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    Prima del Consiglio Ue von der Leyen sente i leader di Kosovo e Serbia. Borrell: “Stati membri stanno perdendo la pazienza”

    Bruxelles – Scende in campo la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, per cercare di dare il colpo definitivo ai rischi dell’aumento delle tensioni tra Kosovo e Serbia. “Ho sottolineato l’urgente necessità di una de-escalation e del ritorno al dialogo facilitato dall’Ue sulla normalizzazione delle relazioni con la Serbia”, ha reso noto oggi (27 giugno) in un tweet la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario dopo la telefonata con il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e poco prima di fare lo stesso con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. Colloqui che arrivano alla vigilia del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue troveranno anche la questione delle violenze degli ultimi mesi nel nord del Kosovo e della tensione tra Pristina e Belgrado sul tavolo delle discussioni.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (27 giugno 2023)
    È la seconda volta che la presidente von der Leyen affronta la questione da quando il 26 maggio sono scoppiate le violente proteste nel nord del Kosovo che hanno portato a un aggravamento della situazione nella regione. “Le recenti tensioni sono preoccupanti, mi associo agli appelli rivolti a tutte le parti ad abbandonare lo scontro e ad adottare misure urgenti per ristabilire la calma“, aveva messo in chiaro la leader della Commissione presentando il nuovo piano di crescita per i Balcani Occidentali lo scorso 31 maggio. Da allora però è passato quasi un mese e sono stati pochi i segnali di riduzione delle provocazioni tra Pristina e Belgrado. Ma – come ha messo in chiaro l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in un punto stampa con il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, al termine dell’incontro di oggi – “gli Stati membri stanno perdendo la pazienza davanti a una situazione che continua a deteriorarsi“. Della questione i 27 governi ne hanno discusso ieri (26 giugno) al Consiglio Affari Esteri, trovandosi d’accordo sul fatto che “le parti devono permettere la de-escalation della situazione e trovare una via basata sulla tabella di marcia proposta loro la settimana scorsa” alla riunione di emergenza a Bruxelles.
    A proposito delle discussioni a livello Ue, saranno proprio i 27 capi di Stato e di governo ad affrontare direttamente la questione tra giovedì e venerdì. Come emerge dall’ultima bozza delle conclusioni visionata da Eunews, il Consiglio Europeo “condanna i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo e chiede un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione europea il 3 giugno 2023″, in riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese. La specifica sulla data è una novità rispetto alla prima versione delle conclusioni, ma non è l’unica. Spicca in particolare l’esortazione a entrambe le parti a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo” (Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica), mentre rimane la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. Uguale il passaggio sulla necessità della ripresa del dialogo facilitato dall’Ue e la “rapida attuazione dell’Accordo sul percorso di normalizzazione e del relativo Allegato di attuazione” (ripetitivamente l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid il 18 marzo). Ma nell’ultima bozza è stato incluso anche l’esplicito riferimento alla “istituzione dell’Associazione/Comunità dei Comuni a maggioranza serba“.
    L’arresto/sequestro di tre poliziotti kosovari dai servizi di sicurezza serbi nell’area di confine tra Serbia e Kosovo (14 giugno 2023)
    Anche il premier albanese Rama da Bruxelles ha messo in guardia sugli “effetti devastanti che un’ulteriore deterioramento della situazione potrebbe avere non solo in Kosovo e Serbia, ma in tutta la regione” dei Balcani Occidentali. Parole di soddisfazione sono state rivolte a Belgrado per aver risolto l’ultimo episodio di tensione – la liberazione di ieri dei tre poliziotti kosovari arrestati/rapiti dalle forze di sicurezza serbe il 14 giugno – ma “ora è tempo per una de-escalation urgente e immediata”, ha rimarcato il primo ministro: “Questa situazione non può impattare in modo negativo la regione, abbiamo molto da fare dopo tanti progressi, non può cadere tutto come un castello di sabbia”. Ecco perché l’idea condivisa da Tirana è quella di “una conferenza di massimo livello con Ue e Stati Uniti, che porti i leader dei due Paesi allo stesso tavolo“, è quanto avanzato da Rama. Da quel tavolo il premier Kurti e il presidente Vučić “non devono andarsene prima di aver trovato un accordo, altrimenti rischieranno di incorrere in conseguenze negative e spiacevoli per tutti”.
    Cosa sta succedendo tra Serbia e Kosovo
    Lo scorso 26 maggio sono scoppiate violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma la tensione tra Pristina e Belgrado rimane ancora alta e per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.

    La presidente della Commissione Ue ha telefonato al premier kosovaro, Albin Kurti, e al presidente serbo, Aleksandar Vučić, per ribadire “l’urgente necessità di una de-escalation e del ritorno al dialogo”. Nella bozze di conclusioni del vertice dei leader Ue inserito un punto specifico

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    Serbia e Kosovo hanno raggiunto un’intesa sulla Dichiarazione sulle persone scomparse dell’accordo Ue

    Bruxelles – Un primo passo, per la verità e per la difficile messa a terra dell’accordo di normalizzazione dei rapporti tra Kosovo e Serbia, in tutti i suoi punti e in tutti i suoi documenti vincolanti. Nonostante le polemiche per la mancata firma dell’accordo stesso – che più di un segno di penna sulla carta sembra scommettere sull’efficacia delle minacce di un taglio dei canali di finanziamento da Bruxelles per chi non lo rispetterà – Pristina e Belgrado hanno iniziato a implementare una prima parte dell’intesa: la Dichiarazione sulle persone scomparse, negoziata nell’ambito del dialogo facilitato dall’Unione Europea.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (18 marzo 2023)
    Come reso noto dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, l’intesa preliminare è stata raggiunta nel corso della riunione di ieri (4 aprile) tra i capi-negoziatori dei due Paesi balcanici, riuniti a Bruxelles per un nuovo round di discussioni a livello tecnico. Si tratta di “un primo passo” sul percorso di normalizzazione dei rapporti secondo l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio e il relativo allegato di attuazione del 19 marzo a Ohrid (Macedonia del Nord), entrambi concordati alla presenza del presidente serbo, Aleksandar Vučić, e del primo ministro kosovaro, Albin Kurti. E proprio dagli stessi leader dei due Paesi è attesa la firma ufficiale “nella prossima riunione di alto livello che convocherò”, ha precisato Borrell. La data da segnare sul calendario per il dialogo Pristina-Belgrado è il 22 aprile, mentre “è in corso la traduzione dei loro impegni nei rispettivi percorsi europei”. Le istituzioni Ue si aspettano non solo che “entrambi onorino tutti gli obblighi derivanti dall’accordo e inizino ad attuarlo al più presto”, ma anche che continuino a “evitare qualsiasi escalation”, ha avvertito Borrell, riferendosi ai rischi di nuove escalation delle frange estremiste della minoranza serba nel nord del Kosovo.
    La Dichiarazione sulle persone scomparse in Kosovo e Serbia
    La questione di un’intesa tra Serbia e Kosovo per fare luce sulle persone scomparse durante la guerra del 1998-1999 è stato messo nero su bianco nei due documenti siglati il 27 febbraio e il 19 marzo. Nell’accordo di Bruxelles in 11 punti sulla normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi trova spazio all’articolo 6, quello che precisa la necessità di stipulare “accordi aggiuntivi” sulla “futura cooperazione nei settori dell’economia, della scienza e della tecnologia, dei trasporti e della connettività, delle relazioni giudiziarie e delle forze dell’ordine, delle poste e delle telecomunicazioni, della sanità, della cultura, della religione, dello sport, della tutela dell’ambiente, delle persone scomparse, degli sfollati”. Più esplicito l’allegato di attuazione dell’accordo in 12 punti, che all’articolo 4 riconosce “l’urgenza” di “approvare la Dichiarazione sulle persone scomparse, negoziata nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue”.
    Manifestazione a Pristina, Kosovo, in occasione della Giornata internazionale delle vittime delle sparizioni forzate nel 2018 (credits: Armend Nimani / Afp)
    L’intesa raggiunta a livello tecnico – per cui ora serve solo il via libera ufficiale alla prossima riunione di alto livello – si basa su un dramma sociale nei due Paesi balcanici: sono 1600 i corpi delle persone scomparse nei due anni di guerra in Kosovo che non sono ancora stati localizzati, dopo gli oltre seimila rintracciati in più di 20 anni dalla fine della guerra. Gli scomparsi appartengono a tutte le comunità etniche: albanesi, serbi, rom, turchi, ashkali e bosgnacchi. Se per gli esperti è quasi impossibile ritrovarli tutti (durante le guerre etniche degli anni Novanta nell’ex-Jugoslavia si sono registrati anche traffici di organi), una cooperazione a livello politico potrebbe portare a una diminuzione del numero di persone la cui sorte non può essere stabilita con assoluta certezza. La base di partenza esiste già ed è il gruppo di lavoro bilaterale Pristina-Belgrado sulle persone scomparse (in stallo dal giugno 2021), su cui si dovrebbero concentrare gli sforzi di cooperazione per la ricerca, lo scambio di informazioni e le migliori pratiche.
    Si tratta inoltre di una questione umanitaria di carattere non solo regionale, ma globale. Secondo l’articolo 24 della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata del 2006, “ogni vittima [dove per ‘vittima’ si intende anche “qualsiasi individuo che abbia subito un danno come conseguenza diretta di una sparizione forzata”, ndr] ha il diritto di conoscere la verità sulle circostanze della sparizione forzata, sui progressi e sui risultati delle indagini e sulla sorte della persona scomparsa“. Ogni Stato firmatario “adotterà misure adeguate a questo proposito”, precisa la Convezione ratificata dalla Serbia nel 2011, mentre il Kosovo non può farlo fino a quando non sarà ammesso nelle Nazioni Unite.

    Alla prossima riunione di alto livello a Bruxelles del 22 aprile sarà firmato il testo concordato dai capi-negoziatori dei due Paesi balcanici. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, lo ha definito “un primo passo” per “onorare tutti gli obblighi derivanti” dai due vertici di Bruxelles e Ohrid

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    Le 12 ore di Ohrid. L’Ue riesce a far trovare l’intesa a Serbia e Kosovo per l’attuazione dell’accordo di normalizzazione

    Bruxelles – Il diavolo sta nei dettagli, “ma a volte sta nel calendario e nelle tempistiche”. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha fornito una sua personalissima interpretazione della “lunga e difficile” discussione di 12 ore a Ohrid, sulle sponde del lago in Macedonia del Nord, teatro dell’ultimo round di alto livello del dialogo per la normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia. Un appuntamento atteso con particolare urgenza a Bruxelles, dopo il vertice del 27 febbraio decisivo per far trovare alle due parti una complicatissima intesa sulla proposta Ue in 11 punti. Mancava solo il via libera all’allegato di attuazione dell’accordo – la vera chiave di volta di tutta l’intesa che stabilisce “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come” – e ad Ohrid si può dire che quantomeno non c’è stata nessuna battuta di arresto.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (18 marzo 2023)
    Perché i due leader di Kosovo e Serbia, rispettivamente il premier Albin Kurti e il presidente Aleksander Vučić, hanno avallato l’allegato di attuazione, ma non l’hanno firmato. Il 18 marzo ad Ohrid è andato in scena un duello diplomatico, in cui l’alto rappresentante Borrell e il suo braccio destro, il rappresentante speciale per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák, hanno dovuto destreggiarsi per arrivare alle 23.10 e poter dire “abbiamo un accordo”. Tra luci e ombre. “Devo ammettere che inizialmente abbiamo proposto un annesso più ambizioso e dettagliato, ma sfortunatamente le parti non hanno trovato un accordo“, ha confessato Borrell, puntando il dito sulla responsabilità condivisa tra Pristina e Belgrado: “Da una parte, al Kosovo è mancata flessibilità nella sostanza, dall’altra parte, la Serbia aveva dichiarato a priori che non l’avrebbe firmato, anche se era pronta a implementarlo pienamente”. Ecco perché i due diplomatici europei hanno dovuto mettere sul tavolo “diverse proposte creative” – anche se “non così ambiziose come le prime” – e così, con la dichiarazione alla stampa dell’alto rappresentante Ue, “l’annesso è considerato adottato”.
    Non si tratta solo di parole o promesse, ma di un documento che ha un impatto concreto, anche senza firma. “Quello che hanno accettato – l’accordo e l’annesso di implementazione – diventeranno una parte integrante dei rispettivi percorsi verso l’adesione Ue“, ha puntualizzato l’alto rappresentante Borrell. In altre parole, se Pristina e Belgrado vorranno continuare a seguire la strada verso l’adesione Ue, è esplicito l’obbligo di mettere a terra tutti i punti concordati e adottati in principio. Anche senza firma. “Per renderlo concreto, lancerò immediatamente i lavori per includere gli emendamenti nel capitolo di negoziazione 35 con la Serbia [sulle relazioni esterne, ndr] e nell’agenda del gruppo speciale sulla normalizzazione del Kosovo”, e da questo momento “entrambe le parti saranno legate dall’accordo”. Il retro della medaglia è perfettamente intuibile: “Ora gli obblighi sono parte del percorso europei, non rispettarli avrà conseguenze“. Anche perché il dialogo Pristina-Belgrado “non riguarda solo Kosovo e Serbia”, ha spiegato ancora Borrell, facendo riferimento alla “stabilità, sicurezza e prosperità” dell’intera regione dei Balcani Occidentali.
    Cosa prevede l’allegato di attuazione dell’accordo tra Serbia e Kosovo
    L’allegato di attuazione dell’accordo sul percorso di normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia è composto di 12 punti, che costituiscono “parte integrante dell’accordo” stesso. Le due parti si impegnano “pienamente” a rispettare tutti gli articoli non solo dell’intesa del 27 febbraio, ma anche dell’allegato che mette nero su bianco i “rispettivi obblighi da adempiere tempestivamente e in buona fede“. Il presupposto è proprio il fatto che entrambi i documenti sono ora “parte integrante dei rispettivi processi di adesione all’Ue“, con le misure annunciate dall’alto rappresentante per rendere questo punto effettivo nei rapporti bilaterali tra Bruxelles e Pristina e tra Bruxelles e Belgrado.
    Come obblighi da attuare, Kosovo e Serbia “convengono di approvare con urgenza la Dichiarazione sulle persone scomparse“, negoziata nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue e Pristina deve “avviare immediatamente negoziati per la definizione di accordi e garanzie specifici che assicurino un livello adeguato di autogestione per la comunità serba in Kosovo“, così come già concordato 10 anni fa. Si tratta dell’Associazione delle municipalità serbe nel Paese prevista dall’accordo del 2013, mai implementato. Sul piano dell’attuazione di tutte le disposizioni sia dell’accordo sia dell’allegato, le due parti istituiranno un Comitato congiunto di monitoraggio presieduto dall’Ue, da istituire “entro 30 giorni”. Tra le scadenze viene inclusa anche quella di metà agosto 2023 (“entro 150 giorni) per l’organizzazione di una Conferenza dei donatori per definire un pacchetto di investimenti e aiuti finanziari per Kosovo e Serbia, in modo da attuare l’articolo 9 sull’impegno dell’Ue “in materia di sviluppo economico, connettività, transizione ecologica e altri settori chiave”. In ogni caso l’Unione Europea “non effettuerà alcun esborso prima di aver accertato la piena attuazione di tutte le disposizioni dell’accordo”.
    Il rispetto dei due documenti implica il fatto che “tutti gli articoli saranno attuati indipendentemente l’uno dall’altro“, che l’ordine dei paragrafi dell’allegato “non pregiudica l’ordine di attuazione” e che non dovrà essere bloccata l’attuazione di “nessuno degli articoli”. Le discussioni tra le parti per l’attuazione dell’accordo continueranno “nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue” e il mancato rispetto degli obblighi derivanti “dall’accordo, dal presente allegato o dai precedenti Accordi di dialogo” può avere “conseguenze negative dirette sui rispettivi processi di adesione e sugli aiuti finanziari che ricevono dall’Ue“, è quanto si legge a chiare lettere nel documento avallato da Kurti e Vučić..

    Sulle sponde del lago macedone il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, hanno avallato (ma non firmato) l’allegato di implementazione del vertice di Bruxelles. Un vincolo per i rispettivi percorsi Ue su “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come”

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    Cosa prevede la proposta Ue in 11 punti accettata da Serbia e Kosovo per la normalizzazione dei loro rapporti

    Bruxelles – C’è il via libera delle parti, ora servirà un intenso lavoro per l’implementazione e la firma dell’accordo definitivo. A Bruxelles è scattato ieri sera (27 febbraio) il semaforo verde all’ultimissima versione di quella che fu la proposta franco-tedesca per la normalizzazione dei rapporti tra Kosovo e Serbia e che oggi è a tutti gli effetti una proposta Ue perché, come puntualizzato dall’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, “tutti i 27 Paesi membri l’hanno appoggiata”. Compresi i cinque che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia).
    Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti (27 febbraio 2023)
    Un totale di 11 punti, due in più rispetto alla versione di partenza dello scorso settembre, che dovranno regolare i rapporti futuri tra i due Paesi balcanici. L’intesa politica tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti – esplicita a Bruxelles, ma più o meno tacita in patria per tutte le sue implicazioni nei due Paesi – è sicuramente un passo in avanti rispetto agli altri sei vertici di alto livello svoltisi a Bruxelles dal 2019 a ieri. Tuttavia l’attenzione è già rivolta al prossimo incontro di metà marzo, quando si dovranno prendere decisioni pratiche per mettere a terra gli impegni di principio sanciti negli 11 punti della proposta Ue dal titolo Agreement on the path to normalization between Kosovo and Serbia.
    Il testo della proposta Ue sui rapporti Kosovo-Serbia
    Leggendo il testo della proposta Ue è palese la ripresa della base di partenza franco-tedesca, sviscerata con i risultati di cinque mesi di confronto diplomatico tra Bruxelles, Pristina e Belgrado. L’articolo 1 si imposta sull’incipit originario “le Parti sviluppano tra loro relazioni normali e di buon vicinato sulla base della parità di diritti”, ma aggiunge che i due Paesi dovranno anche “riconoscere reciprocamente i rispettivi documenti e simboli nazionali, compresi passaporti, diplomi, targhe e timbri doganali”. Un evidente richiamo a quanto accaduto rispetto alle tensioni nel nord del Kosovo tra fine luglio e dicembre per l’imposizione delle targhe kosovare alla minoranza serba.
    Sparito dall’articolo 2 il riferimento alle reciproche aspirazioni all’adesione all’Ue, sostituito dagli “obiettivi e principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, in particolare quelli dell’uguaglianza sovrana di tutti gli Stati, del rispetto della loro indipendenza, autonomia e integrità territoriale, del diritto all’autodeterminazione, della tutela dei diritti umani e della non discriminazione”. Rimane implicito il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia (in vigore unilateralmente dal 17 febbraio 2008), rafforzato dal punto 4: “Le Parti partono dal presupposto che nessuna delle due può rappresentare l’altra nella sfera internazionale o agire per suo conto”. La nuova aggiunta di peso è il paragrafo che precisa senza ambiguità che “la Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale“. Eventuali controversie dovranno essere risolte “esclusivamente con mezzi pacifici” e astenendosi “dalla minaccia o dall’uso della forza”, precisa l’articolo 3.
    Il riferimento al ruolo dell’Ue trova invece spazio nei due punti successivi. L’articolo 5 mette nero su bianco che “nessuna delle due Parti bloccherà, né incoraggerà altri a bloccare” – un richiamo tra le righe ai membri Ue contrari all’adesione del Kosovo, ma anche allo stretto rapporto tra Serbia e Ungheria – “i progressi dell’altra Parte nel rispettivo cammino verso l’Ue sulla base dei propri meriti”. L’articolo 6 aggiunge che Pristina e Belgrado “proseguiranno con nuovo slancio il processo di dialogo guidato dall’Ue che dovrebbe portare a un accordo giuridicamente vincolante sulla normalizzazione globale delle loro relazioni“. Più nello specifico serviranno “accordi aggiuntivi” sulla “futura cooperazione nei settori dell’economia, della scienza e della tecnologia, dei trasporti e della connettività, delle relazioni giudiziarie e delle forze dell’ordine, delle poste e delle telecomunicazioni, della sanità, della cultura, della religione, dello sport, della tutela dell’ambiente, delle persone scomparse, degli sfollati “.
    I comuni interessati dall’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, come previsto dall’accordo del 2013
    L’articolo 7 sviluppa il punto precedente, ma focalizzandosi sui diritti della minoranza serba in Kosovo. Anche in questo caso non è esplicito il riferimento all’Associazione delle municipalità serbe nel Paese prevista dall’accordo del 2013 (mai implementato), ma non è difficile leggere le condizioni che Pristina dovrà accettare. Gli “accordi e garanzie specifiche” per “assicurare un livello adeguato di autogestione per la comunità serba in Kosovo e la capacità di fornire servizi in settori specifici” si baseranno su “strumenti pertinenti del Consiglio d’Europa e attingendo alle esperienze europee esistenti”. È prevista anche la possibilità di un “sostegno finanziario da parte della Serbia e un canale di comunicazione diretto per la comunità serba con il governo del Kosovo”, ma anche una formalizzazione dello status della Chiesa serbo-ortodossa in Kosovo e un “forte livello di protezione ai siti del patrimonio religioso e culturale serbo” nel Paese confinante.
    L’articolo 8 riprende integralmente lo stesso punto della proposta franco-tedesca: “Le Parti si scambiano missioni permanenti, che saranno istituite presso la sede del rispettivo governo” e “le questioni pratiche relative all’istituzione delle missioni saranno trattate separatamente”. Prima della precisazione all’articolo 10 che Pristina e Belgrado “confermano l’obbligo di attuare tutti i precedenti accordi di dialogo, che restano validi e vincolanti” sotto l’egida di un “comitato congiunto presieduto dall’Ue per il monitoraggio dell’attuazione del presente accordo” – che riprende e amplia l’ultimo punto della versione di partenza della proposta di mediazione – a Bruxelles è stato deciso di inserire un altro articolo. Quello che ricorda e rafforza “l’impegno dell’Ue e di altri donatori a creare un pacchetto speciale di investimenti e di sostegno finanziario per i progetti comuni delle Parti in materia di sviluppo economico, connettività, transizione ecologica e altri settori chiave”.
    L’ultimo punto è quello su cui ci sarà più da lavorare, perché è la vera chiave di volta di tutta l’intesa: “Le Parti si impegnano a rispettare la tabella di marcia per l’attuazione allegata al presente Accordo“. Il testo dell’allegato non è pubblico, fonti diplomatiche a Bruxelles spiegano a Eunews che al momento dovrebbe rimanere riservato per una serie di motivazioni non meglio specificate (ma intuibili, considerato il delicato equilibrio per raggiungere un accordo definitivo tra Pristina e Belgrado). È certo però che sui dettagli di questo documento di implementazione dell’intesa si concentrerà il lavoro delle prossime settimane, in attesa del nuovo faccia a faccia tra Vučić, Kurti e i negoziatori Ue a metà marzo.

    Rimangono impliciti (ma evidenti nelle implicazioni pratiche) il riconoscimento dell’indipendenza di Pristina da Belgrado e l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Sarà decisivo il rispetto della tabella di marcia allegata per l’implementazione dell’accordo

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    I leader di Serbia e Kosovo hanno accettato la proposta Ue per normalizzare i rapporti. Ora dovrà essere implementata

    Bruxelles – È l’ultimo chilometro, quello in cui la meta si vede, sembra vicinissima, ma allo stesso tempo quello più difficile, in cui fallire può diventare la più grande débâcle. Questo è il punto in cui si trova il dialogo mediato dall’Unione Europea per la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, proprio oggi (27 febbraio) in cui si è assistito a uno dei momenti più decisivi degli ultimi anni. Perché per la prima volta da quando esiste il dialogo Pristina-Belgrado i leader dei due Paesi balcanici hanno accettato la proposta di mediazione dell’Ue che spiana la strada verso un accordo definitivo.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (27 febbraio 2023)
    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, “hanno concordato che non serviranno altre discussioni sulla proposta dal titolo Agreement on the path to normalization between Kosovo and Serbia” è l’annuncio soddisfatto alla stampa dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine degli incontri durati tutto il pomeriggio. Dopo la presentazione per la proposta franco-tedesca nel settembre dello scorso anno, “ci siamo impegnati in un’intensa diplomazia navetta” a Bruxelles, con il rappresentante speciale per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák, volato “dieci volte a Pristina e otto a Belgrado”. Oggi si può parlare di una proposta Ue – il cui testo “sarà pubblicato a breve” dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) – perché “tutti i 27 Paesi membri l’hanno appoggiata al livello più alto possibile all’ultimo Consiglio Europeo” e i due leader balcanici “si sono mostrati favorevoli ad accettare soluzioni sostenibili”.
    Siamo ancora all’ultimo chilometro, e non al traguardo, perché ciò che manca è l’implementazione di un accordo politico a tutti gli effetti. “Abbiamo una lunga storia di accordi non implementati, ma le parti hanno confermato di essere pronte a farlo in modo rapido”, ha rassicurato l’alto rappresentante Ue, con implicito riferimento all’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo stabilita nell’accordo di Bruxelles del 2013 e ancora al centro delle polemiche per la mancata istituzione: “L’Ue ha ricordato l’obbligo di implementare tutti gli accordi già firmati, che rimangono validi e vincolanti”. Nel frattempo “la diplomazia navetta continuerà”, con il rappresentante speciale Lajčák che “continuerà le discussioni a Belgrado e Pristina” e Borrell che convocherà “un nuovo incontro di alto livello tra i due leader a metà marzo“. L’obiettivo è proprio quello di “completare le discussioni” sulla chiave di volta di tutta l’intesa raggiunta oggi: “L’allegato di implementazione, che è parte dell’accordo, ma deve ancora essere finalizzato“.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    La parola d’ordine di Borrell è “fiducia reciproca”, soprattutto sulle promesse di astenersi da “azioni non coordinare che potrebbero portare nuove tensioni sul campo e far deragliare i negoziati” sull’accordo definitivo di normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. L’intesa “non è utile tanto per l’Ue, quanto piuttosto per i cittadini di Kosovo e Serbia”, è l’ennesimo esortazione di Borrell al buon senso. Si parla di “libertà di movimento utilizzando il proprio passaporto e le proprie targhe, reciprocamente riconosciuti”, di “possibilità economiche, assistenza finanziaria, cooperazione imprenditoriale e nuovi investimenti”. Di più “opportunità di lavoro, senza burocrazia inutile, e di commercio, perché i certificati di import ed export non saranno più un problema”. Di più “sicurezza, certezza e prevedibilità” sulla protezione dei diritti della minoranza serba in Kosovo, “compresa la Chiesa ortodossa e i siti culturali e archeologici”. Di un nuovo futuro di rapporti pacifici tra i due vicini balcanici, dopo la tragedia del conflitto etnico tra il 1998 e il 1999.
    I 12 anni di dialogo tra Kosovo e Serbia
    Era l’8 marzo 2011 quando le delegazioni della Serbia e del Kosovo si sedevano per la prima volta al tavolo del dialogo dell’Ue, per trovare una soluzione sul mantenimento della stabilità dei Balcani occidentali dopo lo scossone della dichiarazione di indipendenza unilaterale di Pristina da Belgrado di tre anni prima. In sette mesi di negoziati a Bruxelles si è arrivati a una serie di accordi: fine dell’embargo commerciale, riconoscimento dei timbri doganali kosovari, possibilità di varcare il confine tra i due Stati per i cittadini e condivisione dei registri catastali e dei documenti su nascite, morti e matrimoni. È seguito poi un altro altro anno e mezzo di accordi tecnici, per risolvere le questioni più urgenti a livello commerciale, burocratico e diplomatico.
    Il 2013 ha segnato l’inizio del dialogo Serbia-Kosovo di alto livello. A due anni dall’inizio dei negoziati si è arrivati al successo della firma dell’Accordo sui principi che disciplinano la normalizzazione delle relazioni, il 19 aprile del 2013. Da quel momento sono potuti così iniziare i lavori per siglare l’Accordo di stabilizzazione e associazione con Pristina e i negoziati di adesione all’Unione per Belgrado. Non sono stati affrontati però i due temi più urgenti per implementare l’accordo di Bruxelles: il riconoscimento della sovranità del Kosovo da parte di Belgrado e la creazione della Comunità delle municipalità serbe nel Paese con il benestare di Pristina. Dal 2014 è iniziato un periodo di tensione e interruzioni continue dei lavori, fino al congelamento del dialogo nel novembre del 2018 a causa della decisione del governo kosovaro di introdurre dazi maggiorati del 100 per cento sulle merci provenienti da Serbia e Bosnia ed Erzegovina.
    Lo stallo per le relazioni tra i due Paesi è durato 20 mesi, fino a quando il presidente serbo Vučić e l’ex-premier kosovaro, Avdullah Hoti, sono tornati per tre volte ai tavoli dei negoziati tra il 12 luglio e il 7 settembre del 2020. A esacerbare nuovamente i rapporti tra le due parti ha contributo l’elezione del governo nazionalista di Kurti nel febbraio del 2021, che ha alzato il livello di tensione retorica con l’altrettanto nazionalista Vučić. Ecco perché dopo due infruttuosi vertici a Bruxelles il dialogo si è bloccato di nuovo sotto i colpi della cosiddetta battaglia delle targhe tra i due Paesi, scatenata dalla decisione del governo di Pristina di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro.
    Una questione che ha infiammato anche la seconda metà del 2022, con blocchi stradali e barricate delle frange più estremiste della minoranza serbo-kosovara a fine luglio, altre due riunioni fallimentari tra Vučić e Kurti a Bruxelles e le dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali a inizio novembre. Parallelamente agli intensi colloqui per trovare una soluzione di compromesso sulle targhe (raggiunta nella notte tra il 23 e il 24 novembre), Francia e Germania hanno dato una spallata decisiva per portare a termine il dialogo Pristina-Belgrado con la proposta in 9 punti (aggiornata e assorbita dai negoziatori europei alla vigilia del vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre a Tirana). Le continue fiammate tra le due parti negli ultimi mesi – sia sul piano diplomatico, sia con nuove barricate a inizio dicembre – hanno suggerito che l’accordo era sempre più vicino: entrambi gli attori politici – marcatamente nazionalisti – hanno esasperato la propria retorica per uscire dai negoziati con un compromesso più favorevole. Il via libera all’intesa definitiva tra Kosovo e Serbia a Bruxelles oggi ha confermato pienamente questo scenario, in attesa di portare a termine l’ultimissimo chilometro.

    Il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, hanno dato il via libera alla proposta avanzata Bruxelles e sostenuta da tutti i Paesi membri dell’Unione. A metà marzo un nuovo vertice di alto livello per portare a termine gli allegati all’accordo ancora non finalizzati

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    Cos’è l’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo al centro dell’anno cruciale per il dialogo Pristina-Belgrado

    Bruxelles – Non c’è speranza di chiudere nel 2023 un accordo definitivo per la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, se non si raggiunge un’intesa vincolante per l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, come previsto dall’accordo di Bruxelles siglato esattamente 10 anni fa. Passano da qui gli sforzi diplomatici di Unione Europea e Stati Uniti per quanto riguarda il dialogo Pristina-Belgrado, entrato nel suo tredicesimo anno di vita e diventato ormai l’unica soluzione per chiudere contese e tensioni tra i due vicini balcanici.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (13 novembre 2022)
    Mentre le pressioni della diplomazia europea e statunitense rimangono particolarmente forti su Belgrado – per l’adozione delle sanzioni internazionali contro la Russia e l’allineamento alla politica estera dell’Ue – non sono da meno quelle nei confronti di Pristina, proprio sulla questione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Già nel dicembre del 2021 l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva avvertito il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, che è imperativo il rispetto di tutti gli accordi sottoscritti con Belgrado, ma nel corso delle ultime settimane le missioni diplomatiche di Bruxelles e Washington – spinte anche dal tridente Francia-Germania-Italia – hanno puntato con forza su questo punto, per sgombrare il campo da ripensamenti o passi indietro rispetto agli impegni presi nel contesto del dialogo mediato dall’Ue.
    Lo dimostra in tutta la sua evidenza la nota del consigliere del Dipartimento di Stato americano, Derek Chollet, e dell’inviato speciale degli Stati Uniti per i Balcani Occidentali, Gabriel Escobar, pubblicata oggi (30 gennaio) a proposito delle “condizioni per una relazione sana, pacifica e sostenibile tra Serbia e Kosovo”. La proposta di mediazione franco-tedesca – ormai divenuta a tutti gli effetti la proposta di mediazione europea – è studiata per “interrompere la spirale di crisi e scontri e far progredire con decisione l’integrazione” dei due Paesi nell’Unione, ma per l’amministrazione Biden “uno dei compiti più critici” è sempre quello che riguarda l’attuazione dell’accordo sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. Un “obbligo internazionale, giuridicamente vincolante, che richiede un’azione da parte del Kosovo, della Serbia e dell’Unione Europea”, ma che allo stesso tempo “non mina la Costituzione né minaccia la sovranità, l’indipendenza o le istituzioni democratiche” del Kosovo.

    As Kosovo’s closest friend & ally, we believe that by working to establish the ASM, Kosovo will realize a critical element needed to build its rightful future as a sovereign, multiethnic, and independent country, integrated into Euro-Atlantic structures. https://t.co/iFfSYo2Qao pic.twitter.com/c8yGJYVeHl
    — U.S. Embassy Pristina (@USEmbPristina) January 30, 2023

    Il nodo tra Serbia e Kosovo
    Secondo quanto sottoscritto dalle due parti nell’accordo di Bruxelles del 2013, per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi balcanici dopo la dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia il 17 febbraio 2008 è prevista l’istituzione di “un’associazione/comunità di comuni a maggioranza serba in Kosovo”, aperta a “qualsiasi altro comune, purché i membri siano d’accordo”. Un’Associazione creata “da uno statuto”, con un suo presidente, vicepresidente, Assemblea e Consiglio e la possibilità di “cooperare nell’esercizio dei loro poteri in modo collettivo” nei settori dello “sviluppo economico, istruzione, sanità, pianificazione urbana e rurale“. Forze di polizia e autorità giudiziarie saranno uniche per tutto il Kosovo, ma con l’autorizzazione alla formazione di un comando regionale di polizia per le quattro municipalità settentrionali a maggioranza serba (Mitrovica settentrionale, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic) e un collegio di giudici istituito dalla Corte d’Appello di Pristina per occuparsi di tutte le municipalità a maggioranza serba del Kosovo.
    A 10 anni dall’accordo di Bruxelles non sono stati compiuti progressi sostanziali per l’implementazione sul campo dei 15 punti, mentre si sono acuite nell’ultimo anno le tensioni nel nord del Kosovo sia sulla questione delle targhe per i veicoli sia per le conseguenze delle dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia serbo-kosovari dalle rispettive istituzioni nazionali. L’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo è considerata da Belgrado un’entità di governo che deve essere istituita proprio a partire dall’intesa giuridicamente vincolante di Bruxelles, ma è anche una potenziale leva politica in mano del presidente della Serbia, Aleksander Vučić, per continuare a controllare indirettamente una zona contesa (l’intero Kosovo è tutt’ora considerato parte del Paese). Quello che invece contesta Pristina – dopo il deciso cambio di rotta del governo nazionalista di Kurti dall’elezione del 2021 – è che la nuova Associazione in Kosovo non sia nient’altro che una replica della fallimentare Republika Srpska in Bosnia ed Erzegovina, l’entità a maggioranza serba nel Paese che negli ultimi anni ha portato a una destabilizzazione sempre maggiore del Paese proprio per l’eccessiva autonomia garantita a un establishment politico filo-russo.
    “Siamo assolutamente contrari alla creazione di qualsiasi entità che assomigli alla Repubblica Srpska in Bosnia ed Erzegovina“, hanno assicurato i due diplomatici statunitensi nella nota, chiedendo invece a Pristina di “fornire la propria visione di questa associazione”. Secondo quanto emerge dalle parole di Chollet ed Escobar, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, avrebbe fatto notare al premier Kurti che “esistono 14 accordi simili all’interno dell’Unione Europea, nessuno dei quali viola i sistemi europei di governo effettivo”, che garantiscono autonomie specifiche all’interno del quadro degli Stati nazionali. L’associazione “non sarebbe mono-etnica” e “non aggiungerebbe un nuovo livello di potere esecutivo e legislativo al governo del Kosovo”, assicurano i mediatori, mentre l’aspetto più positivo potrebbe essere il fatto che “i comuni che condividono interessi, lingua e cultura potrebbero lavorare insieme in modo più efficace per affrontare le sfide comuni” negli ambiti autorizzati dall’accordo di Bruxelles del 2013.

    Unione Europea e Stati Uniti stanno cercando di mediare tra Serbia e Kosovo su uno dei punti più divisivi dei negoziati. La creazione della comunità è prevista dall’accordo di Bruxelles del 2013, ma il rischio è quello di istituzionalizzare la divisione etnica, come con la Republika Srpska in Bosnia

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    Dieci ospiti alla porta dell’Ue. L’anno in cui i Ventisette hanno rotto gli indugi sul processo di allargamento dell’Unione

    Bruxelles – Un anno di stravolgimenti nella politica internazionale scatenati dall’invasione russa dell’Ucraina hanno lasciato un segno a diversi livelli sul continente europeo e sull’Unione a 27. Ma dopo quasi due decenni di stagnazione e di progressi a rilento, il rischio di destabilizzazione del Cremlino nei Paesi partner più stretti dell’Unione Europea ha segnato una svolta positiva nel processo di allargamento Ue, in un 2022 che ha visto un’ondata di novità tra nuovi Paesi candidati all’adesione – o in attesa di risposta – e altri nuovi avviati sulla strada dei negoziati. In totale 10 capitali che guardano all’Unione come la propria futura casa.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio dal presidente Volodymyr Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano Irakli Garibashvili e della presidente moldava Maia Sandu. In soli quattro giorni (7 marzo) gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione presentate dai tre Paesi richiedenti, da trasmettere poi al Consiglio per la decisione finale sul primo step del processo di allargamento Ue.
    Prima di dare il via libera formale, un mese più tardi (8 aprile) a Kiev la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, ha consegnato al presidente Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere della Commissione, promettendo che sarebbe stata “non come al solito una questione di anni, ma di settimane”. Lo stesso ha fatto il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo l’11 aprile. Meno di settanta giorni dopo, il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde a tutti e tre i Paesi, specificando che Ucraina e Moldova meritavano subito lo status di Paesi candidati, mentre la Georgia avrebbe dovuto lavorare su una serie di priorità. La decisione ufficiale è arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue.
    L’avvio dei negoziati di Albania e Macedonia del Nord
    Ma il 2022 non è stato memorabile a proposito dell’allargamento Ue solo per l’attenzione rivolta da Bruxelles verso Est. Dal 2004 (anno in cui l’Unione è passata da 15 a 25 membri) si è messa in moto la politica di avvicinamento dei Balcani Occidentali, ma senza nessun nuovo ingresso – fatta eccezione per la Slovenia nel 2004 e la Croazia nel 2013 – da allora. La situazione più delicata negli ultimi anni si è registrata con Albania e Macedonia del Nord, pronte ad avviare i negoziati di adesione all’Unione già nel 2019 e che solo dopo le aspre tensioni dell’ultimo anno sono state ammesse ai tavoli negoziali. Tirana e Skopje sono candidate rispettivamente dal 2014 e 2005 (con un’attesa per la risposta di cinque anni e mezzo per la prima e di quasi due anni per la seconda) e sono legate dallo stesso dossier, ovvero possono avanzare solo insieme.
    Da sinistra: il primo ministro della Repubblica Ceca e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Petr Fiala, della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (19 luglio 2022)
    Il processo di allargamento Ue a Skopje è stato ostacolato fino al 2018 dalla Grecia, per la contesa identitaria e sul cambio del nome del Paese balcanico: solo con gli Accordi di Prespa la Repubblica di Macedonia è diventata Repubblica della Macedonia del Nord. A quel punto la Commissione Ue ha stimolato due volte il Consiglio Ue ad aprire i negoziati di adesione con i due Paesi, ma il 19 ottobre 2019 Francia, Danimarca e Paesi Bassi hanno chiuso la porta a Tirana, chiedendo di implementare le riforme strutturali prima di sedersi ai tavoli negoziali. Dopo cinque mesi, al Consiglio del 25-26 marzo 2020, è arrivato il via libera dei Ventisette, prima di un nuovo stop determinato dal veto della Bulgaria all’avvio dei negoziati di adesione di Skopje il 9 dicembre 2020. A nulla sono serviti due vertici Ue-Balcani Occidentali – il primo a Kranji (Slovenia) nel 2021 e il secondo il 23 giugno a Bruxelles – per trovare una via d’uscita.
    La svolta si è concretizzata solo grazie alla spinta decisiva della presidenza di turno francese del Consiglio dell’Ue, con la proposta di mediazione tra Sofia e Skopje per risolvere una disputa storico-culturale che ha provocato la frustrazione di tutti i leader balcanici. Grazie a questa iniziativa il Parlamento bulgaro ha revocato il veto il 24 giugno e sono iniziate le trattative con Skopje, che considerava “irricevibile” la prima versione del testo. Dopo il discorso della presidente von der Leyen al Parlamento nazionale il 14 luglio per placare le tensioni e divisioni che si sono registrate nel Paese proprio in merito della proposta francese, anche i deputati macedoni hanno dato il via libera al compromesso e il 17 luglio è stato firmato il protocollo bilaterale tra Bulgaria e Macedonia del Nord. Solo due giorni più tardi il momento atteso da tre anni, con l’avvio dei negoziati di adesione Ue di Tirana e Skopje e le prime conferenze intergovernative svoltesi a Bruxelles. Albania e Macedonia del Nord sono diventate il quarto e quinto Paese candidato ad aprire i capitoli di negoziazione nell’ambito del processo di allargamento Ue.
    Il cammino degli altri balcanici
    A completare il quadro dei successi dell’allargamento Ue nel 2022 ci sono Bosnia ed Erzegovina e Kosovo, che hanno fatto progressi nel loro cammino di avvicinamento all’Unione. Per quanto riguarda Sarajevo (che ha fatto domanda di adesione nel 2016) il primo momento di svolta è arrivato nel corso del vertice dei leader Ue del 23 giugno, quando le tre ‘colombe’ in Consiglio – Slovenia-Croazia-Austria – avevano bloccato le discussioni su Ucraina e Moldova fino a quando non si fosse trovata almeno una parziale risposta alla questione bosniaca. Il breve stallo ha portato alla decisione di conferire anche alla Bosnia ed Erzegovina la prospettiva europea (come alla Georgia), con l’obiettivo di “tornare a decidere nel merito” quanto prima, a condizione che la Commissione riferisse “senza indugio” sull’attuazione delle 14 priorità-chiave.
    Il ponte di Mostar (Bosnia ed Erzegovina) illuminato con la bandiera dell’Unione Europea
    La leader dell’esecutivo comunitario von der Leyen ha continuato a inviare segnali incoraggianti alla Bosnia ed Erzegovina sul suo coinvolgimento nell’allargamento Ue, sia con la raccomandazione al Consiglio di concedere lo status di candidato all’adesione arrivata il 12 ottobre, sia con un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo nel corso del suo viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico dell’Unione alla regione (28 ottobre). Dopo aver valutato il parere della Commissione, l’ultimo vertice dei leader Ue del 15 dicembre ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione. Nel processo di allargamento Ue Sarajevo è diventato l’ottavo candidato all’adesione.
    Per quanto riguarda il Kosovo, la situazione è resa complicata da due fattori: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e allo stesso tempo con Belgrado è in atto un dialogo più che decennale mediato da Bruxelles sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi che ancora non ha portato a un accordo definitivo. Mentre si sono riaccese aspre tensioni a partire da fine luglio con la Serbia per il controllo politico del nord del Kosovo, Pristina ha comunque deciso di puntare tutto sul processo di allargamento Ue e ha iniziato a fine agosto i lavori per presentare la domanda di adesione all’Unione. Mentre l’opinione pubblica internazionale era concentrata sulla cosiddetta ‘battaglia delle targhe‘ e a carpire i dettagli della proposta franco-tedesca sulla mediazione finale nel 2023, il 6 dicembre al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana la presidente Vjosa Osmani ha confermato che la lettera era pressoché ultimata. Otto giorni più tardi è stata firmata a Pristina la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato e consegnata dal premier Albin Kurti alla presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue il 15 dicembre a Praga.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e il ministro ceco per gli Affari europei e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Mikuláš Bek (15 dicembre 2022)
    Meno positivo è invece il quadro degli altri tre Paesi coinvolti nel processo di allargamento Ue (che dal 22 giugno 2021 è stato riformato con una nuova metodologia). Il Montenegro sta portando avanti i negoziati di adesione dal 2012 e al momento è il Paese allo stadio più avanzato. Tuttavia la crisi istituzionale che ha paralizzato Podgorica negli ultimi due anni e mezzo ha determinato uno stallo prolungato sui capitoli negoziali relativi allo Stato di diritto, in particolare il 23 (potere giudiziario e diritti fondamentali) e il 24 (giustizia e affari interni). La Serbia ha avviato i negoziati di adesione nel 2014 e quest’anno ha conosciuto una forte battuta d’arresto a causa della guerra russa in Ucraina: nel tentativo di seguire una politica di non-allineamento tra Bruxelles e Mosca, Belgrado non si è allineata alle sanzioni internazionali contro la Russia, ma per l’Ue non è concepibile che un partner candidato all’adesione non si allinei Politica estera e di sicurezza comune (Pesc). Infine, nel processo di allargamento Ue sarebbe coinvolta dal 1987 anche la Turchia: il Paese ha ottenuto lo status di candidato nel 1999 e ha avviato i negoziati di adesione nel 2005. Tuttavia, a causa delle continue provocazioni nel Mediterraneo orientale e delle violazioni dello Stato di diritto da parte del presidente Recep Tayyip Erdoğan, non c’è all’orizzonte nessun tipo di avanzamento.
    Come funziona il processo di allargamento Ue
    Il processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
    Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.
    Per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.

    Dai nuovi candidati Bosnia ed Erzegovina, Moldova e Ucraina all’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord dopo 3 anni di stallo, fino alla candidatura di Georgia e Kosovo. Il rischio di destabilizzazione russa ha dato uno scossone ai tentennamenti dei Ventisette

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    Il presidente serbo Vučić ci ripensa. Nonostante le tensioni con il Kosovo parteciperà al vertice Ue-Balcani Occidentali

    dall’inviato a Tirana – Nelle ultime ore prima del vertice Ue-Balcani Occidentali in Albania va in scena l’ultima mossa di una partita a scacchi che dura da più di dieci anni. Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, ha annunciato che farà un passo indietro rispetto alla sua decisione di boicottare il summit come ritorsione per gli ultimi avvenimenti in Kosovo. Domani (martedì 6 dicembre) parteciperà ai lavori con gli altri cinque leader balcanici, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri Ue e i presidenti del Consiglio, Charles Michel, e della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Scongiurato a meno di ventiquattr’ore dall’inizio del summit la possibilità di un vertice Ue-Balcani Occidentali ‘meno uno’, che avrebbe potuto rappresentare non solo uno sgarbo istituzionale nei confronti del premier albanese, Edi Rama (promotore della prima riunione di questo genere nella regione ancora extra-Ue), ma soprattutto avrebbe reso quasi vane le conclusioni sui rapporti tra Serbia e Kosovo del vertice stesso. “Rientra nel suo gioco di fare la vittima eterna, è un paradigma che ha funzionato nel nazionalismo serbo degli ultimi 30 anni”, spiega a Eunews Giorgio Fruscione, politologo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto delle questioni balcaniche, Serbia in primis. “Non avevo alcun dubbio sul fatto che Vučić avrebbe confermato la sua presenza”, ribadisce Fruscione, sottolineando che il presidente serbo “non può permettersi di fare la voce grossa con Bruxelles in un momento così delicato per il dossier kosovaro“.
    A scatenare le ire di Vučić venerdì scorso (2 dicembre) era stata la nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro guidato da Albin Kurti. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska. Proprio il leader del partito serbo-kosovaro più vicino a Vučić, Goran Rakić, si era dimesso dal ministero riservato alla minoranza serba nel Paese durante l’ondata di ritiri di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali a inizio novembre, in segno di protesta contro l’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Nonostante l’accordo del 24 novembre scorso, che ha risolto la grave tensione tra Serbia e Kosovo sulla questione delle targhe dei veicoli alla frontiera, la maggior parte dei serbi-kosovari dimessisi non è ancora rientrata in servizio e il premier Kurti ha dovuto colmare il vuoto nel suo governo, “continuando a giocare a scacchi con Belgrado”, è l’analisi di Fruscione. Proprio da questa partita a scacchi sulla questione kosovara dipende in parte la rabbia di Vučić: “La mossa di Kurti di posizionare un serbo del Kosovo non fedele a Belgrado sembra uno scacco matto“. Ma c’è di più.
    Una seconda motivazione che ha spinto il leader serbo a rilasciare delle dichiarazioni “al limite del surreale” alla rete filo-governativa Rtv Pink – in cui ha definito Rašić “la peggiore feccia serba” – è legata a questioni di politica interna: “Per anni Vučić ha creato una sovrapposizione tra partito e interesse nazionale”, spiega ancora Fruscione. Di qui il tentativo di far sembrare il Partito Progressista Serbo “l’unico o il migliore rappresentante della bandiera serba” dentro e fuori i confini nazionali (anche se il Kosovo è tutt’ora considerato da Belgrado parte del Paese), mentre “tutti gli esponenti che non ricadono sotto il suo controllo non sono ‘abbastanza’ serbi“.
    Il passo indietro di Vučić
    Il rappresentante speciale UE, Miroslav Lajčák, con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, a Belgrado
    Il ripensamento del leader serbo – arrivato senza nessuno stupore degli analisti – è stato annunciato al termine del confronto con il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, volato questa mattina nella capitale serba proprio per cercare di risolvere con la diplomazia uno strappo che si sarebbe fatto sentire al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana. Nella dura accusa di Vučić di venerdì le istituzioni di Bruxelles erano state definite colpevoli di “mancata condanna” della presunta incostituzionalità della decisione del governo Kurti: anche per questa ragione il boicottaggio dell’imminente summit di Tirana con i Ventisette aveva assunto un significato quantomeno simbolico.
    “La sua partecipazione non dovrebbe cambiare gli equilibri del vertice, ma è servita per scopi interni”, mette in chiaro Fruscione. Anche se “Lajčák non è andato a supplicare Vučić di essere presente a Tirana, c’è sicuramente del lavoro intenso dietro le quinte”, dal momento in cui la partita a scacchi Serbia-Kosovo potrebbe essere arrivata alle battute finali. “Credo che siano giorni e settimane, probabilmente gli ultimi mesi decisivi per chiudere la questione del Kosovo“, in cui la mediazione di Bruxelles – accompagnata da una proposta franco-tedesca in 9 punti – è “l’elemento-chiave per far ragionare le due parti, che approfittano di pretesti come questo per rivendicare interessi nazionali”. Ribaltando l’interpretazione che il presidente Vučić sta cerando di far passare in patria (che l’Ue privilegia il Kosovo e punisce la Serbia), Fruscione puntualizza la “preponderanza almeno nella forma verso Belgrado” da parte delle istituzioni comunitarie. Ma per Bruxelles la missione quasi impossibile ora è chiudere la partita senza far avvertire a nessuna della due parti il peso della sconfitta.

    In Belgrade today, I discussed the way forward on normalisation of relations as a follow-up to the last Dialogue meetings with @predsednikrs @avucic. We also spoke about current issues, including return of Kosovo Serbs to Kosovo institutions, Energy Roadmap and missing persons. pic.twitter.com/NlhE9bfOxm
    — Miroslav Lajčák (@MiroslavLajcak) December 5, 2022

    Il numero uno della Serbia aveva annunciato che avrebbe boicottato il summit di Tirana del 6 dicembre dopo la nomina del serbo-kosovaro Nenad Rasić (ostile a Belgrado) nel governo del Kosovo. Il cambio di decisione dopo l’incontro con il rappresentante speciale Ue, Miroslav Lajčák