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    L’alto rappresentante Ue Borrell avverte che le tensioni in corso tra Serbia e Kosovo “sono le più pericolose dal 2013”

    Bruxelles – Un fine settimana intenso, in cui “Serbia e Kosovo mi hanno tenuto davvero molto occupato” a Parigi. È senza filtri l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nel descrivere alla stampa il clima di tensione che si respira a proposito dei rapporti tra i due Paesi balcanici, dopo il resoconto ai 27 ministri Ue degli Esteri sui due confronti con il presidente serbo, Aleksander Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti, a margine del Paris Peace Forum. Borrell ha avvertito che “abbiamo raggiunto il livello di tensione più pericoloso dal 2013“, con riferimento alla situazione pre-Accordo di Bruxelles, due anni dopo l’avvio del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a margine del Paris Peace Forum (11 novembre 2022)
    Tutto è legato agli eventi nel nord del Kosovo dopo l’introduzione del piano a tappe del governo di Pristina dal primo novembre fino alla primavera 2023 per la re-immatricolazione delle auto con targa serba nel Paese. Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). “Il ritiro dei serbi dalle istituzioni ha creato un vuoto nel nord del Kosovo e in questo vuoto tutto può succedere“, è l’allarme dell’alto rappresentante Ue: “Ora dobbiamo evitare lo scontro frontale”.
    Inevitabilmente l’appello è al “ritorno della minoranza serba nelle rispettive istituzioni del Kosovo” e alla distensione del clima da parte della Serbia di Vučić. Ma anche Pristina è chiamata a “rientrare nel dialogo sulle targhe”, che al momento non soddisfa Bruxelles. In altre parole “entrambe le parti devono dimostrare la volontà di ridurre le tensioni” ed è per questo che i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo “inizieranno in questi giorni a lavorare sulle tappe future” di un dialogo che deve dare frutti in tempi strettissimi: “Convocherò i leader [Vučić e Kurti, ndr] solo se i negoziatori raggiungeranno un accordo entro il 21 novembre“, ha messo in chiaro Borrell, precisando che “se non dovessimo raggiungerlo, ci troveremmo in una situazione molto pericolosa”.
    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a margine del Paris Peace Forum (11 novembre 2022)
    I due partner dell’Unione Europea “sono a un bivio, devono decidere se imboccare la strada verso l’Ue o verso il passato“, che ha già visto una guerra etnica tra il 1998 e il 1999. E da Bruxelles ci si aspetta “volontà a cercare soluzioni europee”. L’alto rappresentante Borrell ha riportato alla stampa che dal Consiglio Affari Esteri di oggi (lunedì 14 novembre) è uscito un messaggio di spinta verso “progressi chiari”, che coinvolgono sia missioni sul campo – come quella dell’italiano Antonio Tajani la settimana prossima a Pristina e Belgrado – sia un quadro di compromesso più ampio, che chiuda oltre 10 anni di mediazione diplomatica dell’Ue. È qui che si inserisce la “proposta chiara” dell’inedita coppia Francia-Germania (qui tutti i dettagli), definita da Borrell “una proposta europea, una bussola di due pagine” che dovrebbe portare a un nuovo orizzonte per Serbia e Kosovo.
    “Dobbiamo riuscire a leggere il problema con lenti diverse”, ha spiegato l’alto rappresentante Ue, parlando “non più di gestione delle crisi, ma di soluzioni strutturali, perché il percorso europeo richiede questo”. La modalità ‘gestione delle crisi’ è ciò che ha caratterizzato finora il dialogo: “Ne abbiamo avute in continuazione, una volta usciti da una, ce ne troviamo un’altra da affrontare”, come l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, il riconoscimento dei documenti di identità, le rispettive targhe per i veicoli alla frontiera e sul territorio nazionale. Invece il nuovo approccio – che “nessuna delle due parti a Parigi ha rifiutato, è già un successo” – deve puntare sulla prevenzione alla radice dei problemi, per “evitare che si manifestino crisi”. A oggi però Serbia e Kosovo si trovano nel pieno della più grave degli ultimi dieci anni e hanno solo una settimana per trovare una soluzione sostenibile e non rendere ancora più spinosa la situazione già delicatissima nel cuore dei Balcani Occidentali.

    Dopo i colloqui bilaterali a Parigi con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti, Borrell ha messo in chiaro che i capi-negoziatori hanno tempo fino al 21 novembre per trovare un’intesa: “Sono a un bivio, tra imboccare la strada verso l’Ue o verso il passato”

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    Cosa prevede la proposta franco-tedesca per portare a termine il dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’Ue

    Bruxelles – Una proposta in nove punti che, senza mai citare la parola “indipendenza” esplicitamente, punta a risolvere la disputa tra Serbia e Kosovo mettendo nero su bianco il reciproco rispetto della giurisdizione, dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità dei confini dei due Paesi balcanici. Secondo quanto emerge dall’anticipazione dell’ultima bozza della proposta franco-tedesca pubblicata da Euractiv, Parigi e Berlino sarebbero seriamente intenzionate a rilanciare il dialogo tra Belgrado e Pristina mediato dall’Ue dal 2011, e mettere fine a un conflitto diplomatico – dopo quello armato del 1998-1999 – che prosegue dal 2008, con la dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia.
    Dell’esistenza di una proposta franco-tedesca a Bruxelles se ne parla ormai da settembre, ma i dettagli erano finora sempre rimasti oscuri (fatta eccezione per una prima indiscrezione dell’Albanian Post, ormai superata dalla nuova bozza). Sia le autorità kosovare sia quelle serbe hanno confermato che il documento è arrivato nelle rispettive capitali e al summit del Processo di Berlino del 3 novembre la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, aveva messo in chiaro che da parte dell’esecutivo comunitario c’è “pieno supporto” al nuovo input e che “sarà integrato” nel dialogo facilitato dall’Ue: “È un ponte gettato per risolvere i problemi nel modo più veloce“, aveva spiegato von der Leyen.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, durante la firma degli accordi sulla mobilità regionale nei Balcani Occidentali nel quadro del Processo di Berlino (3 novembre 2022)
    È inedita la sinergia tra Parigi e Berlino sulle questioni balcaniche e sull’allargamento dell’Ue nella regione, ma potrebbe essere il primo tassello di una nuova collaborazione tra le due maggiori forze europee per superare gli stalli che si trascinano da anni, se non da decenni.
    La Germania è stato finora l’attore più rilevante – insieme all’Italia – nella spinta in avanti dell’Unione nei confronti dei Sei dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia). Nel 2014 l’allora cancelliera tedesca, Angela Merkel, aveva inaugurato il Processo di Berlino, una delle più significative iniziative diplomatiche sull’allargamento Ue nella regione.
    La Francia invece, dopo anni a remare contro l’ingresso di nuovi Paesi nell’Unione, di fronte ai rischi reali di destabilizzazione russa nei Balcani Occidentali ha preso in mano le redini diplomatiche nel corso del suo semestre di presidenza del Consiglio dell’Ue e ha contribuito con due proposte allo sblocco dello stallo sull’avvio dei negoziati di adesione di Macedonia del Nord e Albania.
    La proposta franco-tedesca sul dialogo tra Serbia e Kosovo
    La versione più aggiornata della proposta franco-tedesca è suddivisa in nove articoli e parte dalla constatazione che Kosovo e Serbia dovranno sviluppare “relazioni normali e di buon vicinato basate sulla parità di diritti” e guidate dalle “reciproche aspirazioni all’adesione all’Ue” (la richiesta di Pristina è attesa entro la fine dell’anno, mentre Belgrado si trova in una fase di stallo, a causa del non-allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’Unione).
    Anche in considerazione degli ultimi sviluppi sul piano delle tensioni nel nord del Kosovo per la re-immatricolazione delle auto con targa serba, la proposta di Parigi e Berlino prevede che i due Paesi Balcanici, “in conformità con gli Accordi di stabilizzazione e associazione firmati da entrambe le parti”, si impegnino a “risolvere qualsiasi controversia tra loro esclusivamente con mezzi pacifici” e ad “astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza”. Da notare la specifica sulla “inviolabilità, ora e in futuro, della frontiera/confine esistente” e del “pieno rispetto della reciproca integrità territoriale”. Tra le righe, la Serbia dovrà riconoscere nei fatti la sovranità e l’indipendenza del Kosovo.
    Elemento implicito confermato dal quarto punto del documento: “Il Kosovo e la Serbia partono dal presupposto che nessuna delle due parti può rappresentare l’altra nella sfera internazionale, né agire per suo conto”. Di qui dovrebbero seguire le azioni della diplomazia europea, sia per il riconoscimento della sovranità del Kosovo dai cinque Stati membri Ue che ancora non l’hanno fatto (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia), sia per l’accesso di Pristina a tutte le istituzioni internazionali, dalle Nazioni Unite (al momento bloccato dal veto di Russia e Cina al Consiglio di Sicurezza) al Consiglio d’Europa.
    Pristina e Belgrado dovranno poi promuovere “relazioni pacifiche nei Balcani Occidentali” e contribuire “alla sicurezza regionale e alla cooperazione in Europa”, a partire dal “rispetto reciproco della giurisdizione di ciascuna parte“. Il richiamo è di nuovo non solo alla normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, ma anche al rispetto dei principi della politica estera dell’Unione – a cui entrambi i Paesi balcanici aspirano ad aderire – in primis sulla condanna delle guerra russa in Ucraina e l’allineamento alle sanzioni economiche contro il Cremlino.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 15 giugno 2021
    Il settimo e ottavo articolo della proposta franco-tedesca si indirizzano alla messa a terra delle “questioni pratiche e umanitarie” tra i due partner: “Concluderanno accordi al fine di sviluppare e promuovere, sulla base del presente Trattato e a reciproco vantaggio, la cooperazione” bilaterale nei settori “dell’economia, della scienza e della tecnologia, dei trasporti, delle relazioni giudiziarie, delle poste e delle telecomunicazioni, della sanità, della cultura, dello sport, della protezione dell’ambiente e in altri campi”, con i dettagli specificati in un “protocollo aggiuntivo”. In questo contesto, Kosovo e Serbia “si scambieranno missioni permanenti” da istituire “presso la sede del rispettivo governo” (le questioni pratiche sull’istituzione di tali missioni “saranno trattate separatamente”, specifica il testo).
    E infine i due Paesi balcanici converranno che il documento “non pregiudica i trattati e gli accordi internazionali bilaterali e multilaterali da essi già conclusi“. Si tratta in questo caso di un riferimento implicito al nodo dell’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, prevista dall’Accordo di Bruxelles del 2013. Recentemente è stato il portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano, ad avvertire le autorità kosovare che si tratta di “un obbligo legale vincolante” e che “devono essere avviate immediatamente le iniziative per la creazione” della comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia.

    In un’anticipazione della bozza del documento pubblicata dal sito Euractiv, emergono i punti su cui si dovrebbe impostare la risoluzione della disputa ancora in stallo: reciproco rispetto della giurisdizione di ciascuna parte, dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità dei confini esistenti

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    Il piano del Kosovo per l’eliminazione delle targhe serbe entro il 2023 non soddisfa pienamente l’Ue

    Bruxelles – Ancora una volta, come un anno fa, nel giorno della visita in Serbia della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il culmine della tensione sulla cosiddetta ‘battaglia delle targhe’ in Kosovo ha trovato una soluzione temporanea. Ma, un po’ a sorpresa, le reazioni a Bruxelles non sono tra le più entusiaste nei confronti delle concessioni fornite dal governo di Pristina. “Il Kosovo ha il diritto di eliminare gradualmente le targhe, ma il processo deve avvenire secondo le modalità concordate nel dialogo” mediato dall’Ue, è il commento secco della portavoce della Commissione Ue responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, nel corso del punto quotidiano di oggi (lunedì 31 ottobre) con la stampa europea.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, a Pristina (27 ottobre 2022)
    Proprio per oggi era fissata la scadenza per la re-immatricolazione dei veicoli in Kosovo, secondo la decisione del governo guidato da Albin Kurti di imporre la sostituzione delle targhe serbe (molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese) con quelle kosovare. Rispetto alla scadenza originaria del primo agosto – dopo le tensioni scoppiate nord del Kosovo a fine luglio – Pristina aveva concesso una doppia proroga per le nuove norme sulle targhe: dal primo settembre è in vigore l’obbligo di apporre un bollo a coprire l’emblema serbo (misura identica a quella applicata da Belgrado sulle auto kosovare), mentre entro il 30 settembre – con un ulteriore rinvio al 31 ottobre – tutti i cittadini di etnia serba che vivono in Kosovo avrebbero dovuto re-immatricolare i propri veicoli, utilizzando una targa rilasciata dalle autorità di Pristina. A differenza del compromesso raggiunto lo scorso 27 agosto sul riconoscimento dei documenti d’identità nazionali, Serbia e Kosovo non sono mai riusciti a trovare un’intesa sulle targhe sostenibile, definitiva e reciproca, mettendo fine a una tensione che da più di un anno continua a riemergere ciclicamente con episodi anche violenti ai valichi di frontiera.
    Sia nel corso della sua tappa a Pristina, sia in quella a Jelašnica (Serbia), la presidente von der Leyen si era detta “fiduciosa” nei confronti di una “soluzione attraverso il dialogo”, sottolineando che “le regole devono essere chiare e devono essere rispettate”. Da Bruxelles e Washington erano arrivate richieste al Kosovo di rinviare di 10 mesi la scadenza, per avere maggiori prospettive di compromesso, ma il premier Kurti si era da subito dimostrato riluttante ad accordare un nuovo rinvio senza nessuna contropartita. Nella serata di venerdì (28 ottobre) lo stesso premier kosovaro aveva poi annunciato il nuovo piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe: a chi non si adeguerà, tra il primo e il 21 novembre sarà emesso un avvertimento, tra il 21 novembre e il 21 gennaio una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro.

    Today our Govt approved gradual implementation of the policy on illegal license plates announced in June, which our int’l partners confirm is fully compliant w/ Brussels agreement. The implementation decision ensures rule of law on the one hand, and peace & security on the other. pic.twitter.com/TXV67JpAVw
    — Albin Kurti (@albinkurti) October 29, 2022

    La reazione di Bruxelles al piano del Kosovo
    “In questo modo abbiamo mostrato la nostra determinazione a implementare le nostre decisioni e allo stesso modo la nostra dedizione e contributo a mantenere la pace e la sicurezza nella regione, che era anche la preoccupazione dei nostri partner internazionali”, ha commentato il premier Kurti. Ma a Bruxelles non la pensano nello stesso esatto modo: “Pur essendo un passo nella giusta direzione, la decisione non è in linea con gli accordi di dialogo, che sono vincolanti per entrambe le parti”, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae). L’accordo del 2016 prevede un processo “chiaramente sequenziato e definito con un calendario di 12 mesi” per il processo di eliminazione graduale, “che non è stato seguito”. In altre parole, “il Kosovo dovrebbe prevedere un periodo di transizione più lungo“, come avevano avvertito anche i partner statunitensi: “È deludente constatare che non è stato seguito“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Jelešnica (28 ottobre 2022)
    Di fronte alla possibilità di uno scoppio di nuovi scontri violenti alla frontiera da parte di cittadini di etnia serba in Kosovo – da blocchi stradali a scontri con le forze dell’ordine, fino alle ritorsioni contro chi decide di adeguarsi alle norme di Pristina – l’Ue mette in chiaro che “è imperativo mantenere la calma“. L’invito “a tutte le parti interessate” è di “dar prova di moderazione ed evitare qualsiasi azione o retorica che possa mettere a repentaglio la stabilità sul campo, in particolare nel nord del Kosovo”, e che possa mettere in allarme i 3.700 soldati della forza militare internazionale della Nato, Kosovo Force (Kfor).

    Il governo di Pristina ha posticipato al 21 aprile 2023 il divieto di circolare con veicoli che abbiano targhe diverse da quelle kosovare, con un programma a tappe: “Pur essendo un passo nella giusta direzione, la decisione non è in linea con gli accordi di dialogo” mediati da Bruxelles

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    L’Ue cerca di avvicinare la Serbia mettendola al centro dei progetti balcanici (e con il più alto supporto contro la crisi)

    Bruxelles – L’Unione Europea cambia strategia e cerca di convincere la Serbia ad allinearsi alle richieste di Bruxelles mettendola al centro dei progetti infrastrutturali, energetici e di connettività di tutta la regione balcanica, per un collegamento ulteriore al resto d’Europa. Non può passare inosservato il fatto che la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, non ha scelto la capitale Belgrado come tappa serba del suo viaggio di quattro giorni nei Balcani Occidentali (come ha invece fatto per Macedonia del Nord, Kosovo, Albania e Bosnia ed Erzegovina), ma Jelašnica, presso Niš, nel sud del Paese.
    Proprio qui sorgerà “entro il prossimo anno” l’interconnettore di gas che collegherà la Serbia alla Bulgaria, un progetto finanziato all’80 per cento da Commissione e Banca europea per gli investimenti (Bei). Lo scopo è duplice: non solo “aprirà il mercato serbo del gas alla diversificazione e migliorerà la sicurezza energetica” del Paese (che pochi mesi fa ha siglato un nuovo contratto con Gazprom), ma soprattutto “vi avvicinerà all’Ue”, ha promesso la numero uno della Commissione al presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. L’esortazione è quasi latina – “bisogna essere in due per ballare il tango” – ma l’obiettivo è senza dubbio pragmatico: “È necessario, una dipendenza troppo incentrata sul gas russo non è positiva“. La presenza di von der Leyen sul sito dei lavori in Serbia è una dimostrazione che “siamo già insieme in un’Unione dell’energia“, perché “qualsiasi cosa faccia l’Unione Europea, i Balcani Occidentali sono inclusi” e viceversa: “Un miglioramento dell’interconnettore del gas qui ha un’influenza positiva per l’intera Unione Europea”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučič (Jelašnica, 28 ottobre 2022)
    L’Unione dell’energia coinvolge anche l’approvvigionamento energetico da “fornitori affidabili” attraverso la piattaforma di acquisto congiunto del gas, a cui “anche la Serbia è invitata a unirsi”. Per i Ventisette è cruciale “usare il nostro potere di mercato per ottenere risultati migliori dove c’è molta concorrenza, soprattutto sui prezzi”, ha spiegato la numero uno dell’esecutivo comunitario. Ed è qui che si inserisce la questione del supporto energetico dell’Ue a tutti i partner dei Balcani Occidentali, il vero filo rosso della visita di von der Leyen nelle sei capitali. Dopo gli 80 milioni per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania, i 75 milioni per il Kosovo e i 70 milioni per la Bosnia ed Erzegovina, la presidente della Commissione ha annunciato “165 milioni di euro in sovvenzioni per il sostegno immediato al bilancio della Serbia, per aiutare famiglie e imprese vulnerabili” ad affrontare i prezzi dell’energia alle stelle. Si tratta di gran lunga dell’importo più alto tra tutti i partner balcanici, tanto che il leader serbo non ha potuto nascondere un moto di sincera ammirazione: “È una cifra enorme per noi, dobbiamo ringraziare i contribuenti dell’Unione, soprattutto quando qualcuno ci offre un supporto economico senza chiedere nulla in cambio”.
    Ma è la seconda parte del sostegno di Bruxelles a interessare con ancora più forza, almeno sul medio/lungo periodo. L’Ue finanzierà con un pacchetto da 500 milioni di euro in sovvenzioni progetti nazionali e congiunti su energie rinnovabili e infrastrutture transfrontaliere, come quella tra Serbia e Bulgaria visitata dai due leader. Nel taccuino di von der Leyen c’è l’interconnettore del gas tra Serbia e Macedonia del Nord, progetto che “completerà il collegamento della regione”, ma anche un grande esempio di quella “interdipendenza” tra i Balcani Occidentali e il resto dell’Europa: “Il Corridoio Elettrico Trans-Balcanico è affascinante, tutto sarà connesso dall’Italia alla Bulgaria passando per la Serbia, il Montenegro e la Bosnia ed Erzegovina”. In questo modo “ci aiuteremo a vicenda, per non trovarci mai più in un collo di bottiglia come quello di oggi”.

    The 🇷🇸🇧🇬 gas interconnector will improve Serbia’s energy security – and bring you one step closer to the EU.
    We also invite 🇷🇸 to take part in our EU joint procurement of energy.
    We will be happy to have Serbia with us. https://t.co/vGFNe1HBcN
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) October 28, 2022

    La Serbia tra Ue, Russia e Kosovo
    Oltre alle interconnessioni e all’energia c’è di più, in particolare sul fronte della politica internazionale. La prima questione è legata strettamente all’invasione russa dell’Ucraina e allo stretto legame della Serbia con Mosca. Da quando è scoppiata la guerra Bruxelles chiede insistentemente a Belgrado di rendere coerente la propria politica sulle sanzioni contro la Russia a quella dell’Ue, ma a oggi non si vedono spiragli per uno scostamento dall’ormai insostenibile posizione di neutralità tra i partner occidentali e l’alleato storico. La presidente von der Leyen ha utilizzato molta cautela nel sottolineare la necessità di un allineamento alla politica estera e di sicurezza dell’Unione – “questa guerra sta ridefinendo il panorama della sicurezza dell’intero continente, permettetemi di assicurarvi che l’Ue è e rimarrà il più importante partner politico ed economico della Serbia” – proprio per non compromettere la nuova strategia improntata più sullo stretto coinvolgimento sul campo e la persuasione economica del partner balcanico.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučič (Jelašnica, 28 ottobre 2022)
    Il secondo capitolo più urgente riguarda le tensioni tra la Serbia e il Kosovo, a tre giorni dalla scadenza fissata dal governo di Pristina per la re-immatricolazione dei veicoli nel Paese (dopo due rinvii consecutivi, per un totale di tre mesi). Da lunedì 31 ottobre tutti i mezzi di trasporto dovranno presentare targhe kosovare e potrebbero essere sequestrati quelli che circolano ancora con targhe serbe, molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese. Per Belgrado tutto ciò rappresenta una provocazione (nonostante la misura sia identica a quella applicata dalla Serbia): “Sono molto preoccupato per i rapporti con Pristina, ma facciamo il possibile per mantenere la pace e la stabilità”, ha affondato il presidente Vučić, rispondendo a distanza alle parole di ieri dell’omologa kosovara, Vjosa Osmani. Lo stesso leader serbo ha convocato il Consiglio per la sicurezza nazionale, per valutare come rispondere a eventuali tensioni violente al confine, come quelle scoppiate a fine luglio nord del Kosovo
    “Sappiamo tutti per esperienza che solo con il dialogo siamo in grado di risolvere i conflitti, c’è ancora tempo“, ha assicurato la presidente von der Leyen. Ma dopo un anno di soluzione provvisoria (la numero uno della Commissione si trovava proprio in Serbia il 30 settembre 2021, quando era stata firmata) e tre mesi di confronto tra Pristina e Belgrado, i due Paesi balcanici non sono riusciti a raggiungere un’intesa definitiva, come invece hanno fatto sul riconoscimento dei documenti d’identità nazionali lo scorso 27 agosto. Bruxelles e Washington spingono per un ultimo rinvio di 10 mesi della scadenza, per avere maggiori prospettive di compromesso, ma il governo kosovaro non sembra voler fare ulteriori concessioni. Servirà un colpo di coda diplomatico della leader dell’esecutivo comunitario per imprimere una svolta.

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    INTERVISTA / Viola von Cramon: “Serve nuova strategia di allargamento. Reversibilità e benefici anticipati a candidati”

    Bruxelles – Una nuova strategia di allargamento dell’Unione Europea, che permetta di superare gli stalli e i ritardi prolungati mostrati dal processo in atto nei Balcani Occidentali. L’eurodeputata dei Verdi/Ale e membro della commissione Affari esteri (Afet), Viola von Cramon Taubadel, in un’intervista rilasciata a Eunews spiega come le istituzioni comunitarie dovrebbero cambiare rotta, anche considerate le nuove richieste di adesione che arrivano dall’Europa orientale e i rischi di destabilizzazione che alcuni Paesi lasciati fuori dall’Unione stanno correndo.
    Il punto di partenza per Viola von Cramon è la raccomandazione del Parlamento Ue relativa alla nuova strategia di allargamento, approvata in commissione Afet e ora attesa per il via libera definitivo in plenaria a novembre. Una base da cui ripartire per rinsaldare la fiducia dei partner candidati – o aspiranti tali – con un occhio al vertice Ue-Balcani Occidentali in programma a Tirana il prossimo 6 dicembre.
    Qual è la chiave di volta della raccomandazione del Parlamento Ue sulla nuova strategia di allargamento?
    Viola von Cramon: “Ci sono due elementi importanti. Il primo è la reversibilità: il messaggio che alcuni Paesi arretrano in determinate aree è importante solo se comporta conseguenze, come il blocco dei colloqui di adesione o dei fondi. Vogliamo che la condizionalità sia significativa, legata allo Stato di diritto, alla democrazia e all’allineamento alla Politica estera e di sicurezza dell’Unione”.
    E il secondo?
    Viola von Cramon: “Il secondo è legato al fatto che l’allargamento ha ricevuto un nuovo impulso con la guerra in Ucraina: è di nuovo sulla bocca di tutti e ci spinge a ripensare e a impegnarci nuovamente con nuovi approcci, per capire come accogliere i candidati. La strategia chiarisce che – a prescindere dai nuovi arrivati – dobbiamo essere credibili e mantenere i risultati nei Balcani Occidentali, altrimenti la nostra promessa a Est non sarà presa sul serio”.
    Su cosa ha focalizzato la sua attenzione negli emendamenti alla relazione?
    Viola von Cramon: “Il mio obiettivo si è concentrato sul rafforzare la condizionalità e anticipare i benefici per i partecipanti al processo. C’è un’ampia maggioranza di eurodeputati appartenenti a tutti i gruppi politici che sono favorevoli all’allargamento e, nonostante le differenze, l’obiettivo generale è chiaro per tutti i grandi gruppi”.
    Come pensa che i partner balcanici potrebbero beneficiare della nuova strategia?
    Viola von Cramon: “Non si tratta dell’ennesimo documento di Bruxelles, l’idea è quella di impegnarsi veramente con i partner dei Balcani Occidentali e di premiare quelli che lavorano per avvicinare i loro Paesi e le loro società all’Unione. In questo senso, il documento rafforza l’idea di un’integrazione accelerata, con l’introduzione graduale delle politiche settoriali una volta che i Paesi hanno soddisfatto i criteri. Un’enfasi particolare è posta sul ruolo della società civile, per molti aspetti uno stakeholder cruciale in tutta la regione per fornire valutazioni e prospettive credibili”.
    Nel Pacchetto Allargamento 2022 è contenuta la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato, nonostante l’assenza di grandi passi avanti sulle 14 priorità. È un rischio?
    Viola von Cramon: “I Verdi hanno organizzato una delegazione in Bosnia ed Erzegovina prima delle elezioni [del 3 ottobre, ndr] e abbiamo detto chiaramente che devono essere soddisfatte alcune condizioni cruciali perché ottenga lo status di candidato. Abbiamo compreso il senso di urgenza geopolitica e l’ingiustizia che poteva essere avvertita in Bosnia, a causa della concessione dello status di candidato dell’Ucraina.
    Tuttavia, la concessione incondizionata andrebbe solo a favore di opzioni politiche nazionalistiche radicate come l’Sda [bosgnacchi, ndr], l’Snsd [serbo-bosniaci, ndr] e l’Hdz BiH [croato-bosniaci, ndr], perciò vogliamo comunicare che questa è una ricompensa per i cittadini, non per le élite corrotte. Questo deve essere chiaro”.
    Nel frattempo la Serbia continua a sollevare preoccupazioni per il mancato allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’Ue, in particolare per le sanzioni contro la Russia.
    Viola von Cramon: “I segnali sono davvero preoccupanti. Per la prima volta c’è un passo indietro nello Stato di diritto e la Serbia ha solo il 45 per cento di allineamento alla Politica estera e di sicurezza dell’Ue, con un calo del 20 per cento rispetto all’ultimo rapporto. La tendenza è chiara e la situazione è insostenibile. Abbiamo inviato un messaggio chiaro al presidente, Aleksandar Vučić: o siete con noi quando abbiamo bisogno dell’unità europea, o siete contro.
    L’equilibrismo serbo è inaccettabile e le conseguenze potrebbero essere l’effettivo arresto dei colloqui di adesione della Serbia. Noi vogliamo che la Serbia entri nell’Unione Europea, ma perché ciò accada deve fare un’inversione di rotta nella sua politica estera e dimostrare chiaramente la solidarietà con l’Ucraina”.
    Cosa pensa della proposta franco-tedesca sul dialogo tra Pristina e Belgrado?
    Viola von Cramon: “La ritengo un’iniziativa positiva e tempestiva. Le principali capitali europee sono coinvolte e abbiamo bisogno di vedere una direzione politica del dialogo Serbia-Kosovo per far progredire la situazione. Si tratta di un’opportunità unica, in quanto abbiamo la piena unità transatlantica su questo tema e non ci sono elezioni nel prossimo periodo.
    Incoraggio fortemente entrambe le parti a sfruttarla, così come a sfruttare la mediazione del rappresentante speciale dell’Unione Europea, Miroslav Lajčák, per giungere a un accordo sostenibile e completo. Senza di esso, nessuno dei due potrà aderire all’Ue”.

    L’eurodeputata dei Verdi/Ale, membro della commissione per gli Affari esteri (Afet), presenta i punti-chiave della raccomandazione del Parlamento Ue e avverte che “dobbiamo mantenere i risultati nei Balcani Occidentali, altrimenti la nostra promessa a Est non sarà presa sul serio”

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    La Commissione ha raccomandato la concessione dello status di candidato all’adesione Ue alla Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Il nuovo Pacchetto Allargamento della Commissione Europea presenta una novità particolarmente attesa in Bosnia ed Erzegovina, in particolare dopo le delusioni del vertice Ue-Balcani Occidentali di giugno. A sei anni dalla richiesta di adesione all’Unione Europea da parte di Sarajevo, la Commissione Ue ha raccomandato al Consiglio di concedere alla Bosnia lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione. Lo ha reso noto il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, in audizione alla commissione Affari esteri (Afet) del Parlamento Ue, presentando il Pacchetto Allargamento 2022: “Rispetto all’anno scorso il nostro compito è cambiato, c’è stata un’enorme evoluzione nella politica di allargamento dopo l’aggressione russa all’Ucraina”.
    L’allargamento dell’Unione nella regione balcanica è “più importante che mai per motivi geopolitici, per garantire la pace e la stabilità sul continente“, come ha dimostrato la “reazione immediata” delle richieste di adesione di Ucraina, Moldova e Georgia a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa. Al vertice dei leader Ue di giugno “c’è stato un chiaro impegno”, con la concessione dello status di candidati a Kiev e Chişinău e la prospettiva europea per Tbilisi: “Dal prossimo nel Pacchetto Allargamento avremo 10 relazioni, ma già entro la fine dell’anno intendiamo presentare una valutazione sulle capacità dei tre nuovi partner di colmare le lacune evidenziate nelle nostre valutazioni”, ha aggiunto il commissario Várhelyi.
    Pensando al presente, però, “tutti i sei Paesi dei Balcani Occidentali devono aderire il prima possibile all’Unione”, ha avvertito il titolare per l’Allargamento nel gabinetto von der Leyen, parlando della raccomandazione del Collegio dei commissari di oggi (mercoledì 12 ottobre) ai Ventisette di concedere lo status di Paese candidato all’adesione Ue anche alla Bosnia ed Erzegovina. La decisione – che “spetterà al Consiglio Europeo, probabilmente al vertice di dicembre” – sarà comunque condizionata sia dal rispetto delle 14 priorità-chiave sia dall’adozione di diverse misure da parte di Sarajevo, elencate in un report tutt’altro che incoraggiante sui progressi fatti nel campo giudiziario, politico e dello Stato di diritto (anche considerate le tensioni nella Republika Srpska).
    Facendo appello alla “responsabilità di tutte le forze politiche” dopo le elezioni dello scorso 2 ottobre, il commissario ha spiegato che in Bosnia dovranno essere approvate “in via prioritaria” la legge sul Consiglio superiore della magistratura, quella sulla prevenzione del conflitto di interessi e misure per rafforzare la prevenzione e la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Fondamentale anche il coordinamento “a tutti i livelli” della gestione delle frontiere e del funzionamento del sistema di asilo, l’istituzione di un meccanismo nazionale di prevenzione contro la tortura, ma anche l’adozione di un programma nazionale per l’acquis Ue e la libertà di espressione e la protezione dei giornalisti. “Quella che stiamo offrendo è una grande opportunità per la Bosnia, che arriva una volta nella vita e che i cittadini meritano“, ha sottolineato con forza il commissario Várhelyi. Tutto questo comunque “dovrà essere soddisfatto prima di poter pensare di aprire i negoziati di adesione” all’Unione.

    ❗ BREAK: European Commission to recommend candidate status for Bosnia and Herzegovina 🇧🇦 in the European Parliament this afternoon. An absolute necessity for a geopolitical EU. Member States must now make the right call and support the people of BiH on their European path. pic.twitter.com/Q7V8D0R7WM
    — Thijs Reuten 🇪🇺🌹 (@thijsreuten) October 12, 2022

    Gli altri dossier del Pacchetto Allargamento 2022
    Non c’è solo la Bosnia al centro dell’attenzione di Bruxelles sui progressi dei Paesi candidati (o quasi) all’adesione Ue. Presentando le altre sei relazioni – compresa la Turchia, che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale – è soprattutto la Serbia a destare le maggiori preoccupazioni: “Deve essere un partner e alleato sincero, per promuovere la sicurezza sul continente, e deve rivedere le sue posizioni per allinearsi all’Ue e distanziarsi di più dalla Russia“, è l’ennesima esortazione del commissario Várhelyi. In ogni caso, Belgrado è “un importante partner economico, che va aiutato ad affrontare le sfide energetiche” e che allo stesso tempo sta proseguendo sul cammino di avvicinamento agli standard Ue, “come dimostra il referendum sulle riforme costituzionali di gennaio“.
    Tutti gli altri quattro partner balcanici sono “completamenti allineati alla politica estera e di difesa” dell’Unione Europea, in particolare dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Macedonia del Nord e Albania presentano “importanti progressi con risultati concreti” sul piano dell’attuazione delle riforme richieste, spinte anche dallo sblocco dello stallo sull’avvio dei negoziati di adesione lo scorso 19 luglio. Tirana deve però accelerare l’iter sulla libertà di espressione e il diritto di proprietà intellettuale (mentre la riforma della giustizia è “un esempio di serietà nel rafforzamento dello Stato di diritto”), Skopje deve fare passi in avanti sulla riforma dell’amministrazione pubblica ed entrambi i governi devono impegnarsi sulla lotta alla corruzione.
    In una posizione più complessa – anche se sulla carta più avanzata – è il Montenegro, ancora fermo sui capitoli negoziali 23 (potere giudiziario e diritti fondamentali) e 24 (giustizia e affari interni): “La valutazione del 2021 era identica, rimangono una seria preoccupazione“, ha confessato il commissario per l’Allargamento agli eurodeputati. Di fronte a una situazione instabile sul piano politico (che ha recentemente visto in crisi anche il governo di scopo guidato da Dritan Abazović), è necessario “un serio sforzo da parte di tutte le forze partitiche nel settore giudiziario”, così come nella libertà di espressione e dei media, e nella lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Oltre alla Bosnia, anche il Kosovo è l’unico Paese dei Balcani Occidentali a cui non è ancora stato riconosciuto lo status di Paese candidato (Pristina ha annunciato che entro la fine dell’anno farà richiesta di adesione). “Vorremmo vedere un cammino più rapido sul programma di riforme, ma c’è un rafforzamento dello Stato democratico”, ha confermato Várhelyi. Rinnovata la raccomandazione al Consiglio di liberalizzare il regime dei visti per i cittadini kosovari e chiesto infine un “approccio costruttivo da parte di tutti gli attori” per quanto riguarda il dialogo Pristina-Belgrado.

    A sei anni dalla richiesta di adesione all’Unione Europea, nel Pacchetto Allargamento 2022 l’esecutivo comunitario ha incluso per la prima volta l’esortazione al Consiglio di riconoscere lo status a Sarajevo. La decisione finale spetterà ora ai 27 leader Ue (probabilmente a dicembre)

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    È sempre più stretta l’alleanza tra Vučić e Orbán. L’asse contro le sanzioni alla Russia che preoccupa Bruxelles

    Bruxelles – Era solo una questione di tempo per le formalità, perché i segnali del rapporto solidissimo tra Belgrado e Budapest erano già chiari. Il premier dell’Ungheria, Viktor Orbán, ha ricevuto oggi (venerdì 16 settembre) il gran collare dell’Ordine della Repubblica di Serbia – una delle massime onorificenze a capi di Stato e di governo per meriti speciali resi allo Stato e al popolo serbo – direttamente dalle mani del presidente Aleksandar Vučić. “Ringrazio il primo ministro ungherese per il suo forte contributo al miglioramento della cooperazione bilaterale complessiva tra Serbia e Ungheria, che è in costante aumento e ha raggiunto il suo stadio più alto, senza precedenti nella storia moderna”, ha dichiarato nel suo intervento Vučić.
    Un’alleanza che già aveva iniziato a formalizzarsi con lo scambio di onorificenze un anno fa, ma che ora – in un contesto geopolitico sempre più teso a causa delle conseguenze della guerra russa in Ucraina e per il vento nazionalista che si è confermato nei due Paesi alle rispettive elezioni dello scorso 3 aprile – assume caratteristiche sempre più preoccupanti per l’Unione Europea. Bruxelles è direttamente coinvolta anche dalle parole del presidente Vučić – per il sostegno “aperto e inequivocabile dell’Ungheria per la piena adesione della Serbia all’Ue il prima possibile” – in un futuro allargamento al Paese balcanico che solleva timori per il rafforzamento dell’asse illiberale Belgrado-Budapest. Proprio ieri (giovedì 15 settembre) il Parlamento Ue ha definito l’Ungheria di Orbán una “autocrazia elettorale” e ha chiesto alla Commissione il congelamento dei fondi comunitari destinati a Budapest, mentre il regime di Vučić è sotto l’occhio dei partner occidentali su diversi fronti, a partire dal rispetto degli standard democratici e dello Stato di diritto.

    We are grateful to our Hungarian friends, but especially to you, #ViktorOrban, for the open, unequivocal, and constant support you give to Serbia in its pursuit of #EU membership as well as on all significant regional issues, in particular our bilateral cooperation. 🇷🇸🇭🇺 pic.twitter.com/LJyD4uNO0X
    — Александар Вучић (@predsednikrs) September 16, 2022

    Ma a fare notizia sono gli attacchi violenti ed espliciti alla politica delle sanzioni alla Russia di Putin attuata dall’Unione. Non tanto quelli del serbo Vučić – unico leader europeo a non essersi allineato nemmeno a livello di principio – quanto piuttosto quelli dell’ungherese Orbán, che dopotutto farebbe ancora parte dei Ventisette e che quelle misure restrittive ha contribuito a disegnarle (o più spesso a limitarle). “Noi vorremmo che la politica delle sanzioni cambiasse e che Bruxelles la ponesse su basi ragionevoli”, ha dichiarato il leader dell’esecutivo di Budapest, dicendosi convinto che “se le sanzioni contro Mosca fossero revocate, la situazione migliorerebbe immediatamente”. Riferendosi in particolare alle misure restrittive su carbone e petrolio, Orbán ha definito i 27 governi europei “nani che impongono sanzioni contro un gigante energetico” ed è per questo che tutto ciò “minaccia di distruggere l’intero sistema” costruito in Europa, a partire dai Paesi più vicini alla Russia: “Le sanzioni inventate dall’Occidente danneggiano l’Ungheria e l’Europa centrale più di chi contro cui sono applicate, stiamo andando alla deriva in una crisi economica sempre più profonda“.

    (1/3) PM Orbán in Belgrade: “Sanctions invented by the West hurt Hungary and Central Europe more than against whom they are applied. We are drifting into a deepening economic crisis and if sanctions were lifted, the situation would improve immediately.”
    — Zoltan Kovacs (@zoltanspox) September 16, 2022

    Non preoccupano di meno le esternazioni dal punto di vista del rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto. In primis sulla reazione alla risoluzione del Parlamento Ue – “Siamo stufi di questa barzelletta, non ha alcuna importanza” – ma anche per la gestione delle richieste di asilo: “È una missione storica e una responsabilità comune dei due Paesi difendere le porte meridionali dell’Europa, e contrastare i continui flussi migratori“, ha attaccato Orbán, facendo riferimento alla “storia, geografia e la secolare amicizia che ci uniscono”.
    Sul fronte serbo è invece caldissima la questione dei diritti LGBTQ+ e dello svolgimento della Marcia dell’EuroPride di Belgrado di domani (sabato 17 settembre). “Non mi voglio occupare di un tema imposto in modo perverso al popolo serbo, sia da quelli che sono a favore sia da quelli che sono contro, come se fosse questione di vita o di morte”, ha risposto con fastidio Vučić alle domande dei giornalisti sulle notizie sempre più insistenti pubblicate dalla stampa nazionale a proposito della revoca del governo del divieto allo svolgimento della Marcia annunciato martedì (13 settembre) dal ministero dell’Interno. Il governo presieduto da Ana Brnabić (prima premier omosessuale della storia serba) avrebbe confermato alla Commissione Europea di aver fatto concessioni agli organizzatori, accordando lo svolgimento con un percorso più breve. Ma Vučić – che è stato il primo ad annunciare a fine agosto “la cancellazione o la posticipazione” dell’EuroPride – sembra non voler cedere a livello mediatico, non contribuendo di certo a diminuire la tensione e le possibili violenze dell’ala estremista e omofoba del nazionalismo in Serbia.

    NEWS: Government confirms #EuroPride2022 march will go ahead tomorrow @belgradepride, as we and @AllOut and @InterPride submitted 27,000 petitions to the Serbian government. https://t.co/HAbzn2biRR
    — EPOA • EuroPride (@EuroPride) September 16, 2022

    Trovi l’intervista agli organizzatori dell’EuroPride di Belgrado e un’analisi dei rapporti Serbia-Ungheria nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    Al premier ungherese è stato conferito il gran collare dell’Ordine della Repubblica di Serbia (una delle più alte onorificenze) per il rafforzamento della cooperazione reciproca. Attacco alla politica dell’Unione sulle misure restrittive contro Mosca: “Come nani contro un gigante energetico”

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    L’Ue in pressing sulla Serbia per trovare una soluzione con gli organizzatori dell’EuroPride per ospitare l’evento a Belgrado

    Bruxelles – Aumentano le pressioni delle istituzioni Ue sulla Serbia dopo l’ondata di polemiche sulla posizione intransigente del presidente serbo, Aleksandar Vučić, a proposito dello svolgimento dell’Europride 2022 in programma tra il 12 e il 18 settembre a Belgrado. “Dopo l’annuncio della cancellazione, l’Unione Europea incoraggia le autorità serbe a proseguire i contatti con gli organizzatori per trovare una soluzione che consenta di ospitare l’EuroPride in pace e sicurezza”, si legge in una nota firmata dal portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano: “Attendiamo con ansia una decisione finale positiva” sullo svolgimento dell’evento che celebra quest’anno il trentesimo anniversario dall’istituzione.

    Statement by the Spokesperson on the announcements of the cancellation of EuroPride in Belgrade | EEAS Website https://t.co/yA0qK61knl
    — Belgrade Pride – EuroPride 2022 (@belgradepride) September 2, 2022

    Martedì (30 agosto) il presidente Vučić aveva ribadito che la manifestazione annuale itinerante per i diritti LGBTQ+ in programma quest’anno nella capitale serba sarà “annullata o rinviata” per “questioni urgenti”, non facendo nessuna apertura rispetto a quanto annunciato pochi giorni prima nel corso della cerimonia di conferimento del mandato di governo alla premier uscente, Ana Brnabić. “Potrà chiamare Biden, potranno chiamare Putin o Erdogan o chi volete, la decisone non cambierà”, aveva messo un punto Vučić. Ma gli organizzatori dell’EuroPride hanno continuato a confermare che l’evento non è annullato e che la marcia del 17 settembre per le strade di Belgrado si svolgerà, dal momento in cui le autorità nazionali non hanno il potere di cancellare la manifestazione una volta assegnata alla città ospitante, a meno che non si tratti di ragioni di sicurezza pubblica motivate dalle forze di polizia.
    Da Bruxelles è subito arrivato un importante sostegno alla causa dell’EuroPride 2022 in Serbia, sia con il messaggio inviato alla premier Brnabić da parte della co-presidente dell’intergruppo LGBTQ+ del Parlamento Ue, Terry Reintke, e dalla collega di partito, Viola von Cramon-Taubadel (“L’EuroPride sarà un simbolo forte contro i movimenti autoritari guidati dall’odio, marceremo a Belgrado per la democrazia e la diversità”), sia con la lettera firmata da 145 eurodeputati indirizzata anche al presidente serbo. “Siamo consapevoli delle minacce alla sicurezza dei manifestanti, ma riteniamo che vietare del tutto l’evento non sia la soluzione giusta”, è quanto sottolineato con forza nel testo, che ha esortato alla “positiva collaborazione e a sostenere gli organizzatori nella realizzazione di una Marcia dell’EuroPride sicura”. Tra gli eurodeputati italiani firmatari della lettera compaiono la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno, il membro del comitato dell’intergruppo LGBTQ+ Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle), insieme ad Alessandra Moretti,Brando Benifei, Massimiliano Smeriglio (Partito Democratico), Eleonora Evi e Rosa D’Amato (Verdi).

    🏳️‍🌈 145 MEPs signed today our joint letter calling on the 🇷🇸 #Serbian leadership (@SerbianPM/@avucic) to facilitate a safe #EuroPride2022 as scheduled.
    Our MEPs also urge authorities to deploy sufficient police protection.
    Read it below 👇 https://t.co/SsKle1gmxb pic.twitter.com/u1lFMMzC2t
    — LGBTI Intergroup (@LGBTIintergroup) August 31, 2022

    È così che, anche grazie al pressing dell’Ue, si è aperto uno spazio di dialogo tra le autorità della Serbia e gli organizzatori dell’EuroPride. Si cerca ora una soluzione che garantisca lo svolgimento della manifestazione – e in completa sicurezza – con un qualche tipo di riconoscimento della situazione delicata all’interno del Paese (in particolare sui rapporti con il Kosovo e sulla crisi energetica). Un tentativo ulteriormente supportato da Bruxelles con la messa in campo del peso diplomatico del Servizio guidato dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “L’Ue attribuisce grande importanza al fatto che questo Pride si svolga in circostanze pacifiche e con la sicurezza dei partecipanti”, si legge nel comunicato, che ricorda a Belgrado le aspettative dell’Unione nei confronti dei “nostri partner più stretti” in materia di “protezione e promozione dei diritti umani”, inclusa la “difesa dei diritti delle persone LGBTIQ+, della libertà di riunione e di espressione”. L’EuroPride, conclude il testo, “si batte per la parità di diritti delle persone LGBTIQ+ in tutta Europa, dando voce a coloro che subiscono discriminazioni, violenze o odio per motivi diversi dal loro sesso, sessualità o genere”.

    Il Servizio europeo per l’azione esterna attende “con ansia” una decisione finale “positiva” dai contatti tra autorità serbe e organizzatori della manifestazione LGBTQ+. Bruxelles attribuisce “grande importanza” allo svolgimento dell’evento “in circostanze pacifiche e in sicurezza”