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    Alcuni cittadini del Kosovo potranno viaggiare in Schengen e Ue anche con il passaporto serbo

    Bruxelles – Il nord del Kosovo è sempre un luogo delicato per le politiche dell’Unione Europea, e la questione dei visti Schengen non fa eccezione. Perché a pochi mesi dall’entrata in vigore della liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari – dopo un attesa di oltre cinque anni – il Consiglio dell’Unione Europea ha deciso oggi (22 luglio) di dare il semaforo verde al Regolamento che elimina l’esclusione per i titolari di passaporti serbi rilasciati dalla Direzione di coordinamento serba. Ovvero la direzione del ministero degli Affari interni di Belgrado responsabile del rilascio dei passaporti serbi ai cittadini (della minoranza etnica serba) residenti nel Paese che dal 2008 ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza proprio da Belgrado.Kosovska Mitrovica, Kosovo (credits: Armend Nimani / AFP)Il via libera deciso oggi dal Consiglio “garantisce che l’intera regione dei Balcani Occidentali sia soggetta allo stesso regime di visti“, si legge nella nota dell’istituzione Ue, che conclude così l’iter legislativo iniziato nel novembre dello scorso anno dalla Commissione Ue. Il Regolamento entrerà in vigore il ventesimo giorno dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Ue, e da allora sarà applicabile in tutti gli Stati membri.È dal dicembre 2009 che i titolari di passaporti serbi sono stati esentati dall’obbligo di visto per i viaggi nell’area Schengen, ma finora non a chi ne possedeva uno rilasciato dall’autorità istituita nell’ambito del dialogo Ue sulla liberalizzazione dei visti con la Serbia. Non si faranno però attendere le polemiche a Pristina per il fatto che, con questa misura, una parte dei residenti in territorio kosovaro non avranno bisogno di passaporti rilasciati dalle autorità centrali di Pristina (che dal primo gennaio 2024 garantiscono lo stesso diritto di viaggio senza visto), ma potranno continuare a fare riferimento a Belgrado e mettere in discussione la sovranità nazionale in un momento storico particolarmente delicato per i due Paesi balcanici.Cosa significa liberalizzazione dei visti SchengenNella pratica la liberalizzazione dei visti per un Paese extra-Ue significa l’esenzione dal dover fare richiesta per ottenere il visto d’ingresso per accedere allo spazio Schengen, ovvero l’area che ha abolito le frontiere interne. I cittadini di questi Stati possono utilizzare semplicemente il proprio passaporto nazionale – senza ulteriori requisiti richiesti – per viaggiare e soggiornare fino a 90 giorni (in un periodo complessivo di 180 giorni) nei Paesi Ue e Schengen.Tutti i cittadini dei Paesi membri Ue possono attraversare liberamente le frontiere interne con la propria carta d’identità – anche quelli che non fanno parte dello spazio Schengen, cioè Cipro, Bulgaria, Irlanda e Romania – così come i cittadini dei territori esterni appartenenti ai 27 Paesi Schengen (Groenlandia, Isole Svalbard, Guyana Francese, Nuova Caledonia e altri territori d’oltremare). All’area che ha abolito le frontiere interne aderiscono anche quattro Stati extra-Ue: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. I cittadini di un qualsiasi altro Paese nel mondo solitamente devono fare richiesta di un visto (di lavoro, turistico, di studio), che è l’atto con il quale uno Stato concede a un individuo straniero il permesso di accedere nel proprio territorio. Tuttavia l’Ue ha istituito una politica di visti comune per soggiorni di breve durata, transito nel territorio o negli aeroporti internazionali degli Stati Schengen.Sulla base di una valutazione caso per caso la Commissione può proporre ai co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue una decisione per la liberalizzazione dei visti Schengen. La valutazione si basa su una serie di criteri pre-stabiliti: migrazione irregolare, ordine pubblico e sicurezza, vantaggi economici (turismo e commercio estero), diritti umani, libertà fondamentali, implicazioni di coerenza regionale e reciprocità. Le nuove decisioni sull’esenzione devono essere adottate da entrambi i co-legislatori, dopo i negoziati bilaterali con il Paese interessato. Qui la lista dei Paesi a cui è stata concessa la liberalizzazione dei visti Schengen.Le tensioni nel nord del KosovoÈ passato oltre un anno da quando è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli scenari più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica il 26 maggio 2023 sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi nel giro di tre giorni in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo di Pristina di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti di quest’anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    A Bruxelles nuovo vertice trilaterale Borrell-Kurti-Vučić per riprendere il filo del dialogo tra Serbia e Kosovo

    Bruxelles – Un nuovo incontro di alto livello, per “fare il punto sui progressi compiuti” nell’ambito del dialogo mediato dall’Ue. Non è altisonante l’annuncio sul nuovo round di colloqui tra i leader di Kosovo e Serbia, considerate le premesse dell’ultimo anno e le tensioni che ancora non sono risolte dopo l’ondata di violenza dal maggio 2023. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha reso noto con un comunicato che domani (26 giugno) il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, saranno a Bruxelles per incontri bilaterali e un vertice trilaterale finale.Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il 18 marzo 2023 (Ohrid, Macedonia del Nord)Sono passati nove mesi dall’ultima riunione di alto livello del dialogo Pristina-Belgrado a Bruxelles – infruttuoso e incagliato sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo – e nel mezzo si è assistito a uno dei momenti più bassi per i rapporti dei due Paesi balcanici impegnati dal 2011 in un complessissimo confronto diplomatico mediato dall’Unione Europea per la normalizzazione delle relazioni. Quando i rapporti non si sono di certo ristabiliti su un livello di normalità accettabile da Bruxelles, si dovrà cercare di spingere per riprendere il filo del discorso lasciato in sospeso da quelle 12 ore di discussione a Ohrid, sulle sponde del lago in Macedonia del Nord. Il 18 marzo 2023 era stato dato il via libera – ma senza firma – all’allegato di attuazione della complicatissima intesa di Bruxelles raggiunta il 27 febbraio (che aveva definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo), la vera chiave di volta di tutta l’impalcatura per stabilire “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come”. Eppure, dopo più di un anno è scarso l’impegno di Belgrado e Pristina per rispettare quegli impegni, e per questo motivo – prima di dare l’addio all’istituzione che rappresenta – Borrell vuole lanciare un ultimo segnale che l’Unione non molla la presa.Il punto di domani a Bruxelles partirà da quei pochi progressi registrati su tre elementi menzionati già nella riunione di alto livello del 14 settembre dello scorso anno. Ovvero la dichiarazione sulle persone scomparse, l’annuncio sul comitato di monitoraggio congiunto e la presentazione della bozza sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. È proprio questo il punto su cui è ancora incagliato il dialogo Pristina-Belgrado e su cui si continuano a registrare tensioni che, nel corso del 2023, sono sfociate in pericolosi episodi di violenza: l’Accordo di Bruxelles del 2013 mai implementato sulla comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrativeLe tensioni tra Kosovo e SerbiaA soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti di quest’anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il partito al potere in Serbia ha vinto la ripetizione del voto a Belgrado. Tra violenze e ultranazionalismo

    Bruxelles – Questa volta è un trionfo per il partito al potere in Serbia, il Partito Progressista Serbo (Sns) controllato da vicino dal presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić. Dopo l’ondata di proteste e le obiezioni della comunità internazionale su diverse criticità emerse nello svolgimento delle elezioni legislative e amministrative del 17 dicembre 2023, nella capitale Belgrado si è tornati ieri (2 giugno) al voto per la nuova composizione del Consiglio comunale. Nella vittoria schiacciante del partito al potere da 12 anni a livello nazionale (e 11 nella capitale) sono emerse però ancora nuove possibili irregolarità e violenze, e una retorica nazionalista ormai esasperata.Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Elvis Barukcic / Afp)“Deploriamo le minacce e gli attacchi subiti dai giornalisti durante i servizi sulle elezioni del 2 giugno“, è la denuncia dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) su quanto accaduto ieri a Belgrado: “I giornalisti hanno un ruolo cruciale nel coprire le elezioni, per informare il pubblico sui candidati, le loro piattaforme e gli sviluppi in corso”. L’Osce, che già aveva denunciato tutta una serie di punti deboli nello svolgimento dell’ultima tornata di voto a livello nazionale e locale, continua a esortare “leader politici, funzionari pubblici e autorità a condannare inequivocabilmente e a indagare prontamente su tutti i casi di violenza e minacce contro i giornalisti”.È in questo contesto che il Partito Progressista Serbo ha conquistato 64 seggi su 110 al Consiglio comunale di Belgrado, secondo quanto emerge dai risultati finali dello scrutinio dei voti, e ora l’ex-giocatore di pallanuoto Aleksandar Šapić è pronto a diventare sindaco. A differenza delle elezioni di dicembre l’opposizione ha corso divisa, con alcuni movimenti che hanno deciso di boicottare il voto – l’affluenza al voto si è fermata al 46 per cento – mentre gli altri si sono schierati o con il candidato Savo Manojlović (per la coalizione ‘Anche io sono Belgrado’) o con Dobrica Veselinović (per ‘Scegliamo Belgrado’). A spingere alle urne il partito di Vučić è stata anche la ventata di retorica ultranazionalista sprigionata nel Paese dopo il voto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sull’istituzione della Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica, su cui ha fatto leva proprio il presidente serbo per compattare la base degli elettori del partito al potere.Le tensioni tra Ue e Serbia dopo le elezioni di dicembreI sei mesi trascorsi tra le elezioni legislative anticipate del 17 dicembre 2023 e la ripetizione delle amministrative nella capitale Belgrado di ieri sono stati tutt’altro che sereni tra Bruxelles e Belgrado, considerato quanto accaduto proprio alle urne alla fine dello scorso anno. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone erano scese in piazza per settimane, rispondendo all’appello dei partiti e movimenti riuniti nella coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, appena sconfitta dal Partito Progressista Serbo. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti“, mettendo con le spalle al muro il governo per ripetere quantomeno il voto nella capitale.Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Proprio la questione del rispetto degli standard democratici ha esacerbato i rapporti tra la Serbia di Vučić e le istituzioni Ue. In occasione delle elezioni del 17 dicembre, l’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Osce Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale) aveva confermato di aver “assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska [l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina, ndr]” a Belgrado senza essere formalmente registrati come residenti. Da qui il Parlamento Europeo ha richiesto alla Commissione Ue azioni pesanti nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità nei brogli elettorali, tra cui la “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione. La premier uscente Brnabić ha poi chiuso la porta a un’indagine internazionale, “perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale”, ma a Bruxelles rimangono ancora grosse preoccupazioni sulle irregolarità alle urne e la mancanza di completa trasparenza nel processo elettorale.Il neo-primo ministro della Serbia, Miloš Vučević, 2 maggio 2024 (credits: Oliver Bunic / Afp)Mentre nel Consiglio dell’Ue regna l’immobilismo (dettato soprattutto dal potere di veto del premier ungherese, Viktor Orbán, su qualsiasi tipo di azione contro l’alleato Vučić), a Belgrado il 2 maggio si è insediato il nuovo governo guidato da Miloš Vučević, stretto alleato del presidente della Repubblica nonché leader del Partito Progressista Serbo dopo le dimissioni dello stesso Vučić lo scorso anno. Il nuovo esecutivo si è posto in perfetta linea di continuità con il precedente (l’ex-premier Brnabić oggi è speaker dell’Assemblea nazionale) in politica estera – sia per la strada verso l’adesione all’Ue sia per il mantenimento dei rapporti con Russia e Cina – ma anche nelle questioni considerate di politica interna (cioè il rapporto con il Kosovo, di cui non è mai stata riconosciuta l’indipendenza dal 2008). Tra i membri del gabinetto Vučević compaiono due figure particolarmente controverse, tanto da essere incluse nella lista delle persone sanzionate dagli Stati Uniti nell’ultimo anno: l’ex-capo dell’intelligence serba, Aleksandar Vulin, e il politico di lungo corso e proprietario di aziende con sede in Russia Nenad Popović.Infine non va dimenticato il caso delle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba – ora membro del nuovo governo – Vulin aveva riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    I programmi elettorali dei partiti/ 6: Le promesse dell’allargamento Ue e il destino incrociato dei Trattati

    Bruxelles – Potrebbero essere le ultime elezioni europee a 27, quelle che precedono un nuovo allargamento Ue, dopo il trauma politico del primo addio – per opera del Regno Unito – nel corso della legislatura agli sgoccioli. E anche se non sarà il primissimo tema nelle agende politiche in vista del voto del 6-9 giugno per il rinnovo del Parlamento Europeo, il modo in cui l’allargamento dell’Unione a nuovi potenziali membri si è legato alla riforma interna del funzionamento delle istituzioni Ue ha senz’ombra di dubbio garantito uno spazio non indifferente nei programmi delle famiglie politiche europee (fatta eccezione per Identità e Democrazia che ha scelto di non adottarne uno comune per i partiti aderenti). Nessuno è più contrario a un incremento nel numero dei Paesi membri, perché ciascuna capitale e ciascun partito europeo hanno propri interessi e fini, ma possono differire sensibilmente le tappe e le modalità di gestione di un processo molto politico oltre che tecnico.Il Ppe e le “misure intermedie”“Ogni Paese candidato deve essere pronto per l’adesione, nel frattempo dovremmo adottare misure intermedie e una più stretta cooperazione per mettere i candidati nella migliore posizione per l’adesione”, è questo il cuore della posizione del Partito Popolare Europeo (Ppe) per quanto riguarda il “mantenere le promesse di adesione dell’Ue e una strategia di allargamento lungimirante” per i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), Ucraina, Moldova e Georgia. Come emerge dal Manifesto per le elezioni europee del 2024, il Ppe non fa sconti sul fatto che “tutti i Paesi candidati debbano sottostare alle stesse regole nel percorso verso la piena adesione” e, nonostante “non vogliamo un processo infinito”, i criteri di Copenaghen che sanciscono le basi fondanti per l’ingresso nell’Unione “devono essere chiaramente soddisfatti” per qualsiasi processo di allargamento Ue.La presidente della Commissione Europea in carica, Ursula von der Leyen, nominata Spitzenkandidatin del Partito Popolare Europeo al Congresso di Bucarest il 7 marzo 2024 (credits: Daniel Mihailescu / Afp)Non trovano spazio nel programma dei popolari europei la riforma dei Trattati e il suo legame con il futuro allargamento Ue, ma il riferimento al “rispetto delle relazioni di buon vicinato con tutti gli Stati membri dell’Ue” mostra tra le righe quanto il Ppe sia particolarmente sensibili ad alcune istanze dei partiti nazionali che aderiscono alla famiglia politica europea di centro-destra (come nel caso dei greci di Nuova Democrazia con l’Albania e con la Macedonia del Nord e dei bulgari di Gerb di nuovo con i vicini macedoni). “Qualsiasi decisione deve basarsi su risultati concreti forniti dai Paesi candidati”, dopo valutazioni di “prerequisiti minimi per ogni Stato che aspira ad entrare nell’Ue“, tra cui anche rispetto dello Stato di diritto, delle istituzioni democratiche e dei diritti umani. Per quanto riguarda il delicato capitolo sulla Turchia – i cui negoziati sono congelati dal 2018 – il Ppe per il momento “esclude la possibilità di un’adesione” di Ankara all’Unione, ma spinge per un “miglioramento dell’unione doganale esistente e la facilitazione dei visti” per “aprire la strada alla sua vocazione europea”.Il Pes tra allargamento “efficace” e architettura UeIl Manifesto del Partito del Socialismo Europeo (Pes) per le elezioni europee 2024 evidenzia come l’allargamento Ue sia stato nella storia recente dell’Europa “un successo, che ha portato democrazia, prosperità e sicurezza” sul continente. Per questo motivo viene visto “con favore” l’avvio dei negoziati di adesione con Ucraina, Moldova e Bosnia ed Erzegovina “e sosteniamo le aspirazioni europee della Georgia” (nonostante le recenti sfide poste dal suo stesso governo). Nessuno sconto invece per la Turchia, a differenza dei popolari europei: “In assenza di un drastico cambiamento di rotta, il processo di adesione non può essere ripreso nelle attuali circostanze”.Il commissario europeo per il Lavoro e i diritti sociali, Nicolas Schmit, nominato Spitzenkadidat del Partito del Socialismo Europeo al Congresso di Roma (2 marzo 2024)I socialisti europei parlano dell’attuazione di una politica di allargamento Ue “efficace”, con il punto di partenza nei Balcani Occidentali”, ma pur sempre “insistendo affinché tutti i Paesi candidati soddisfino tutti i criteri di adesione”. È qui però che si innesta la questione parallela all’allargamento Ue della “seria valutazione delle riforme dell’architettura dell’Ue” considerate “necessarie” per un’Europa “più efficiente e democratica, più trasparente e più vicina ai cittadini”. È con questo obiettivo che il Pes promette di “utilizzare la prossima legislatura per rafforzare la capacità dell’Ue di agire in un’Unione allargata, con modifiche mirate del Trattato“. In questo quadro – anche se la proposta rimane piuttosto vaga – l’idea è di dotare Parlamento e Commissione Ue di “strumenti per salvaguardare la nostra democrazia, rafforzare la nostra economia, proteggere il nostro ambiente e il nostro modello sociale”.Renew Europe per “riaprire i Trattati”È nelle 10 priorità di Renew Europe che si legge la più stretta interconnessione tra allargamento Ue e riforma dei Trattati fondanti dell’Unione. “Più siamo e più siamo forti, ma la governance di un intero continente non è una questione banale, è tempo di riaprire i Trattati“, è l’esortazione in vista delle europee di giugno, accompagnata da un avvertimento preciso: “Senza riforme profonde, l’allargamento rischia di trasformarsi in un fallimento per tutti“. A proposito dell’ingresso di nuovi membri, i liberali europei si concentrano soprattutto sull’Ucraina – che “deve aderire e aderirà” – e sul fatto che tutti coloro che soddisfano i criteri di Copenaghen “dovrebbero aderire all’area di libera circolazione di Schengen senza ulteriori ritardi”. Ma i Ventisette devono “essere in grado di accoglierla, come gli altri candidati” sulla base di un intenso lavoro interno.Da sinistra, i tre candidati comuni per la campagna Renew Europe Now lanciata a Bruxelles (20 marzo 2024): Sandro Gozi (Pde), Marie-Agnes Strack-Zimmermann (Alde) e Valérie Hayer (Renaissance)L’obiettivo dichiarato è che la riforma dei Trattati Ue “deve avvenire e deve avvenire ora”, attraverso una serie di proposte per una maggiore integrazione europea. In primis un aumento di “efficienza, trasparenza e responsabilità” delle istituzioni dell’Unione – “le riunioni in cui si riuniscono i ministri nazionali sono troppo opache” – ma anche la trasformazione della Commissione “in un vero e proprio governo democratico, con un solo presidente alla guida dell’esecutivo dell’Ue“, il rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo “affinché la voce dei cittadini risuoni ancora più forte di oggi”, e soprattutto “vogliamo eliminare i veti” che tengono in ostaggio le decisioni comuni a Bruxelles.I Verdi e il rispetto delle promesse“Il prossimo passo necessario, un’Europa unita pronta per l’allargamento”, è il titolo del capitolo del Manifesto del Partito Verde Europeo per le europee 2024 a proposito dell’Unione presente e futura, che non lascia spazio a dubbi sulla necessità di “riformare i suoi Trattati e procedere verso un’Europa federale in grado di agire e di accogliere nuovi membri“. Il punto di partenza è la Conferenza sul futuro dell’Europa del 2019, in cui i cittadini dei 27 Paesi membri “hanno lanciato un chiaro messaggio di sostegno a nuovi Trattati che conferiscano maggiori competenze all’Ue”, ma anche il desiderio di “molte persone nel vicinato europeo di diventare cittadini” di un progetto politico che è “una promessa di pace, giustizia, valori condivisi e prosperità”. Da qui dovrebbe scaturire “una nuova spinta” all’allargamento Ue, “attesa da tempo” e con implicazioni geopolitiche”, in primis sul fatto che continua a rendere “meno importanti le frontiere” ed è perciò “la migliore prospettiva per una pace e una sicurezza durature in Europa”.Da sinistra, i due candidati comuni del Partito Verde Europeo nominati al Congresso di Lione (3 febbraio 2024): Terry Reintke e Bas Eickhout (credits: Olivier Chassignole / Afp)Con questa visione di breve e lungo periodo “tutti i Paesi europei che aspirano a far parte o a rientrare nell’Ue” – un chiaro messaggio di apertura ai cittadini del Regno Unito – “e che condividono i nostri valori devono essere accolti”, ricevendo da Bruxelles “tutto il sostegno necessario per soddisfare i criteri”. Perché per i Verdi europei si tratta di “mantenere le promesse” fatte ai Paesi candidati (ma non viene citata la Turchia), con un accento particolare posto sul “sostegno agli sforzi del Kosovo per diventare un candidato all’adesione” e sul fatto che “ogni Paese candidato dovrebbe essere in grado di seguire il proprio percorso verso l’Ue indipendentemente dai progressi degli altri Paesi candidati” (a proposito di Albania e Macedonia del Nord, e di Kosovo e Serbia). Inoltre viene rimarcato che il “futuro dell’Ucraina è nell’Unione Europea” e i Verdi europei si impegnano a “sostenere le autorità ucraine nell’introduzione delle riforme necessarie”. Per fare tutto questo, le istituzioni Ue dovrebbero “collaborare più strettamente con la società civile”, ma soprattutto “superare l’unanimità in Consiglio che attualmente ostacola l’adesione“. Perché, in definitiva, “l’accoglienza di nuovi membri deve servire come spinta vitale per le riforme interne”, facendo sì che gli Stati membri possano prendere decisioni “in modo efficiente ed efficace”.Ecr contro l’allargamento Ue come aumento dell’integrazioneBreve ma incisivo il paragrafo sull’allargamento Ue nel Manifesto del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) in vista delle elezioni europee di giugno: “È fondamentale che l’Ue non sfrutti questa opportunità per espandere i propri poteri”. Nonostante i conservatori europei si dicano disposti a “prendere in considerazione un ulteriore allargamento Ue a Paesi strategicamente importanti” (sulla base di merito e sul rispetto dei criteri di Copenaghen), mettono in chiaro che “rifiuteremo categoricamente qualsiasi approfondimento automatico dell’integrazione politica dell’Ue come risultato diretto” del processo di allargamento. Porta chiusa a una riforma dei Trattati Ue, senza eccezioni.La Sinistra e le salvaguardie democraticheLo Spitzenkadidat del Partito della Sinistra Europea nominato al Congresso di Lubiana (24 febbraio 2024), Walter BaierAnche il Manifesto del Partito della Sinistra Europea si concentra sulle priorità dell’allargamento Ue – senza citare alcuna riforma dei Trattati o maggiore integrazione europea – mettendo però al centro i “criteri chiari che non devono essere indeboliti” in questa sfera: “Gli Stati possono diventare membri dell’Ue solo se rispettano i diritti umani, lo Stato di diritto e i diritti sociali e politici delle loro popolazioni, comprese le minoranze”. In questo senso la politica di allargamento Ue “non deve essere uno strumento per approfondire le fratture all’interno dell’Europa e aumentare le tensioni militari”, né tantomeno dovrebbe “assegnare ai Paesi aderenti il ruolo di fornitori di materie prime, prodotti agricoli e manodopera a basso costo, come sta già facendo”. L’esortazione della Sinistra è quella di “concentrarsi sulla salvaguardia della democrazia e dello Stato di diritto” e parallelamente sul “rafforzamento della coesione sociale nei Paesi candidati e negli Stati membri”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il presidente serbo Vučić mantiene ambiguità verso la linea Ue anche sui rapporti con la Cina

    Bruxelles – Un rapporto “d’acciaio” che “nessuno potrà spezzare”. Non quello tra la Serbia e l’Unione Europea, ma tra la Serbia e la Cina. Sono queste le parole scelte dal presidente serbo, Aleksandar Vučić, per accogliere l’omologo cinese, Xi Jinping, oggi (8 maggio) a Belgrado, nel suo tour europeo che lo ha portato anche a Parigi e infine a Budapest. Una tappa carica di simbolismo per le relazioni tra Serbia e Cina – ricorre il 25esimo anniversario dal bombardamento Nato di Belgrado che colpì anche l’ambasciata cinese – i cui toni hanno evidenziato ancora una volta la distanza di Vučić dalla linea che l’Unione a cui vorrebbe aderire sta cercando (a fatica) di tenere nei confronti di Pechino.Da sinistra: il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Belgrado il 7 maggio 2024 (credits: Elvis Barukcic / Afp)“La Cina non ha mai voltato le spalle alla Serbia, sono stati al nostro fianco anche 25 anni fa, siete sempre i benvenuti nella vostra seconda casa”, è stata l’accoglienza con tutti gli onori al presidente cinese da parte del leader serbo, facendo riferimento ai bombardamenti Nato nella primavera del 1999 condannati da Pechino. Un atteggiamento che non cela completamente una buona dose di provocazione nei confronti dell’Unione Europea, dalla politica estera alla politica economica. “Come piccolo Paese dobbiamo affrontare pressioni che provengono da diverse parti a causa della politica autonoma che portiamo avanti, ti chiediamo sostegno”, è la richiesta di Vučić a uno dei Paesi che più creano preoccupazioni a Bruxelles, con implicito riferimento al non-allineamento sulle sanzioni Ue contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina. Negli ultimi due anni il presidente serbo ha dovuto fare l’equilibrista per non diventare il paria in Europa – con un’opposizione totale alla linea dura dell’Ue contro il Cremlino – ma allo stesso tempo per non trovarsi costretto a recidere il legame con Mosca adottando le sanzioni internazionali. Ed è proprio grazie alla sponda cinese (e alla stessa ambiguità di Pechino verso la Russia) che Vučić riesce a ritagliarsi uno spazio di manovra altrimenti insostenibile, dimostrando al contrario l’immobilità dell’Ue nel prendere contromisure.Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca (4 dicembre 2019)Un altro tema su cui la Serbia trova il sostegno della Cina è senza dubbio quello della sovranità territoriale e del non-riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo (dichiarata unilateralmente nel 2008), nonostante Bruxelles sia impegnata da oltre 10 anni nella mediazione di un difficilissimo dialogo per la normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina. “I due Paesi sostengono fermamente i reciproci interessi, sulla base di solidi rapporti politici”, ha confermato Xi Jinping: “La Cina appoggia la Serbia nella difesa della sua indipendenza e nel suo corso di sviluppo“. Anche su questo fronte per il leader serbo risulta più sostenibile continuare a ostacolare quanto negoziato a livello diplomatico con Bruxelles, mentre l’Unione sembra incapace di reagire con la stessa rigidità assunta nei confronti di Pristina. Per Pechino la carta di scambio è il riconoscimento di Taiwan come parte integrante della Cina, questione non particolarmente spinosa a Belgrado: “Siamo amici fedeli”, ha confermato Vučić a proposito di un altro tema di distanza dalla cautela che invece sta cercando l’Unione Europea (sempre ricordando che la Serbia è un Paese candidato all’adesione).E poi c’è la politica economica e commerciale, proprio uno dei due temi di “interesse vitale” per l’Unione Europea al centro del vertice trilaterale di lunedì (6 maggio) a Parigi tra il presidente cinese, l’omologo francese, Emmanuel Macron, e la numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. “La Serbia e la Cina stanno passando da avere relazioni strategiche al futuro comune dei nostri due Paesi, è la più alta forma di cooperazione e sono orgoglioso di aver potuto firmarla oggi”, ha esultato Vučić, parlando della Dichiarazione congiunta siglata oggi per il rafforzamento del partenariato strategico globale tra Pechino e Belgrado: “Traccia la direzione per lo sviluppo delle relazioni nostre bilaterali”. I due leader hanno siglato un totale di 28 accordi e protocolli d’intesa dalle infrastrutture alla cultura, dallo sport alla tecnologia – compreso uno sull’acquisto di nove treni elettrici per le ferrovie del Paese balcanico, mentre l’alta velocità Belgrado-Budapest sarà completata entro il 2026 con il sostegno cinese – e la cui traiettoria non può non impensierire Bruxelles: “La Serbia diventa il primo Paese europeo con il quale costruiremo una comunità per un futuro comune“, ha aggiunto il presidente cinese.Per concludere la carrellata di dichiarazioni sibilline, se non di vere e proprie provocazioni nei confronti dell’Unione Europea, il presidente Vučić ha voluto anche sottolineare che la Cina “è il nostro principale investitore e il secondo partner commerciale”, con le esportazioni da Belgrado verso Pechino che sono “aumentate di 140 volte negli ultimi dieci anni, e con l’Accordo di libero scambio [dell’ottobre 2023, ndr] potremo esportare quasi il 95 per cento dei prodotti che produciamo senza dazi”. Il leader serbo si è però dimenticato di ricordare il valore commerciale di questo rapporto e della differenza abissale con quanto in ballo con i Ventisette: se nel 2022 la Cina muoveva 5,8 miliardi (in euro) tra esportazioni (4,7) e importazioni (1,1), nello stesso anno la Serbia importava 21,39 miliardi ed esportava 17,69 miliardi nell’Ue, per un totale di 39,08 miliardi di euro (più di sei volte rispetto a Pechino).Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    La Serbia ha un nuovo governo, già molto controverso per la presenza di due filo-russi sanzionati dagli Usa

    Bruxelles – Dopo quasi cinque mesi dalle contestatissime elezioni la Serbia ha un nuovo governo. Ma, nemmeno il tempo di insediarsi, e già si mostrano i primi segnali di un rapporto tutto in salita con i partner occidentali. Perché tra i membri del gabinetto guidato da Miloš Vučević compaiono due figure particolarmente controverse per i rapporti con la Russia di Vladimir Putin, tanto da comparire nella lista delle persone sanzionate dagli Stati Uniti nell’ultimo anno: l’ex-capo dell’intelligence serba, Aleksandar Vulin, e il politico di lungo corso e proprietario di aziende con sede in Russia Nenad Popović. E anche per l’Unione Europea il futuro di breve periodo continua a prospettarsi complesso – tanto quanto lo è stato con l’ex-premier e oggi speaker dell’Assemblea nazionale, Ana Brnabić – in particolare per quanto riguarda il dialogo mediato da Bruxelles per la normalizzazione dei rapporti con il Kosovo.Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, si congratula con il neo-primo ministro, Miloš Vučević, 2 maggio 2024 (credits: Oliver Bunic / Afp)È stato lo stesso neo-premier Vučević a definire il suo governo in linea di “continuità” con quello precedente, nel corso della sessione parlamentare che ieri (2 maggio) ha dato il via libera al nuovo esecutivo. Nessuna sorpresa, anche considerato il fatto che Vučević è stato vicepremier e ministro della Difesa proprio nell’ultimo gabinetto guidato da Brnabić. “Continuità” significherà senza dubbio nessuno stravolgimento nella politica estera – sia per la strada verso l’adesione all’Ue sia per il mantenimento dei rapporti con Russia e Cina – ma anche nelle questioni considerate a Belgrado di politica interna (cioè il rapporto con il Kosovo, di cui non è mai stata riconosciuta l’indipendenza dal 2008). E soprattutto per quanto riguarda la presa forte del presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, sul partito al potere – Vučević è un suo stretto alleato, nonché leader del Partito Progressista Serbo (Sns) dopo le dimissioni dello stesso Vučić lo scorso anno – e sulla politica di governo più in generale.Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, alle urne il 17 dicembre 2023 (credits: Elvis Barukcic / Afp)Al momento però l’attenzione è tutta puntata sulla squadra di governo, composta da 31 membri (di cui la maggior parte espressione dell’Sns). Tra questi in particolare l’ex-capo dell’Agenzia per le informazioni sulla sicurezza della Serbia Vulin, che sarà uno dei nuovi vicepremier. Dal luglio dello scorso anno Vulin compare nella lista dei sanzionati degli Stati Uniti non solo per essere coinvolto “in attività di criminalità organizzata transnazionale, operazioni illegali di narcotici e abuso di ufficio pubblico”, ma anche per aver utilizzato le sue posizioni pubbliche per “facilitare le attività maligne della Russia che degradano la sicurezza e la stabilità dei Balcani Occidentali e fornendo alla Russia una piattaforma per promuovere la sua influenza nella regione“. Come se non bastasse anche l’imprenditore e fondatore del Partito Popolare Serbo nazionalista Popović è stato nominato ministro senza portafoglio, nonostante sia sanzionato dal novembre 2023 sempre dagli Stati Uniti per aver “utilizzato le sue aziende con sede in Russia per arricchirsi e ottenere stretti legami con gli alti dirigenti del Cremlino” nei settori “della consulenza, dell’immobiliare e dell’elettronica dell’economia russa” attraverso “appropriazioni indebite e schemi fiscali”.Con Bruxelles rimane poi particolarmente spinosa la questione del rispetto degli standard democratici. Nel suo rapporto finale sulle elezioni anticipate del 17 dicembre 2023, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) aveva avvertito che nonostante “le libertà fondamentali sono state generalmente rispettate durante la campagna elettorale”, il voto è stato “inficiato da una retorica aspra, dalla parzialità dei media, dalle pressioni sui dipendenti del settore pubblico e dall’uso improprio delle risorse pubbliche”. È per questo che il Parlamento Europeo ha richiesto alla Commissione Ue azioni pesanti nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità nei brogli elettorali, tra cui la “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione. La premier uscente Brnabić ha poi chiuso la porta a un’indagine internazionale, “perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale”, ma a Bruxelles rimangono ancora grosse preoccupazioni sulle irregolarità alle urne e la mancanza di completa trasparenza nel processo elettorale.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipateLe proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione è rimasta tesa per settimane dopo la vittoria rivendicata dal filo-russo Aleksandar Šapić, al punto da costringere il governo serbo a ripetere le elezioni amministrative il prossimo 2 giugno. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Alex Halada / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba – ora membro del nuovo governo – Vulin aveva riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    A un anno dall’accordo di Ohrid è scarso l’impegno di Kosovo e Serbia per l’implementazione

    Bruxelles – È passato un anno, ma i rapporti tra Kosovo e Serbia non sono migliorati. Al contrario. “È deplorevole che, nonostante gli sforzi profusi dall’Ue e dalla più ampia comunità internazionale, i progressi compiuti dal Kosovo e dalla Serbia nell’attuazione degli obblighi assunti con l’Accordo di Ohrid siano stati finora molto limitati“, è il secco commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sul primo anniversario di quello che – il 18 marzo 2023 – veniva considerato un punto di svolta assolutamente positiva per la regione balcanica e per la risoluzione delle controversie tra Pristina e Belgrado.

    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il 18 marzo 2023 (Ohrid, Macedonia del Nord)Nelle 12 ore di discussione a Ohrid, sulle sponde del lago in Macedonia del Nord, un anno fa era stato dato il via libera – ma senza firma – all’allegato di attuazione della complicatissima intesa di Bruxelles raggiunta il 27 febbraio (che aveva definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo), la vera chiave di volta di tutta l’impalcatura per stabilire “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come”. Accordo e relativo allegato di attuazione sono diventati così parte integrante dei rispettivi processi di adesione all’Ue dei due Paesi balcanici, rendendo di fatto vincolante l’implementazione di tutte le misure messe nero su bianco. “L’Ue ha ricordato più volte che l’Accordo è vincolante nella sua interezza ai sensi del diritto internazionale”, ha ricordato Borrell, ribadendo che “la mancata attuazione non solo mette a rischio l’integrazione europea delle parti, ma danneggia anche la loro reputazione di partner credibili e affidabili“.A oggi non si registrano progressi se non su quei tre elementi già menzionati nell’ultima riunione di alto livello a Bruxelles il 14 settembre dello scorso anno nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado. Ovvero la dichiarazione sulle persone scomparse, l’annuncio sul comitato di monitoraggio congiunto e la presentazione della bozza sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. È proprio questo il punto su cui è ancora incagliato il dialogo Pristina-Belgrado e su cui si continuano a registrare tensioni che, nel corso del 2023, sono sfociate in pericolosi episodi di violenza: l’Accordo di Bruxelles del 2013 mai implementato sulla comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. “È giunto il momento per il Kosovo e la Serbia di interrompere l’attuale circolo vizioso di crisi e tensioni e di entrare in una nuova era, quella europea“, ha continuato l’affondo l’alto rappresentante Ue, rilanciando il dialogo di alto livello con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti: “Ci aspettiamo che i leader diano prova di responsabilità, visione e leadership facendo progressi nell’attuazione senza ulteriori ritardi”.L’annus horribilis tra Kosovo e SerbiaA soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Bruxelles in pressing su Belgrado: “Attuare le raccomandazioni Osce in vista di future elezioni”

    Bruxelles – Continua il botta e risposta tra Bruxelles e Belgrado sullo svolgimento delle elezioni anticipate in Serbia del 17 dicembre, con un nuovo elemento sul tavolo: il rapporto finale dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) sugli elementi di criticità alle urne. “Conferma le preoccupazioni dell’Unione Europea, il processo elettorale richiede miglioramenti tangibili e ulteriori riforme” e “le segnalazioni di irregolarità devono essere affrontate in modo trasparente, comprese quelle relative alle elezioni locali”, è quanto sottolineato questa mattina (29 febbraio) dal portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, alle urne il 17 dicembre 2023 (credits: Elvis Barukcic / Afp)Il rapporto dell’Osce pubblicato meno di 24 ore fa conferma l’allarme già anticipato dalle conclusioni preliminari di dicembre, in particolare sul fronte delle interferenze interne e delle condizioni inique per i concorrenti del partito Partito Progressista Serbo (Sns) al potere. “Sebbene tecnicamente ben amministrate e in grado di offrire agli elettori una scelta di alternative politiche”, le elezioni anticipate del 2023 “sono state dominate dal coinvolgimento decisivo del presidente” Aleksandar Vučić che, “insieme ai vantaggi sistemici del partito al potere, ha creato condizioni ingiuste per i concorrenti”, è quanto rilevato dall’Osce. A questo si aggiunge il fatto che, anche se “le libertà fondamentali sono state generalmente rispettate durante la campagna elettorale”, il voto è stato “inficiato da una retorica aspra, dalla parzialità dei media, dalle pressioni sui dipendenti del settore pubblico e dall’uso improprio delle risorse pubbliche”.È con queste indicazioni che si riapre la partita delle misure da prendere a seguito di uno svolgimento non completamente trasparente delle elezioni anticipate del 17 dicembre scorso. Solo pochi giorni fa la prima ministra serba in carica, Ana Brnabić, aveva chiuso completamente la porta a un’indagine internazionale, “perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale”, respingendo la risoluzione del Parlamento Europeo in cui erano state richieste azioni pesanti alla Commissione Ue nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità e del governo uscente nei brogli elettorali. Tra queste una “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione: “Dovrebbero avanzare solo se il Paese compie progressi significativi nelle riforme legate all’Ue”. Oltre all’indagine internazionale indipendente gli eurodeputati hanno chiesto alla Commissione anche di lanciare “un’iniziativa per l’invio di una missione di esperti in Serbia” sull’esempio dei ‘rapporti Priebe’ (le raccomandazioni di un gruppo di esperti incaricato dalla Commissione nel 2015 sulla Macedonia del Nord).“Non c’è tempo da perdere” sull’attuazione delle 25 raccomandazioni dell’Osce “in vista delle future elezioni nel Paese”, è l’esortazione del portavoce del Seae Stano all’indirizzo delle autorità di Belgrado, facendo riferimento agli “obblighi e standard internazionali per le elezioni democratiche”. Le raccomandazioni principali riguardano la necessità di “rivedere la legislazione per affrontare efficacemente” le carenze a proposito di “un processo consultivo inclusivo basato su un ampio consenso politico”, l’introduzione di “una formazione obbligatoria standardizzata per tutti i membri delle commissioni elettorali locali e dei comitati elettorali” e lo sviluppo di “un programma di educazione degli elettori tempestivo, completo e mirato”, compresa “la prevenzione del voto di gruppo” e “l’importanza del voto a scrutinio segreto”. L’Osce raccomanda anche “una revisione significativa dei registri elettorali e civili” e l’adozione di “misure per prevenire l’uso improprio delle cariche e delle risorse statali”, allo stesso tempo implementando “meccanismi efficaci di controllo legale e istituzionale per prevenire intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi i dipendenti delle istituzioni pubbliche e statali”.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipate

    Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Alex Halada / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews