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    In Armenia sarà dispiegata una missione civile dell’Ue per stabilizzare il confine con Azerbaigian e il Nagorno-Karabakh

    Bruxelles – L’impegno dell’Unione Europea per sostenere gli sforzi diplomatici tra Armenia e Azerbaigian nella regione del Nagorno-Karabakh diventa concreto. I ministri degli Affari Esteri dei Paesi membri Ue hanno stabilito oggi (23 gennaio) di istituire una missione civile dell’Unione Europea in Armenia nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di “contribuire alla stabilità nelle zone di confine, rafforzare la fiducia sul terreno e garantire un ambiente favorevole agli sforzi di normalizzazione” dei due Paesi caucasici. È da quasi un anno che Bruxelles sta cercando di prendere le redini della diplomazia nel Caucaso meridionale, ma la situazione sul campo continua a deteriorarsi e al momento non si vede una via d’uscita alla crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    La missione civile Euma “avvia una nuova fase dell’impegno dell’UE nel Caucaso meridionale, verso una pace sostenibile”, ha rimarcato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, commentando la decisione del Consiglio dell’Ue di continuare a sostenere e rendere più efficaci gli sforzi di allentamento della tensione tra Armenia e Azerbaigian. Dopo il dispiegamento di 40 esperti di monitoraggio dalla missione in Georgia (Eumm) a metà ottobre e i 176 pattugliamenti fino al 19 dicembre, a Bruxelles è stato dato il via libera al mandato della nuova missione civile dell’Ue in Armenia (inizialmente di due anni) con a capo Stefano Tomat, amministratore delegato della capacità civile di pianificazione e condotta del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae).
    In risposta alla richiesta dell’Armenia “l’Euma effettuerà pattugliamenti di routine e riferirà sulla situazione”, ha precisato in una nota l’alto rappresentante Borrell, aggiungendo che la missione “contribuirà anche agli sforzi di mediazione nel quadro del processo guidato dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel“. Dal maggio dello scorso anno l’Unione Europea ha preso il posto della Russia come mediatrice tra Armenia e Azerbaigian, sia lungo il confine sia nella regione del Nagorno-Karabakh. Nell’enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) è dal 1992 che si protrae un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate come quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh.

    We establish today a civilian EU Mission in Armenia #EUMA, to contribute to stability, build confidence & ensure an environment conducive to normalisation efforts between Armenia & Azerbaijan.
    It launches a new phase in our South Caucasus engagement, towards sustainable peace. https://t.co/lLJFN04pee pic.twitter.com/dS50l1UQ0P
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) January 23, 2023

    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio il presidente del Consiglio Ue Michel ha reso sempre più frequenti i contatti diretti con il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ponendo come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine tra i due Paesi. Tuttavia, mentre a Bruxelles si gioca la partita diplomatica, sul campo non si è mai allentata la tensione: nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra i due Paesi caucasici, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan (22 maggio 2022)
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte del principale mediatore internazionale ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Il compromesso iniziale è stato raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, durante il vertice bilaterale tra il presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan mediato dal presidente francese, Emmanuel Macron, e del Consiglio Ue Michel. A pochi giorni dalla fine della missione dei 40 esperti a dicembre, la situazione si è ulteriormente aggravata nel Nagorno-Karabakh. Il 12 dicembre l’Azerbaigian ha bloccato il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh: da 43 giorni su questa strada non transitano più beni essenziali come cibo e farmaci, ma Baku ha tagliato anche l’erogazione di gas e acqua potabile.
    L’appello degli eurodeputati sul Nagorno-Karabakh
    Proprio sulla crisi umanitaria in atto nel Nagorno-Karabakh è arrivata la denuncia del Parlamento Europeo la scorsa settimana durante la sessione plenaria a Strasburgo. La risoluzione approvata dagli eurodeputati ha accusato Baku per le “tragiche conseguenze” del blocco del corridoio di Lachin da parte di “sedicenti ambientalisti”, che viola la tregua del novembre 2020. Considerata “l’inerzia” della diplomazia russa nella regione e l’impossibilità per gli armeni dell’enclave di accedere a beni essenziali e fonti energetiche – case, ospedali e scuole sono senza riscaldamento – il Parlamento Ue ha intimato all’Azerbaigian di “riaprire immediatamente” la strada e ad “astenersi dal compromettere il funzionamento dei collegamenti di trasporto, energia e comunicazione tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh”.
    In questo contesto è considerata necessaria la sostituzione dei peacekeeper russi con forze di pace internazionali dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) su mandato delle Nazioni Unite, così come un ruolo attivo da parte dell’Unione Europea nel “partecipare attivamente” e “garantire che gli abitanti del Nagorno-Karabakh non siano più tenuti in ostaggio dall’attivismo di Baku, dal ruolo distruttivo della Russia e dall’inattività del gruppo di Minsk”. L’obiettivo ultimo è “un accordo di pace globale, che deve garantire i diritti e la sicurezza della popolazione armena” nell’enclave in Azerbaigian, che ne tuteli i diritti e la metta al riparo dalla “retorica incendiaria che invoca la discriminazione nei confronti degli armeni” perché lascino la regione.

    Il Consiglio dell’Ue ha deciso di istituire la missione Euma con l’obiettivo di “garantire un ambiente favorevole” agli sforzi diplomatici per la normalizzazione dei rapporti dei due Paesi caucasici. Oltre 120 mila persone nell’enclave armena sono tagliate dal mondo esterno da quasi 50 giorni

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    Una trasferta senza precedenti. I membri della Commissione Ue valutano una riunione di alto livello a Kiev a febbraio

    Bruxelles – A quasi un anno dall’inizio della guerra russa in Ucraina la Commissione Ue è alla ricerca di nuove occasioni per rafforzare il proprio messaggio di sostegno al Paese partner sul fronte orientale, con una solidarietà fatta di azioni simboliche e di discussioni tecniche e politiche sempre più intense con Kiev. Tra questi c’è l’appuntamento già annunciato per il 3 febbraio in territorio ucraino per il vertice Ue-Ucraina, a cui parteciperanno la presidente della Commissione e quello del Consiglio Ue). Ma la prossima mossa del gabinetto von der Leyen potrebbe essere un appuntamento senza precedenti, che dovrebbe portare diversi membri dell’esecutivo comunitario a sedersi al tavolo del confronto con le rispettive controparti del governo ucraino proprio a Kiev, nel mese di febbraio. Quando si chiuderà il primo anno di invasione russa e di lotta del popolo ucraino a difesa del proprio Paese, con il contributo decisivo dell’Unione Europea.
    I membri della Commissione Europea durante il seminario del Collegio dei commissari (11 gennaio 2023)
    Dopo le anticipazioni di Politico, diversi funzionari europei hanno confermato a Eunews che la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha proposto ieri (11 gennaio) durante il seminario del Collegio dei commissari l’incontro con il governo guidato da Denys Shmyhal nella capitale ucraina a febbraio. Una data ancora non è stata fissata, ma sono due i momenti del mese su cui prestare attenzione.
    Il primo è all’inizio di febbraio, quando von der Leyen (insieme al presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel) si recherà a Kiev per il vertice Ue-Ucraina con il presidente del Paese, Volodymyr Zelensky. Lunedì (9 gennaio) sono arrivate conferme anche dalla presidenza di turno del Consiglio dell’Ue che l’appuntamento del 3 febbraio non si terrà a Bruxelles – come inizialmente previsto – ma in Ucraina, e la presenza della numero uno dell’esecutivo comunitario rende molto verosimile che l’occasione possa essere sfruttata dai membri del suo gabinetto per accodarsi e incontrare quelli del governo ucraino nei giorni immediatamente precedenti o successivi. Il secondo momento è la fine del mese: il 24 febbraio cadrà l’anno esatto dall’inizio della resistenza ucraina e non è da escludere un forte gesto simbolico da parte della Commissione Ue per ribadire nuovamente la solidarietà al popolo e all’establishment politico del Paese.
    Chi potrebbe partecipare per la Commissione Ue
    Il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (Kiev, 15 settembre 2022)
    Come ricordano le fonti, in linea di principio l’invito è aperto a tutti i commissari e le commissarie, a prescindere da quanto i dossier di propria responsabilità siano legati all’Ucraina. L’incontro con i ministre e le ministre del governo ucraino dovrebbe rappresentare un approfondimento dei rapporti con Kiev a 360 gradi, anche considerata la candidatura del Paese all’adesione Ue e la necessità di valutare sia i progressi nell’attuazione delle sette raccomandazioni della Commissione sia le prospettive di integrazione nel Mercato Unico. Ma la decisione di recarsi nella capitale ucraina sarà completamente volontaria per ciascuno dei membri del gabinetto von der Leyen e i funzionari europei precisano che le risposte definitive arriveranno solo nelle prossime settimane (anche quando sarà stabilita una data ufficiale).
    Al momento le fonti si sbilanciano solo su pochi nomi. A quanto si apprende a Bruxelles, sembra comunque molto probabile – al netto di impegni inderogabili – la presenza dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, considerato il suo ruolo centrale per i rapporti con l’Ucraina in questa anno di guerra. Lo stesso si può dire del commissario per l’Ambiente, Virginijus Sinkevičius, che le fonti fanno sapere aver parlato intensamente ieri con la presidente von der Leyen a margine del seminario. Altamente probabile è anche la presenza del vicepresidente esecutivo per l’Economia e commissario per il Commercio, Valdis Dombrovskis, mentre sta valutando la possibilità di partecipare il commissario per l’Agricoltura, Janusz Wojciechowski.

    Funzionari europei confermano a Eunews che la presidente von der Leyen ha proposto ai commissari di incontrare le rispettive controparti ucraine per discutere di tutti i dossier sulla solidarietà contro l’invasione russa. Non c’è ancora una data, ma arrivano i primi ‘sì’ ufficiosi

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    A Bruxelles si sblocca il dossier Sarajevo. La Bosnia ed Erzegovina è un nuovo Paese candidato all’adesione Ue

    Bruxelles – Nessuna sorpresa, ma un passo enorme per le prospettive bosniache di entrare nell’Unione Europea. I capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri hanno dato il via libera oggi (giovedì 15 dicembre) alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, seguendo la raccomandazione del Consiglio Affari Generali di martedì (13 dicembre) a proposito del processo di allargamento e quello di stabilizzazione e associazione. Dopo più di sei anni di attesa nell’anticamera di Bruxelles (era il 15 febbraio 2016 quando veniva presentata ufficialmente la domanda di Sarajevo), il Paese balcanico è diventato l’ottavo candidato ufficiale per l’adesione all’Unione.
    Il ponte di Mostar (Bosnia ed Erzegovina) illuminato con la bandiera dell’Unione Europea
    Lo status di Paese candidato alla Bosnia ed Erzegovina è stato confermato dalle conclusioni del Consiglio Europeo, dopo l’approvazione all’unanimità da parte dei Ventisette. Per Sarajevo si apre ora un cammino di implementazione delle riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione, come sottolineato nella raccomandazione della Commissione Europea. Proprio l’esecutivo comunitario è stato il maggiore sponsor della candidatura bosniaca – sia con l’esortazione al Consiglio dello scorso 12 ottobre sia con il discorso vibrante della presidente Ursula von der Leyen nel suo viaggio di fine ottobre a Sarajevo – ed è ora chiamato a tenere sotto osservazione i progressi del nuovo Paese candidato all’adesione.
    “L’endorsement dei leader è una grande occasione offerta alla Bosnia ed Erzegovina per spingere sulla strada della riforme e imbarcarsi davvero sul cammino europeo“, ha sottolineato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “È un grande passo per il Paese e per tutta la regione”. Congratulazioni a Sarajevo arrivano anche dal presidente del Consiglio, Charles Michel: “È un segnale forte alla popolazione, ma anche una chiara aspettativa che le nuove autorità realizzino le riforme”.
    La decisione di oggi conferma la valutazione preliminare del Consiglio Ue del 23 giugno scorso – dopo il fallimentare vertice Ue-Balcani Occidentali di Bruxelles – quando i 27 leader Ue si erano detti “pronti” a riconoscere lo status a Sarajevo, ma a condizione che la Commissione riferisse “senza indugio” sull’attuazione delle 14 priorità-chiave. Il blocco delle discussioni sulla concessione dello status di candidati per Ucraina e Moldova da parte del triangolo Slovenia-Croazia-Austria (le tre ‘colombe’ bosniache in Consiglio), fino a quando non si fosse trovata almeno una parziale risposta alla questione bosniaca, aveva permesso di definire un obiettivo chiaro: permettere ai leader Ue di “tornare a decidere nel merito” quanto prima. A sei mesi di distanza da quel Consiglio l’accelerazione sul dossier Sarajevo ha dato i suoi frutti, ma adesso la palla passa alla Bosnia ed Erzegovina, dove si dovranno affrontare criticità non indifferenti per l’apertura del negoziati di adesione all’Ue.

    Bosnia and Herzegovina was granted the status of candidate country today.
    A strong signal to the people, but also a clear expectation for the new authorities to deliver on reforms.
    The future of the Western Balkans is in the #EU
    Congratulations!#EUCO pic.twitter.com/1TUWlGlNPu
    — Charles Michel (@CharlesMichel) December 15, 2022

    Gli ostacoli sul cammino europeo della Bosnia ed Erzegovina
    Il municipio di Sarajevo (Bosnia ed Erzegovina) illuminato con la bandiera dell’Unione Europea
    Il primo livello di criticità per la Bosnia ed Erzegovina riguarda la questione istituzionale. Dopo la complessa tornata elettorale dello scorso 2 ottobre, la nuova presidenza tripartita vede la presenza di Željko Komšić (croato), Denis Bećirović (bosgnacco) e soprattutto la riconferma di Milorad Dodik (serbo), ex-presidente della Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba, complementare alla Federazione di Bosnia ed Erzegovina). Dall’ottobre dello scorso anno proprio Dodik si è fatto promotore di un progetto secessionista per sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, per cui il Parlamento Europeo aveva evocato sanzioni economiche e su cui la Commissione aveva iniziato a ragionare. Dopo la dura condanna da parte dell’Unione dei tentativi secessionisti della Republika Srpska (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno i leader bosniaci si erano radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme necessarie sul piano elettorale e costituzionale nel Paese balcanico.
    Ma la costante crisi istituzionale nel Paese balcanico si accompagna a un’altra questione urgente per l’Unione Europea: quella della destabilizzazione russa e dell’allineamento alle sanzioni internazionali contro Mosca, dopo l’invasione armata dell’Ucraina. Insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato le misure restrittive, a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Dodik è particolarmente vicino all’autocrate russo, Vladimir Putin, e non ha mai nascosto la propria ambiguità non solo sul conflitto in corso in Ucraina, ma anche sull’annessione illegale da parte del Cremlino delle regioni ucraine Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia: “Incontrerò personalmente Putin, per confrontarci su progetti energetici concreti e del comportamento dell’Occidente“, aveva provocato Dodik a fine settembre dopo i referendum illegali in Ucraina (anche se l’incontro non si è ancora concretizzato). Per Bruxelles non è nemmeno ipotizzabile un mancato allineamento di un Paese candidato all’adesione Ue ai principi fondanti della Politica estera e di sicurezza comune (Pesc), “incluse le misure restrittive”, come avevano messo in chiaro le conclusioni del vertice Ue-Balcani Occidentali di martedì scorso (6 dicembre) a Tirana.
    Il punto sull’allargamento Ue
    Il processo di allargamento Ue coinvolge i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), la Turchia – i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan – Ucraina e Moldova – a cui è stato concesso al vertice dei leader Ue di giugno lo status di Paesi candidati – e Georgia, a cui è stata riconosciuta la prospettiva europea. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord si è sbloccato a metà luglio dopo quasi tre anni di stallo (prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello della Bulgaria contro Skopje). A sei anni dalla sua domanda di adesione, la Bosnia ed Erzegovina è da oggi un candidato ufficiale, mentre il Kosovo ha firmato nello stesso anno l’Accordo di stabilizzazione e associazione e ieri (mercoledì 14 dicembre) ha fatto richiesta a Bruxelles per diventare il prossimo Paese candidato.
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’Ue è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen: per i Balcani Occidentali è compresa la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra l’Unione e il Paese richiedente, a cui viene offerta la prospettiva di adesione. Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri, si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    I capi di Stato e di governo dei 27 Stati membri Ue hanno dato il via libera alla concessione dello status a Sarajevo, che diventa l’ottavo candidato ufficiale nel processo di allargamento dell’Unione.

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    Unione Europea e Cile hanno siglato un accordo avanzato di partenariato su commercio, ambiente e materie prime

    Bruxelles – Un nuovo accordo per spingere la cooperazione tra Unione Europea e Cile, che dovrebbe sbloccare 4,5 miliardi di euro in esportazioni europee e rendere la quasi totalità dei prodotti diretti verso Santiago del Cile esente da dazi. Con la conclusione dei negoziati sull’accordo quadro avanzato Ue-Cile in occasione della riunione di oggi (venerdì 9 dicembre) tra il vicepresidente esecutivo della Commissione e titolare per il Commercio, Valdis Dombrovskis, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e la ministra cilena degli Esteri, Antonia Urrejola, l’Unione e il Paese sudamericano si sono impegnati a rafforzare il dialogo politico e approfondire i rapporti in ambito commerciale, ambientale, energetico e di investimenti.
    Da sinistra: il vicepresidente esecutivo della Commissione e titolare per il Commercio, Valdis Dombrovskis, la ministra cilena degli Esteri, Antonia Urrejola, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (9 dicembre 2022)
    “L’azione per il clima, il commercio sostenibile e la parità di genere sono al centro del nostro partenariato”, ha commentato con entusiasmo la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: l’intesa con il Cile “rafforza la cooperazione sulle materie prime critiche” ed “un buon accordo per l’economia, le persone e il pianeta”, ha aggiunto la leader dell’esecutivo comunitario. Tra i punti centrali su cui si imposterà la cooperazione tra Bruxelles e Santiago del Cile c’è in particolare l’accesso alle materie prime e ai combustibili puliti necessari per la transizione verso l’economia verde, in particolare litio, rame e idrogeno. In questo contesto dovrà essere garantito “pari trattamento” per gli investitori comunitari in Cile – e viceversa – anche in materia energetica, mentre alle aziende Ue sarà garantita più facilità nel fornire servizi nei settori delle consegne, delle telecomunicazioni, del trasporto marittimo e dei servizi finanziari.
    In particolare per l’Italia assume grande rilevanza il capitolo sulla protezione dei prodotti tutelati nell’Ue e in Cile. La lista di vini e liquori sotto protezione legale coprirà tutte le Dop e Igp attualmente registrate nell’Ue, tra cui anche il Prosecco (dei 216 prodotti protetti, circa un quinto è italiano). Per quanto riguarda gli alimenti, le denominazioni italiane protette sono 39, compresi Aceto Balsamico di Modena, Vitellone Bianco dell’Appennino centrale e Parmigiano Reggiano. Nel capitolo sui sistemi alimentari sostenibili è inclusa la liberalizzazione dell’export di formaggi (al momento  sottoposta a quota) e di prodotti agricoli trasformati, in cambio di quote addizionali per l’accesso del Cile al mercato unico su carni bovine (2 mila tonnellate), pollame (18 mila), suine (9 mila) e ovine (4 mila).
    Alla base dell’accordo rafforzato ci sono “valori condivisi” come il rispetto dei principi democratici, i diritti umani e lo Stato di diritto, ma anche il dialogo sulla pace, la giustizia e la sicurezza internazionale. Di particolare rilevanza il capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile, che conferma l’impegno delle due parti sugli standard dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) e dell’Accordo di Parigi, e si rinnova l’attenzione vero la scienza, la tecnologia, la ricerca e l’innovazione.
    “Questo accordo creerà nuove opportunità per sostenere la crescita economica di entrambe le parti, sostenuta da una protezione molto più forte dell’ambiente e del clima, dei diritti dei lavoratori, dell’uguaglianza di genere e dei sistemi alimentari”, ha sottolineato il vicepresidente della Commissione Dombrovskis. A fargli eco l’alto rappresentante Ue Borrell, ricordando che “quest’anno ricorre il ventesimo anniversario dell’Accordo di associazione con il Cile“: in un “periodo di sfide geopolitiche senza precedenti”, Bruxelles e Santiago aprono “un nuovo capitolo del nostro partenariato privilegiato”. L’accordo di associazione è stato siglato nel 2022 e comprende un accordo commerciale globale, entrato in vigore nel febbraio dell’anno successivo. Nel corso degli ultimi 20 anni gli scambi di merci tra le due parti sono cresciuti del 163 per cento – riporta la Commissione – mentre le esportazioni europee di merci del 284 per cento.

    Secondo l’intesa stretta tra Bruxelles e Santiago, sarà esente da dazi il 99,9 per cento delle esportazioni europee, per un aumento stimato “fino a 4,5 miliardi di euro”. Focus su investimenti reciproci, standard climatici, tutela dei prodotti e accesso a litio, rame e idrogeno

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    Presentata la Strategia Ue per la salute globale che “rafforzerà la leadership europea”

    Bruxelles – È pronta la strategia dell’Unione europea, annunciata a luglio 2022, per affrontare le sfide in materia di salute in tutto il mondo. La Commissione Ue ha presentato questa mattina (30 novembre) lo scheletro dell’agenda europea per l’azione globale per i prossimi dieci anni che – hanno ripetuto come un mantra l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e le commissarie Stella Kyriakides e Jutta Urpilainen – “rafforza il ruolo di leadership di Bruxelles” nel sistema sanitario mondiale. Un sistema multilaterale, che nella visione della Commissione vedrebbe al centro del sistema “un’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) più forte, efficace e responsabile”, legata con una “cooperazione approfondita” al G7, al G20 e ad altri partner globali, regionali e bilaterali.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    “La salute non è più solo una questione scientifica e medica – ha dichiarato Borrell – ma è diventata un elemento critico delle politiche estere, di sicurezza e commerciali, nonché un’area chiave della cooperazione internazionale”. Dopo aver trascorso gli ultimi due anni di pandemia a costruire una risposta comunitaria di fronte alle crisi sanitarie, la nuova strategia pone per la prima volta la salute globale come un pilastro fondamentale della politica esterna dell’Ue, definita “un settore critico dal punto di vista geopolitico e centrale per l’autonomia strategica dell’Unione”.
    La strategia globale Ue identifica tre priorità fondamentali legate tra loro. Garantire una migliore salute e benessere delle persone durante il corso della vita, rafforzare i sistemi sanitari e promuovere una copertura sanitaria universale, prevenire e combattere le minacce per la salute, comprese le pandemie, applicando un approccio One Health (quel metodo multisettoriale, operante a tutti i livelli, che nel perseguire la salute riconosce l’interconnessione tra umani, animali, piante e il loro ambiente condiviso).
    La pandemia ha insegnato che, per proteggere i cittadini dalle minacce sanitarie, c’è bisogno di prevenzione, individuazione precoce e risposte celeri. Per questo è importante innanzitutto “un accesso più equo ai vaccini e alle cure mediche, rafforzando i sistemi farmaceutici locali e la capacità produttiva”. E poi una “maggiore sorveglianza e rilevamento di agenti patogeni e norme internazionali solide e vincolanti sulle pandemie”.

    The #EUGlobalHealthStrategy is Europe’s agenda for 🌍 health action for the next 10 years.
    The #COVID19 pandemic has shown that viruses know no borders. The health of citizens is linked around the world.
    This means we must be ready to tackle the next crisis united and together. pic.twitter.com/3sddZe3AkM
    — Stella Kyriakides (@SKyriakidesEU) November 30, 2022

    Per la commissaria per la Salute e la sicurezza alimentare, Stella Kyriakides, è fondamentale l’introduzione dell’approccio “Health in all policies (Salute in tutte le politiche)”, per garantire che gli obiettivi di salute vengano declinati in un’ampia varietà di politiche: che si parli di ambiente o di politiche alimentari, di conflitti o di disuguaglianze sociali, la salute rimane l’obiettivo da porsi. In questo senso, l’azione è volta a “riconquistare il terreno perduto per raggiungere gli obiettivi universali relativi alla salute negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” previsti per il 2030.
    “Quando è arrivata la pandemia di Covid-19, non eravamo pronti a livello globale”, ha ammesso Kyriakides. Ma l’Ue rivendica i grandi sforzi compiuti negli ultimi due anni: 2 miliardi e mezzo di vaccini inviati in tutto il mondo, la nascita dell’Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (Hera), l’esborso di 47.7 miliardi di euro attraverso Team Europe per aiutare i Paesi partner a affrontare le conseguenze della pandemia.
    Tedros Adhanom Ghebreyesus e Jutta Urpilainen
    Tutto questo ha “fatto sì che l’Ue si posizionasse al primo posto nel mondo per gli sforzi in materia di sanità”, ha ricordato la commissaria per i Partenariati internazionali, Jutta Urpilainen, determinata ora a ampliare le partnership in materia di salute sotto l’ombrello del Global Gateway, a cominciare da quella firmata oggi a Bruxelles con il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, per investire 125 milioni di euro nei sistemi sanitari: “migliorare la sovranità sanitaria dei nostri partner garantirà maggiore resilienza e autonomia e ci consentirà di concentrarci sui più bisognosi”, ha dichiarato la commissaria.

    La nuova strategia pone per la prima volta la salute globale come pilastro fondamentale della politica esterna dell’Unione, con l’Oms e partnership globali, regionali e bilaterali. La Commissione ha già firmato un accordo per 125 milioni di euro nei sistemi sanitari

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    L’accordo di Cenerentola a Bruxelles. Allo scoccare della mezzanotte Serbia e Kosovo trovano l’intesa sulle targhe

    dall’inviato a Strasburgo – “We have a deal!” Abbiamo un accordo, sulle targhe serbe in Kosovo. Come quasi sempre – tra Pristina e Belgrado – all’ultimo secondo, quando tutto sembra andare per il verso sbagliato. Ad annunciarlo, con un tweet in cui si può leggere tutto il sollievo per una situazione che sembrava essere sfuggita di mano dopo l’ultimo incontro fallimentare a Bruxelles tra il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, è stato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Sono molto lieto di annunciare che i capi-negoziatori del Kosovo e della Serbia, sotto la guida dell’Ue, hanno concordato misure per evitare un’ulteriore escalation e concentrarsi pienamente sulla proposta di normalizzazione delle loro relazioni”.
    Da sinistra: il capo-negoziatore della Serbia, Petar Petković, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il capo-negoziatore del Kosovo, Besnik Bislimi (23 novembre 2022)
    La nuova riunione focalizzata sulla questione delle targhe serbe in Kosovo tra i due capi-negoziatori – il kosovaro Besnik Bislimi e il serbo Petar Petković – era stata convocata nella giornata di ieri (mercoledì 23 novembre) dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, a Bruxelles. L’obiettivo era quello di dare un seguito più costruttivo al vertice di alto livello di lunedì (21 novembre), per “trovare una soluzione per allentare le tensioni sul campo” a proposito delle targhe serbe in Kosovo e “lavorare per la normalizzazione delle relazioni“, aveva anticipato lo stesso membro del gabinetto von der Leyen. Dopo diverse ore di negoziati – ormai sullo scadere del termine della proroga di 48 ore concessa da Pristina sull’imposizione di multe per le targhe serbe in Kosovo con la sigla KM (acronimo di Kosovska Mitrovica) e altre utilizzate dalla minoranza serba nel nord del Paese – i diplomatici sono arrivati alla fine a un’intesa complessiva, “grazie al loro impegno costruttivo” e al “supporto inestimabile della diplomazia statunitense”, ha specificato Lajčák.
    Secondo quanto reso noto dall’alto rappresentante Borrell, “la Serbia smetterà di emettere targhe con denominazioni di città kosovare“, mentre “il Kosovo cesserà ogni ulteriore azione relativa alla re-immatricolazione dei veicoli“. Si tratta dello stesso compromesso su cui era naufragata la riunione d’emergenza di lunedì e su cui l’alto rappresentante aveva ribadito con forza l’assoluta irremovibilità da parte dell’Ue. Allo stesso tempo, “le parti sono consapevoli che tutti i precedenti accordi di dialogo devono essere attuati” – a partire dagli Accordi di Bruxelles del 2013 – a ridosso di una convocazione dei due leader balcanici che arriverà “nei prossimi giorni”, per “discutere dei prossimi passi” sulle targhe serbe in Kosovo e sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi. Nonostante Bruxelles rimanga saldamente l’attore internazionale in carica per la mediazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado, Borrell ha avvertito senza giri di parole che “in caso di ostruzione da parte di una delle parti, abbiamo concordato che l’Ue può interrompere il processo” che dura ormai da oltre 10 anni.

    We reached an agreement between #Kosovo and #Serbia today that will allow to avoid further escalation.
    We will discuss next steps within the framework of our proposal for normalisation of relations between the two parties. pic.twitter.com/YQ7vVWPOgT
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) November 23, 2022

    Cos’aveva scatenato le tensioni sulle targhe serbe in Kosovo
    Le tensioni imperniate sulle targhe serbe in Kosovo sono cresciute giorno dopo giorno nelle regioni settentrionali del Paese nelle prime tre settimane di novembre, dopo l’introduzione del piano a tappe per l’applicazione delle regole sulla re-immatricolazione dei veicoli lo scorso 28 ottobre. Secondo quanto previsto dal piano, fino al 21 novembre è stato emesso solo un solo avvertimento a chi non si è adeguato alle nuove norme sulle targhe serbe in Kosovo, mentre da giovedì (24 novembre, con una doppia proroga per un totale di tre giorni) e il 21 gennaio le autorità kosovare avrebbero dovuto emettere una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile avrebbero dovuto applicare una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarebbe dovuta essere invece definitiva e i veicoli non conformi sottoposti a sequestro.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). La situazione è arrivata a diventare così delicata da essere definita dallo stesso alto rappresentante Borrell “la più pericolosa dal 2013“, anche peggiore rispetto ad agosto, quando si era riaccesa la disputa a proposito delle targhe serbe in Kosovo per colpa dell’assenza di una soluzione definitiva dopo quasi un anno di negoziati. “Meno di 50 poliziotti kosovaro-albanesi stanno gestendo la situazione, questo crea un vuoto di sicurezza sul campo molto pericoloso in una situazione di fragilità evidente”, è stato l’allarme suonato a Bruxelles.
    Lo scorso 14 novembre l’alto rappresentante Borrell ha poi dato il via libera al lavoro dei negoziatori delle due parti, prima di convocare una settimana più tardi i leader Kurti e Vučić, proprio in occasione della prima scadenza (prorogata in quel momento a martedì 22 novembre) sull’entrata in vigore delle multe per chi ancora utilizza targhe serbe in Kosovo. Riunione andata poi malissimo, a causa del “comportamento non costruttivo delle parti e della totale mancanza di rispetto per i loro obblighi legali internazionali, in particolare del Kosovo”, ha attaccato con veemenza Borrell al termine del vertice. Nello specifico, quella presentata era “una proposta che avrebbe potuto risolvere la situazione, che il presidente Vučić ha accettato, mentre il primo ministro Kurti non l’ha fatto“. La stessa proposta, appunto, su cui è stato raggiunto un compromesso sulle targhe serbe in Kosovo nella tarda serata di soli due giorni più tardi.
    Da sinistra: il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto (22 novembre 2022)
    Mentre Pristina ha accettato lunedì a mezzanotte una proroga di 48 ore sulle multe contro chi usa targhe serbe in Kosovo – chiesta dall’ambasciatore statunitense nel Paese balcanico, Jeff Hovenier, per tentare di raggiungere un’intesa dell’ultima ora -ft immediatamente si è attivata la diplomazia. L’Italia, in particolare, si è inserita con una missione diplomatica guidata dai ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, a Pristina, dedicata alle prospettive di integrazione della regione nell’Unione, affiancandolo a una proposta di mediazione franco-tedesca di ampio respiro su cui anche Bruxelles spinge per chiudere in tempi relativamente brevi un dialogo che ha visto fin troppi colpi di scena dall’8 marzo 2011.

    Ad annunciarlo è stato l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, sullo scadere della proroga per l’entrata in vigore delle multe per la re-immatricolazione dei veicoli. Belgrado smetterà di emettere targhe con denominazioni di città kosovare, Pristina ulteriori azioni del piano a tappe

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    L’iniziativa per il grano del Mar Nero è stata estesa per altri 4 mesi. L’Ue accoglie l’accordo contro la crisi alimentare

    Bruxelles – Altri quattro mesi di accordo per le esportazioni di grano dai porti del Mar Nero dell’Ucraina, per non aggravare la crisi alimentare globale nel corso dell’inverno. Le quattro parti coinvolte nell’iniziativa per il grano del Mar Nero (Turchia, Ucraina, Russia e le Nazioni Unite) hanno confermato questa mattina (giovedì 17 novembre) l’estensione dell’intesa “senza alcun cambiamento”, con l’annuncio arrivato dal presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan: “A seguito di colloqui a quattro ospitati dalla Turchia, l’accordo sul corridoio del grano del Mar Nero è stato prorogato di 120 giorni dal 19 novembre“.
    A celebrare l’intesa arrivata in extremis sono stati i vertici delle istituzioni comunitarie. “L’iniziativa Black Sea Grains delle Nazioni Unite aiuta a evitare carenze alimentari globali e ad abbassare i prezzi dei prodotti nonostante la guerra della Russia” in Ucraina, ha sottolineato in un tweet la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, congratulandosi con il segretario generale dell’Onu, António Guterres, e con il leader turco per il risultato raggiunto. Anche il numero uno del Consiglio, Charles Michel, ha ricordato che “con 10 milioni di tonnellate già esportate nell’ambito di questa iniziativa dall’Ucraina, è una buona notizia per un mondo che ha un disperato bisogno di accesso a cereali e fertilizzanti“.

    I congratulate @antonioguterres and President @RTErdogan for the agreement on the continuation of the Black Sea Grain Initiative
    Together with EU Solidarity Lanes the UN Black Sea Grain Initiative helps avoid global food shortages and bring down food prices despite Russia’s war. https://t.co/PWW2p6oE5F
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) November 17, 2022

    In vista della scadenza imminente dell’accordo, nelle ultime settimane sono stati condotti intensi negoziati sotto l’egida Onu, per garantire la proroga dell’intesa. Mentre oltre 10 milioni di tonnellate di creali sono ancora bloccate nei silos in Ucraina, a essere più colpiti sono i Paesi in via di sviluppo (che a oggi hanno ricevuto il 40 per cento di tutte le esportazioni dai porti ucraini del Mar Nero). I cereali sono essenziali per stabilizzare i prezzi sui mercati internazionali e per rifornire le popolazioni più vulnerabili al rischio fame, in particolare in Africa. Poco più di due settimane fa la Russia si era temporaneamente sfilata dall’accordo e ne aveva chiesto la sospensione, dopo l’attacco subito dalla sua flotta al largo di Sebastopoli (principale città della Crimea annessa illegalmente da Mosca).
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Nel quadro della stessa intesa sul grano dal Mar Nero, l’Onu ha anche agevolato la consegna di 260 mila tonnellate di fertilizzante russo, il cui primo carico andrà in Malawi (uno dei Paesi più poveri dell’Africa australe). “Sebbene la Russia sia impegnata in campagne di manipolazione delle informazioni e di diffusione della propaganda”, l’Ue è sempre stata chiara sul fatto che “le nostre sanzioni non riguardano il commercio di prodotti agricoli e alimentari, compresi cereali e fertilizzanti, tra la Russia e i Paesi terzi”, ha precisato in una nota l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.
    Nella stessa nota Borrell ha ricordato che il rinnovo dell’iniziativa delle Nazioni Unite sul grano del Mar Nero “rimane fondamentale per continuare a far scendere i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale e per garantire la sicurezza alimentare in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi più vulnerabili”. Nonostante “il cibo non dovrebbe mai essere usato come arma di guerra”, Mosca ha “esacerbato l’impennata dei prezzi alimentari”, anche a causa degli attacchi “deliberati” contro le strutture agricole e le rotte di esportazione ucraine.
    È qui che si inserisce l’iniziativa per il grano del Mar Nero mediata dalle Nazioni Unite, che “insieme alle rotte terrestri che attraversano l’Ue” nel quadro del corridoi di solidarietà – potenziati recentemente con un ulteriore miliardo di euro – ha contribuito a “stabilizzare e ad allentare la pressione sui prezzi alimentari globali, facilitando l’esportazione di cereali e prodotti agricoli verso i mercati mondiali”. Le due iniziative combinate hanno soprattutto permesso l’esportazione di “oltre 25 milioni di tonnellate di cereali e altri prodotti agricoli“, ha sottolineato con forza l’alto rappresentante Borrell, contribuendo al “calo dei prezzi degli alimenti negli ultimi mesi”.

    Le quattro parti coinvolte nell’intesa Black Sea Grains (Turchia, Ucraina, Russia e Nazioni Unite) hanno confermato l’estensione dell’accordo “senza alcun cambiamento”. Insieme ai corridoio di solidarietà di Bruxelles sono stati esportati “oltre 25 milioni di tonnellate di cereali”

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    L’Ue ha lanciato la missione di addestramento per l’esercito ucraino: 16 milioni di euro e 15 mila soldati da addestrare

    Bruxelles – Una decisione a supporto dell’esercito ucraino “attuata in tempi record, non ho mai visto qualcosa del genere”. Fa capire così la portata della nuova missione di assistenza militare dell’Unione europea a sostegno dell’Ucraina (Eumam) l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Con uno stanziamento pari a 16 milioni di euro e una durata complessiva di 24 mesi, il Consiglio Affari Esteri e Difesa ha dato il via libera alla missione di addestramento “individuale, collettivo e specializzato” per 15 mila membri delle Forze Armate ucraine.
    Dopo l’istituzione formale dello scorso 17 ottobre, i ministri Ue hanno messo sulla carta i dettagli del nuovo supporto operativo all’esercito ucraino, per potenziarne le capacità militari, proteggere la popolazione civile e difendere l’integrità territoriale e la sovranità del Paese dall’invasione russa “all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti”. La missione “sarà operativa entro la fine del mese”, è quanto anticipato dall’alto rappresentante Borrell.
    Il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto (15 novembre 2022)
    La gestione dei membri dell’esercito ucraino sarà affidata agli Stati membri “in diverse località” dell’Unione e a capo della struttura sarà il direttore della capacità di pianificazione e condotta militare (Mpcc), il viceammiraglio francese Hervé Bléjean. La cellula di controllo sarà posta a Bruxelles, mentre il comando operativo sarà svolto in Polonia, con un’altra base logistica in Germania. “Anche l’Italia parteciperà, perché da mesi portiamo avanti la richiesta di formazione specifica“, ha confermato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in un punto con la stampa post-vertice.
    I 16 milioni di euro di stanziamento finanziario si inseriscono come ulteriore misura di assistenza all’esercito ucraino nell’ambito dell’European Peace Facility, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (Pesc) dell’Ue. L’obiettivo dichiarato è quello di sviluppare le capacità di difesa e attacco per guidare la controffensiva nel territorio nazionale occupato dalle forze armate del Cremlino: “Sia l’Eumam sia la misura di assistenza sono state concepite sulla base dei requisiti operativi dell’Ucraina”, si legge nella nota pubblicata dal Consiglio dell’Ue, e andranno a finanziare la fornitura da parte degli Stati membri di munizioni ed equipaggiamento militare, ma anche trasporto, custodia, manutenzione e riparazione delle attrezzature.
    Questo si aggiunge ai 3,1 miliardi di euro già sborsati dall’Ue come supporto all’esercito ucraino attraverso l’European Peace Facility. Ma nel corso della conferenza stampa post-Consiglio Affari Esteri di ieri (lunedì 14 novembre) l’alto rappresentate Borrell ha voluto fare una precisazione: “Non dobbiamo confonderli con gli aiuti militari arrivati complessivamente dall’Unione intesa come Stati membri, posso anticipare che si tratta di 8 miliardi di euro in attrezzature militari già fornite a Kiev, pari al 45 per cento dello sforzo degli Stati Uniti”. Proprio nel corso del Consiglio Difesa di oggi (martedì 15 novembre) i 27 ministri Ue hanno discusso “nei dettagli” come queste attrezzature sono state utilizzate “e con quale efficacia”, ha precisato Borrell.
    Lo scenario bellico e i successi dell’esercito ucraino
    La decisione di supportare ulteriormente l’esercito ucraino è arrivata mentre il Paese invaso dal 24 febbraio si trova in un momento cruciale della controffensiva. Venerdì scorso (11 novembre) le forze armate di Kiev sono entrate nella città di Kherson, l’unica conquista della Russia sulla riva destra del Dnepr nei quasi nove mesi di guerra: “Con la ritirata da Kherson l’esercito russo ha subito una grossa sconfitta, non hanno nemmeno combattuto”, ha ricordato l’alto rappresentante Ue, che definendola “una prova che le apparecchiature militari dall’Europea e dagli Stati Uniti si stanno rivelando straordinariamente utili”. Sono in particolare i sistemi antiaerei a “fare la differenza”, dal momento in cui “in guerra la logistica e le apparecchiature critiche sono vitali” e, non a caso, “Kiev ha già riconquistato il 50 per cento dei territori occupati“.
    Il bombardamento di Kiev del 10 ottobre 2022 (credits: Maryna Moiseyenko / AFP)
    Tuttavia, proprio oggi sono stati lanciati una settantina di missili sulle città ucraine, con le sirene dall’antiaerea che risuonano in tutto il Paese. L’allerta sul rischio di attacco imminente era arrivata ieri sera in conferenza stampa da Borrell, tracciando lo scenario bellico oltre la frontiera orientale dell’Unione: “La forza russa è ancora grande, ma non viene usata per combattere, quanto per distruggere le infrastrutture critiche“. Anche il ministro italiano Crosetto ha confermato che “nessuno ha mai pensato di sottovalutare la forza della Russia e la capacità di resistere” per mesi alle sanzioni internazionali. Nonostante l’antiaerea dell’esercito ucraino stia intercettando “con grande efficacia” i droni forniti anche dall’Iran a Mosca, “Putin vuole distruggere il Paese”, dimostrato che “le intenzioni della Russia sono chiare, la guerra va avanti e la distruzione aumenta“. Questo però “è il momento della difesa, ma i parametri della pace saranno decisi dall’Ucraina”, ha voluto precisare Borrell.

    Dopo l’istituzione formale del 17 ottobre, il Consiglio dell’Ue ha definito i dettagli della missione Eumam, che fornirà addestramento “individuale, collettivo e specializzato” a parte delle forze armate di Kiev per 24 mesi. Il sostegno dallo strumento European Peace Facility