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    In Niger l’esercito (addestrato dall’Ue) si schiera con i golpisti. Bruxelles in contatto con il presidente Bazoum

    Bruxelles – “La situazione è ancora troppo fluida”, ha ripetuto più volte questa mattina (27 luglio) la portavoce della Commissione europea, Nabila Massrali. Ma è chiaro che la scelta dell’Ue di lanciare, appena cinque mesi fa, una nuova partnership militare con il Niger, rischia di trasformarsi in un clamoroso autogol. Perché l’esercito regolare si è unito alla Guardia Presidenziale, l’unità speciale che ieri ha catturato e deposto il presidente Mohamed Bazoum, in un vero e proprio colpo di stato nel Paese partner di Bruxelles nella regione del Sahel.
    Nella mattinata del 26 luglio gruppi della Guardia presidenziale del Niger hanno circondato il palazzo del presidente Bazoum e gli edifici di diversi ministeri a Niamey, la capitale del Paese. Dopo alcune ore di tensione, in cui i golpisti hanno deciso di trattenere il presidente, la sua famiglia e membri del suo entourage, l’annuncio sulla televisione nazionale: la deposizione di Bazoum è stata resa necessaria a causa del “continuo degradare della situazione di sicurezza e della cattiva gestione economica e sociale del Paese”. A pronunciare queste parole, il colonnello maggiore Amadou Abdramane, a capo di un gruppo che si è ribattezzato Consiglio nazionale per la salvaguardia del Paese. I golpisti hanno ordinato la sospensione di tutte le istituzioni, la chiusura delle frontiere aeree e terrestri e il coprifuoco dalle 22 alle 5. Da questo momento, ha dichiarato Abdramane, “la gestione del Paese è affidata alle forze di sicurezza”.
    Il colonnello maggiore Amadou Abdramane, portavoce del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia del Paese (CNSP), annuncia il golpe sulla televisione nazionale (Photo by ORTN – Télé Sahel / AFP)
    Dopo l’incertezza iniziale, sembrerebbe che l’esercito abbia deciso di unirsi alla Guardia Presidenziale per “preservare l’unità” del Paese. Immediate le condanne da parte della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.
    “Riaffermiamo il nostro pieno sostegno al Presidente Bazoum e la nostra convinzione che il Niger sia un partner essenziale dell’Ue nel Sahel, la cui destabilizzazione non gioverebbe agli interessi di nessuno, né nel Paese, né nella regione e oltre”, ha dichiarato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell. Gli ha fatto eco il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che questa mattina in un tweet ha fatto sapere di essere in contatto con Bazoum: “Ho parlato con il presidente e gli ho assicurato il pieno sostegno dell’Ue”, ha scritto Michel.
    Il golpe militare in Niger e i programmi d’addestramento Ue
    Il golpe in Niger è una vera e propria doccia fredda per Bruxelles che, dopo la sequela di colpi di Stato militari che si sono consumati in meno di un biennio nei Paesi del Sahel (Mali, Guinea e Burkina Faso), aveva puntato moltissimo sul presidente Mohamed Bazoum, democraticamente eletto due anni fa. “La nostra partnership con il Niger è solida e non smette di rinforzarsi in tutti i settori: sicurezza, sviluppo, educazione, transizione energetica”, aveva dichiarato il 5 luglio scorso Borrell dopo un incontro con Bazoum a Niamey. Appena tre settimane dopo quella visita, rischia di saltare tutto. “Non abbiamo visto nessun elemento scatenante”, ha ammesso Massrali, portavoce della Commissione europea.
    L’Alto rappresentante Ue Josep Borrell in Niger lo scorso 5 luglio
    Oltre il danno, la beffa: anche se dall’esecutivo Ue per ora non arriva alcuna conferma, perché “la situazione non è chiara in questo momento nel Paese”, non è da escludere che i militari che hanno orchestrato il colpo di stato fossero coinvolti nel programma di addestramento lanciato da Bruxelles lo scorso 20 febbraio. Una missione di partenariato militare (Eupmm) per sostenere il Niger nella lotta contro il terrorismo, con l’istituzione di un Centro per la formazione delle forze armate. Non solo formazione e infrastrutture, ma anche attrezzature: sempre nell’ambito della missione Eupmm l’Ue ha mobilitato 40 milioni di euro, attraverso l’European Peace Facility (Epf), per “rafforzare le capacità militari delle forze armate nigerine al fine di difendere l’integrità territoriale e la sovranità del Niger“.
    Sahel nel caos, Niger essenziale per i flussi migratori
    La cooperazione Ue-Niger passa anche per la questione migratoria: in piedi c’è un partenariato operativo contro il traffico di migranti, varato l’estate scorsa. Il Paese è snodo cruciale dei flussi di persone migranti dall’Africa sub-sahariana verso le coste di Tunisia, Algeria e Libia. Questione che sta particolarmente a cuore all’Italia, che lo scorso 22 luglio aveva annunciato lo stanziamento di 7,5 milioni di euro al Niger per cooperare “nella lotta la traffico di migranti e all’immigrazione irregolare nel Mediterraneo centrale”.
    Il colpo di stato a Niamey rischia di far scivolare ancora più nel caos il Sahel occidentale, vanificando gli sforzi dei Paesi Ue di mettersi al riparo da ingenti flussi migratori cercando di supportare la stabilità della regione. Anche in Mali l’Ue aveva avviato una partnership militare. O in Sudan. Potrebbe essere necessario politiche e strategie, ma “la responsabilità primaria di ciò che succede nel Sahel è in primo luogo dei Paesi della regione“, affermano dall’esecutivo comunitario. “La mancanza di governi e la debolezza degli Stati non permette nessun risultato, né nel campo della sicurezza né nel campo umanitario”.

    J’ai parlé avec le Président @mohamedbazoum et lui ai assuré le plein soutien de l’UE.
    Nous condamnons fermement toute tentative de déstabilisation du Niger.
    — Charles Michel (@CharlesMichel) July 27, 2023

    La Guardia Presidenziale del Niger ha annunciato in diretta televisiva la deposizione del presidente, tenuto ancora in stato di fermo. L’esercito regolare si è unito ai golpisti per “preservare l’unità nel Paese”. Appello dell’Ue, che a marzo ha stanziato 40 milioni per addestramento e equipaggiamento militare in Niger, per il rilascio immediato di Bazoum

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    L’accordo con la Tunisia sulla gestione dei migranti è a un passo. Tajani: “Martedì 27 la firma”

    Bruxelles – La firma del memorandum d’intesa tra l’Ue e Tunisi potrebbe arrivare già domani. L’accordo sarebbe stato trovato oggi (26 giugno) al Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo, con il testo inviato dalle autorità tunisine e approvato dal commissario Ue per l’allargamento e la politica di vicinato, Olivér Várhelyi. A riverlarlo, un soddisfattissimo Antonio Tajani: “Domani Várhelyi sarà a Tunisi per la firma”, ha dichiarato il vicepremier e ministro degli Esteri a margine del vertice.
    L’azzurro rivendica i propri meriti – “ho parlato questa mattina con il ministro degli Esteri tunisino e poco dopo è arrivato il testo dell’accordo”- e quelli del governo Meloni, che per primo ha posto con urgenza la questione della stabilità politica tunisina in chiave sicuritaria e di gestione dei flussi migratori, e che sta interpretando il ruolo di mediatore tra Bruxelles e l’autoritario presidente Kais Saied. Le premier italiana aveva tra l’altro manifestato il desiderio di vedere firmato il memorandum d’intesa prima del Consiglio europeo del 29-30 giugno dal momento che, come sottolineato dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, il pacchetto di partenariato globale dovrà in ogni caso essere approvato dagli Stati membri.
    Mark Rutte, Ursula von der Leyen, Kais Saied, Giorgia Meloni
    La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in una lettera indirizzata ai 27 capi di stato e di governo in vista del vertice, ha confermato che il commissario Várhelyi “finalizzerà a breve un memorandum d’intesa con la Tunisia“, che dovrà fare da “modello” per “partenariati simili in futuro”. La partnership disegnata durante la missione a Tunisi di von der Leyen, Meloni e il suo omologo olandese, Mark Rutte, prevede una maggiore cooperazione su sviluppo economico, scambi e investimenti, accordi sulle energie rinnovabili, gestione dei flussi migratori, mobilità e formazione nell’ambito della partnership per i talenti. Dei cinque pilastri dell’accordo, sembra giocarsi tutto sull’equazione tra sviluppo economico – in sostanza assistenza finanziaria a Tunisi – e gestione dei flussi migratori. C’è anche un terzo termine, con tutti dubbi e le perplessità del caso. Borrell ha ricordato a margine del Consiglio Affari Esteri che “il quadro giusto è supporto economico, ma anche garanzie per il rispetto dei diritti umani e trattamento dignitoso di tutti i migranti”.
    L’Ue è infatti pronta a mobilitare immediatamente 150 milioni come supporto al budget e 105 per la gestione dei flussi migratori – di cui 60 per il controllo dei confini-, restituendo di fatto un po’ di ossigeno alle casse di un Paese sull’orlo del collasso economico-sociale. I restanti 900 milioni di assistenza microfinanziaria rimarrebbero invece vincolati alla firma dell’accordo da 1,9 miliardi di dollari tra Tunisi e il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), congelato ormai da mesi a causa del rifiuto di Saied di avviare una serie di riforme impopolari previste per sbloccare il finanziamento. In cambio, Bruxelles chiede in sostanza a Saied di continuare a fermare le partenze dei barconi e di trasformare la Tunisia in una sorta di piattaforma dove rispedire i migranti irregolari, che verrebbero sottoposti alle procedure d’asilo nel Paese nordafricano. I migranti a cui fosse riconosciuto il diritto d’asilo verrebbero ripresi dagli Stati membri, gli altri resterebbero in Tunisia. Borrell ha aggiunto un termine importante all’equazione: “Il quadro giusto è supporto economico, ma anche garanzie per il rispetto dei diritti umani e il trattamento dignitoso di tutti i migranti”, ha avvertito a margine del Consiglio Affari Esteri.
    Proteste a Sfax contro la presenza di migranti subsahariani. A destra una donna con uno striscione che recita: “Non siamo razzisti ma la sicurezza è la nostra priorità” (Photo by HOUSSEM ZOUARI / AFP)
    Il gioco al rialzo di Saied, che nonostante gli incontri degli ultimi mesi con diversi leader Ue continua a dichiarare pubblicamente che la Tunisia “non accetterà mai di essere il guardiano dei confini di nessun Paese” sembra funzionare, e il presidente tunisino ha trovato nell’Italia un ottimo compagno di squadra per fare cassa il più possibile. Anche oggi Tajani si è detto speranzoso che i 105 milioni dall’Ue per la gestione dei confini siano seguiti da una seconda tranche, e ha espresso fiducia sulla “flessibilità del Fondo monetario internazionale”, che sarebbe emersa durante gli ultimi colloqui tra l’Italia e la direttrice generale del Fmi, Kristalina Georgieva.
    Intanto però, dopo mesi in cui proprio Saied ha soffiato sul fuoco dell’intolleranza verso i migranti subsahariani, in Tunisia sono scoppiate le polemiche per il possibile accordo con l’Unione europea. A Sfax, città portuale da dove partono la maggior parte dei barconi diretti verso le coste italiane, da qualche giorno infuriano le proteste per la presenza di migranti irregolari, sfociate anche in episodi di violenza tra la popolazione locale e gli stranieri.

    Secondo il vicepremier italiano domani il commissario Ue Várhelyi sarà a Tunisi per la firma. In una lettera ai 27 capi di stato e di governo, von der Leyen conferma “l’accordo a breve”. Assistenza finanziaria, scambi e investimenti, energie rinnovabili e gestione dei flussi migratori i cinque pilastri. Pronti 105 milioni per il controllo delle coste

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    Borrell a L’Avana, l’Ue pronta a sostenere le neonate aziende private di Cuba

    Bruxelles – L’Ue sembra pronta a scrivere un nuovo capitolo nella complicata storia delle relazioni con Cuba. È questo il messaggio che Josep Borrell, al suo primo viaggio a L’Avana come Alto Rappresentante per gli Affari Esteri, sta portando nell’isola della rivoluzione castrista: Bruxelles guarda con interesse all’apertura verso il libero mercato che sta attuando il Paese e al suo neonato settore privato.
    Perché il governo di Miguel Diaz-Canel, alle prese con una delle peggiori crisi economiche della storia di Cuba e con forti tensioni sociali, nel 2021 ha dato il via libera alla creazione di micro, piccole e medie imprese (Mpmi), che in poco più di un anno hanno già cambiato radicalmente il panorama economico del Paese socialista. Oggi un cubano su tre lavora in una delle quasi 8 mila mpmi, che producono ormai il 12 per cento del prodotto interno lordo nazionale.
    Josep Borrell all’incontro con gli imprenditori cubani (Photo by YAMIL LAGE / AFP)
    Non a caso il primo incontro di Borrell nella due giorni a L’Avana è stato proprio con i rappresentanti delle nuove imprese private: per loro “il contesto attuale è ricco di sfide, ma anche di formidabili opportunità – ha dichiarato il capo della diplomazia europea-, speriamo che saranno in grado di consolidarsi e di continuare a contribuire alla modernizzazione economica di Cuba”. Bruxelles, ha promesso Borrell, “è impegnata a supportarle”: nel periodo 2021-24, l’Ue ha stanziato 91 milioni di euro in diversi accordi di collaborazione con Cuba, di cui 14 per il suo emergente settore privato. Corsi di formazione, supporto tecnico, consulenza, accesso ai finanziamenti: queste le carte messe sul tavolo dall’Unione per stimolare il nuovo ecosistema economico dell’isola.
    Dopo la firma dell’Accordo di Dialogo Politico e di Cooperazione nel 2017, che ha messo fine a vent’anni di allontanamento, la distanza tra l’Ue e Cuba potrebbe finalmente ridursi. All’interno di questo spazio, se per l’Avana è di primaria importanza la condanna europea del logorante embargo statunitense – in vigore da sessant’anni- e l’impegno diplomatico perché l’amministrazione Biden rimuova l’isola dall’elenco dei Paesi che sponsorizzano il terrorismo (con Corea del Nord, Siria e Iran), per Bruxelles uno dei temi chiavi del dialogo con l’Avana è il progresso nel campo dei diritti umani. “Ci sono cose che le persone dovrebbero avere anche se non possono permettersele: i diritti”, ha twittato Borrell a margine dell’incontro con gli imprenditori cubani, ricordando che “è necessario trovare un equilibrio tra libertà fondamentali, iniziativa privata, equità fiscale, azione statale e azione economica individuale”.
    L’invito a mettere da parte qualsiasi ambiguità sul rispetto dei diritti sarà probabilmente ribadito durante l’incontro di oggi (26 maggio) con il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez, nel terzo Consiglio congiunto Ue-Cuba dopo la firma dell’accordo del 2017. Sul piatto ci sarà anche la condanna della guerra d’aggressione russa in Ucraina, dal momento che il governo di Diaz-Canel negli ultimi mesi ha accresciuto, anche per far fronte alla crisi economica e sociale interna, il suo avvicinamento alla Russia sia economicamente che politicamente. Il 23 febbraio scorso, in occasione della risoluzione Onu per la pace giusta in Ucraina, che chiedeva l’immediato abbandono delle truppe russo dal territorio invaso, Cuba ha infatti preferito astenersi.

    L’Alto Rappresentante Ue ha incontrato gli imprenditori delle ormai 8 mila piccole medie imprese dell’isola della rivoluzione castrista. “Il contesto attuale è ricco di sfide e di formidabili opportunità”, ha dichiarato. Oggi l’incontro con il ministro degli Esteri, sul piatto progressi sui diritti e condanna dell’embargo statunitense

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    Ue-Cina, i 27 approvano la strategia di Borrell. De-risking economico e sostegno all’Ucraina al centro dei nuovi rapporti

    Bruxelles – Passa la linea dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, sulle relazioni tra l’Unione europea e la Cina. Una linea che si riassume con l’espressione de-risking, vale a dire la necessità di ridurre la dipendenza economica eccessiva dal gigante asiatico, e con il pugno duro sul tema della sicurezza strategica: su Taiwan e soprattutto sulla guerra della Russia in Ucraina, Pechino è chiamata a stare dalla parte giusta della storia.
    Al vertice informale dei ministri degli Esteri dei 27, tenutosi oggi (12 maggio) a Stoccolma, il capo della diplomazia europea ha presentato un documento in cui ha messo nero su bianco i tre punti fondamentali per ricalibrare i rapporti con Pechino: valori, sicurezza economica e sicurezza strategica. “Sono contento di annunciare che ci siamo trovati d’accordo”, ha esordito Borrell in conferenza stampa. Il mantra che rimane sullo sfondo è sempre lo stesso: la Cina è rivale, partner e competitor. Partner, perché con l’Ue scambia con Pechino merci per 2,7 miliardi al giorno. Competitor, perché la crescita economica e la capacità tecnologica cinese hanno sbilanciato le relazioni commerciali con il vecchio continente. Rivale, perché la Cina presenta al mondo un modello di sistema politico differente e valori spesso contrastanti a quelli dell’Unione, ad esempio sul rispetto dei diritti umani.
    Josep Borrell al vertice di Stoccolma
    Ma non c’è alcuno spiraglio, secondo Borrell, per il “decoupling“, lo sganciamento dell’economia europea da quella cinese. Piuttosto l’impegno a “ribilanciare in maniera giusta” le relazioni, ora che la storia recente ha insegnato all’Ue il rischio dell’estrema dipendenza commerciale da un solo Paese. Addirittura, ha dichiarato l’Alto rappresentante Ue, attualmente “le dipendenze europee dalla Cina sono maggiori di quelle che avevamo dalla Russia sui combustibili fossili“. Centrare con le proprie gambe l’obiettivo della doppia transizione verde e digitale “richiederà la diversificazione delle catene di approvvigionamento dell’Ue, la riconfigurazione delle catene del valore, il controllo degli investimenti in entrata ed eventualmente in uscita e lo sviluppo di uno strumento anti-coercizione”, si legge nel non paper presentato da Borrell.
    Sicurezza strategica: l’Ue chiama la Cina a fermare Putin in Ucraina
    Questa strategia di “coinvolgimento e competizione” con Pechino rischia di crollare in un solo caso, su cui i 27 hanno ribadito totale fermezza: l’eventuale sostegno di Xi Jinping alla guerra di Putin in Ucraina. “Le relazioni con la Cina non si svilupperanno normalmente, se la Cina non spingerà la Russia a ritirarsi“, ha avvertito Borrell. Che ha poi sottolineato l’altra questione geopolitica, quella relativa all’isola di Taiwan: “La nostra posizione rimane la stessa, mantenere lo status quo e promuovere una de-escalation nello stretto di Taiwan”, è l’indicazione che arriva dai ministri degli Esteri Ue.
    Resta da capire cosa significa “le relazioni non si svilupperanno normalmente”, cosa succederebbe cioè nel drammatico scenario di un ulteriore avvicinamento tra Vladimir Putin e Xi Jinping. Perché anche se “è fondamentale che la Cina capisca che la guerra in atto in Ucraina è un rischio esistenziale per l’Ue”, lo stesso Borrell ha ammesso che “è impossibile provare a risolvere le sfide globali più importanti senza un forte impegno con la Cina“. Sicuramente, anche e soprattutto nell’eventualità peggiore, gli Stati europei devono essere uniti e agire secondo una politica comune. In questo oggi Borrell ha ottenuto un successo, in attesa degli sviluppi futuri più immediati: il “perfezionamento del paper” in vista del Consiglio Europeo del 29-39 giugno e “l’approvazione di una proposta congiunta sulla sicurezza economica”. All’orizzonte si profila anche una visita dello stesso Alto rappresentante in terra cinese, già programmata in aprile ma rimandata a causa della positività di Borrell al Covid.

    Al vertice dei Ministri degli Esteri in Svezia, l’Alto rappresentante Ue ha presentato le linee guida per “ricalibrare” i rapporti con Pechino. Valori, sicurezza economica e sicurezza strategica i tre punti principali. Ma “le relazioni non si svilupperanno normalmente” se la Cina appoggerà la Russia

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    Ucraina, Kuleba “furioso” con l’Ue per i ritardi sulle armi. Ma Borrell assicura: “Manterremo le promesse”

    Bruxelles – Kiev alza la voce con l’Unione Europea per i ritardi sul piano d’acquisto congiunto di armi e munizioni a supporto della resistenza ucraina. Bruxelles assicura il proprio impegno e minimizza le tensioni che si sarebbero venute a creare oggi (24 aprile) tra i 27 ministri degli Esteri Ue e il loro omologo ucraino, Dmytro Kuleba, intervenuto in collegamento al Consiglio Affari esteri a Lussemburgo. Un Kuleba descritto da diverse fonti come “furioso” per la bassa quantità di munizioni ricevute finora, a un mese di distanza dall’annuncio del piano Ue da due miliardi di euro per l’equipaggiamento bellico ucraino.
    Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba (Photo by AHMAD AL-RUBAYE / AFP)
    “Kuleba ha fatto una richiesta con tutta l’angoscia che si sente quando si vive in un Paese in guerra, è comprensibile che chieda maggiore aiuto e lo faccia in modo insistente”, ha commentato al termine del vertice l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell. Una volta abbassati i toni, Borrell ha ammesso che il numero di munizioni consegnate finora all’esercito ucraino “non ha raggiunto quello che volevo io e che voleva Kuleba”, ma ha assicurato il massimo impegno per mantenere le promesse. Anche il ministro ucraino, su Twitter, ha usato toni più concilianti, ringraziando i partner europei per l’assistenza già fornita e esortandoli a adottare al più presto nuove necessarie decisioni: “Verrà il momento dei guanti bianchi diplomatici, ma prima dobbiamo fornire abbastanza proiettili per le mani stanche e unte dei nostri artiglieri“, ha enfatizzato Kuleba.
    Il Piano stabilito a marzo dai ministri dell’Ue si articola in tre fasi: un miliardo di euro mobilitato per la consegna immediata di munizioni attraverso le scorte degli Stati membri, un altro miliardo di euro per gli acquisti congiunti di armi e infine un aumento della capacità di produzione bellica a livello europeo. Mentre sul primo pilastro, secondo Borrell, l’Ue sta procedendo spedita e ha consegnato a Kiev “più di mille missili e un numero di munizioni che sta crescendo”, sugli acquisti congiunti e sulla produzione bellica europea c’è stato qualche attrito tra i Paesi membri.
    Sarebbe in particolare la Francia a essersi impuntata: Parigi avrebbe chiesto infatti che le risorse finanziarie previste per l’aumento della capacità di produzione bellica vengano garantite solo per le aziende che producono interamente in Europa. L’Eliseo si sarebbe opposto anche a un’altra possibilità, che consisterebbe nell’ utilizzare i fondi comuni europei per fare acquisti congiunti in Paesi terzi alleati. Borrell ha ridimensionato gli attriti sull’intesa e ha dichiarato che il Commissario Ue per il Mercato interno, Thierry Breton, “presenterà presto una proposta concreta che permetterà un salto di qualità nella produzione difensiva europea”.
    Fino a quel momento però, “dobbiamo usare ciò che abbiamo e abbiamo molto”, ha affermato il capo della diplomazia europea. Anche perché la controffensiva dell’esercito ucraino nell’est del Paese, che ha già segnato alcune prime battute d’arresto, ha bisogno ora più che mai del supporto tecnologico europeo. Questione di timing insomma, non di mancanza di volontà, come sottolineato dal ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani: “Stiamo facendo tutto ciò che è possibile: il nostro impegno non è mai mancato, ma a volte i tempi sono più lunghi di quelli sperati“.

    At FAC today, I thanked EU partners for all the defence assistance already provided. I also urged them to adopt new necessary decisions ASAP. There are no shortcuts to peace unless the Russian army is defeated. The time will come for white diplomatic gloves. But first we must… pic.twitter.com/C1yaozhAIH
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) April 24, 2023

    Il ministro degli Esteri di Kiev, in collegamento con gli omologhi Ue, si è lamentato per la bassa quantità di munizioni ricevute finora a sostegno della controffensiva ucraina

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    Non solo l’Ucraina, Borrell annuncia il rifornimento di “attrezzature letali” a Niger e Somalia

    Bruxelles – Il sostegno dell’industria bellica europea all’Ucraina ha aperto la strada, ora Bruxelles sembra pronta a fornire equipaggiamento militare nel continente africano. Al primo Forum Schuman per la sicurezza e la difesa, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha annunciato che “sarà adottata presto una misura per fornire attrezzature letali ai nostri partner africani, Niger e Somalia”.
    Non si tratta dunque di equipaggiamento leggero, ma nello specifico di “munizioni per elicotteri al Niger e munizioni per scopi di addestramento alla Somalia“, sostenute attraverso lo strumento europeo per la pace (European Peace Facility), il programma con cui l’Unione europea ha stanziato in un anno oltre 4,5 miliardi di euro per rispondere all’invasione russa in Ucraina e per operazioni militari in diversi Paesi africani, in Libano, in Giordania, in Moldavia e in Georgia. Uno strumento utilizzato “così tanto”, che lo scorso 14 marzo il Consiglio dell’Ue ne ha aumentato il massimale finanziario: dai 5 miliardi originali ai 7,979 miliardi di euro (a prezzi correnti) fino al 2027.
    “La nostra risposta alla guerra in Ucraina ha cambiato il modo in cui l’Europa guarda alla propria agenda in materia di difesa e sicurezza”, ha ammesso Borrell: la rottura di un “tabù”, quello di finanziare i rifornimenti di armi di un Paese in guerra, è saltata all’occhio anche ai partner del continente africano, che “chiedono sempre di più un supporto, anche di attrezzature letali“. Per poter “soddisfare le aspettative” dei partner, esattamente un anno fa l’Ue ha lanciato la Bussola Strategica (Strategic Compass), che ha consentito un rafforzamento delle missioni e delle operazioni civili e militari, con “formazioni e attrezzature più mirate”. Ne è l’esempio la missione di addestramento in Niger lanciata il mese scorso: una missione di partenariato militare, a guida italiana, che secondo Borrell segue il modello “addestrare ed equipaggiare”, non solamente “addestrare”.
    Il contrasto alla presenza russa in Africa
    EEAS Schuman Security and Defence Partnership Forum
    I rappresentanti di oltre 50 Paesi partner dell’Ue che si sono riuniti al Forum Schuman sono per il capo della diplomazia europea la risposta “all’indebolimento del multilateralismo e al ritorno della politica di potenza in tutto il mondo”. Mentre Pechino strizza l’occhio a Mosca, il blocco occidentale si rinsalda attorno all’Ucraina, ma non vuole rischiare di cedere terreno all’autoritarismo di stampo russo-cinese in Africa. “Abbiamo tratto lezioni dalle sfide che affrontiamo nella Repubblica centrafricana e in Mali”, ha dichiarato Borrell, sottolineando lo sforzo insufficiente delle missioni europee in entrambi i Paesi, che hanno aperto la strada all’insinuazione del gruppo Wagner, lo “spietato procuratore del regime russo”.
    Perché anche il Cremlino ha la sua strategia di affermazione nel continente africano: la presenza crescente in Africa di istruttori militari russi, e quella più oscura del gruppo Wagner, viene giustificata da Mosca con il contrasto alle forze jihadiste che operano nel Sahel. In realtà, la presenza russa sul continente africano sarebbe costellata di ripetute violazioni dei diritti umani: nel giugno 2021, in un rapporto delle Nazioni Unite sulla Repubblica centrafricana, gli “istruttori” mercenari russi sono stati indicati come responsabili di numerose uccisioni, torture, violenze sessuali e saccheggi.
    “Le Nazioni Unite possono contare su di noi e sul nostro continuo sostegno” in tutte le missioni, “dal coordinamento politico e operativo alla condivisione delle informazioni e delle immagini satellitari”, ha concluso l’Alto rappresentante Ue. Perché la guerra in Ucraina ha testato la solidità del legame tra Ue e Nato, un legame “più forte che mai”. Che chiama l’Africa dalla sua parte.
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    Al primo Forum Schuman per la sicurezza e la difesa, l’Alto rappresentante Ue ha dichiarato che “nei prossimi mesi saranno consegnate munizioni per elicotteri al Niger e munizioni per scopi di addestramento alla Somalia”, grazie all’aumento di budget dello European Peace Facility

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    Borrell risponde ancora al ministro di Israele negazionista sulla Palestina: “Irrispettoso, pericoloso e controproducente”

    Bruxelles – Il ministro delle Finanze di Israele, Bezalel Smotrich, continua a far discutere. Dopo il vergognoso commento sul villaggio palestinese di Huwara, che “dovrebbe essere cancellato”, il leader del partito sionista religioso di estrema destra ha rincarato la dose: ospite a Parigi per una conferenza, ha affermato che “non si può parlare di palestinesi perché non esiste un popolo palestinese“.
    Secondo Smotrich il popolo palestinese sarebbe “una finzione”, creata a tavolino un secolo fa per ostacolare il movimento sionista. Se le parole su Huwara, teatro di violenze incontrollate da parte di coloni israeliani a seguito di un attentato lo scorso 26 febbraio, erano state definite “ripugnanti” perfino dall’alleato americano, questa volta a rispondere duramente ai “commenti inaccettabili del ministro” ci ha pensato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell.
    “È sbagliato, irrispettoso, pericoloso e controproducente“, ha dichiarato il capo della diplomazia europea, chiedendo  al governo guidato da Benjamin Netanyahu di “rinnegare queste parole e cominciare a lavorare per ridurre le tensioni”. Tensioni che stanno raggiungendo livelli allarmanti, con numeri di vittime che ricordano quelli della seconda intifada del 2006. Nei primi due mesi dell’anno, secondo l’ufficio di coordinamento umanitario per il Territorio Palestinese Occupato (Ocha-Opt) delle Nazioni Unite, sarebbero già 64 le vittime palestinesi e 13 quelle israeliane, a causa dell’inasprimento delle violenze.
    Mohammed Shtayyeh a Huwara (Photo by Zain Jaafar / AFP)
    Lo sforzo diplomatico per riavvicinare le autorità israeliane e palestinesi, che appaiono oggi più lontane che mai, si è concretizzato in due recenti incontri, prima a Aqaba in Giordania e poi a Sharm el-Sheikh in Egitto, con la mediazione di funzionari statunitensi e egiziani. L’ultimo proprio domenica 19 marzo, mentre Smotrich a Parigi reinterpretava a suo modo la storia della regione. A Sharm el-Sheikh i rappresentanti di Israele e Palestina si sono accordati per adottare misure che riducano le tensioni e le violenze durante il Ramadan, il mese sacro per la religione islamica, che comincia questa settimana. “I commenti di Smotrich vanno un’altra volta nella direzione opposta” rispetto agli incontri di Aqaba e Sharm el-Sheikh, ha sottolineato Borrell. Ne è la riprova il fatto che il primo ministro palestinese, Mohammed Shtayyeh, di ritorno dal vertice in Egitto ha espresso la propria indignazione, descrivendo le dichiarazioni di Smotrich come “la prova conclusiva di quanto l’ideologia dell’attuale governo israeliano sia estremista e razzista”.
    Per l’Unione europea c’è solo un percorso da seguire, quello della soluzione a due Stati: “Proseguiremo nel nostro impegno di lunga data per uno Stato palestinese indipendente e sovrano, che vive fianco a fianco con Israele in pace e sicurezza”, ha ribadito Borrell. Che in modo piccato ha aggiunto: “Mi dispiace se a qualcuno non piace, ma questa è la posizione dell’Ue”. E ha chiuso lanciando una provocazione: “Vi immaginate se un leader palestinese avesse detto che Israele non esiste, quale sarebbe stata la reazione?”

    Il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha affermato che “non si può parlare di palestinesi perché non esiste un popolo palestinese”. Intanto le due parti si sono accordate a Sharm el-Sheikh per ridurre le tensioni durante il Ramadan, che comincia questa settimana

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    Il Parlamento europeo suona l’allarme sullo stato di diritto in Israele, da Tel Aviv accuse di ingerenze

    Bruxelles – “Deterioramento della democrazia in Israele e conseguenze sui territori occupati”. Nel titolo scelto per il dibattito che si è tenuto ieri sera (14 marzo) all’emiciclo di Strasburgo, c’erano già tutti gli indizi necessari per capire la posizione del Parlamento europeo sulla situazione dello stato di diritto a Tel Aviv e sull’escalation di violenza in atto contro il popolo palestinese.
    Eli Cohen e Antonio Tajani, 14/03/23 [Ph Account Twitter Eli Cohen]Prima di cominciare il dibattito, gli eurodeputati hanno ascoltato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, appositamente in aula per riferire sullo stato dell’arte delle relazioni tra l’Unione e Israele: “Voglio sottolineare che siamo impegnati con entrambe le parti, Israele e Palestina”, ha esordito il capo della diplomazia europea, che solo poche ore prima aveva avuto una conversazione telefonica con il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Eli Cohen. “Non era molto contento del dibattito, era preoccupato, mi ha chiesto perché il Parlamento europeo ingerisce nelle questioni interne israeliane“: il racconto di Borrell combacia con la richiesta di “agire per impedire l’intervento europeo nel conflitto israelo-palestinese” fatta dallo stesso Cohen all’omologo italiano, Antonio Tajani, proprio ieri in visita in Israele.
    “L’interesse non implica né l’ingerenza né la volontà di imporre lezioni a nessuno”, ha replicato Borrell. I motivi di preoccupazione sono vari e riguardano la politica estera e l’involuzione dello stato democratico: da un lato l’aumento di estremismo e violenza contro la popolazione palestinese e la continua espansione delle colonie illegali israeliane nei territori occupati, dall’altro la riforma del sistema giudiziario portata avanti dal governo di Benjamin Netanyahu e la possibile reintroduzione delle pena di morte nel Paese.
    Dal Parlamento europeo l’invito a sospendere l’accordo di associazione con Israele
    Brando Benifei, 14/03/23
    Per Pedro Marques, vicepresidente del gruppo dei Socialisti e democratici, la riforma della giustizia proposta da Tel Aviv “non è accettabile e non è accettata neanche in Israele”, viste le “manifestazioni di massa” che imperversano nel Paese. “Un assalto alla democrazia”, “una catastrofe”, “un attentato”, l’hanno definita a turno Marques, l’eurodeputata dei Verdi/Ale, Margrete Auken e la socialista Maria Arena. Secondo il capo delegazione del Partito democratico a Bruxelles, Brando Benifei, la riforma fa parte di “un disegno nazionalista e autoritario di un governo che minaccia la democrazia israeliana”. Una riforma che “vuole concentrare il potere nelle mani dell’esecutivo e depotenziare la Corte suprema”, grazie alla quale “il governo potrebbe nominare facilmente i giudici della corte e sarebbe in grado di bloccare le sentenze della corte stessa”.
    Durissimo è stato Manu Pineda, membro della Sinistra europea e presidente della delegazione dell’eurocamera per i rapporti con la Palestina (Dpal): dopo aver ricordato i “183 palestinesi uccisi” e la “distruzione di centinaia di abitazioni” nella Striscia di Gaza solo nell’ultimo anno, Pineda ha incalzato l’alto rappresentante Borrell chiedendo cosa sta facendo l’Ue nei confronti di un “regime coloniale che sancisce l’apartheid ai danni del popolo del Paese che occupa”. La proposta che sorge a più riprese è di sospendere l’accordo di associazione con Israele, firmato nel 2000 e rinnovato nel 2022: per l’Ue l’accordo “si fonda sui valori comuni condivisi di democrazia e rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali”, ma come sottolinea Maria Arena, “il governo israeliano rompe completamente” quei valori.
    Grace O’Sullivan, 14/02/23
    Margrete Auken, che si è recata più volte in Palestina con la delegazione Dpal, riassume così l’atteggiamento dell’Ue sul conflitto israelo-palestinese: “Se sei neutrale in situazioni ingiuste, hai scelto di essere dalla parte dell’oppressore”. Durante l’ultima missione della delegazione, che risale al mese scorso, l’eurodeputata dei Verdi/Ale Grace O’Sullivan racconta di aver visto “che Israele estrae direttamente carburante fossile dai territori occupati”. Combustibile che viene poi venduto anche in Europa, che nel giugno scorso ha firmato un importante accordo con Tel Aviv per incrementare le forniture di gas dalla regione. “Perché il petrolio e il gas di uno Stato occupante sono più accettabili di quelli di un altro?”, è la domanda di O’Sullivan in riferimento alla determinazione con cui l’Ue ha limitato e bandito gas e petrolio russi.
    “Se un altro Paese avesse fatto quello che fa Israele avremmo già imposto delle sanzioni, e invece dobbiamo scusarci per l’ingerenza” attacca Marc Botenga, della Sinistra europea, che reitera l’invito a sospendere l’accordo di associazione Ue-Israele. Josep Borrell, alla fine del dibattito, ha rivendicato la dichiarazione firmata dai 27 Paesi membri in cui “ha lanciato un appello ad ambo le parti per agire in maniera responsabile” e ha ribadito che “Israele deve smettere l’espansione delle colonie, illegali secondo il diritto internazionale”.
    Ma sulla possibilità di congelare il partenariato con Tel Aviv, il capo della diplomazia europea ha frenato con decisione: “Gli accordi di partenariato non sono con un governo, ma con uno Stato. Non possono cambiare solo perché in un Paese cambia il governo “, ha chiuso Borrell. Che ora ha un’altra gatta da pelare: Eli Cohen, dopo aver espresso le sue perplessità per il dibattito al Parlamento europeo, in un tweet ha definito “un’ingiustizia morale” il paragone che Borrell avrebbe fatto durante la loro telefonata, in cui metteva sullo stesso piano “gli attacchi terroristici di Hamas, il cui unico scopo è uccidere gli ebrei, e le azioni effettuate dall’IDF per la sicurezza dei cittadini israeliani”.

    Nel dibattito all’emiciclo di Strasburgo, la riforma della giustizia del governo Netanyahu è stata definita a più riprese “una catastrofe” e “un attentato alla democrazia”. Diversi eurodeputati chiedono la sospensione del partenariato con Tel Aviv, ma Borrell chiude. E viene attaccato dal Ministro degli Esteri Eli Cohen