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    A Gaza riprendono le ostilità e i bombardamenti israeliani. L’Ue chiede all’Iran un “lavoro attivo” per la de-escalation

    Bruxelles – Nove giorni, e la tregua nella Striscia di Gaza è già finita. “Le ostilità sono riprese a Gaza e vediamo che il bilancio delle vittime civili, già molto alto, continua ad aumentare“, si è rammaricato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, commentando gli intensi bombardamenti israeliani ricominciati venerdì scorso (primo dicembre) e che da ieri (3 dicembre) si sono estesi anche alla parte meridionale della Striscia, dove sono entrati per la prima volta i carri armati di Tel Aviv.Il capo della diplomazia Ue esprime forte preoccupazione per quanto in atto negli ultimi tre giorni nella Striscia di Gaza, conscio dei rischi a cui si sta andando incontro. “Dobbiamo evitare qualsiasi ricaduta regionale, la soluzione può essere solo politica incentrata su due Stati“, ha sottolineato Borrell nel corso di uno scambio telefonico con il ministro degli Affari esteri dell’Iran, Hossein Amir-Abdollahian, esortando Teheran a “usare la sua influenza e a lavorare attivamente per evitare un’ulteriore escalation nella regione”. Parole che arrivano a pochi giorni dal vertice ministeriale della Nato, in cui proprio l’Iran è stato avvertito di “tenere a freno” i suoi delegati di Hamas e Hezbollah che operano nella regione contro Israele.Ancora più duro è stato poi lo stesso alto rappresentante Ue nel suo intervento al 25esimo Forum Ue-Ong per i diritti umani: “Quella di Hamas è stata una carneficina, ma quella a cui stiamo assistendo ora è un’altra carneficina“. Alcuni partecipanti hanno iniziato a lasciare la sala dopo le parole di Borrell, che non ha però fatto alcun passo indietro: “Probabilmente ho detto qualcosa di scomodo, ma le Nazioni Unite hanno affermato chiaramente che quanto successo è stato riconosciuto come tale, mentre quello che sta succedendo ne è un altro caso”. La motivazione è semplice e parte dal numero di vittime: “Nessuno sa quante siano, qualche stima dice 15mila, ma temo che sotto le macerie delle case distrutte ce ne siano molte di più, con un alto numero di bambini”, e la comunità internazionale “non può accettarlo”. In altre parole, “un orrore non può giustificare un altro orrore“.La fine della tregua a GazaDa sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, a Ramallah il 17 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)Nel corso della tregua iniziata nella notte tra il 21 e il 22 novembre e andata in frantumi dopo nemmeno dieci giorni, Hamas ha rilasciato 110 ostaggi detenuti a Gaza in cambio di 240 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Ma ora si tornano a contare non più i prigionieri liberati ma solo le persone uccise dai bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza. Dall’inizio della guerra il bilanci è salito a circa 15 mila vittime palestinesi, prevalentemente nella parte settentrionale della lingua di terra di 40 chilometri per 9. Da ieri però l’esercito israeliano ha intensificato i bombardamenti e lanciato un’operazione di terra a nord di Khan Younis, città palestinese con annesso campo profughi nella parte meridionale della Striscia. L’incursione è stata preceduta da ordini di evacuazione alla popolazione palestinese in diversi distretti della città, dove già centinaia di migliaia di persone si erano rifugiate dopo essere fuggite dai combattimenti nel nord della Striscia nelle prime fasi della guerra.“Il modo in cui Israele esercita il suo diritto all’autodifesa è importante, è imperativo che rispetti il diritto internazionale umanitario e le leggi di guerra“, ha ribadito con forza l’alto rappresentante Borrell, richiamandosi a quanto già affermato a più riprese sulla necessità di non violare il diritto internazionale: “Questo non è solo un obbligo morale, ma anche legale”. Così come fatto nel corso della missione nella regione a pochi giorni dall’inizio della tregua, il capo della diplomazia dell’Unione ha fatto riferimento anche alla “crescente violenza in Cisgiordania, dove secondo le Nazioni Unite dal 7 ottobre sono stati uccisi 271 palestinesi“, più del doppio di tutti quelli uccisi dai coloni o dall’esercito israeliano dall’inizio dell’anno. Tornando al conflitto a Gaza, Borrell ha poi ricordato che la tregua che ha permesso il rilascio degli ostaggi ma anche la consegna di aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza “non è sufficiente” da sola, dal momento in cui “le pause umanitarie dovrebbero essere riprese, ma lavorando contemporaneamente per una soluzione politica globale per tutti i territori palestinesi”. Quella soluzione per “due popoli, due Stati” che per l’Unione Europea è ormai un caposaldo e su cui ha elaborato una base di  sei condizioni – “tre sì e tre no” – su cui provare a impostare il dialogo nella regione.
    Dal primo dicembre è finita la tregua temporanea, con le operazioni miliari che si sono estese anche nel sud della Striscia. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell: “Quella di Hamas è stata una carneficina, ma quella a cui stiamo assistendo ora è un’altra carneficina”

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    È stato pubblicato il nuovo report Ue-Turchia per un riavvicinamento “progressivo, proporzionato e reversibile”

    Bruxelles – È arrivata la nuova relazione strategica sui rapporti Ue-Turchia e ora i Ventisette avranno una base più aggiornata su cui impostare il confronto sulle prospettive di cooperazione con uno dei vicini più complessi di gestire, perché stretto partner ma spesso anche elemento di instabilità sulla scena internazionale. Il report richiesto dai 27 leader Ue al Consiglio Europeo di fine giugno è stato presentato oggi (29 novembre) dalla Commissione e dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, dopo il via libera al Collegio dei commissari: “La Turchia è un partner importante, siamo partiti dalla valutazione già fornita nella primavera del 2021 e abbiamo considerato lo sviluppo delle relazioni” politiche, economiche e commerciali “negli ultimi due turbolenti anni”.Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenL’ultima volta che il Consiglio Affari Esteri si era riunito per discutere della questione dei rapporti con Ankara era il 20 luglio e da allora è stato serrato il lavoro dell’esecutivo comunitario per valutare lo stato dell’arte e le direttrici di una possibile maggiore cooperazione con il padre-padrone della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. “Vediamo uno spirito costruttivo, ma ora dobbiamo affrontare insieme i problemi a partire dalla questione cipriota”, ha subito messo in chiaro l’alto rappresentante Borrell, facendo riferimento alla controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso. Ma nel confronto ci deve essere anche la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, dal momento in cui Ankara dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci (e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione) a sud dell’isola di Creta: “Abbiamo chiare le nostre priorità” – con le condizioni tracciate già nel 2021 dai Ventisette – “dobbiamo rafforzare la nostra sicurezza, e questo ha un impatto sui rapporti con la Turchia”.L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (29 novembre 2023)È per questo che si sta iniziando a pensare ai “prossimi passi” per una serie di opzioni di un processo “progressivo, proporzionato e reversibile” di riavvicinamento tra Unione Europea e Turchia, ha spiegato il capo della diplomazia Ue. E in questo senso non si può prescindere dal passare “da una dinamica conflittuale a una più cooperativa”. Da Ankara l’Unione si aspetta che “affronti i contrasti commerciali, cooperi contro l’aggiramento delle sanzioni contro la Russia e crei un clima che favorisca la ripresa dei negoziati per risolvere la questione cipriota”, ha precisato Borrell, ponendo forte attenzione alla cooperazione per isolare la Russia fino a quando non metterà fine all’invasione dell’Ucraina. Parallelamente si punta a stringere i rapporti anche sull’altro fronte caldo di conflitto, ovvero quello della guerra tra Israele e Hamas: “La Turchia può svolgere un ruolo attivo e positivo nel processo di pace, entrambi sostentiamo la necessità di arrivare a un negoziato politico per la soluzione a due Stati” (Israele e Palestina).La relazione, che ora sarà presentata al Consiglio Europeo (verosimilmente a quello in programma il 14-15 dicembre) per l’esame e la definizione degli orientamenti, punta anche alla ripresa del dialogo di alto livello del Consiglio di associazione Ue-Turchia sospeso nel 2019 e al lancio dei negoziati per modernizzare l’Unione doganale, anche se vanno considerate le difficoltà nella poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca”, l’inflazione alle stelle e le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Infine si vuole sviluppare un “partenariato di mutuo beneficio” con un vicino che è anche candidato all’adesione all’Unione Europea dal 1999 (i negoziati sono stati avviati nel 2005). Nella relazione apposita all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023 pubblicato lo scorso 8 novembre è però emerso chiaramente che “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”. Anche questo dovrà essere tenuto in considerazione dai Ventisette nel definire i prossimi passi del rapporto con il vicino più ingombrante.
    La Commissione Ue ha fornito al Consiglio la relazione strategica sullo stato sui rapporti tra Bruxelles e Ankara. Si punta alla ripresa del Consiglio di associazione (fermo dal 2019), negoziati sull’Unione doganale e cooperazione su Mediterraneo orientale, Russia e Gaza

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    “Un orrore non giustifica un altro orrore”. La visita in Israele e Palestina di Borrell per portare solidarietà e spingere la pace

    Bruxelles – Un viaggio in Israele e Palestina nel pieno della guerra tra Gerusalemme e Hamas nella Striscia di Gaza, per mettere in chiaro “le stesse cose” in entrambi i posti: “Un orrore non giustifica un altro orrore, l’attacco terroristico di Hamas ha cambiato il paradigma di una situazione fragile, ma ogni perdita di vita civile è deplorevole”. Si è presentato così l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nella sua doppia visita tra ieri e oggi (16-17 novembre) a Gerusalemme e Ramallah per spingere il messaggio dell’Ue di ricerca della pace quanto prima e di ricostruire la regione su basi nuove.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, a Ramallah il 17 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Stiamo assistendo a una tragedia, mi riferisco a ciò che sta succedendo a Gaza e in Israele”, ha messo in chiaro Borrell, aprendo oggi la conferenza stampa congiunta con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh. Con oltre 11 mila vittime nella Striscia di Gaza per i bombardamenti israeliani e gli ospedali “al collasso”, secondo il capo della diplomazia Ue “Hamas ha attaccato anche la causa palestinese” il 7 ottobre. Se l’organizzazione definita terroristica dall’Unione “deve liberare immediatamente gli ostaggi” israeliani, allo stesso tempo “abbiamo anche sottolineato che il modo in cui Israele si difende è importante, perché deve rispettare le leggi umanitarie e il principio di proporzionalità“. Come spiegato ieri senza troppi giri di parole a Gerusalemme nel punto stampa con il presidente israeliano, Isaac Herzog, “gli amici di Israele sono quelli che vi chiedono di non commettere una tragedia”.Portando nella regione il messaggio condiviso dai Ventisette al Consiglio Affari Esteri di lunedì (13 novembre) di mettere in campo “pause umanitarie immediate, perché l’assistenza raggiunga i civili” della Striscia di Gaza, l’alto rappresentante Borrell a Gerusalemme si è detto “sconvolto dalla sofferenza umana del popolo israeliano, ma anche preoccupato per la sofferenza della popolazione di Gaza”. Nel “non farsi accecare dall’odio” per quanto accaduto il 7 ottobre nei kibbutz, la richiesta è quella di “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili”. Ma senza nascondere il mea culpa che coinvolge tutta la comunità internazionale: “È stato un fallimento politico e morale, e includo anche l’Unione Europea, perché non abbiamo preso abbastanza in considerazione la pace tra Palestina e Israele”. Ma come ricordato a Ramallah, “ora questi tragici eventi hanno portato la questione palestinese fuori dal limbo” ed è necessario uno sforzo da tutte le parti per raggiungere la pace e la stabilità futura.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente di Israele, Isaac Herzog, a Gerusalemme il 16 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Solo una soluzione politica può mettere fine a questo interminabile ciclo di violenza” che, nonostante stia passando sotto silenzio di fronte alla tragedia di Gaza, riguarda anche la Cisgiordania sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). L’alto rappresentante Borrell non ha taciuto “l’aumento del terrorismo dei coloni” israeliani post-attacco di Hamas: “Da inizio anno 421 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, ma dal 7 ottobre sono stati 202, cioè in un mese lo stesso numero dei dieci mesi precedenti”. Di fronte a una situazione di “occupazione illegale” del territorio palestinese, il capo della diplomazia Ue ha chiesto “a livello più alto possibile a Israele di affrontare la questione, per evitare il rischio di scoppio delle ostilità anche in Cisgiordania”.Il piano Ue per la Palestina post-guerraLo scopo della visita in Israele e Palestina – che continuerà nei prossimi giorni in Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania – è stata però anche l’occasione per iniziare a far sentire la presenza diplomatica europea, dopo un mese di polemiche e divisioni sul messaggio veicolato dai leader delle rispettive istituzioni (e anche all’interno delle stesse istituzioni). “La questione palestinese non può rimanere irrisolta“, ha messo in chiaro oggi Borrell di fronte al premier Shtayyeh, parlando della soluzione a due Stati “che è rimasta dimenticata per troppo tempo, è arrivato il momento per definire i passi concreti per implementarla”.La proposta di piano dell’Unione Europea – ancora in fase di definizione – portata nella regione è quella concordata a inizio settimana dai 27 ministri Ue degli Esteri. Si tratta di quello “schema mentale” presentato dall’alto rappresentante Borrell che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”. Per quanto riguarda i tre ‘no’, si parte dal fatto che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese“. E le stesse condizioni sono state ribadite anche a Gerusalemme.I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione per una pace strutturale e stabile. “A Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ma questa volta a Ramallah – a differenza di lunedì – Borrell ha fatto esplicitamente riferimento all’Autorità Nazionale Palestinese: “Avete la capacità di continuare questo lavoro, vi supporteremo”. La soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario e politico. E infine servirà “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“. Dopo la definizione delle sei condizioni del piano per il post-guerra, l’alto rappresentante Borrell ha incassato un primo successo, il “pieno sostegno” del governo palestinese. Tutto tace invece sul fronte israeliano.
    L’alto rappresentante Ue ha esortato Gerusalemme a “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili” a Gaza e a garantire “pause umanitarie immediate”. Presentato a Ramallah il piano dell’Unione per il post-guerra con “pieno supporto” dall’Autorità Nazionale Palestinese

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    Prove d’intesa Ue-Balcani Occidentali su politica estera e sicurezza. Sul tavolo di Bruxelles un ‘non-paper’ in 14 punti

    Bruxelles – Dopo le manifestazioni d’intenti generali, iniziano le discussioni politiche per stringere concretamente i rapporti tra i Ventisette e i sei Paesi balcanici in campi specifici, anche prima della loro adesione formale all’Unione Europea. È stato questo il senso della riunione ministeriale Ue-Balcani Occidentali svoltasi ieri sera (13 novembre) sotto la guida dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che ha visto sul tavolo delle discussioni un documento non ufficiale – non paper in gergo – portato da 7 Stati membri più aperturisti per l’integrazione immediata dei partner per quanto riguarda la politica estera e la sicurezza comuni.Non è un caso se il vertice ministeriale Ue-Balcani Occidentali si è svolto appena dopo il Consiglio Affari Esteri in cui sono state trattate le questioni della guerra in Medio Oriente, in Ucraina e nel Caucaso Meridionale. “La discussione si è concentrata sulle sfide comuni in materia di sicurezza, sullo sfondo delle persistenti minacce alla sicurezza globale e regionale“, ha reso noto l’alto rappresentante Borrell al termine dell’incontro con i ministri degli Esteri dei Sei balcanici (e di quelli Ue intrattenutisi oltre la giornata di confronto tra i Ventisette). L’iniziativa è stata inaugurata nel maggio 2021 dallo stesso Borrell rilanciando la tradizione delle ‘cene informali’ con i leader dei Balcani Occidentali ma, dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina e l’intensificarsi delle discussioni per finalizzare il processo di allargamento Ue, è diventato sempre più urgente per Bruxelles contare su “partner affidabili nella politica estera, di sicurezza e di difesa, anche per quanto riguarda l’allineamento alle decisioni dell’Ue“. Un richiamo implicito non a tutti i Paesi che si trovano sul cammino europeo – visto che quattro su sei hanno lanciato l’iniziativa ‘Western Balkan Quad’ per l’allineamento completo – ma piuttosto a Serbia e Bosnia ed Erzegovina che, per motivi differenti, non hanno ancora adottato le sanzioni internazionali contro la Russia.Un primo incontro per uno scambio di vedute “sulle sfide della regione e sul suo futuro europeo” dopo che la politica di allargamento Ue nella regione ha conosciuto negli ultimi mesi “un nuovo slancio” e soprattutto a pochi giorni dalla presentazione dell’ultimo Pacchetto Allargamento Ue. Per Bruxelles è diventata una priorità fornire “un forte sostegno politico, tecnico e finanziario” a tutti i candidati – con negoziati di adesione già avviati (Albania, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia) o meno (Bosnia ed Erzegovina) – e potenziali tali (Kosovo), “per portare avanti le principali riforme politiche, istituzionali, sociali ed economiche”. L’alto rappresentante Borrell ha fatto anche riferimento al nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali presentato mercoledì scorso (8 novembre) che coniugherà riforme e investimenti sullo stile del Next Generation Eu: “Accelererà significativamente la velocità del processo di allargamento e la crescita delle loro economie“.Il non-paper Ue-Balcani OccidentaliUn tentativo di stringere i rapporti con le sei capitali balcaniche sul fronte della politica estera e di sicurezza è arrivato da sette Paesi membri riuniti nel gruppo ‘Amici dei Balcani Occidentali’ – Italia, Austria, Croazia, Grecia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia – attraverso un non paper presentato ieri sera dal ministro austriaco. Come spiegano fonti diplomatiche a Bruxelles, si tratta di un’agenda in 14 punti che si connette al Piano di crescita per i Balcani Occidentali e nella visione dell’integrazione “graduale e accelerata” in campi specifici dei Paesi sul percorso dell’allargamento Ue. “Invitiamo le istituzioni Ue a presentare un’agenda chiara per un’integrazione graduale e accelerata con fasi di attuazione concrete fino al 2024 e oltre, basata su una condizionalità equa e rigorosa e sul principio dei meriti propri”, si legge nel documento visionato da Eunews. Il punto di partenza dalla politica estera e di sicurezza è motivato dal fatto che la regione balcanica “è esposta a fattori destabilizzanti”, tra cui vengono citate disinformazione, migrazione, minacce ibride e influenza “maligna” di terzi. Ecco perché “una cooperazione rafforzata ci renderebbe più efficaci nel contrastare la Russia e altre narrazioni dannose”, mentre “un dialogo rafforzato può approfondire la comprensione” delle posizioni reciproche.Questo stringere i legami si dovrebbe basare su 14 punti definiti dal non paper dei 7 Paesi membri, a partire dall’invito ai partner balcanici a partecipare al Consiglio Affari Esteri “almeno una volta al semestre”, per “scambi informali su temi di interesse comune” (e allo stesso modo degli ambasciatori alle riunioni informali). Si dovrà spingere su visite “più regolari e coordinate” nei Balcani Occidentali, scambi di esperti sui diritti umani, formazione di giovani diplomatici e funzionari pubblici “per familiarizzare con la diplomazia e le istituzioni Ue”, ma soprattutto su “linee di condotta Ue su misura in vista delle riunioni con i Paesi terzi“. Sul piano della sicurezza vengono chieste simulazioni congiunte sui punti deboli dei sistemi di infrastrutture critiche, visite all’Agenzia Ue per la Cybersecurity (Enisa) per “promuovere il pieno allineamento” con la legislazione comunitaria e consultazioni “prima dei prossimi cicli di negoziati” sulla Convenzione Onu sulla criminalità informatica. Infine materia di difesa serviranno “ulteriori misure di assistenza nell’ambito del Fondo europeo per la pace” (come per esempio lo stoccaggio sicuro di armi e munizioni in Montenegro) e il sostengo alle capacità dei Balcani Occidentali attraverso “corsi su misura” dell’Accademia europea di sicurezza e difesa (Esdc).Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha ospitato la riunione ministeriale con i 6 ministri degli Esteri balcanici, in cui è stata presentata la proposta del gruppo ‘Amici dei Balcani Occidentali’ (tra cui compare l’Italia) per regolarizzare gli incontri con il Consiglio dell’Ue su base semestrale

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    L’Ue rilancia l’industria bellica: “Studiamo cosa manca e dove investire”

    Bruxelles – “Analizzeremo la nostra capacità militari per vedere, esercito per esercito, dove ci sono lacune, cosa manca, e dove investire“. L’Europa si riarma. Il messaggio che invia l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, è il rilancio in grande stile dell’industria bellica. E’ giustificato dalla necessità di rispondere alle manovre militari della Russia in Ucraina, e dal fatto che le munizioni di cui Kiev ha bisogno l’Ue le sta prendendo dalle riserve nazionali degli Stati membri, ora sguarnite. La produzione serve più che mai e la linea dunque è tracciata.C’era una volta l’Unione europea, progetto di pace e addirittura premio Nobel per la pace, nel 2012. Dopo un decennio e poco più benvenuti in tutt’altra Europa. La riunione dei ministri della Difesa dei Ventisette riunisce attorno al tavolo i rappresentanti dell’Agenzia europea per la difesa (EDA) e pure il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Non è la prima volta né una novità. Ma è in questo formato che Borrell conduce l’analisi sulle lacune dell’industria bellica a dodici stelle, con l’Alleanza atlantica a fare da sponsor.“Putin deve capire che non vincerà, e l’unico modo che abbiamo per farglielo capire è continuare a sostenere militarmente l’Ucraina”, scandisce Stoltenberg. Che proietta l’Europa e il mondo di oggi nell’universo orwelliano per cui ‘guerra è pace’. Del resto essere positivi non è semplice. “Non credo che nessuno sia davvero ottimista” per ciò che riguarda il conflitto russo-ucraino, scandisce la ministra della Difesa olandese, Kajsa Ollongren. “La visione ottimistica sarebbe quella di una Russia che smette di combattere, ma è ciò che non sta accadendo”. Dal punto di vista euro-occidentale dunque, giusto andare avanti e sostenere quanto più possibile l’Ucraina. Anche perché ha molto da perdere, l’Ue. La faccia, l’immagine, la credibilità. I ritardi nella consegna del milione di munizione, con le promesse che non saranno mantenute, non depongono a favore di un’Europa decisa, a maggior ragione, alla corsa bellica.
    L’annuncio dell’Alto rappresentante Borrell. “Valuteremo le lacune esercito per esercito”. Il sostegno della Nato: “Putin deve capire che in Ucraina non può vincere”

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    I Ventisette chiedono “pause umanitarie immediate” a Gaza. E iniziano le discussioni sulla Palestina post-guerra

    Bruxelles – Uno sforzo diplomatico a livello immediato, un impegno che inizia già ora per trovare una soluzione a medio/lungo termine alla situazione “catastrofica” nella Striscia di Gaza. Sotto la guida dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, i 27 ministri degli Esteri hanno definito oggi (13 novembre) la posizione condivisa dell’Ue sulla necessità di “pause umanitarie immediate” per permettere la consegna degli aiuti internazionali alla popolazione sotto i bombardamenti israeliani, ma soprattutto per definire un piano – al momento solo abbozzato – che guardi al “giorno dopo” la fine della guerra tra Israele e Hamas.Jabalia, Palestina (credits: Yahya Hassouna / Afp)Sul primo aspetto dell’analisi del conflitto, le discussioni si sono impostate sulla dichiarazione “unanime” pubblicata ieri (12 novembre) al termine di “un’intensa giornata di lavori, dopo la richiesta arrivata da diversi Stati membri”, ha spiegato l’alto rappresentante Borrell. Già al Consiglio Europeo del 26 ottobre era arrivata la richiesta di “pause umanitarie” ma, di fronte a una sempre più urgente necessità di portare soccorso, acqua, cibo, medicine e carburante alla popolazione della Striscia di Gaza, “la parola più importante è ‘immediate’“, ha rimarcato Borrell. È soprattutto la questione dei bombardamenti sugli ospedali a creare le preoccupazioni maggiori a Bruxelles: “L’Ue sottolinea che il diritto umanitario internazionale stabilisce che gli ospedali, le forniture mediche e i civili al loro interno devono essere protetti“, è il riferimento della dichiarazione sia ai limiti del diritto di autodifesa di Israele sia all’uso di ospedali e civili “come scudi umani” da parte di Hamas.“La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è catastrofica e sta solamente peggiorando con il passare delle ore“, è stata la sintesi del commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, con cui i 27 ministri degli Esteri hanno fatto il punto tecnico delle conseguenze dei bombardamenti agli ospedali e più in generale della situazione del conflitto: “È urgente definire e rispettare le pause umanitarie, devono essere significative, con tempistiche certe, senza bombardamenti e annunciate con anticipo, perché le organizzazioni umanitarie possano prepararsi a sfruttarle”. I numeri della crisi umanitaria sono stati forniti dall’alto rappresentante Borrell in conferenza stampa: “Le vittime sono oltre 11 mila, ci sono 1,5 milioni di sfollati, metà degli ospedali è al collasso per la mancanza di carburante, dal valico di frontiera con l’Egitto entrano in media 40 camion al giorno, meno del 10 per cento del necessario”. Se il valico di Rafah “non è sufficiente, bisogna aumentare le capacità di transito”, le soluzioni sono due: “O più punti terrestri o l’iniziativa cipriota per un corridoio marittimo“, ha spiegato Borrell, anche se la seconda opzione è più complessa considerato il problema infrastrutturale dell’assenza di porti sulla costa di Gaza.Il piano per il dopoguerra in Palestina e a GazaL’impegno diplomatico di Bruxelles per “evitare l’escalation nella regione e ai Paesi vicini” si connette con la soluzione sul medio/lungo termine post-conflitto per costruire la pace tra Israele e Palestina. Il capo della diplomazia Ue ha messo in chiaro che “questa drammatica crisi con costi immensi di vite umane deve essere l’occasione per far capire al mondo che la soluzione può essere basata solo su due Stati”. In altre parole, “non è solo questione di ricostruire Gaza, ma soprattutto di costruire lo Stato per i palestinesi“. Il piano presentato oggi per la prima volta da Borrell al Consiglio Affari Esteri richiede “parametri per iniziare a cercare una soluzione che propizi la pace” e al momento è una sorta di “schema mentale” che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”, da impostare con gli Stati Uniti e i Paesi arabi.Jabalia, Palestina (credits: Mahmud Hams / Afp)Per quanto riguarda i tre ‘no’, l’alto rappresentante Borrell ha messo in chiaro che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese, va considerata nel suo complesso”. E questi sono i paletti iniziali anche per Gerusalemme. I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione più generale di una soluzione per una pace strutturale e stabile. In primis, “a Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ha spiegato Borrell, precisando che intende “non l’Autorità Nazionale Palestinese, ma una sorta di autorità palestinese”, e che in ogni caso “non si può ricostruire la Palestina né sull’occupazione israeliana né a partire da Hamas”. Come secondo punto, la soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario “ma soprattutto politico”. E infine dovrà mettersi in campo “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“, ha assicurato Borell in partenza per la missione in Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania: “Se non troviamo una soluzione politica, continuerà la spirale di violenza che si ripeterà di funerale in funerale”.
    Al Consiglio Affari Esteri intenso confronto sulle modalità per far arrivare gli aiuti alla popolazione sotto bombardamenti israeliani. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha presentato un piano per cercare una soluzione a due Stati con Stati Uniti e Paesi arabi basata su “tre sì e tre no”

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    Borrell in missione in Israele e Palestina questa settimana

    Bruxelles – Israele, ma anche Palestina. Mentre a Bruxelles è in corso il Consiglio Ue Affari Esteri che discute anche della crisi in Medio Oriente tra Israele e Hamas, è con un sintetico post su X che l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, annuncia che “in settimana” sarà in “Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania per discutere di accesso umanitario, assistenza e questioni politiche con i leader regionali”.Borrell, capo della diplomazia europea, è il primo funzionario europeo di alto livello a recarsi anche nei territori palestinesi da quando lo scorso 7 ottobre si è brutalmente riacceso il conflitto tra Hamas e Israele. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e la numero uno del Parlamento europeo, Roberta Metsola, si sono recate solo in Israele lo scorso 13 ottobre per ribadire la posizione ufficiale della Commissione europea, ovvero che Israele ha diritto di difendersi (“in linea con il diritto internazionale” è una formula arrivata dopo nelle parole di von der Leyen) e che il conflitto si è riacceso a causa delle azioni terroristiche palestinesi da parte di Hamas che hanno ricadute anche sulla popolazione civile a Gaza.“Abbiamo bisogno di un orizzonte politico che guardi alla soluzione dei due Stati”, ha ribadito Borrell, precisando che “ciò può essere raggiunto solo attraverso il dialogo”. Solo ieri sera, il capo della diplomazia europea aveva ribadito in una dichiarazione che l’Unione europea “è seriamente preoccupata per l’aggravarsi della crisi umanitaria a Gaza”, unendosi alle richieste di una “pausa immediata delle ostilità e della creazione di corridoi umanitari, anche attraverso una maggiore capacità ai valichi di frontiera e attraverso una rotta marittima dedicata, in modo che gli aiuti umanitari possano raggiungere in sicurezza la popolazione di Gaza”.La nota richiama nello specifico alle conclusioni del Consiglio europeo del 26 ottobre, in cui i leader Ue hanno ribadito il diritto di Israele a “difendersi in linea con il diritto internazionale e il diritto internazionale umanitario”, ma chiedendo un “accesso umanitario continuo, rapido, sicuro e senza ostacoli e aiuti per raggiungere le persone bisognose attraverso tutte le misure necessarie, compresi i corridoi umanitari e le pause per i bisogni umanitari”. Per ragioni di sicurezza, Borrell non ha aggiunto dettagli sulla missione che lo terrà impegnato nei prossimi giorni. 
    Con i ministri degli Esteri riuniti a Bruxelles, il capo della diplomazia europea annuncia che in settimana sarà in Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania “per discutere di accesso umanitario, assistenza e questioni politiche con i leader regionali”

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    L’Ue sceglie il silenzio sugli “attacchi sproporzionati” di Israele a Jabalia. È iniziata l’evacuazione di 7.500 persone da Gaza

    Bruxelles – C’è il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, che in un tweet si dice “sconvolto dall’alto numero di vittime civili a causa delle bombe israeliane sul campo profughi di Jabalia”. Intorno a lui, dall’Unione Europea un silenzio sconcertante. Mentre dal quartier generale dell’Onu e dalle agenzie delle Nazioni Unite che lavorano nella Striscia di Gaza arrivano parole durissime sull’operazione militare delle Forze di Difesa israeliane.Il bilancio dei raid di martedì e mercoledì (31 ottobre e primo novembre) sulla città situata pochi chilometri a nord di Gaza City è di almeno 195 morti e 120 dispersi, secondo i dati diffusi dal ministero della Sanità controllato da Hamas. “L’ultima atrocità che ha colpito gli abitanti di Gaza”, l’ha descritta il sottosegretario per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, Martin Griffiths. Da Ginevra, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha denunciato i bombardamenti su Jabalia come “attacchi sproporzionati che potrebbero equivalere a crimini di guerra“, mentre il suo direttore della sede di New York, Craig Mokhiber, ha addirittura deciso di lasciare il suo incarico accusando il Palazzo di Vetro di essere incapace di agire per “prevenire il genocidio” della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza. “Stiamo assistendo a un genocidio che si sta svolgendo sotto i nostri occhi e l’organizzazione che serviamo sembra impotente a fermarlo”, ha scritto Mokhiber nella lettera di dimissioni.Il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, a Rafah il primo novembre 2023 (credits: Said Khatib / Afp)Dall’inferno dell’enclave palestinese, l’Unicef condanna gli “attacchi su larga scala in un’area residenziale densamente popolata”, che “possono avere effetti indiscriminati”. E il commissario generale dell’Unrwa – l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi – ha definito la situazione umanitaria come “una tragedia senza precedenti“. Il commissario generale Philippe Lazzarini, dopo aver ottenuto il permesso di entrare a Gaza per la prima volta dal 7 ottobre, ha confermato che “l’attuale risposta umanitaria non è di gran lunga sufficiente, né corrisponde agli enormi bisogni della popolazione di Gaza”. In particolare c’è bisogno di “consegne urgenti di carburante”, che “non è arrivato per quasi un mese impattando in modo devastante su ospedali, panifici, impianti idrici” e sulle attività stessa dell’Unrwa. Ma gli appelli per un cessate il fuoco umanitario lanciati dall’Agenzia – che tra le proprie fila conta già più di 70 vittime dei raid israeliani – “cadono nel vuoto”. Senza di esso, avverte Lazzarini, “più persone verranno uccise, coloro che sono vivi subiranno ulteriori perdite e la società, un tempo vivace, sarà in lutto per sempre”.L’Ue ringrazia l’Egitto per l’apertura del varco di RafahDai leader delle istituzioni europee nessuna parola sul bombardamento di Jabalia. In comunicato pubblicato ieri sera, la Commissione Europea ha “accolto con favore l’evacuazione di numerosi cittadini dell’Ue e di altri cittadini stranieri, nonché persone ferite attraverso il valico di frontiera di Rafah tra Gaza e l’Egitto”. La presidente dell’esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, ha “ringraziato calorosamente le autorità egiziane per i loro ammirevoli sforzi volti ad aiutare i cittadini stranieri, il personale delle organizzazioni internazionali e le loro famiglie, compresi i cittadini europei, ad entrare in sicurezza nel loro Paese”. Tralasciando completamente ciò che stava accadendo alla popolazione palestinese nel nord della Striscia.Cittadini stranieri e con doppio passaporto al varco di Rafah, tra Gaza e l’Egitto (credits: Mahmud Hams / Afp))Dal varco al confine tra Egitto e la Striscia di Gaza sono uscite ieri più di 400 persone, 335 cittadini stranieri e palestinesi con doppio passaporto e 76 feriti gravi che non potevano essere assistiti negli ospedali locali ormai allo stremo. Oggi è prevista l’evacuazione di altri 400 cittadini stranieri e di una sessantina di feriti, in totale nei prossimi giorni i cancelli di Rafah dovrebbero restare aperti per circa 7.500 persone, secondo una lista stilata da diversi Paesi e avallata dalle autorità egiziane e israeliane. L’accordo tra Il Cairo e Tel Aviv è stato reso possibile grazie alla mediazione di Stati Uniti e Qatar.Nella dichiarazione la Commissione Ue ha voluto sottolineare di aver già triplicato la sua assistenza umanitaria a Gaza, portandola a 78 milioni di euro, con l’obiettivo di “consentire ai partner di continuare il loro prezioso lavoro umanitario”, e di aver già effettuato 6 voli con oltre 263 tonnellate di aiuti umanitari, preposizionati in Egitto in attesa di una “rapida consegna di assistenza alle persone bisognose a Gaza”.
    Per l’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani i raid sul campo profughi potrebbero essere un crimine di guerra, l’Unicef parla di “scene di carneficina”. Da Bruxelles solo l’Alto rappresentante Josep Borrell si dice “sconvolto dal numero di vittime civili”