda a Skopje, in cui potrebbero essere decise le sorti di una nazione. Dopo aver rispedito al mittente quella che anche a Eunews avevamo definito una proposta irricevibile, il governo e il Parlamento della Macedonia del Nord stanno vagliando la nuova versione della mediazione francese per sbloccare lo stallo sull’avvio dei negoziati di adesione all’UE (causato dal veto della Bulgaria per questioni bilaterali di natura puramente identitaria). Preso tra i due fuochi delle proteste dell’opposizione nazionalista – che vuole rifiutare anche l’ultimo tentativo di compromesso – e delle pressioni di Bruxelles e di Tirana – a causa del legame imposto all’Albania nel dossier di adesione – l’esecutivo guidato da Dimitar Kovačevski sta valutando attentamente gli sviluppi, sempre più propenso ad accettare l’offerta di Parigi.
    Per sgombrare il campo dagli ultimi dubbi, a Skopje è volato oggi (martedì 5 luglio) il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, dopo il viaggio di sole tre settimane fa. “Avete l’occasione di decidere del vostro futuro, con questa proposta siamo al punto di svolta per il processo di adesione all’UE, con un compromesso che risponde alle vostre preoccupazioni”, ha voluto sottolineare nel corso della conferenza stampa congiunta con il premier della Macedonia del Nord. “Se dite di sì, la prima conferenza intergovernativa sarà convocata nei prossimi giorni e poi procederemo spediti”, ha aggiunto Michel. Secondo quanto hanno fatto sapere entrambi i politici, la proposta francese aggiornata tiene conto di “tutte le preoccupazioni” di Skopje, in particolare sul riconoscimento della lingua macedone al pari di tutte le altre in uso nel Paesi membri dell’Unione. Inoltre, le questioni storiche, culturali e di istruzione (quelle che fanno parte della contesta identitaria con la Bulgaria) non dovrebbero entrare nel quadro dei negoziati a livello UE e dovranno essere trattate a parte tra i due Paesi. “La proposta in discussone in questi giorni include le nostre osservazioni e le opinioni da noi chiaramente espresse“, ha confermato esplicitamente il primo ministro del Paese balcanico: “Stiamo proteggendo l’interesse pubblico e l’identità nazionale macedone, per raggiungere il nostro obiettivo strategico, che è la piena adesione all’UE”.
    “È una vostra decisione sovrana, ma anche un’opportunità storica, troppo importante da lasciarsi sfuggire”, ha incalzato Michel a Skopje, ribadendo con fermezza che “mi schiererò sempre per il rispetto dei diritti dei macedoni, attraverso un dialogo costruttivo“. Questo impegno dichiarato riguarda, appunto, “anche il riconoscimento della vostra lingua e delle vostre legittime preoccupazioni sull’identità nazionale, che devono rispettare le relazioni di buon vicinato”. Il richiamo alla Bulgaria è implicito, ma non per questo di secondaria importanza: “Se introdurrete gli emendamenti costituzionali per il rispetto di tutte le minoranze, dimostrerete alti standard di impegno e noi automaticamente inizieremmo i negoziati di adesione”, che “non potranno mai essere minati da questioni non legittime da un punto di vista dei valori europei“. In altre parole, “il processo di allargamento dell’Unione procederà senza trappole”, ha assicurato il numero uno del Consiglio.
    Il premier Kovačevski ha però avvertito che “spetta al Parlamento prendere una decisione definitiva” in merito alla proposta francese, che consenta l’avvio dei negoziati di adesione UE della Macedonia del Nord: “Solo a quel punto il governo potrà presentare ufficialmente la sua risposta all’Unione Europea”. Ammesso e non concesso che la maggioranza parlamentare darà il via libera alla proposta (anche se ormai sembra sempre più verosimile), come la teoria dell’eterno ritorno, non è da escludere che la nuova proposta aggiornata non susciterà obiezioni a Sofia, dove lo scorso 24 giugno il Parlamento aveva sì revocato il veto all’avvio dei negoziati di adesione UE della Macedonia del Nord, ma sulla base della prima versione della proposta di mediazione francese.

    You are deciding on your future. And on the pivotal next steps.
    North Macedonia belongs in the EU. Your future is with us.
    Together we are on the eve of a possible breakthrough in your country’s EU accession process.@DKovachevski @SPendarovski pic.twitter.com/XbbXUpWMWX
    — Charles Michel (@CharlesMichel) July 5, 2022

    Tra proteste e pressioni
    Quello che preoccupa però Skopje e Bruxelles è soprattutto l’ondata di proteste guidate dall’opposizione in Macedonia del Nord, che resta contraria a qualsiasi soluzione di compromesso che vada incontro anche a parte delle richieste identitarie della Bulgaria. L’ultima è andata in scena nella capitale macedone proprio durate i colloqui del presidente del Consiglio UE con la dirigenza politica del Paese: gli slogan dei gruppi nazionalisti hanno coinvolto non solo la disputa con Sofia, ma anche quella con la Grecia – “solo Macedonia, mai Macedonia del Nord” (in riferimento all’accordo di Prespa del 2018, sul cambio del nome del Paese per risolvere la questione identitaria decennale con Atene). Soprattutto per l’opposizione di VMRO-DPMNE (Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone) di ispirazione nazionalista-conservatrice, da Parigi è arrivato un “ultimatum inaccettabile” ispirato dalla Bulgaria: secondo il leader Hristijan Mickoski sarebbe “contrario agli interessi nazionali” e in linea con una volontà di favorire “l’assimilazione e la bulgarizzazione” della popolazione.
    Per il premier Kovačevski si tratta invece dell’ultima possibilità concreta per arrivare finalmente all’avvio dei negoziati di adesione all’UE. A maggior ragione se si considerano le pressioni che arrivano dall’altro Paese balcanico che fa parte del dossier sull’avvio dei negoziati UE, l’Albania del premier Edi Rama. “Si tratta di scelte, e questo è il momento di farne una, il mio istinto mi dice che sarebbe un grosso errore non accettare” la proposta francese, ha dichiarato nel corso di un’intervista alla TV macedone Kanal 5 – riportata da Albanian Daily News: “Sarebbe un grosso errore perché il Paese potrebbe essere lasciato indietro e nessuno avrebbe più la volontà di tornare indietro”. In ogni caso, se Skopje deciderà di rifiutare, Tirana spingerà per la prima volta per continuare separatamente, sostenuta in modo esplicito anche dall’Italia: “Abbiamo superato il punto in cui ci è negato di farlo, ma [i politici macedoni, ndr] devono accettare la proposta, perché non ce ne sarà un’altra, e rischiano di rimanere davanti alla porta dell’UE per altri 17 anni”, ha esortato il premier albanese. E al governo Kovačevski è arrivata una sponda proprio dalla minoranza etnica albanese in Macedonia del Nord, che sarebbe pronta ad appoggiare la maggioranza in Parlamento (nonostante il partito Alleanza per gli Albanesi sia seduto nei banchi dell’opposizione) per dare il via libera alla proposta francese, a patto che la lingua albanese sia inserita nella Costituzione nazionale.

    Mentre il governo di Dimitar Kovačevski è sotto pressione per le proteste guidate dall’opposizione, il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, è volato a Skopje per spingere il nuovo tentativo di mediazione sulla contesta con la Bulgaria (che ora considera le preoccupazioni macedoni)

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    L’Italia ha aperto alla possibilità di ‘spacchettare’ il dossier macedone-albanese per sbloccare l’adesione UE di Tirana

    Bruxelles – Tra fallimenti, accuse e proposte per sbloccare gli stalli, la due giorni di vertici – dei leader UE e con i Balcani Occidentali – ha lasciato il segno anche per l’Italia. Per la prima volta, il governo italiano ha aperto esplicitamente alla possibilità di ‘spacchettare’ il dossier sull’adesione UE Macedonia del Nord-Albania, per permettere a Tirana di avanzare con il suo processo senza più attendere che si risolva la controversia tra Skopje e la Bulgaria.
    Nel corso della conferenza stampa post-vertice, il premier Mario Draghi ha messo in chiaro che “uno degli effetti della riunione di ieri è stato che non ci saranno più ritardi” per quanto riguarda l’avanzamento dei sei Paesi balcanici (oltre ai due già nominati, anche Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro e Serbia). “Da un lato significa che i governi di questi Paesi dovranno impegnarsi nelle riforme richieste, dall’altro lato significa che l’Unione e i suoi membri devono aiutarli”. Tuttavia, il primo ministro italiano ha riferito ai 26 colleghi che “se i lavori sulla Macedonia del Nord si dovessero bloccare di nuovo, chiederemo che l’Albania prosegua da sola“. Quanto suggerito dal premier Draghi è il significato pratico del cosiddetto ‘spacchettamento’. Il dossier sull’allargamento UE che al momento vincola l’una all’altra Tirana e Skopje potrebbe essere diviso in due pacchetti – uno macedone e uno albanese – da affrontare ciascuno indipendentemente dai progressi dell’altro.
    La possibilità ventilata oggi è una novità assoluta per l’Italia, che finora difendeva quella che fonti diplomatiche – nel corso del vertice UE-Balcani Occidentali dello scorso anno a Kranj (Slovenia) – definivano “una questione di coerenza“. Tra il 2018 e il 2019 – e fino al Consiglio UE del marzo 2020 – il dossier macedone-albanese si era bloccato in Consiglio per l’opposizione di Francia, Danimarca e Paesi Bassi, con la richiesta di implementare le riforme strutturali in particolare dell’Albania, mentre la Macedonia del Nord era pronta a cominciare. Allora l’Italia aveva deciso che fosse prioritario mandare il messaggio alla regione che nessun Paese sarebbe stato lasciato indietro. Dopo il veto bulgaro nel dicembre 2020 all’avvio dei negoziati con Skopje, la situazione si è ribaltata e l’Italia ha voluto mantenere la posizione “seria” di rinunciare a fare giravolte sulle promesse fatte fino a pochi mesi prima.
    Il possibile passo indietro deriva invece dal persistere di una situazione di stallo tra Bulgaria e Macedonia del Nord che sembra non si riesca a risolvere, a causa della decisione di Sofia di non rinunciare al proprio diritto di veto in seno al Consiglio sull’avvio dei negoziati, per una disputa bilaterale di natura storico-culturale. Le frustrazioni stanno montando non solo a Skopje, ma anche a Tirana, che si sta vedendo negare da anni l’apertura dei capitoli negoziali senza nemmeno essere direttamente coinvolta nella contesa. Lo ha evidenziato con particolare durezza il premier Edi Rama nel corso della conferenza stampa post-vertice UE-Balcani Occidentali: “Sono dispiaciuto per l’UE, incapace di liberare due ostaggi, che sono anche membri NATO, dalla Bulgaria“. Qualche speranza ora è rappresentata dal voto favorevole del Parlamento di Sofia alla revoca del veto all’avvio dei negoziati di adesione della Macedonia del Nord – e di conseguenza anche dell’Albania – ma le condizioni altamente sfavorevoli per Skopje rendono probabili ulteriori rallentamenti nel prossimo futuro. Il premier Draghi, come tutti i leader dell’Unione, ne è consapevole: ecco perché gli anni del temporeggiamento sono finiti e anche lo ‘spacchettamento’ del dossier macedone-albanese non sarà più un tabù per l’Italia.

    Il premier, Mario Draghi, ha annunciato che “se i lavori sulla Macedonia del Nord si dovessero bloccare di nuovo, chiederemo che Tirana prosegua da sola”. Finora il governo italiano si è attenuto a un “principio di coerenza” sul mantenere legati i due cammini verso l’adesione

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    L’irricevibile proposta francese per lo sblocco dei negoziati di adesione della Macedonia del Nord all’Unione Europea

    Bruxelles – Con la revoca del veto della Bulgaria all’avvio dei negoziati di adesione UE della Macedonia del Nord approvata oggi (venerdì 24 giugno) dal Parlamento di Sofia, si iniziano già a sentire le fanfare del momento storico per lo sblocco di uno stallo divenuto ormai cronico. Il presidente francese, Emmanuel Macron, artefice della proposta ‘risolutoria’ – a cui Eunews ha avuto accesso – ha già iniziato a esultare per “l’inizio dei lavori sulla formalizzazione di un accordo nei prossimi giorni, la macchina si è avviata” e probabilmente, in tutto questo trionfalismo, si cercherà di aprire presto i negoziati (il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, già punta alla convocazione delle prime conferenze intergovernative).
    Ma basta spostarsi di un paio di centinaia di chilometri dalla sede del Parlamento bulgaro per capire che per la controparte macedone la proposta francese è semplicemente irricevibile. Fonti qualificate a Skopje, che conoscono a fondo la proposta, in un briefing con Eunews hanno definito così il tentativo di trasferire a livello di negoziati tra UE e Paese candidato una questione bilaterale – con la Bulgaria – di natura puramente identitaria, con pesanti conseguenze sullo stesso processo di allargamento dell’Unione. In tutti gli sforzi passati delle presidenze del Consiglio dell’UE che hanno preceduto quella francese da metà 2020 (tedesca, portoghese e slovena) la linea rossa da non varcare sul futuro negoziato con Skopje era proprio questa, mentre l’Eliseo ha deciso di forzarla. Le stesse fonti hanno riferito che la maggior parte dei governi UE la considerano un “vaso di Pandora”, che solo il commissario ungherese Várhelyi aveva osato socchiudere: se aperto, potrebbe portare alla “morte” del processo di allargamento.
    Ci sono tre elementi che giustificano le rimostranze di Skopje e che fanno parlare di una delocalizzazione del problema, più che di revoca del veto bulgaro. Per prima cosa, l’UE imporrebbe alla Macedonia del Nord di includere la componente bulgara nel preambolo della Costituzione nazionale, non come minoranza ma come popolo costituente, con l’inizio della riforma da programmare prima dell’inizio dei negoziati. Il problema è che il governo non può contare sulla maggioranza dei due terzi in Parlamento per cambiare la Carta fondamentale del Paese (ammesso e non concesso che abbia intenzione di farlo) e che alcuni partiti al governo hanno già annunciato che in caso di via libera sono pronti a farlo cadere. “Significherebbe un’agonia per trovare una maggioranza nei prossimi anni”, hanno spiegato le fonti di Skopje, rilevando la contemporanea intransigenza di Sofia, che “inequivocabilmente” non riconoscerà nel corso dei negoziati di adesione UE la lingua e “qualsiasi menzione” di natura identitaria macedone. Una chiara violazione dell’articolo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che prevede il “rispetto della ricchezza della sua diversità culturale e linguistica” del patrimonio culturale europeo.
    Il premier della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, con il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, a Bruxelles
    Seconda criticità. Come si legge nella nuova proposta che modificherebbe la posizione del Consiglio del dicembre 2020, durante il rilevamento dei progressi nei negoziati attraverso gli annuali Pacchetti allargamento della Commissione, si assisterebbe a un’inedito screening di DG NEAR (il direttorato generale responsabile delle politiche in materia di allargamento UE) sulle questioni storiche, culturali e di istruzione. Nulla che sia previsto dai criteri di Copenaghen, cioè le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno) che devono essere rispettate dal Paese candidato.
    A questo si aggiunge il fatto che nel cluster Fundamentals’ sono stati inseriti nuovi paragrafi che non sono mai stati previsti nella storia dell’allargamento: tra questi una serie di elementi – hate speech, storia, istruzione – che vanno al di là della tradizionale definizione di ‘protezione dei diritti delle minoranze’. Questo elemento porta direttamente al terzo e più preoccupante problema: i report della Commissione dovranno passare dall’approvazione degli Stati membri, perché possano mantenere il pieno controllo dei negoziati, ancora sotto la scure dell’unanimità. In altre parole, se la Bulgaria deciderà di mettere il veto alla posizione del Consiglio sui cluster – quello sui principi fondamentali sarà il primo ad aprirsi e l’ultimo a chiudersi – non se ne farà niente. Come nell’ultimo anno e mezzo.
    Per tutte queste ragioni è chiaro che a Skopje non c’è spazio per la proposta francese “e forse è un bene per l’autorità morale dell’UE nella regione”. Le fonti macedoni pongono l’attenzione sul fatto che il primo ministro non ha spazio di manovra politica, ma soprattutto che “sono già stati fatti danni”, avvelenando il processo di allargamento con questioni bilaterali, “che comunque non sarebbero risolte”. Questa decisione del presidente francese Macron è frutto quantomeno della fretta di cercare “qualche successo, anche se è falso” sullo stato di avanzamento dell’allargamento alla regione balcanica, considerate le contemporanee richieste di adesione di Ucraina, Moldova e Georgia. È necessaria però una riflessione su cosa sta diventando il processo di allargamento in ostaggio dell’unanimità: anche se i negoziati con Skopje iniziassero, il diritto di veto della Bulgaria penderebbe ancora sulla testa dei macedoni.
    A quanto si apprende, il clima generale in Consiglio non è positivo, con la maggioranza degli Stati membri consci del problema anche per l’Unione. La linea che prevale sarebbe un ‘no’, a meno che sia a Sofia sia a Skopje si registrasse un voto favorevole sulla questione (già arrivato dalla Bulgaria, difficilmente dalla Macedonia del Nord). L’opinione pubblica macedone è tendenzialmente contraria e il premier Kovačevski ha già messo in chiaro ieri, al termine del vertice UE-Balcani Occidentali, le linee rosse del suo governo. La speranza è di “non essere soli”, dal momento in cui a Skopje è ancora riconosciuto il credito dell’accordo di Prespa nel 2018 (con la Grecia, sul cambio di nome in Macedonia del Nord) come “campione di compromesso”. I Ventisette – meno uno – sono consapevoli delle ragioni di un’eventuale opposizione: “Sanno che sarebbe balcanizzata l’Unione, quando dovrebbero unire i Balcani“, avvertono con molta cautela le fonti macedoni.
    Una posizione che viene messa in luce anche dall’ex-ministro degli Esteri, Nikola Dimitrov, che in un tweet ha spiegato che “nonostante i titoli dei giornali parlino del via libera di Sofia alla Macedonia del Nord e all’Albania, il testo adottato dice in realtà qualcosa di molto diverso”, considerato il fatto che “il Parlamento ha posto 4 nuove precondizioni e se saranno soddisfatte la Bulgaria potrà sostenere i colloqui di adesione con la Macedonia del Nord”. Proprio lo stesso Dimitrov, in un editoriale per European Western Balkans, ha fatto notare che “il diavolo sta nei dettagli”.

    Although the news headlines speak of Sofia’s green light to North Macedonia & 🇦🇱 the adopted text actually says something very different. The Parliament set 4 new preconditions and once/if they are fulfilled 🇧🇬 will be able to support the accession talks with 🇲🇰 Here they are 1/5
    — Nikola Dimitrov (@Dimitrov_Nikola) June 24, 2022

    Il tentativo di mediazione del presidente Macron porta a livello UE le ragioni del veto di Sofia, creando nuovi ostacoli al cammino di Skopje. Fonti macedoni qualificate spiegano come sarebbero minati i principi dell’intero processo di allargamento

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    Perché Bulgaria e Macedonia del Nord non riescono a trovare una soluzione alla disputa che blocca l’adesione UE di Skopje

    Bruxelles – Raccolte le macerie del fallimento del vertice UE-Balcani Occidentali, per tutti i convenuti a Bruxelles è tempo di guardare oltre e capire quali sono le prospettive per mettere in salvo i resti del processo di allargamento dell’Unione nella regione. Senza entrare nel merito delle aspettative tradite su Kosovo e Bosnia ed Erzegovina (a cui solo in serata i leader UE hanno cercato di mettere una pezza), può essere utile capire in quale direzione può andare la questione del veto della Bulgaria all’apertura dei negoziati di adesione della Macedonia del Nord, ma anche dell’Albania, che è legata a Skopje dallo stesso dossier. “Niente è mai facile per i Balcani Occidentali, ma penso che ci potrebbe essere una probabilità del 50, forse 60 per cento di una svolta entro la prossima settimana”, ha fatto sapere alla stampa il premier dei Paesi Bassi, Mark Rutte, a margine del vertice.
    Il primo ministro (sfiduciato) della Bulgaria, Kiril Petkov (23 giugno 2022)
    Ciò a cui si riferisce Rutte è il voto del Parlamento bulgaro sulla proposta francese per risolvere la disputa sull’avvio dei negoziati: questo pomeriggio la commissione Esteri ha dato il via libera e domani (venerdì 24 giugno) si svolgerà la decisiva votazione della sessione plenaria. Contro la proposta del presidente francese, Emmanuel Macron – che prevede di inserire buona parte delle richieste bulgare nel quadro dei negoziati a livello UE – si sono schierati i socialisti di BSP, i nazionalisti filo-russi di Vazrazhdane e il movimento populista fondato dallo showman Slavi Trifonov C’è un popolo come questo (ITN), co-responsabile della caduta del governo guidato da Kiril Petkov e del voto di sfiducia arrivato ieri (mercoledì 22 giugno). Proprio la sfiducia all’esecutivo da parte del Parlamento di Sofia ha impedito di arrivare a una rimozione immediata del veto bulgaro già al vertice UE-Balcani Occidentali di questa mattina. A favore della scelta di affidare in extremis allo stesso primo ministro sfiduciato il mandato di negoziare a Bruxelles lo sblocco dei negoziati sull’adesione della Macedonia del Nord sono il partito Noi continuiamo il cambiamento di Petkov, Il Movimento dei Diritti e delle Libertà (minoranza turca) e i conservatori di GERB (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria) dell’ex-premier Boyko Borissov.
    “Abbiamo messo pressione sulla Bulgaria, con la proposta di integrare richieste compatibili con ciò che la Macedonia del Nord può rispettare“, ha spiegato in conferenza stampa il presidente francese Macron. “Nelle prossime ore dobbiamo aspettarci che il Parlamento bulgaro voti sulla strada europea comune che abbiamo concordato” e, se questo avverrà, “possiamo ritornare al Coreper [gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio, ndr] e sbloccare i negoziati”, ha precisato Macron. Il problema a Sofia è che quasi nessun partito vuole assumersi una responsabilità storica di fronte all’elettorato, in vista di probabili elezioni anticipate. Nonostante il gabinetto Petkov si sia speso per trovare una soluzione alla disputa storico-culturale con Skopje, è compito del Parlamento prendere posizione sulla revoca del veto. Secondo l’ormai ex-premier bulgaro, l’opposizione ha utilizzato la questione macedone per ricattare l’esecutivo ogni volta che si poneva il rischio di mettere in luce i casi di corruzione del precedente gabinetto Borissov, definito da Petkov alla stampa europea “la persona più disonesta che conosca”.
    Il primo ministro della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski (23 giugno 2022)
    Dall’altra parte della barricata, sponda macedone, il premier Dimitar Kovačevski ha messo in chiaro quali sono le linee rosse di Skopje sulla proposta francese, che “deve garantire alcuni elementi-chiave imprescindibili”. Nel corso della conferenza stampa congiunta con il premier albanese, Edi Rama, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, Kovačevski ha sottolineato che ci deve essere un “chiaro riconoscimento della lingua e dell’identità macedone nel quadro negoziale” a livello UE e che “le questioni storiche non possono essere criteri vincolanti”. Con particolare enfasi, il primo ministro macedone ha messo in chiaro che “i negoziati tra Skopje e l’Unione devono essere avviati prima dell’inizio della procedura per i cambiamenti costituzionali” per l’inclusione nel preambolo della Costituzione macedone di “bulgari, croati e montenegrini come minoranze tutelate al pari delle altre”. Dovranno essere fornite “forti garanzie dalla Bulgaria e dall’UE che Sofia non farà nuove richieste vincolanti su quanto dovrà essere concordato sul quadro negoziale e sul protocollo bilaterale” e che “qualsiasi soluzione dovrà passare dalla consultazione e dall’accordo con le istituzioni macedoni”.
    La cause della disputa
    È dalla fine del 2020 che la Bulgaria ha posto il veto all’adesione UE della Macedonia del Nord per questioni di natura storico-culturale e identitaria, che spaziano dai padri fondatori delle due nazioni alla lingua in uso. Tre anni prima, il primo agosto 2017, era stato firmato il Trattato di amicizia tra i due Paesi, che aveva istituito una commissione accademica congiunta per valutare eventi storici comuni e questioni identitarie controverse. Coincidenza ha voluto che la firma arrivasse a un giorno dell’anniversario della rivolta di Ilinden del 1903, l’insurrezione anti-ottomana che è il caposaldo dell’identità nazionale di entrambi i Paesi (anche se per Skopje sarebbe più corretto riferirsi agli slavo-macedoni, la componente maggioritaria di una società multietnica composta anche di minoranze consistenti di albanesi, serbi, turchi e rom).
    La questione identitaria è dominante nella disputa tra Bulgaria e Macedonia del Nord. Sofia non riconosce l’esistenza di una nazione macedone distinta da quella bulgara, negando la possibilità di utilizzare l’attributo ‘macedone’ in ogni aspetto socio-culturale. Ne deriva di conseguenza l’opposizione al riconoscimento dell’esistenza di una minoranza macedone sul proprio territorio, o di una bulgara in Macedonia del Nord, dal momento in cui si tratterebbe dello stesso popolo (anche se Sofia esige che venga inserita nel preambolo della Costituzione macedone, tra i popoli costituenti). Questa intransigenza si riflette anche in ambito linguistico: secondo il governo di Sofia la lingua macedone altro non è che un dialetto del bulgaro, artificialmente elevato a lingua sotto il regime di Tito (tra il 1944 e il 1991 la Repubblica Socialista di Macedonia era una delle sei repubbliche della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia).
    La storia – come spesso accade – è fonte delle divisioni più dure tra Sofia e Skopje. Se non esiste un’identità macedone nel presente, non poteva esistere nemmeno nel passato: è così che entrambi i Paesi sostengono di essere eredi esclusivi di alcuni personaggi storici, in particolare Goce Delčev, il patriota che ha dato il via all’insurrezione balcanica anti-ottomana del 1903. Qualche decennio prima, il territorio macedone era stato acquisito dal neonato regno di Bulgaria con il trattato di Santo Stefano, stipulato dopo la guerra russo-turca (1877-78), ma con la seconda guerra balcanica del 1913 era divenuto parte del Regno dei Serbi (poi Regno dei Serbi, Croati e Sloveni al termine della prima guerra mondiale). In virtù di tutte queste considerazioni, Sofia si rifiuta categoricamente di considerare come un’invasione la sua occupazione militare del territorio macedone nel maggio del 1941, quando la Bulgaria monarchica era alleata della Germania nazista. Il motivo è sempre lo stesso: non esiste una nazione macedone distinta da quella bulgara e, al tempo, si trattava di un territorio sottratto alla Bulgaria ingiustamente.

    Quali sono le cause della disputa storico-culturale tra Sofia e Skopje che dal 2020 sono alla base del veto bulgaro sull’apertura dei negoziati di adesione macedone (e albanese) all’UE. Si guarda ai prossimi giorni per una svolta, le cui possibilità di riuscita vengono date al 50/60 per cento

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    Il presidente del Consiglio UE Michel chiude il suo viaggio nei Balcani. Ora la partita dell’allargamento si sposta a Bruxelles

    Bruxelles – Lo scorso autunno era stato il momento della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, che aveva viaggiato nella regione balcanica promettendo che entro la fine del 2021 si sarebbero sbloccati i negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord. Il vertice UE-Balcani Occidentali di Kranj (Slovenia) non aveva portato a nessun progresso significativo e dopo otto mesi è stato il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a recarsi in visita nelle sei capitali della regione alla vigilia di un Consiglio in cui sarà centrale il tema dell’allargamento dell’Unione e di un nuovo summit con i leader balcanici (a Bruxelles), dove si discuteranno le difficoltà di un processo che stenta e che ora deve anche affrontare la minaccia della destabilizzazione russa.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel
    Dopo il primo round di incontri a Belgrado, Tirana e Sarajevo a fine maggio, Michel è tornato nella regione per concludere i colloqui con i leader dei Balcani Occidentali, in particolare per sondare gli umori dei partner e per confrontarsi direttamente sulla proposta della comunità geopolitica europea e su quella dell’eventuale riforma del processo di adesione all’UE. Due ipotesi che possono viaggiare in parallelo, dal momento in cui “un’immediata integrazione politica con la possibilità di avere incontri regolari a livello di leader ci aiuterà a fare progressi nel campo dell’integrazione e dell’adesione all’UE”, ha specificato lo stesso numero uno del Consiglio a Podgorica. Come confermato dal presidente del Montenegro, Milo Đukanović, in questa prospettiva – che comunque non tradisca il processo di adesione – è necessario combattere il sentimento euroscettico, “lo strumento che la Russia usa per distruggere l’Europa e rafforzare la sua influenza”.
    Un sentimento che rischia però di essere aggravato dallo stesso atteggiamento dell’Unione Europea nei confronti dei Paesi balcanici. Lo è il caso della Macedonia del Nord (e dell’Albania), ancora bloccata dal veto bulgaro per l’avvio dei negoziati di adesione all’UE in seno al Consiglio: “Non solo può compromettere la politica di allargamento dell’Unione nei Balcani, ma rischia di essere un precedente pericoloso, in grado di annullarlo“, ha avvertito il presidente macedone, Stevo Pendarovski, ospitando Michel a Ohrid. E proprio per il leader dell’istituzione comunitaria l’avvio dei negoziati con Skopje e Tirana è “una priorità assoluta”, per cui si sta impegnando “personalmente insieme ad altri colleghi in tutta l’UE“: tutti sforzi che rendono “fiducioso” Michel su “sviluppi positivi molto presto”. Parallelamente, anche la Macedonia del Nord ha aperto alla comunità politica europea – di cui è stata riconosciuta la paternità francese – a condizione che questa collaborazione non sostituisca la “piena adesione dei Paesi della regione all’Unione Europea”.
    Una discussione a parte meriterà la situazione del Kosovo. Nel suo incontro a Pristina con la presidente kosovara, Vjosa Osmani, Michel ha riconosciuto che gli Stati membri UE dovranno procedere in maniera più decisa sulla questione della liberalizzazione dei visti per l’unico tra i Paesi dei Balcani Occidentali a cui ancora non è garantita. Il governo kosovaro è stato esortato a “partecipare ai forum regionali” – come Open Balkan – “che portano benefici reali alla popolazione e alle imprese”, ma su cui si registrano rimostranze in Kosovo, Montenegro e Bosnia ed Erzegovina per un possibile tentativo della Serbia di estendere l’egemonia sulla regione. Ecco perché per Pristina e Belgrado è necessario impegnarsi nel dialogo agevolato da Bruxelles: “Entrambe le parti devono compiere rapidi progressi nell’attuazione degli accordi precedenti, è tempo di guardare avanti per avanzare sulla strada dell’UE”, è l’esortazione del presidente Michel. Dopo un anno di stallo e di tensioni tra le due capitali, un nuovo round di negoziati a livello tecnico si terrà a Bruxelles martedì prossimo (21 giugno). La speranza è che, a due giorni dal vertice UE-Balcani Occidentali, si possa già segnare un evento nella sezione delle notizie positive per la regione e per l’Unione.

    Dopo la visita in due round che l’ha portato in tutti i sei Paesi balcanici, il numero uno del Consiglio si prepara a ospitare il vertice tra i Ventisette e i leader della regione. Si discuterà delle difficoltà del processo di adesione e della proposta della comunità geopolitica europea