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    Medio Oriente: mentre Bruxelles chiede “moderazione”, l’Iran inizia a colpire le basi Usa in risposta agli attacchi di Washington sui suoi siti nucleari

    Bruxelles – All’indomani dei bombardamenti condotti dagli Stati Uniti contro gli impianti nucleari iraniani, i ministri degli Esteri dei Ventisette si sono riuniti per esortare nuovamente tutte le parti alla de-escalation e alla diplomazia. Ma proprio alla fine dell’incontro, mentre l’Alta rappresentante Kaja Kallas non riesce a condannare le azioni militari di Washington e Tel Aviv in Medio Oriente, da Teheran starebbe partendo la prima rappresaglia diretta contro le basi statunitensi in Qatar e in Iraq, in quella che potrebbe essere la temuta escalation capace di estendere il conflitto all’intera regione.Accanto alla revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele, a tenere banco durante il Consiglio Affari esteri svoltosi oggi (23 giugno) a Bruxelles è stata soprattutto l’aggravarsi della crisi mediorientale, scatenata dallo Stato ebraico con l’aggressione dello scorso 13 giugno. Ai bombardamenti statunitensi sui siti nucleari iraniani avvenuti nel weekend, si sono aggiunti in giornata nuovi attacchi israeliani all’impianto sotterraneo di Fordo, costruito sotto le montagne a sud di Teheran, e contro altri obiettivi nella Repubblica islamica.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Mentre questo articolo viene pubblicato, le agenzie di stampa internazionali stanno segnalando esplosioni di missili iraniani in Qatar e in Iraq, in direzione delle basi militari statunitensi. Gli attacchi, rivendicati dalla Repubblica islamica come “una risposta potente e vincente delle forze armate iraniane all’aggressione americana”, costituiscono un ulteriore, grave salto di qualità nel conflitto tra Tel Aviv e Washington da un lato e Teheran dall’altro, che ora arriva a coinvolgere direttamente gli asset Usa nella regione e ha pertanto il potenziale di innescare una spirale di violenza incontrollabile. Il presidente Donald Trump si trova in questi istanti nella situation room della Casa Bianca.Eppure Bruxelles non riesce a richiamare né Washington né Tel Aviv alle loro responsabilità, anzi nemmeno a nominarle. “La nuova guerra è uno sviluppo pericoloso e le recenti azioni militari acuiscono le tensioni“, ha osservato Kaja Kallas al termine della riunione (conclusasi prima che partissero gli attacchi iraniani contro le basi Usa), notando che “le azioni militari sono sempre cariche di rischi e incertezze e quello che importa ora è minimizzare i rischi di escalation“.Il capo della diplomazia comunitaria si è tuttavia ben guardata dal condannare chi quelle azioni le sta conducendo da una decina di giorni, mettendo letteralmente a ferro e fuoco il Medio Oriente. Incalzata dai giornalisti su come l’Ue intenda agire concretamente per mettere pressione su Israele o gli Stati Uniti, oltre che sull’Iran, affinché si facciano tacere le armi e si dia spazio ai negoziati, Kallas si è nascosta dietro un vuoto giro di parole, assicurando che “stiamo parlando a tutti i partner regionali“, inclusi gli Usa, per segnalare che “quest’escalation non beneficia nessuno“.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)A sentire l’Alta rappresentante, dalla riunione odierna è emerso “un ampio consenso tra gli Stati membri sulla necessità di continuare le discussioni con l’Iran perché la diplomazia è l’unica strada per raggiungere un accordo” e arrivare ad una composizione politica della crisi, che nel frattempo peggiora di ora in ora. Pertanto, assicura, “rimaniamo sicuramente in contatto” con la leadership della Repubblica islamica.Per il momento, gli sforzi negoziali della diplomazia europea non hanno portato ad alcun risultato. Lo scorso 20 giugno, Francia, Germania, Regno Unito e Ue – i membri europei del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), l’accordo del 2015 sul nucleare di Teheran, moribondo da quando Trump ha ritirato gli Usa nel 2018 – hanno incontrato a Ginevra il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, per cercare di riavviare il dialogo sulle velleità atomiche degli ayatollah.Ma quella timida iniziativa diplomatica (l’unica mai tentata dall’inizio della guerra) si è infranta contro la pioggia di ordigni anti-bunker rovesciata nelle ore successive dal Pentagono sugli stabilimenti di Fordo, Natanz e Isfahan. Da allora la Repubblica islamica ha irrigidito la propria posizione, rifiutandosi espressamente di sedersi al tavolo delle trattative sia con Israele sia con gli Stati Uniti (i suoi due più acerrimi nemici, che definisce notoriamente “piccolo Satana” e “grande Satana”).Il presidente russo Vladimir Putin (sinistra) accoglie al Cremlino il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi (foto via Imagoeconomica)Araghchi si è recato oggi a Mosca, dove ha avuto un faccia a faccia con Vladimir Putin. Al termine del loro colloquio, l’inquilino del Cremlino ha riaffermato il sostegno della Russia all’alleato mediorientale, osservando che “l’aggressione assolutamente immotivata” degli Stati Uniti contro l’Iran “non ha alcuna base né alcuna giustificazione” e lamentando il mancato preavviso da parte dell’amministrazione a stelle e strisce.Una visione diametralmente opposta a quella espressa, sempre in giornata, dal capo della Nato Mark Rutte. Alla vigilia dell’importante summit dell’Aia, dal quale dovrebbe arrivare il disco verde dai membri dell’Alleanza all’aumento delle spese militari al 5 per cento del Pil (con l’unica eccezione, forse, della Spagna di Pedro Sánchez), l’ex premier olandese ha detto di non ritenere che “quello che hanno fatto gli Stati Uniti vada contro il diritto internazionale”.Linea condivisa anche dal cancelliere tedesco Friedrich Merz, secondo il quale “non c’è ragione di criticare quello che l’America ha fatto durante il weekend“. “Certo, non è senza rischi” a livello di potenziali conseguenze, ha concesso, “ma lasciare le cose com’erano non era un’opzione“. Parole che suonano tristemente profetiche. E chissà che, all’Aia, non si parli di un altro 5: non la percentuale del Pil, ma l’articolo della Carta atlantica che sancisce il principio di difesa collettiva.

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    Siria, l’Ue punta alla riattivazione piena della delegazione a Damasco

    Bruxelles – Ue-Siria post-Assad, c’è intenzione europea di nuove, più strette, le relazioni bilaterali. C’è l’intenzione dei Ventisette di dare nuovo impulso alla relazioni diplomatiche, un’intenzione messa nero su bianco nelle conclusioni del consiglio Affari esteri straordinario convocato sulla scia del deterioramento della situazione in Medio Oriente dopo gli attacchi israeliani in Iran. “L’Unione europea garantirà una presenza diplomatica più forte e permanente a Damasco il più presto possibile attraverso la piena riattivazione della delegazione dell’Ue“, recita il testo di fine seduta. Poche righe, ma dal forte significato politico.Mai come in questo momento storico una Siria stabile diventa fondamentale per l’Unione europea, il cui obiettivo è quello di provare a giocare un nuovo ruolo di politica estera e di relazioni internazionali in un quadrante dove interessi e soggetti diversi si incontrano e si scontrano. C’è da una parte la Turchia, preoccupata per le spinte e le rivendicazioni dei curdi, secondo gruppo etnico dopo gli arabi, e presente nella Siria settentrionale. “L’Ue continua a nutrire preoccupazione per il coinvolgimento di gruppi armati sostenuti dalla Turchia nel nord del Paese”, si riconosce.Dall’altra parte ci sono gli interessi di Mosca a Teheran, decise a mantenere un ruolo di contrappesi all’occidente. “L’Ue rimane seriamente preoccupata per le azioni della Russia e dell’Iran, che mirano ancora una volta ad alimentare la violenza e a destabilizzare la Siria”. C’è infine la politica dello Stato ebraico, che in Siria opera per prevenire azioni ostili contro di sé . “Sebbene sia opportuno affrontare le preoccupazioni di Israele in materia di sicurezza, l’Ue è profondamente preoccupata per gli attacchi delle Forze di difesa israeliane in diverse regioni e per la loro continua presenza e le operazioni militari, in particolare nella Siria meridionale“.Turchia a nord, Israele a sud, Russia e Iran da nord e nord-est, con i miliziani di Al-Qaeda a rendere il Paese ancor più esplosivo. In tal senso, continuano i ventisette ministri degli Esteri dell’Ue, “la lotta contro Daesh e altri gruppi terroristici, che continuano a rappresentare una minaccia per la Siria, la regione, l’Europa e la pace e la sicurezza internazionale, rimane una priorità in un contesto politico e di sicurezza in rapida evoluzione”. Una sottolineatura che conferma la necessità dell’Ue di investire politicamente in Siria, arena da cui manca praticamente solo una presenza europea.

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    L’Ue tenta di mantenere aperto il dialogo con l’Iran dopo l’attacco degli Usa. Ma la strada è strettissima

    Bruxelles – Dopo i bombardamenti statunitensi sui siti nucleari iraniani, che aveva sperato di poter scongiurare, l’Ue cerca di tenere aperta la porta dei negoziati con Teheran. Ma rimane appiattita sulla linea dettata da Washington, mentre la clamorosa fuga in avanti dell’inquilino della Casa Bianca rischia di far precipitare l’intero Medio Oriente nell’ennesima escalation incontrollabile.Con l’operazione “martello di mezzanotte” ordinata da Donald Trump nelle primissime ore di domenica (22 giugno), i B-2 Spirit del Pentagono hanno fatto piovere 14 bombe bunker buster sugli impianti nucleari di Fordo, Natanz e Isfahan. Non è ancora chiaro quale sia la reale entità dei danni alle strutture e al programma di arricchimento dell’uranio della Repubblica islamica, ma a sentire il tycoon si è trattato di un attacco mirato a cui non dovranno seguirne di nuovi, a patto che Teheran decida di abbandonare le sue velleità atomiche.È chiaro, invece, che quell’azione ha aumentato drammaticamente la tensione in un Medio Oriente già in fiamme e rischia di far saltare definitivamente i pochi argini rimasti ancora in piedi. “Non c’è una linea rossa che (gli Stati Uniti, ndr) non abbiano superato“, ha dichiarato il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi immediatamente dopo i bombardamenti.pic.twitter.com/wu9mMkxtUg— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) June 21, 2025“L’amministrazione fuorilegge e guerrafondaia di Washington è l’unica e completa responsabile per le pericolose conseguenze e le implicazioni di vasta portata del suo atto di aggressione”, ha aggiunto, sottolineando che la “porta della diplomazia” in questo momento non può che rimanere chiusa da parte iraniana e addossando sull’attacco degli Stati Uniti (denunciato come un affronto “imperdonabile” alla Carta delle Nazioni Unite) il deragliamento delle delicate trattative che erano in corso con gli europei.La principale vittima collaterale dei bombardamenti di ieri notte rischia così di essere la pista negoziale, quella faticosamente aperta dagli europei a Ginevra lo scorso venerdì (20 giugno) quando i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Regno Unito avevano incontrato Araghchi alla presenza dell’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas.Arrivando al Consiglio Affari esteri in corso oggi (23 giugno) a Bruxelles, l’ex premier estone ha riconosciuto che “l’Iran stava aprendo alle discussioni” sul suo programma nucleare. “Dobbiamo assolutamente continuare su questa strada“, ha avvertito, perché “dev’esserci una soluzione diplomatica per avere una prospettiva di lungo termine” e risolvere la crisi che continua ad avvitarsi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Secondo la responsabile della diplomazia a dodici stelle, “l’Europa ha un ruolo molto concreto” nel quadro degli accordi multilaterali sul programma atomico di Teheran, il Joint comprehensive plan of action del 2015: “L’Europa ha sempre avuto un ruolo – sostiene – e quando l’Iran è pronto a parlarci dobbiamo sfruttare questa opportunità“.Il Jcpoa, aggiunge Kallas, prevede “il meccanismo snapback per rimettere in piedi tutte le sanzioni se non ci sono progressi” da parte della Repubblica islamica, che dieci anni fa si è formalmente impegnata a limitare il proprio programma atomico a soli scopi civili. “Tutti sono d’accordo che l’Iran non deve possedere armi nucleari e stiamo lavorando verso quell’obiettivo”, ha ribadito ai giornalisti.Un messaggio condiviso anche dai ministri degli Esteri dei Ventisette. Antonio Tajani ha annunciato di aver contattato direttamente Araghchi “per cercare di riattivare un dialogo tra l’Iran e gli Stati Uniti“, proponendo di ospitare i negoziati a Roma come già avvenuto nel recente passato. Secondo il responsabile della Farnesina, Teheran “può procedere con la ricerca sul nucleare civile ma non col nucleare militare”: “Ho trovato orecchi attenti”, ha detto, garantendo tra l’altro che “le basi italiane non sono state utilizzate” per l’attacco condotto dallo zio Sam.Il ministro degli Esteri e vicepremier italiano Antonio Tajani (foto: Samuel Corum/Afp)Il vicepremier forzista ha inoltre dichiarato di aver chiesto all’Iran di non colpire le basi militari statunitensi come rappresaglia e di aver espresso “preoccupazione” per la minacciata chiusura dello stretto di Hormuz, il collo di bottiglia che separa il Golfo Persico dall’Oceano Indiano da cui passa circa un quinto del commercio globale di petrolio e gnl (eventualità definita dalla stessa Kallas “estremamente pericolosa”).A ritagliarsi una posizione relativamente più critica nei confronti della Casa Bianca è Parigi. Il titolare degli Esteri Jean-Noël Barrot ha tenuto il punto sul fatto che il “rischio esistenziale” di una Repubblica islamica dotata di un ordigno nucleare va scongiurato attraverso il dialogo e non coi bombardamenti: “Non esiste una soluzione duratura” alla questione “con mezzi militari, solo la negoziazione consentirà di inquadrare in modo rigoroso e duraturo il programma nucleare iraniano e di fornire risposte durature a queste questioni”, ha spiegato.Per Barrot, inoltre, vanno respinti senza indugio “tutti i tentativi di organizzare un cambio di regime con la forza”, come ripetutamente ventilato negli scorsi giorni tanto da Trump quanto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. “Crediamo nel diritto dei popoli all’autodeterminazione e confidiamo nel popolo iraniano che ha eroicamente resistito al regime“, ha ragionato, ma “sarebbe illusorio e pericoloso pensare che con la forza e con le bombe possiamo realizzare un tale cambiamento“.Il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot (foto: Benedikt von Loebell via Imagoeconomica)D’accordo anche lo spagnolo José Manuel Albares: “L’Europa deve avere il coraggio di issare la bandiera della pace, di difendere il diritto internazionale, di dire no alla guerra e sì alla diplomazia e al negoziato”, ha dichiarato.Ma il diritto internazionale, per avere un senso, dev’essere rispettato da tutti: non solo da nemici ed avversari, ma anche da amici ed alleati. Una considerazione che non sembra condivisa tra i corridoi del potere di Bruxelles, almeno a giudicare dalle comunicazioni pubbliche dei vertici comunitari.Ursula von der Leyen, ad esempio, sottolinea che “il rispetto per il diritto internazionale è critico” e che “il tavolo negoziale è l’unico posto per porre fine a questa crisi”. Peccato che la presidente dell’esecutivo Ue chieda solo all’Iran di “impegnarsi in una soluzione diplomatica credibile”, senza menzionare l’attacco statunitense sulle strutture nucleari di un Paese sovrano. Per risolvere il problema, il presidente del Consiglio europeo António Costa evita direttamente di fare nomi, ed esorta “tutte le parti a dare prova di moderazione“.

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    Piano Mattei, da vertice con Meloni e von der Leyen intese per 1,2 mld e strategia contro debito Africa

    Roma – Accordi per 1,2 miliardi di euro per far crescere l’Africa e con l’Africa l’Europa. Non è un semplice “pacchetto di progetti”, quello che Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen portano a casa oggi, dopo un vertice sul Piano Mattei e il Global Gateway a Villa Pamphilj a Roma. E’, spiega la premier italiana, un “patto tra nazioni libere, che scelgono di cooperare perché credono nei valori della dignità, del lavoro, della libertà”. Ed è il segno che “quando l’Europa agisce con coraggio, quando l’Italia ci mette il suo, con la sua visione, con la sua concretezza, i risultati arrivano“.Non solo. Roma e Bruxelles lavorano a un’iniziativa per affrontare il debito delle nazioni africane. Un tema centrale per lo sviluppo del continente, che rischia di vanificare tutti gli sforzi dei due piani, se non affrontato. Si pensa di convertire nei prossimi dieci anni l’intero ammontare del debito per le nazioni meno sviluppate “secondo i criteri della banca mondiale”, riferisce la premier, e di abbattere del 50 per cento quello delle nazioni a reddito medio-basso. L’intera operazione in dieci anni permetterà di convertire in progetti di sviluppo, da attuale in loco, circa 235 milioni di euro di debito.A Roma, Meloni e von der Leyen riuniscono autorità africane da Angola, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Zambia, e i vertici delle istituzioni finanziarie internazionali (il Fondo Monetario Internazionale, il Gruppo della Banca Mondiale, la Banca Africana di Sviluppo e la Africa Finance Corporation).Le parole d’ordine sono “crescita sostenibile, resilienza e cooperazione reciprocamente vantaggiosa”. Commissione europea e Italia si impegnano a mobilitare investimenti trasformativi lungo corridoi economici strategici. Con un focus particolare su tre punti: il Corridoio di Lobito, l’agricoltura, e il cavo Blue-Ranman.Il corridoio di Lobito è non solo un progetto di sviluppo ferroviario, ma è anche un corridoio economico più ampio che collegherà le regioni ricche di risorse dell’Africa meridionale, prive di sbocco sul mare, ai mercati globali, compresa l’Europa. L’intenzione è quella di accelerare gli investimenti in settori interconnessi, tra cui le infrastrutture di trasporto, i sistemi energetici, le catene del valore agricole e la facilitazione del commercio, sulla base di un approccio che rafforza le economie locali e promuove un’integrazione regionale “inclusiva“. Fondamentale sarà l’intervento del settore privato, con investimenti scalabili, in linea con gli obiettivi climatici e commercialmente sostenibili.La promozione della cooperazione trilaterale nell’agricoltura sostenibile è il secondo punto strategico degli accordi, che si concentrano su filiere resilienti al clima. Una nuova iniziativa rafforzerà il settore del caffè dell’Africa orientale attraverso l’integrazione regionale e il coinvolgimento del settore privato italiano. Promossa dal Ministero degli Affari Esteri italiano e sostenuta dall’Unido, dalla Cassa Depositi e Prestiti e da partner multilaterali, l’iniziativa esplorerà la possibilità di introdurre regimi assicurativi per rafforzare la resilienza. L’Ue firma poi una garanzia con Cassa Depositi e Prestiti per accelerare lo sviluppo di sistemi agroalimentari sostenibili attraverso lo sviluppo di capacità e l’accesso a finanziamenti innovativi nell’iniziativa Terra (Transforming and Empowering Resilient and Responsible Agribusiness), con un contributo di 109 milioni di euro.Sul fronte digitale, il cavo sottomarino Blue Raman ha un potenziale strategico. Co-finanziato con un contributo di 37 milioni di euro dalla Commissione europea e sostenuto da Sparkle, l’interconnessione digitale migliorerà la connettività, stimolerà la ricerca e l’innovazione e sosterrà la convergenza tecnologica tra Europa, Africa e India. Il progetto coinvolge reti di ricerca e istruzione, tra cui Geant per l’Europa e UbuntuNet Alliance per l’Africa, e beneficia delle competenze tecniche della Banca europea per gli investimenti.Oggi, inoltre, è stato raggiunto un accordo per mobilitare investimenti privati in settori chiave come la connettività digitale, le energie rinnovabili e i trasporti nell’Africa subsahariana attraverso il programma Cassa Depositi e Prestiti per le infrastrutture rinnovabili e l’energia sostenibile (Rise) con un contributo di 137 milioni di euro.In questo scenario rientra anche l’AI Hub for Sustainable Development, l’iniziativa nata nell’ambito della presidenza G7 dell’Italia lo scorso anno, in partenariato con i leader globali del settore come Microsoft e il supporto operativo del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. “Stamattina è stato inaugurato a Roma l’AI Hub che coinvolgerà centinaia di startup per applicare soluzioni di intelligenza artificiale ai settori prioritari del Piano Mantei, salute agricoltura, energia, acqua, formazione di infrastrutture”, ricorda Meloni.Tra le intese, la firma di una lettera di intenti sulle iniziative di connettività energetica sinergiche tra l’Italia, la Commissione europea e il Gruppo della Banca mondiale nel continente africano.I progressi del partenariato strategico saranno riesaminati in occasione del Forum Global Gateway che si terrà il 9-10 ottobre 2025 a Bruxelles. “Riteniamo che l’Africa sia un continente nel quale più che altrove si gioca il nostro futuro, dove noi italiani, noi europei siamo chiamati a fare la differenza, possiamo fare la differenza”, scandisce la premier. “Global Gateway e il Piano Mattei sono nati per essere iniziative collettive, esistono per affrontare sfide comuni”, commenta von der Leyen, convinta che il potenziale inesplorato della partnership sia “grande” e Bruxelles, conferma, è pronta a investire. “Soprattutto in questi tempi di incertezza globale, potete contare sull’Europa“.

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    Piano Mattei, da vertice con Meloni e von der Leyen intese per 1,2 mld e strategia contro debito Africa

    Roma – Accordi per 1,2 miliardi di euro per far crescere l’Africa e con l’Africa l’Europa. Non è un semplice “pacchetto di progetti”, quello che Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen portano a casa oggi, dopo un vertice sul Piano Mattei e il Global Gateway a Villa Pamphilj a Roma. E’, spiega la premier italiana, un “patto tra nazioni libere, che scelgono di cooperare perché credono nei valori della dignità, del lavoro, della libertà”. Ed è il segno che “quando l’Europa agisce con coraggio, quando l’Italia ci mette il suo, con la sua visione, con la sua concretezza, i risultati arrivano“.Non solo. Roma e Bruxelles lavorano a un’iniziativa per affrontare il debito delle nazioni africane. Un tema centrale per lo sviluppo del continente, che rischia di vanificare tutti gli sforzi dei due piani, se non affrontato. Si pensa di convertire nei prossimi dieci anni l’intero ammontare del debito per le nazioni meno sviluppate “secondo i criteri della banca mondiale”, riferisce la premier, e di abbattere del 50 per cento quello delle nazioni a reddito medio-basso. L’intera operazione in dieci anni permetterà di convertire in progetti di sviluppo, da attuale in loco, circa 235 milioni di euro di debito.A Roma, Meloni e von der Leyen riuniscono autorità africane da Angola, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Zambia, e i vertici delle istituzioni finanziarie internazionali (il Fondo Monetario Internazionale, il Gruppo della Banca Mondiale, la Banca Africana di Sviluppo e la Africa Finance Corporation).Le parole d’ordine sono “crescita sostenibile, resilienza e cooperazione reciprocamente vantaggiosa”. Commissione europea e Italia si impegnano a mobilitare investimenti trasformativi lungo corridoi economici strategici. Con un focus particolare su tre punti: il Corridoio di Lobito, l’agricoltura, e il cavo Blue-Ranman.Il corridoio di Lobito è non solo un progetto di sviluppo ferroviario, ma è anche un corridoio economico più ampio che collegherà le regioni ricche di risorse dell’Africa meridionale, prive di sbocco sul mare, ai mercati globali, compresa l’Europa. L’intenzione è quella di accelerare gli investimenti in settori interconnessi, tra cui le infrastrutture di trasporto, i sistemi energetici, le catene del valore agricole e la facilitazione del commercio, sulla base di un approccio che rafforza le economie locali e promuove un’integrazione regionale “inclusiva“. Fondamentale sarà l’intervento del settore privato, con investimenti scalabili, in linea con gli obiettivi climatici e commercialmente sostenibili.La promozione della cooperazione trilaterale nell’agricoltura sostenibile è il secondo punto strategico degli accordi, che si concentrano su filiere resilienti al clima. Una nuova iniziativa rafforzerà il settore del caffè dell’Africa orientale attraverso l’integrazione regionale e il coinvolgimento del settore privato italiano. Promossa dal Ministero degli Affari Esteri italiano e sostenuta dall’Unido, dalla Cassa Depositi e Prestiti e da partner multilaterali, l’iniziativa esplorerà la possibilità di introdurre regimi assicurativi per rafforzare la resilienza. L’Ue firma poi una garanzia con Cassa Depositi e Prestiti per accelerare lo sviluppo di sistemi agroalimentari sostenibili attraverso lo sviluppo di capacità e l’accesso a finanziamenti innovativi nell’iniziativa Terra (Transforming and Empowering Resilient and Responsible Agribusiness), con un contributo di 109 milioni di euro.Sul fronte digitale, il cavo sottomarino Blue Raman ha un potenziale strategico. Co-finanziato con un contributo di 37 milioni di euro dalla Commissione europea e sostenuto da Sparkle, l’interconnessione digitale migliorerà la connettività, stimolerà la ricerca e l’innovazione e sosterrà la convergenza tecnologica tra Europa, Africa e India. Il progetto coinvolge reti di ricerca e istruzione, tra cui Geant per l’Europa e UbuntuNet Alliance per l’Africa, e beneficia delle competenze tecniche della Banca europea per gli investimenti.Oggi, inoltre, è stato raggiunto un accordo per mobilitare investimenti privati in settori chiave come la connettività digitale, le energie rinnovabili e i trasporti nell’Africa subsahariana attraverso il programma Cassa Depositi e Prestiti per le infrastrutture rinnovabili e l’energia sostenibile (Rise) con un contributo di 137 milioni di euro.In questo scenario rientra anche l’AI Hub for Sustainable Development, l’iniziativa nata nell’ambito della presidenza G7 dell’Italia lo scorso anno, in partenariato con i leader globali del settore come Microsoft e il supporto operativo del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. “Stamattina è stato inaugurato a Roma l’AI Hub che coinvolgerà centinaia di startup per applicare soluzioni di intelligenza artificiale ai settori prioritari del Piano Mantei, salute agricoltura, energia, acqua, formazione di infrastrutture”, ricorda Meloni.Tra le intese, la firma di una lettera di intenti sulle iniziative di connettività energetica sinergiche tra l’Italia, la Commissione europea e il Gruppo della Banca mondiale nel continente africano.I progressi del partenariato strategico saranno riesaminati in occasione del Forum Global Gateway che si terrà il 9-10 ottobre 2025 a Bruxelles. “Riteniamo che l’Africa sia un continente nel quale più che altrove si gioca il nostro futuro, dove noi italiani, noi europei siamo chiamati a fare la differenza, possiamo fare la differenza”, scandisce la premier. “Global Gateway e il Piano Mattei sono nati per essere iniziative collettive, esistono per affrontare sfide comuni”, commenta von der Leyen, convinta che il potenziale inesplorato della partnership sia “grande” e Bruxelles, conferma, è pronta a investire. “Soprattutto in questi tempi di incertezza globale, potete contare sull’Europa“.

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    Piano Mattei, da vertice con Meloni e von der Leyen intese per 1,2 mld e strategia contro debito Africa

    Roma – Accordi per 1,2 miliardi di euro per far crescere l’Africa e con l’Africa l’Europa. Non è un semplice “pacchetto di progetti”, quello che Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen portano a casa oggi, dopo un vertice sul Piano Mattei e il Global Gateway a Villa Pamphilj a Roma. E’, spiega la premier italiana, un “patto tra nazioni libere, che scelgono di cooperare perché credono nei valori della dignità, del lavoro, della libertà”. Ed è il segno che “quando l’Europa agisce con coraggio, quando l’Italia ci mette il suo, con la sua visione, con la sua concretezza, i risultati arrivano“.Non solo. Roma e Bruxelles lavorano a un’iniziativa per affrontare il debito delle nazioni africane. Un tema centrale per lo sviluppo del continente, che rischia di vanificare tutti gli sforzi dei due piani, se non affrontato. Si pensa di convertire nei prossimi dieci anni l’intero ammontare del debito per le nazioni meno sviluppate “secondo i criteri della banca mondiale”, riferisce la premier, e di abbattere del 50 per cento quello delle nazioni a reddito medio-basso. L’intera operazione in dieci anni permetterà di convertire in progetti di sviluppo, da attuale in loco, circa 235 milioni di euro di debito.A Roma, Meloni e von der Leyen riuniscono autorità africane da Angola, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Zambia, e i vertici delle istituzioni finanziarie internazionali (il Fondo Monetario Internazionale, il Gruppo della Banca Mondiale, la Banca Africana di Sviluppo e la Africa Finance Corporation).Le parole d’ordine sono “crescita sostenibile, resilienza e cooperazione reciprocamente vantaggiosa”. Commissione europea e Italia si impegnano a mobilitare investimenti trasformativi lungo corridoi economici strategici. Con un focus particolare su tre punti: il Corridoio di Lobito, l’agricoltura, e il cavo Blue-Ranman.Il corridoio di Lobito è non solo un progetto di sviluppo ferroviario, ma è anche un corridoio economico più ampio che collegherà le regioni ricche di risorse dell’Africa meridionale, prive di sbocco sul mare, ai mercati globali, compresa l’Europa. L’intenzione è quella di accelerare gli investimenti in settori interconnessi, tra cui le infrastrutture di trasporto, i sistemi energetici, le catene del valore agricole e la facilitazione del commercio, sulla base di un approccio che rafforza le economie locali e promuove un’integrazione regionale “inclusiva“. Fondamentale sarà l’intervento del settore privato, con investimenti scalabili, in linea con gli obiettivi climatici e commercialmente sostenibili.La promozione della cooperazione trilaterale nell’agricoltura sostenibile è il secondo punto strategico degli accordi, che si concentrano su filiere resilienti al clima. Una nuova iniziativa rafforzerà il settore del caffè dell’Africa orientale attraverso l’integrazione regionale e il coinvolgimento del settore privato italiano. Promossa dal Ministero degli Affari Esteri italiano e sostenuta dall’Unido, dalla Cassa Depositi e Prestiti e da partner multilaterali, l’iniziativa esplorerà la possibilità di introdurre regimi assicurativi per rafforzare la resilienza. L’Ue firma poi una garanzia con Cassa Depositi e Prestiti per accelerare lo sviluppo di sistemi agroalimentari sostenibili attraverso lo sviluppo di capacità e l’accesso a finanziamenti innovativi nell’iniziativa Terra (Transforming and Empowering Resilient and Responsible Agribusiness), con un contributo di 109 milioni di euro.Sul fronte digitale, il cavo sottomarino Blue Raman ha un potenziale strategico. Co-finanziato con un contributo di 37 milioni di euro dalla Commissione europea e sostenuto da Sparkle, l’interconnessione digitale migliorerà la connettività, stimolerà la ricerca e l’innovazione e sosterrà la convergenza tecnologica tra Europa, Africa e India. Il progetto coinvolge reti di ricerca e istruzione, tra cui Geant per l’Europa e UbuntuNet Alliance per l’Africa, e beneficia delle competenze tecniche della Banca europea per gli investimenti.Oggi, inoltre, è stato raggiunto un accordo per mobilitare investimenti privati in settori chiave come la connettività digitale, le energie rinnovabili e i trasporti nell’Africa subsahariana attraverso il programma Cassa Depositi e Prestiti per le infrastrutture rinnovabili e l’energia sostenibile (Rise) con un contributo di 137 milioni di euro.In questo scenario rientra anche l’AI Hub for Sustainable Development, l’iniziativa nata nell’ambito della presidenza G7 dell’Italia lo scorso anno, in partenariato con i leader globali del settore come Microsoft e il supporto operativo del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. “Stamattina è stato inaugurato a Roma l’AI Hub che coinvolgerà centinaia di startup per applicare soluzioni di intelligenza artificiale ai settori prioritari del Piano Mantei, salute agricoltura, energia, acqua, formazione di infrastrutture”, ricorda Meloni.Tra le intese, la firma di una lettera di intenti sulle iniziative di connettività energetica sinergiche tra l’Italia, la Commissione europea e il Gruppo della Banca mondiale nel continente africano.I progressi del partenariato strategico saranno riesaminati in occasione del Forum Global Gateway che si terrà il 9-10 ottobre 2025 a Bruxelles. “Riteniamo che l’Africa sia un continente nel quale più che altrove si gioca il nostro futuro, dove noi italiani, noi europei siamo chiamati a fare la differenza, possiamo fare la differenza”, scandisce la premier. “Global Gateway e il Piano Mattei sono nati per essere iniziative collettive, esistono per affrontare sfide comuni”, commenta von der Leyen, convinta che il potenziale inesplorato della partnership sia “grande” e Bruxelles, conferma, è pronta a investire. “Soprattutto in questi tempi di incertezza globale, potete contare sull’Europa“.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.