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    Allargamento, la commissaria Ue Kos: “Si aprano i negoziati con Ucraina e Moldova entro novembre”

    Bruxelles – L’Ue potrebbe aprire a breve i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova. Ne è convinta Marta Kos, commissaria all’Allargamento nel von der Leyen bis. Parlando oggi (20 ottobre) coi giornalisti in Lussemburgo, dov’era in corso un Consiglio Affari esteri, Kos ha notato che “la Commissione ha completato l’esame di tutta la legislazione” di Kiev e Chișinău e che “entro novembre, il Consiglio avrà la possibilità di avviare tutti e sei i cluster negoziali” con entrambi i Paesi candidati.A quel punto, ha specificato la commissaria, “tutto sarà pronto, dopo aver completato questo processo, per accelerare le riforme“. Sono mesi che i vertici comunitari lodano i progressi compiuti da entrambi gli Stati sulla strada dell’adesione al club a dodici stelle. Rimane ancora del lavoro da fare, certo: “Dobbiamo porre rimedio alla corruzione e rafforzare le istituzioni e, soprattutto, lo Stato di diritto“, concede Kos (memore, ad esempio, del passo falso compiuto da Volodymyr Zelensky sulle agenzie anti-corruzione ucraine). Ma la direzione è chiara, così come la rapidità con cui le due cancellerie stanno macinando riforme su riforme – e vincendo elezioni su elezioni – per entrare in Ue il prima possibile.Il primo ministro ungherese Viktor Orbán (foto: European Council)D’altro canto, da questo lato della barricata il problema rimane sempre lo stesso. E ha un nome e un cognome: Viktor Orbán. Da tempo il primo ministro ungherese si è messo di traverso sull’avvicinamento dell’Ucraina all’Unione, adducendo come giustificazione il timore che Kiev “porterebbe la guerra in Europa” (sic). Per anni, i Ventisette sono rimasti bloccati dall’ostruzionismo di Budapest (che ha trovato una solida sponda a Bratislava e, potenzialmente, una nuova a Praga quando il nazional-populista Andrej Babiš formerà un governo). Essendo le pratiche di Kiev e Chișinău accoppiate informalmente, l’opposizione di Orbán blocca entrambe.Ma ora a Bruxelles la musica sembra in procinto di cambiare. Il presidente del Consiglio europeo, António Costa, sta esplorando misure innovative per evitare di ricorrere all’unanimità per l’apertura di ogni cluster negoziale ed aggirare così il veto dell’autoritario premier magiaro. A rigor di trattati, questa opzione non sarebbe prevista. Ma anche al Berlaymont la misura è talmente colma nei confronti di Orbán che la Commissione ha dato di fatto il suo placet a questo escamotage politico-legale dalle implicazioni ancora poco chiare.Kos ha confermato che l’esecutivo comunitario sta vagliando “tutte le possibilità” per dare il disco verde all’avvio dei negoziati. Secondo la commissaria, “Ucraina e Moldova hanno dato risultati positivi” e, visto che si dovrebbe trattare di un processo basato sul merito, non c’è motivo per rallentarlo oltre. Del resto, continua, “l’Ungheria non si è opposta al riconoscimento dello status di candidato” a Kiev e dunque, dice, è legittimo aspettarsi che sosterrà anche l’apertura dei cluster. Se Budapest nutre “preoccupazioni riguardo alla minoranza in Ucraina, possiamo affrontare la questione”, aggiunge, sottolineando tuttavia che i rappresentanti della minoranza ungherese nel Paese “non hanno espresso nemmeno una lamentela” quando li ha incontrati di recente.Dopo la riforma del 2020, l’adesione di un Paese terzo all’Ue può avvenire in seguito alla chiusura di 33 capitoli negoziali (ciascuno affronta un aspetto specifico dell’acquis communautaire, vale a dire delle norme europee) suddivisi in sei cluster tematici. Per l’apertura di ciascun cluster è prevista l’unanimità degli Stati membri, così come è necessario un voto unanime per la decisione finale di ammettere il Paese candidato nel club a dodici stelle. Un meccanismo farraginoso, come riconosciuto anche dall’Alta rappresentante Kaja Kallas: “Ci sono ostacoli nel nostro processo decisionale e ci stiamo lavorando”, ha confermato al termine della riunione odierna in Lussemburgo.

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    In arrivo il 19esimo pacchetto di sanzioni alla Russia, Kallas: “L’adozione già in settimana”

    Bruxelles – Il 19esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia potrebbe essere adottato dall’Ue nel giro di qualche giorno. Questa, almeno, è la speranza dell’Alta rappresentante Kaja Kallas, che oggi (20 ottobre) ha presieduto il Consiglio Affari esteri a Lussemburgo. Quello della guerra in Ucraina era uno dei principali temi sul tavolo dei ministri, che sembrerebbero prossimi all’accordo finale sull’ennesimo round di misure restrittive.La data cerchiata in rosso sul calendario è il 23 ottobre, quando i capi di Stato e di governo dei Ventisette si riuniranno a Bruxelles per il Consiglio europeo convocato da António Costa. “Ci aspettiamo che questa settimana venga adottato il 19esimo pacchetto di sanzioni”, ha dichiarato il capo della diplomazia comunitaria arrivando in Lussemburgo, indicando esplicitamente l’appuntamento dei leader come momento della possibile approvazione da parte delle cancellerie. Al termine della riunione odierna, Kallas ha addirittura suggerito di mettersi già al lavoro sul 20esimo pacchetto.Col 19esimo, intanto (confezionato dalla Commissione il mese scorso), vengono messe nel mirino le banche e le piattaforme di criptovalute della Federazione, i proventi dell’export di combustibili fossili e le reti coinvolte nell’elusione delle sanzioni già esistenti, sia in Russia sia in altri Paesi. Si allunga ancora la lista dei vascelli appartenenti alla cosiddetta flotta ombra del Cremlino con l’inserimento di 118 nuove imbarcazioni.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Allo stesso tempo, l’Ue starebbe lavorando ad un approccio più aggressivo nei confronti di questi velieri fantasma. L’idea sarebbe quella di permettere agli Stati membri di effettuare perquisizioni e altre operazioni sulle navi, dalle quali secondo Kallas partirebbe anche una parte degli attacchi ibridi al Vecchio continente, soprattutto a livello di lanci di droni e di disturbo delle frequenze radio e gps (jamming). Ricorrendo anche alle missioni marittime civili e militari a dodici stelle, come l’Aspides, e nominando un “coordinatore speciale” incaricato di “raccogliere le migliori pratiche” dagli Stati membri, spiega l’ex premier estone.Da un lato, si starebbe mettendo a punto una serie di misure di complemento al diritto internazionale del mare sancito dalla Convenzione di Montego Bay del 1982 (Unclos), per colmare le lacune normative che impediscono un’azione efficace contro questo genere di comportamenti pirateschi. Dall’altro, Bruxelles vorrebbe siglare una serie di accordi con gli Stati di bandiera delle imbarcazioni stesse (che spesso non sono russe), stabilendo una serie di impegni e obblighi in capo agli armatori dei natanti.Inoltre, verranno colpiti anche commercianti e raffinerie di Paesi terzi (soprattutto cinesi) e diventeranno impossibili le transazioni coi colossi energetici russi come Rosneft e Gazpromneft. Tra le nuove restrizioni compare anche un divieto totale di importare da Mosca il gas naturale liquefatto (gnl): era già previsto per il gennaio 2027, ma verrebbe così anticipato di oltre un anno. Infine, sono state identificate 45 società – russe e non – accusate di rifornire il Paese aggressore di beni a duplice uso.Il primo ministro slovacco Robert Fico (foto: Consiglio europeo)Tra i motivi per cui Kallas si mostra ottimista sull’imminente approvazione del pacchetto c’è il ritiro del veto austriaco sulle nuove misure restrittive. Per settimane, Vienna aveva bloccato le sanzioni chiedendo dei risarcimenti per la banca austriaca Raiffeisen in relazione alle perdite dovute alle contromisure russe. Stando a fonti diplomatiche, rimarrebbe solo la Slovacchia di Robert Fico (recentemente estromesso dalla famiglia dei Socialisti europei) a mantenere l’opposizione contro il nuovo pacchetto. Ci si aspetta che Ursula von der Leyen si attivi personalmente per disinnescare l’ostruzionismo di Bratislava, come già avvenuto in passato.Parallelamente, procedono a rilento i lavori sull’utilizzo dei beni russi congelati, il cui valore si aggira intorno ai 175 miliardi di euro. Secondo Kallas, c’è un “forte sostegno” da parte degli Stati membri, ma “vanno ancora definite le modalità giuridiche e fiscali” della faccenda, che continua a dimostrarsi particolarmente spinosa. Infine, l’Alta rappresentante certifica che 25 cancellerie si sono impegnate a diventare parte del Tribunale speciale per i crimini d’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina: “Ora serve una stima dei costi, poi potremo procedere”, chiosa, annunciando l’esistenza di uno stanziamento preliminare di 10 milioni.

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    Trump duro con Zelensky all’incontro alla Casa Bianca. L’Ue alla finestra

    Bruxelles – L’incontro di venerdì 17 ottobre tra il presidente statunitense Donald Trump e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky è stato “turbolento”. Questa la descrizione arrivata dal Financial Times, che in queste ore sta diffondendo una serie di indiscrezioni sulla riunione tra i due leader. A quanto emerge, Trump avrebbe più volte utilizzato argomentazioni “filo-russe” per convincere Zelensky a porre fine al conflitto. La giravolta diplomatica di Trump è arrivata dopo la telefonata avuta giovedì con il suo omologo russo, Vladimir Putin. Dal colloquio telefonico sarebbero emersi i primi spiragli per un incontro tra i due leader, questa volta sul suolo dell’Unione Europea, a Budapest.La decisione non è stata accolta con entusiasmo a Bruxelles, anche se questa mattina l’Alta rappresentante dell’Unione, Kaja Kallas, a margine del Consiglio dell’UE Affari Esteri in corso, si è dichiarata favorevole a ogni possibile avanzamento dei colloqui di pace. Kallas ha precisato: “Siamo positivi rispetto a qualsiasi progresso”. Il possibile arrivo di Putin a Budapest è stato definito con diplomatica cautela “non bello da vedere”, considerato che sul presidente russo pende un mandato di arresto della Corte penale internazionale. Kallas ha inoltre aggiunto che, in ogni caso, “verrà valutato l’esito dell’incontro”.EU prepares a new blow to the Kremlin: 19th sanctions package could be approved as early as ThursdayAccording to Kaja Kallas, the European Union may adopt its 19th package of sanctions against Russia as soon as this Thursday. Among the key topics under discussion is action… pic.twitter.com/tBjfIaoLMS— NEXTA (@nexta_tv) October 20, 2025Niente Tomahawk, in cambio una proposta irricevibileL’incontro tra Zelensky e Trump alla Casa Bianca può già essere ricondotto a un insuccesso, almeno dal punto di vista di Kyiv. L’intenzione ucraina era quella di ottenere i missili statunitensi a lungo raggio Tomahawk, un’arma strategica per colpire in profondità le difese russe. La trattativa, secondo le fonti interne consultate dal Financial Times, si sarebbe però trasformata in una “litigiosa discussione”, con Trump che “imprecava continuamente”.Il presidente americano ha spinto per il raggiungimento di un accordo di pace rapido, minacciando Zelensky di accettare un “deal” con Putin. “Se (Putin, ndr) lo vorrà, vi distruggerà”, ha sentenziato Trump nello Studio Ovale. Il punto su cui Trump ha insistito sarebbe stato la cessione completa degli oblast di Luhansk e Donetsk, oggi controllati solo per l’80 per cento da Mosca. In cambio di questa resa, Kyiv otterrebbe piccoli territori nelle regioni meridionali di Zaporizhzhia e Kherson.La proposta è, per gli ucraini, ampiamente insufficiente. “Cedere (il Donbass, ndr) alla Russia senza combattere è inaccettabile per la società ucraina, e Putin lo sa”, ha affermato Oleksandr Merezhko, presidente della Commissione per gli Affari Esteri del parlamento ucraino. L’iniziativa rappresenta, in ogni caso, uno dei primi piccoli spiragli russi all’interno delle trattative.La giravolta di TrumpIl clima teso è apparso in controtendenza rispetto alle recenti dichiarazioni del presidente americano. Nelle ultime settimane, il tycoon aveva insistito sulla qualità dell’esercito ucraino, “se vorranno, riconquisteranno tutti i territori occupati”, e aveva screditato Mosca per le sue difficoltà economiche, affermando che “è vicina al collasso”. Per interpretare le parole del presidente, però, è sempre più utile il dogma coniato dalla giornalista americana Salena Zito: “Bisogna prendere Trump seriamente, non letteralmente”. I cambi di maglia così repentini nascondono, a volte, un’obiettivo a lungo termine: l’accordo finale.La pressione di Bruxelles su MoscaIn Europa, intanto, le vie diplomatiche latitano e dunque l’Unione Europea si organizza per mettere pressione su Mosca. Nel Consiglio Affari Esteri di queste ore si discuterà dell’approvazione del diciannovesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia e di un rafforzamento del sostegno all’economia ucraina. Al meeting parteciperà anche il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha. Parallelamente, nel Consiglio dell’UE sull’Energia, è stata adottata dai Paesi membri la posizione sul regolamento per la cessazione delle forniture di gas russo all’Unione Europea. L’idea è quella di fermare qualsiasi tipo di approvvigionamento entro il 2027.

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    Trump e Putin si incontreranno a Budapest. Per l’UE è il momento del realismo

    Bruxelles – Due ore di telefonate sul conflitto in Ucraina e poi l’annuncio: il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il suo omologo russo Vladimir Putin si incontreranno sul suolo dell’Unione Europea, a Budapest, con l’Ungheria di Viktor Orban che mostra le carte in tavola giocando apertamente contro le istituzioni comunitarie, ed in particolare la Commissione europea, costretta ora al realismo nonostante abbia sempre negato un dialogo diretto con Vladimir Putin.L’incontro annunciato, ma non specificato ancora in termini di date, intende servire per “portare fine a questa ingloriosa guerra tra Russia e Ucraina”, per dirla con le parole di Trump. A Bruxelles si fa spallucce, e si cerca di guardare l’aspetto positivo di una vicenda comunque mal digerita: “Ogni iniziativa volta a una pace giusta e duratura è benvenuta”, taglia corto Olof Gill, vicecapo del servizio dei portavoce.Il successo di Orbán, che media per conto proprioL’annuncio dell’incontro è stato usato a fini propagandistici dal primo ministro ungherse Viktor Orbán, felice di rivendicare il proprio ruolo di mediatore. “Questa è una vittoria della posizione ungherese”, ha sottolineato Orbán in un’intervista alla radio pubblica Kossuth. Inevitabile poi, per il capo di governo, lanciare una frecciata ai partner dell’Unione Europea: “L’insegnamento per l’Ue è che gli altri sono stati dalla parte perdente, e che bisogna trattare con i russi, come fa l’America”.La Commissione europea non ha una vera politica estera propria, e anche per questo si cerca di tirare dritto e ragionare in termini di realpolitik. La Commissione “vive nel mondo reale e vuole raggiungere una pace giusta e duratura in Ucraina”, ribadisce Gill. “Anche se gli incontri non avvengono sempre nel modo, nel formato e nell’ordine che vorremmo, siamo pronti ad accoglierli se sono utili per la pace”. Una constatazione arrivata soltanto di fronte al fatto compiuto: il probabile tappeto rosso per Putin all’interno dell’Unione Europea.Il presidente russo Vladimir Putin (sinistra) e quello statunitense Donald Trump si incontrano ad Anchorage, Alaska, il 15 agosto 2025 (foto via Imagoeconomica)La sanzione che non c’èL’unico vincolo legale per non rendere possibile questo scenario sono le sanzioni nei confronti dei funzionari russi, molte delle quali però sono arginabili dai singoli stati. Per ammissione della portavoce della Commissione Europea Anitta Hipper, “le sanzioni riguardano i loro beni e non vietano al ministro degli Esteri Sergej Lavrov e a Vladimir Putin i viaggi o la libertà di movimento nello spazio europeo”.Su Putin pende comunque un mandato di arresto internazionale spiccato dalla Corte Penale dell’Aia (CPI), ma neppure qui la Commissione europea può intervenire, poiché l’applicazione delle regole dipende dagli Stati membri. Stesso discorso per il divieto di sorvolo dei velivoli russi, lasciato anch’esso alla discrezione nazionale. L’Ungheria, di certo, non intende applicare nessuna di queste misure. Budapest ha dichiarato che non imporrà alcuna costrizione in caso di visita diplomatica di funzionari russi.Fuori dall’EuropaAl di fuori della diatriba europea, l’annuncio dell’incontro è giunto a ridosso della visita americana del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Nel bilaterale che terrà con Donald Trump, si discuterà della fornitura dei missili a lungo raggio Tomahawk e dei sistemi di difesa Patriot. Zelensky, alla notizia della riunione europea, ha provato a minimizzare: “Possiamo già vedere che Mosca si sta affrettando a riprendere il dialogo non appena ha sentito dei Tomahawk”.Potential Tomahawk targets in RussiaIf the U.S. sends Tomahawk cruise missiles to Ukraine, nearly 2,000 Russian military sites — including 76 airbases — could fall within range.Source: ISW pic.twitter.com/506oQsIuSB— Clash Report (@clashreport) October 16, 2025Una lettura così semplice non è però condivisa da tutti. Per alcuni analisti, il presidente Trump aveva suggerito per giorni di consentire la vendita dei missili a Kiev, ma dopo la telefonata ha lasciato intendere che ciò potrebbe non accadere in caso di progressi diplomatici. Vladimir Putin, invece, dopo il successo personale del vertice di agosto di Anchorage (Alaska), starebbe cercando di ammorbidire la posizione americana dopo mesi di netto contrasto.La vera pace sembra ancora lontana. Il vertice stesso non è ancora sicuro: nei prossimi giorni sarà inviato a Mosca il Segretario di Stato statunitense Marco Rubio, che incontrerà i più alti funzionari di Putin per preparare l’incontro. Solo allora si saprà se i progressi saranno sufficienti a organizzare un incontro di alto livello a Budapest. L’impressione, tuttavia, è che Vladimir Putin non perderà l’occasione di umiliare l’Europa con una passeggiata trionfale all’interno dell’Unione, complice l’alleato ungherese, consapevole che i nemici comunitari per ora restano fuori da ogni tavolo negoziale.

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    Bruxelles presenta il Patto per il Mediterraneo, von der Leyen: “È una chiara offerta ai nostri vicini”

    Bruxelles – La Commissione europea ha presentato oggi (16 ottobre) una strategia per il Mediterraneo, anticamera di uno “spazio mediterraneo comune” tra l’Unione e i 10 partner meridionali. L’obiettivo di una “progressiva integrazione”, indicato da Ursula von der Leyen, rimane piuttosto lontano. Per ora, l’embrione di tale spazio, va forse cercato nell’idea di facilitare i rilasci dei visti e la mobilità tra le due sponde del Mediterraneo, soprattutto per giovani e studenti.Il Patto è rivolto ai 10 partner affacciati sul Mediterraneo: Marocco, Tunisia, Algeria, Libia, Egitto, Israele, Palestina, Giordania, Libano e Siria. Prosegue il lavoro cominciato nel 2021 con l’Agenda per il Mediterraneo, ma con una nuova “metodologia”, ha affermato Dubravka Šuica, la commissaria europea a cui von der Leyen ha affidato un nuovo portafoglio dedicato unicamente all’area mediterranea. “Stiamo creando un partenariato tra pari”, ha assicurato Šuica, basato – si legge nella nota dell’esecutivo Ue – sui principi di “comproprietà, co-creazione e responsabilità congiunta“.Il Patto è il primo risultato di un anno di consultazioni con i governi dei 10 Paesi partner, con le istituzioni europee, diverse agenzie e organizzazioni internazionali e “un’ampia gamma” di componenti della società civile nel vicinato meridionale. Il mese prossimo, in occasione del trentesimo anniversario del processo di Barcellona che diede i natali al partenariato Euromediterraneo, sarà sottoposto all’approvazione di Stati membri e dei partner coinvolti. A quel punto, nel primo trimestre dell’anno prossimo, la Commissione europea dovrebbe partorire un piano d’azione specifico, che indicherà i Paesi a bordo e le parti interessati per ciascun progetto.La parola chiave è “flessibilità”, ha dichiarato Šuica, spiegando che “coloro che sono pronti ad aderire al patto e al piano d’azione che verrà sono i benvenuti” e che “gli altri verranno dopo”. Il patto è aperto anche alla collaborazione con partner al di fuori dell’area: Paesi del Golfo, Africa subsahariana, i Balcani occidentali e la Turchia. Il rafforzamento della cooperazione tra l’Ue, il Medio oriente, il Nord Africa e la regione del Golfo “è uno degli obiettivi principali del patto”, precisa la Commissione.La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (foto: Lukasz Kobus/Commissione europea)Finora, non è molto di più di una dichiarazione di intenti, fondata su tre pilastri: le persone e la mobilità, l’integrazione e la sostenibilità economica, la sicurezza e la gestione della migrazione. “L’obiettivo è creare vantaggi reciproci“, mette in chiaro Bruxelles. “Oggi facciamo un’offerta chiara ai nostri vicini”, ha affermato von der Leyen, consapevole che nel Mediterraneo si gioca un’importante partita geopolitica e che l’Unione, nonostante la vicinanza geografica, rischia di rimanere ai margini. Come dimostrato anche dal conflitto tra Israele e Hamas e dall’esclusione dell’Ue dai negoziati per un processo di pace.Von der Leyen ha parlato di “oltre 100 idee e azioni concrete”. Dalla creazione di un’università del Mediterraneo – idea che già di Romano Prodi, quando guidava l’esecutivo comunitario – al “collegamento delle nostre istituzioni culturali e delle nostre società civili”, dalla “costruzione di fabbriche di Intelligenza artificiale in tutto il Mediterraneo” a “una nuova iniziativa per le start-up mediterranee”.E poi, la gestione della migrazione, più che mai cruccio dell’attuale Commissione europea. “Da parte europea, mobiliteremo i nostri strumenti finanziari – ha messo sul piatto von der Leyen – e, cosa fondamentale, faremo tutto il possibile per mobilitare gli investimenti privati”.Se da un lato l’Ue chiede cooperazione nel limitare sempre di più gli attraversamenti del Mediterraneo da parte di persone migranti che puntano all’Europa, dall’altra apre ad “ampliare le partnership per i talenti con il Marocco, la Tunisia e l’Egitto” e a “facilitare il rilascio dei visti, in particolare per gli studenti“, ha annunciato Šuica, sottolineando che “se i giovani voglio venire, ci sono percorsi legali”.Bruxelles vuole mettere in cantiere anche “azioni” relative alla modernizzazione delle relazioni commerciali e di investimento, alla promozione dell’energia e delle tecnologie pulite, alla resilienza idrica, all’economia blu e all’agricoltura, alla connettività digitale e dei trasporti, nonché alla creazione di posti di lavoro. Tra gli obiettivi c’è il supporto per decarbonizzare la regione, allineando a poco a poco standard e regole ambientali su quelle del blocco. Tutto questo, attraverso i 42 miliardi di euro per il Mediterraneo che la Commissione europea vuole mettere a bilancio dal 2028 al 2034, il doppio rispetto alle risorse attuali.

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    Gas russo, c’è chi lo vorrebbe ancora. Il ministro di Orban alla Settimana dell’energia a Mosca

    Bruxelles – Il gas russo è sempre più lontano dalle case degli europei, ma c’è chi non si rassegna al percorso intrapreso con decisione da Bruxelles. La proposta di vietare tutti i contratti con il Cremlino entro la fine del 2027 entra nel vivo: domani si esprimerà la commissione competente dell’Eurocamera, ed un gruppo di soliti noti è pronto ad opporsi. Nel frattempo, Ungheria e Slovacchia continuano a promettere ostruzionismo al Consiglio dell’Ue.Oggi, 15 ottobre, il ministro degli Esteri e del commercio dell’Ungheria Péter Szijjártó era a Mosca per la Settimana dell’energia. Il messaggio recapitato a Bruxelles è forte e chiaro: nessuna intenzione di chiudere i rubinetti del gas russo. Una posizione in netto contrasto con quella della Commissione europea, che a maggio aveva presentato una roadmap per la piena indipendenza energetica entro il 2027.Il ministro degli Esteri ungherese Peter SzijjartoL’opposizione in ParlamentoSul fronte parlamentare, la fronda dei contrari può contare sulla delegazione del Movimento 5 Stelle. In una nota diffusa oggi e firmata da tre eurodeputati (Danilo Della Valle, Gaetano Pedullà e Dario Tamburrano) si legge che “il Parlamento europeo si appresta a votare un provvedimento che pone fine all’import del solo gas russo, senza considerare le gravi conseguenze sul mercato dell’energia”.Secondo il Movimento, la riduzione iniziata nel 2022 con l’incursione russa in Ucraina ha avuto effetti solo negativi per l’Italia. “Nell’intero 2024 – prosegue il comunicato – il prezzo medio dell’energia elettrica in Italia è stato di 108,5 euro/MWh, contro i 58 della Francia e i 63 della Spagna: questo si traduce in un salasso, specialmente per le piccole e medie imprese”. Una disparità dovuta alla forte dipendenza italiana dal gas russo. Per gli uomini di Giuseppe Conte, il provvedimento è una decisione “suicida” e serve solo a “sostituire la nostra dipendenza dal gas russo con una nuova dipendenza da quello naturale liquefatto (GNL) proveniente dagli Stati Uniti”.In effetti, lo sprone ad accelerare il processo di isolamento energetico da Mosca è arrivato direttamente da Washington. Il presidente americano Donald Trump aveva dichiarato nel suo discorso alle Nazioni Unite che “è imperdonabile che i Paesi della NATO non abbiano tagliato gran parte dell’energia russa”, aggiungendo che, non a torto, combattere la Russia in questo modo significa “perdere tempo”.La visita a MoscaNegli strani percorsi della politica, per cui una volta si era trumpiani (i grillini) e ora un po’ meno, l’Ungheria del primo ministro Viktor Orbán ha scelto sempre di restare vicino al tycoon. Non su tutto però. Le argomentazioni di americane sull’autonomia energetica da Mosca non piacciono affatto a Budapest.Una posizione ribadita oggi dal ministro degli Esteri ungherese. In visita per la seconda volta a Mosca dopo l’invasione del 2022, Szijjártó ha dichiarato: “Il mio compito è garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico del Paese. Senza la Russia, questo sarebbe fisicamente impossibile”, aggiungendo con ironia: “Come può affermare Bruxelles che chiudere un gasdotto sia diversificazione?”.Cutting one of our two oil pipelines is not diversification. It’s insanity. Our decisions on energy supply will always follow one principle: the Hungarian national interest. pic.twitter.com/lGz4Jvlw16— Péter Szijjártó (@FM_Szijjarto) October 15, 2025Attorniato da ministri provenienti da Corea del Nord, Afghanistan e Venezuela, ha risposto con soddisfazione alla domanda del moderatore: “Cosa prova a essere l’unica persona sana all’interno dell’Unione Europea?”. La risposta è stata netta: “Non dimentichiamoci della Slovacchia e degli amici della Repubblica Ceca, che hanno come primo ministro un patriota”. Più tardi ha poi aggiunto: “Ci sono diversi Stati che sono dalla nostra parte, ma non possono esprimere pubblicamente questa opinione”.Un’allusione vaga e provocatoria, all’interno di una visita che non è piaciuta affatto alle istituzioni europee. La portavoce della Commissione europea, Anitta Hipper, ha chiarito: “Tutti gli incontri bilaterali dei membri dell’Unione dovrebbero rispettare la posizione dell’UE”, ricordando inoltre che “essere a Mosca adesso non è il giusto messaggio da recapitare a Putin, perché tempi e contesti contano”.

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    La NATO ora accelera sulla difesa anti-droni. Rutte: “Avanti con nuove misure”

    Bruxelles  – La NATO andrà avanti con sistemi di difesa anti-droni, e in questo “non ci saranno duplicazioni” né sovrapposizioni con l’Unione europea. Il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Mark Rutte, ostenta sicurezza e determinazione. Al termine della riunione dei ministri della Difesa parla alla stampa, ma è alla Russia che in realtà si rivolge. Tutto il lavorio dell’Organizzazione ruota attorno a Mosca e al suo operato, nel rispetto di una missione e di una vocazione mai perse, neppure dopo caduta della cortina di ferro.Non entra nel merito di un piano di fatto messo a punto, non vuole offrire vantaggi al nemico, ma Rutte chiarisce senza girarci troppo attorno che la NATO “metterà in atto una serie di ulteriori misure anti-droni che rafforzeranno, estenderanno e accelereranno la nostra capacità di contrastare questa minaccia”. Non si perde tempo, visto che “sistemi di test” risultano in funzione mentre lo stesso Rutte parla ai giornalisti. “Innovazione e adattamento fanno parte del DNA della NATO”, ricorda il segretario generale dell’Organizzazione, che assicura come “continueremo a imparare dalla cooperazione con l’Ucraina, ad accelerare la nostra innovazione e a rafforzare la collaborazione con il settore privato”.Il segretario generale della NATO, Mark Rutte [Bruxelles, 15 ottobre 2025]La strategia concordata con gli alleati prevede sviluppo di nuovi sistemi attraverso “cicli rigorosi e ripetuti di test, prove ed esercitazioni”, a cui si aggiungeranno meccanismi di approvvigionamento comuni per facilitare un rapido accesso alle tecnologie più efficaci. Nella perenne e oggi rinnovata sfida a Mosca, Rutte ringrazia e punzecchia il presidente russo Putin. Le violazioni dello spazio aereo europee da parte di velivoli senza pilota “hanno messo in evidenza l’efficacia della nostra postura di deterrenza e difesa, fornendo al contempo un ulteriore impulso a migliorarla”.Difesa armata e presenza non espansionisticaNelle logiche proprie del confronto e dello scontro la narrativa viene rimodulata e rimodellata in automatico, e il segretario generale della NATO fa prova di grande capacità retorica nella scelta di un linguaggio certamente di propaganda – o contro-propaganda – ma comunque ben scelto. Intanto cerca di rassicurare spiegando che “la NATO è un’alleanza di difesa e rimarrà un’alleanza di difesa“, salvo poi dire che però ci si armerà. I ministri della Difesa dei 32 alleati “hanno ribadito che stanno aumentando gli investimenti nella difesa, potenziando la produzione nel settore della difesa e intensificando” il sostegno all’Ucraina. Avanti con la difesa armata e potenziata, dunque.C’è poi la questione della presenza sull’intero scacchiere internazionale. Rutte ha già avuto modo di dire che la NATO non ha intenzione di espandersi nel quadrante di sud-est ma di avere lì degli amici, e tanto basta per mettere in chiaro che si presidierà, pronti a intervenire. “Atlantico e Indo-Pacifico non dobbiamo vederli come versanti isolati“, quanto interconnessi. E’ convinzione di Rutte che “se la Cina volesse attaccare Taiwan la Russia sarebbe obbligata ad attaccare su un altro fronte“. Parole che dimostrano come la NATO viva sul ‘chi va là’, in stato di allerta perenne, e per questo si vuole essere pronti.Ucraina, gli europei acquistino USAInfine il capito Ucraina. I ministri della Difesa della NATO ribadiscono la volontà di continuare a sostenere Kiev, ma questo sostegno passa inevitabilmente per Casa Bianca, Pentagono e industria a stelle e striscei. “Molti sistemi di difesa aerea sono già stati forniti all’Ucraina, ora ci sono delle tecnologie che solo gli Stati Uniti possono fornire, come ad esempio gli intercettori per i sistemi Patriot”, taglia corto Rutte. Questo implica che gli europei devono comprarli per darli all’Ucraina, e che i membri UE della NATO devono dirottare e distogliere acquisti dalle proprie industria in barba alla voglia di stimolare il comparto pesante europeo.Gli Stati Uniti hanno ripreso a fornire supporto militare essenziale, letale e non letale all’Ucraina, finanziato dagli Alleati, con già due miliardi di dollari impegnati. Ad oggi, sottollinea Rutte, “più della metà dei Paesi membri della Nato ha aderito” alla Purl Initiative, lo speciale programma che per l’appunto consente agli alleati di finanziare la fornitura di equipaggiamenti militari statunitensi essenziali per la difesa dell’Ucraina. Una buona notizia per Kiev, certamente, e per il suo presidente Volodymir Zelenski, che venerdì incontrerà il presidente USA Donald Trump per cercare di definire il futuro scenario del conflitto russo-ucraina e, auspicabilmente, post-conflitto e condizioni di pace.

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    Von der Leyen da Vučić: la Serbia “raddoppi” gli sforzi verso l’adesione all’Ue

    Bruxelles – Ursula von der Leyen fa visita a quello che è ormai il grande malato dei Balcani occidentali. A confronto con Albania, Montenegro, Macedonia del Nord e Bosnia-Erzegovina, il percorso della Serbia verso l’adesione all’Unione europea sembra procedere a ritroso. La presidente della Commissione europea, nel suo tour annuale della regione, ha fatto tappa oggi (15 ottobre) a Belgrado, ospite dell’autoritario presidente filo-russo Aleksandar Vučić. E ha scelto, ancora una volta, di non scaricarlo, ma senza fare sconti.La Serbia deve “raddoppiare” i suoi sforzi, ha intimato von der Leyen nella conferenza stampa congiunta a margine dell’incontro con il presidente serbo. È ora – ha aggiunto – che il Paese balcanico “concretizzi” la sua adesione al club a 12 stelle, il cui percorso è stato avviato più di 15 anni fa. Per fugare ogni dubbio sulla posizione di Bruxelles sulla dura repressione governativa dei movimenti di protesta che infiammano il Paese da quasi un anno, la leader Ue ha affermato: “Siamo a favore della libertà anziché dell’oppressione, compreso il diritto di riunirsi pacificamente“.Le proteste oceaniche in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić (foto: Tadija Anastasijevic/Afp)Le lacune di Belgrado sono ben note nella capitale Ue: “Dobbiamo vedere progressi in materia di Stato di diritto, quadro elettorale e libertà dei media”, ha elencato von der Leyen. Bastone e carota, è la strategia per tenere ancorati i Paesi candidati al faticoso percorso di riforme necessario all’adesione: la presidente ha “accolto con favore i recenti progressi” compiuti con l’istituzione del registro elettorale unificato e con le nomine del consiglio della Commissione Regolatrice dei Media Elettronici (REM).“Ho notato gli sforzi compiuti da tutti per lavorare insieme, compresa la società civile e l’opposizione”, ha riconosciuto von der Leyen, consapevole allo stesso tempo che l’indipendenza dal controllo politico dell’ente regolatore dei media è ancora tutta da ottenere e che non si può distogliere lo sguardo da Belgrado nemmeno per un attimo. “È un buon primo passo, ma ora è fondamentale l’attuazione ed è per questo che vorrei invitarvi a Bruxelles tra un mese per fare insieme il punto della situazione”, ha affermato rivolgendosi a Vučić.La ricetta indicata dall’Ue è sempre la stessa, anche quando ci si sposta in politica estera. Serve un “migliore allineamento”, il “61 per cento” indicato da von der Leyen non basta. D’altronde Vučić continua a strizzare l’occhio alla Russia e non si è ancora uniformato al regime di sanzioni europee contro Mosca. Questo nonostante – ha sottolineato ancora la presidente della Commissione europea – Belgrado e tutti i Balcani occidentali abbiano beneficiato, durante la crisi energetica “causata dall’aggressione russa in Ucraina”, delle misure di emergenza messe in campo dall’Ue.Il presidente russo Vladimir Putin (sinistra) e il suo omologo serbo Aleksandar Vučić (foto: Alexander Zemlianichenko/Afp)Per accelerare un processo lungo, che negli ultimi anni ha creato non poche frustrazioni nei Paesi candidati, nell’aprile 2024 l’Unione europea ha istituito uno strumento da 6 miliardi di euro per supportare i piani di riforme socio-economiche necessarie all’adesione nei 6 dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia). Nell’ambito del Piano di crescita per i Balcani occidentali, la Commissione ha “già messo a disposizione oltre 100 milioni di euro in nuovi investimenti dell’UE per la Serbia”, ha ricordato von der Leyen.Vučić, più che riluttante alle aperture sullo Stato di diritto e sulla libertà dei media previste per avanzare nei negoziati, ha messo le mani avanti: “Non posso promettere nulla, se non che lavoreremo sodo per rispettare il programma di riforme”, ha affermato, auspicando che “in tutto questo avremo il sostegno dell’Ue”. Il leader nazionalista conservatore, che guida il Paese da oltre un decennio e la cui popolarità è oggi ai minimi storici, sa che inimicarsi Bruxelles – che non l’ha scaricato dopo le enormi proteste degli studenti – potrebbe sancire il suo definitivo isolamento.A turno, Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, l’Alta rappresentante per gli Affari esteri Kaja Kallas, e la commissaria per l’Allargamento Marta Kos, hanno tutti strigliato Vučić tendendogli al contempo la mano, per non recidere un rapporto che si inscrive in un delicato equilibrio geopolitico. E da equilibrista in bilico, Vučić prova a districarsi tra promesse a Bruxelles, ammiccamenti a Mosca e piccole concessioni in patria. Vučić ha chiesto a von der Leyen di “trovare un modo per mitigare la situazione” energetica della Serbia, la cui compagnia petrolifera Nis è soggetta a sanzioni da parte dell’amministrazione americana e “di fatto anche da parte dell’Ue”. Il ricatto morale è servito: “Spero che un Paese candidato abbia il sostegno dell”Ue per la propria sicurezza energetica”, ha affermato.