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    Cisgiordania, l’Ue è “sconvolta” dalle azioni illegali dei coloni israeliani. Ma è incapace di agire

    Bruxelles – Nel mirino di Tel Aviv non c’è solo la Striscia di Gaza. Le violenze dei coloni israeliani in Cisgiordania – che insieme all’exclave costiera dovrebbe costituire il futuro Stato di Palestina – continuano a moltiplicarsi, estendendosi persino agli stessi militari con la stella di David e, nelle ultime settimane, addirittura alle strutture finanziate coi fondi europei. Ma dall’Ue giungono solo condanne retoriche e stucchevoli a cui non fa seguito alcun provvedimento concreto.Ci sono volute due settimane perché da Bruxelles trapelasse uno striminzito commento di condanna nei confronti dello Stato ebraico per la demolizione di una scuola ancora in costruzione, finanziata coi fondi comunitari e dell’Agenzia francese per lo sviluppo (Afd) nel villaggio di Al-Aqaba, nella Cisgiordania settentrionale.La dichiarazione comparsa oggi (19 agosto) sul sito del Servizio europeo di azione esterna (Seae), la Farnesina dell’Unione guidata dall’Alta rappresentante Kaja Kallas, non è nemmeno firmato ma semplicemente attribuito al servizio dei portavoce. “L’Ue è sconcertata dalla demolizione“, si legge nel comunicato di quattro righe, dove viene ricordato che “l’istruzione è un diritto fondamentale” dei palestinesi.Anche Parigi “condanna fermamente” la distruzione della scuola, e chiede alle autorità di Tel Aviv di “rendere conto” delle proprie azioni. “Il proseguimento della politica di insediamento (di Israele nei territori palestinesi di Cisgiordania, ndr) costituisce una grave violazione del diritto internazionale e minaccia la prospettiva della soluzione dei due Stati“, si legge sul sito del ministero transalpino degli Affari esteri.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)La struttura, la cui demolizione è iniziata in realtà lo scorso 5 agosto col supporto determinante delle forze armate israeliane (Idf), avrebbe dovuto ospitare un centinaio di bambini delle comunità locali. Bruxelles “si aspetta che i suoi investimenti a sostegno del popolo palestinese siano protetti da danni e distruzioni da parte di Israele, in conformità col diritto internazionale”, conclude la nota del Seae.Non una parola di più contro le azioni criminali condotte dai coloni in Cisgiordania, difesi e spesso spalleggiati dall’Idf quando perpetrano ogni tipo di soprusi ai danni dei palestinesi della regione: dalle intimidazioni ai furti, passando per l’assalto a case e strutture di vario genere e, nel peggiore dei casi, spingendosi fino a macchiarsi di uccisioni e linciaggi. Recente il caso di un gruppo di coloni estremisti che ha addirittura attaccato i militari israeliani, rei di non averli aiutati nell’aggredire gli abitanti palestinesi.L’episodio della scuola di Al-Aqaba non è isolato. Lo scorso novembre, una sorte analoga era toccata al centro dell’associazione Al-Bustan, baricentro di un altro progetto di sviluppo sostenuto dall’Afd nella Gerusalemme Est occupata. Anche da fatti di questo genere si evince in quale considerazione coloni e autorità israeliani tengano non solo i diritti fondamentali dei palestinesi – sistematicamente violati in tutti i territori occupati, come denunciato tra gli altri dal regista premio Oscar Basel Adra – ma pure la propria immagine agli occhi dei partner internazionali di Tel Aviv.Tuttavia, sembra non essere ancora abbastanza per convincere i Ventisette a procedere con sanzioni più dure nei confronti dello Stato ebraico, come ad esempio la sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele, una prospettiva di cui si discute da mesi ma che con ogni probabilità non otterrà mai il disco verde. Basti pensare che le cancellerie non sono nemmeno riuscite a mettersi d’accordo sul congelamento parziale dei fondi Horizon+ per Tel Aviv, una mossa che avrebbe effetto dal 2028 e riguarderebbe una somma dell’ordine di poche centinaia di milioni di euro.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Menahem Kahana/Afp)Del resto, le demolizioni a tappeto e l’espansione delle colonie illegali rendono sostanzialmente impossibile qualunque progresso verso la costruzione di uno Stato di Palestina, che dovrebbe sorgere proprio tra la Striscia e la Cisgiordania e il cui riconoscimento formale è stato annunciato nelle scorse settimane da un numero crescente di Paesi, inclusi due membri del G7 quali Francia e Regno Unito.Ma a qualunque idea di statualità palestinese si oppongono fermamente il premier israeliano Benjamin Netanyahu – sul cui capo pende un mandato di cattura della Corte penale internazionale – e diversi membri del suo governo come il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che ha tirato fuori dal cassetto il controverso “piano E1” per estendere gli insediamenti in Cisgiordania, tagliandola di fatto in due con l’obiettivo di “seppellire definitivamente l’idea di uno Stato palestinese“. La Knesset, il Parlamento monocamerale israeliano, ha approvato mesi fa una risoluzione non vincolante sull’annessione della Cisgiordania, poco prima che l’esecutivo approvasse il piano di (ri)occupazione totale della Striscia.Nel frattempo, nell’exclave costiera i gazawi continuano a venire massacrati e affamati artificialmente (con buona pace degli “accordi umanitari” stretti da Tel Aviv con Bruxelles), come conseguenza diretta di quello che le stesse ong israeliane bollano inequivocabilmente come genocidio del popolo palestinese. Netanyahu tira dritto per la sua strada, incurante tanto della montante opposizione interna quanto della pressione esterna affinché sia concessa una tregua umanitaria ai civili di Gaza e si raggiunga un cessate il fuoco con Hamas.

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    Le proteste in Serbia stanno diventando violente

    Bruxelles – Si stringono le maglie della repressione in Serbia. Il presidente filorusso Aleksandar Vučić intende usare il pugno di ferro contro i manifestanti che da cinque giorni stano protestando per le strade delle principali città del Paese balcanico. L’escalation della violenza potrebbe segnare un punto di svolta nella contestazione antigovernativa, ma per ora l’Ue non ha niente da dire al riguardo.“Arrestate Vučić“: è una delle tante scritte comparse sui cartelli che hanno punteggiato le piazze di mezza Serbia durante il weekend, in quella che gli osservatori descrivono come una recrudescenza dello scontro tra manifestanti e governo, che si protrae ininterrottamente dallo scorso autunno.Negli ultimi cinque giorni le proteste sono diventate violente in tutto il Paese, soprattutto a Belgrado, con scontri accesi tra alcune fazioni filogovernative e i manifestanti, alcuni dei quali hanno dato alle fiamme delle sedi dell’Sns, il partito del presidente Aleksandar Vučić al potere dal 2012, e dei loro alleati di coalizione. Le forze dell’ordine sono state accusate di uso eccessivo della forza per sedare i disordini.(credits: Angela Weiss / Afp)Ma il capo dello Stato non ha intenzione di mollare la presa sul potere e, anzi, promette l’ennesimo giro di vite contro il dissenso. “Se non mettiamo in atto misure più severe, è solo questione di giorni prima che loro (i manifestanti, ndr) uccidano qualcuno“, ha dichiarato ieri (17 agosto), bollando le proteste come “puro terrorismo” orchestrato da fantomatiche forze esterne che avrebbero ordito un complotto per disarcionarlo. “Sarete testimoni della determinazione dello Stato serbo“, ha minacciato l’autoritario leader, ammonendo che “useremo tutti i mezzi a nostra disposizione per ripristinare la pace e l’ordine nel Paese”.Quella degli scorsi giorni è la più grave escalation delle oceaniche proteste – considerate le più grosse dall’implosione della Jugoslavia e rimaste finora ampiamente pacifiche – contro la corruzione dilagante esplose quando, lo scorso novembre, il crollo di una pensilina a Novi Sad ha ucciso una quindicina di persone. Guidato soprattutto dagli studenti, il movimento popolare non ha mai smesso di contestare la leadership di Vučić, il quale ha risposto con la repressione.Repressione che, almeno finora, non è parsa disturbare particolarmente i resposabili di Bruxelles. Nei mesi scorsi, tanto il presidente del Consiglio europeo, António Costa, quanto l’Alta rappresentante Kaja Kallas si sono recati a Belgrado per reiterare l’impegno dell’Ue verso l’adesione della Serbia. Chiudendo un occhio, anzi entrambi, sulle gravi violazioni dei diritti umani nonché sull’imbarazzante vicinanza di Vučić al presidente russo Vladimir Putin.

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    Israele, la guerra a Gaza sempre più contestata in patria, e dall’estero

    Bruxelles – La guerra di Netanyahu a Gaza inizia a provocare contraccolpi pesanti per il governo israeliano. Crescono, e dilagano anzi, le proteste nelle strade del Paese, mentre la comunità politica ed economica internazionale, compresa quella europea, inizia a mandare pesanti segnali di allontanamento.Ieri, domenica (17 agosto) in quella che è stata la più grande giornata di mobilitazione nazionale, probabilmente un milione di persone si sono riversate nelle strade di varie città (solo a Tel Aviv sono state contati mezzo milione di partecipanti) per chiedere un reale negoziato per far tornare gli ostaggi ancora vivi, forse una ventina, ed avere i corpi di quelli oramai morti, e per chiedere la fine del massacro a Gaza. “Bring them home” (riportateli a casa), e “End this fucking war” (finiamo questa cazzo di guerra) i due slogan più visti nei cartelli e urlati dai manifestanti.La polizia ha reagito con i cannoni ad acqua per disperdere le persone, una quarantina di fermi sono stati eseguiti nei confronti di chi, secondo la polizia, compiva azioni violente, come bruciare i copertoni.Anche a livello internazionale, oltre ai frequenti incidenti che vedono vittime turisti israeliani che vengono cacciati da bar, ristoranti, o che vengono bloccati a bordo di navi da crociera, aumentano sempre più i governi che hanno deciso di riconoscere lo stato di Palestina, che bloccano o almeno limitano l’export di armi. Il presidente francese Emmanuel Macron ha definito un “disastro” l’escalation annunciata dal governo di Israele, e il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha sostenuto che la politica israeliana verso Gaza “non è più giustificata”. Il primo ministro norvegese Jonas Gahr Store ha sottolineato come Israele “ha danneggiato la sua reputazione in Paesi che hanno sempre avuto simpatia per il Paese”. L’Unione europea chiede con insistenza che gli aiuti umanitari siano fatti entrare nella Striscia, anche se in realtà non riesce a dire molto di più. Oggi la Commissaria europea per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib, in una dichiarazione per la Giornata mondiale per l’Aiuto Umanitario ha sottolineato che “Le crisi umanitarie provocate dall’uomo in Sudan, Gaza e Ucraina hanno giustamente suscitato l’indignazione mondiale“. Pur senza riferirsi esplicitamente a Istìraele e Gaza ha anche affermato che “in un momento in cui i bisogni umanitari stanno raggiungendo livelli senza precedenti, il rispetto del diritto internazionale umanitario è minacciato. Gli attacchi mirati contro civili e operatori umanitari, insieme agli attacchi contro ospedali, scuole e altri obiettivi civili, sono in aumento, mentre l’accesso agli aiuti salvavita è sempre più negato. Tuttavia – ha aggiunto -, le “regole di guerra” stabilite dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 rimangono invariate: violare il diritto umanitario è un crimine“.Il Financial Times oggi riporta anche come la comunità finanziaria internazionale cominci ad allentare i suoi legami con Israele. Il quotidiano britannico riporta che il Fondo sovrano norvegese da due trilioni di dollari ha detto di aver venduto un quinto dei suoi asset del Paese, mentre altri importanti operatori ebrei cominciano ad avere dei dubbi “morali” sull’investire in Israele.

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    I leader europei a Trump: I confini dell’Ucraina li può discutere solo l’Ucraina

    Bruxelles – Donald Trump “condivide largamente la posizione degli europei”. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz diffonde ottimismo dopo la call tra un gruppo di leader dell’Unione europea e il presidente degli Stati Uniti in vista del suo bilaterale con Vladimir Putin il 15 agosto, alla quale ha partecipato anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. La riunione è durata meno di un’ora, e secondo il cancelliere ora “c’è speranza che qualcosa si stia muovendo. C’è speranza che possa esserci pace in Ucraina”. Nella call, ha aggiunto, si è ribadito che “i confini non devono essere modificati con la violenza, e il riconoscimento giuridico dell’occupazione russa non è oggetto di discussione”.Dopo l’annuncio dei giorni scorsi di Trump su non meglio definiti “scambi di territori”, la prima preoccupazione di ucraini ed europei è proprio che in Alaska si possa arrivare a decidere cose che invece non dovrebbero essere decise a quel tavolo. Ma sulle quali, pian pano, sembra affermarsi la convinta rassegnazione che per avere la pace qualcosa, in qualche modo, potrebbe dover essere ceduto a Mosca. I partner europei vogliono spingere per “solide garanzie di sicurezza per l‘Ucraina”, e la strategia, ha spiegato Merz, “si basa sul sostegno all’Ucraina e sulla pressione alla Russia. Quindi, se in Alaska non ci saranno movimenti da parte russa, gli Stati Uniti e gli europei dovranno aumentare la pressione”. Anche Trump è soddisfatto dell’incontro: “Abbiamo avuto un’ottima conversazione”, ha detto ai cronisti, spingendosi a dichiarare che “si, ci saranno” conseguenza se Putin non farà dei passi avanti verso la pace.Se invece le cose andassero bene, ha spiegato il presidente Usa, è possibile “un secondo incontro veloce tra il presidente Putin, il presidente Zelenskyy e me, se vorranno che io sia presente, e quello sarebbe un incontro in cui forse si potrebbe davvero trovare una soluzione, ma… già nel primo incontro si potrebbero ottenere grandi risultati, sarà un incontro molto importante, ma servirà a preparare il terreno per il secondo incontro”. Ma ha anche aggiunto che “potrebbe non esserci un secondo incontro, perché se ritengo che non sia opportuno farlo, non avendo ottenuto le risposte che ci servono, allora non ci sarà un secondo incontro”.Zelensky, intanto aveva chiesto ai partner di aumentare la pressione su Mosca, incontrando la stampa con Merz dopo la call, ribadendo che “qualsiasi questione riguardante l’integrità territoriale del nostro Paese non può essere discussa senza tener conto del nostro popolo, della volontà del nostro popolo e della Costituzione ucraina”. Comunque ha anche lui sottolineato che “il nostro stato d’animo attuale è di unità, ed è stato molto positivo che tutti i partner abbiano parlato all’unisono, con un unico desiderio, gli stessi principi e la stessa visione: questo è un importante passo avanti”. Ma ha poi messo i suoi paletti all’ottimismo dilagante: “Il successo di ogni negoziato – ha detto – dipende dai risultati”, esprimendo così la sua prudenza estrema su quanto nascerà dall’incontro in Alaska.Della posizione di Trump ha parlato il presidente francese Emmanuel Macron, annunciando che il presidente Usa ha dichiarato di “voler ottenere un cessate il fuoco in Ucraina durante l’incontro con Putin”.Anche il premier britannico Keir Starmer era presente, ed il suo portavoce ha spiegato che “il primo ministro è stato chiaro: il nostro sostegno all’Ucraina è incondizionato – i confini internazionali non devono essere modificati con la forza e l’Ucraina deve disporre di garanzie di sicurezza solide e credibili per difendere la propria integrità territoriale nell’ambito di qualsiasi accordo”. Starmer ha sottolineato che “l‘Europa è pronta a sostenere questo e continuerà a collaborare con il presidente Trump e il presidente Zelenskyy per una pace giusta e duratura in Ucraina”.Non ha incontrato i giornalisti ma ha scritto un post su X la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che non è scesa nei dettagli dei contenuti, ma ha anche lei apprezzato la telefonata di gruppo: “Abbiamo avuto una conversazione molto positiva. L’Europa, gli Stati Uniti e la Nato hanno rafforzato la posizione comune sull’Ucraina”. Annuncia poi che anche in futuro “continueremo a coordinarci strettamente” e che “nessuno desidera la pace più di noi, una pace giusta e duratura”.Il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa ha provato a sintetizzare l’esito della riunione, spiegando ai giornalisti, al fianco di Macron, che Trump “ha condiviso con noi tre obiettivi molto importanti: prima di tutto il cessate il fuoco, poi che nessuno oltre all’Ucraina può negoziare ciò che riguarda l’Ucraina, e terzo elemento la disponibilità degli Stati Uniti di condividere con l’Europa gli sforzi per rafforzare le condizioni di sicurezza quando avremo ottenuto una pace duratura e giusta per l’Ucraina”.Alla riunione ha partecipato anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che in una nota ha sottolineato che “dalla discussione è emersa una forte unità di vedute nel ribadire che una pace giusta e duratura non può prescindere da un cessate il fuoco, dal continuo sostegno all’Ucraina, dal mantenimento della pressione collettiva sulla Russia, anche attraverso lo strumento delle sanzioni, e da solide e credibili garanzie di sicurezza ancorate al contesto euroatlantico”. Meloni si è detta “molto soddisfatta dall’unità di intenti e dalla capacità di dialogo che l’Occidente sta dimostrando di fronte a una sfida fondamentale per la sicurezza e la difesa del diritto internazionale”. Secondo la premier però “è ora il momento di vedere quale sarà, in Alaska, l’atteggiamento della Russia che finora non ha inteso fare alcun significativo passo in avanti“.

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    “Il vertice in Alaska è una vittoria per Putin, che punta alla neutralizzazione degli Usa in Ucraina”

    Bruxelles – “Il vertice in Alaska segna di fatto la fine dell’isolamento internazionale di Putin: nessun leader occidentale di rilievo lo ha incontrato dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina”. Lo afferma in un suo commento sul prossimo vertice tra il presidente Usa e quello russo Jana Kobzova, Co-direttrice del Programma di sicurezza europea dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr). La studiosa sottolinea come “Putin ottiene un vertice con il presidente degli Stati Uniti senza alcuna concessione da parte sua, come ad esempio una tregua nella guerra contro l’Ucraina. Di per sé, questo è già un buon risultato per Putin”.Kobzova sostiene poi che “inoltre, Putin discuterà dell’Ucraina e della sicurezza europea senza la presenza degli ucraini né degli europei, il più lontano possibile dal continente europeo. Questo è un altro risultato positivo per il Cremlino. Si inserisce nella visione del mondo di Putin, in cui le grandi potenze decidono il destino di quelle più piccole, che è l’esatto contrario della visione europea”. Però “sull’Ucraina, il leader russo dovrà trovare un equilibrio. Da un lato, dovrà in qualche modo rispondere all’ambizione di Trump di diventare un pacificatore tra Ucraina e Russia: se Putin non mostrerà alcuna flessibilità, ciò potrebbe spingere il presidente americano a mettere finalmente in atto le minacce di ulteriori sanzioni contro Mosca e i suoi alleati. Dall’altro lato – sostiene Kobzova -, il Cremlino ritiene di avere il sopravvento sul campo di battaglia in questo momento, quindi se non riuscirà a ottenere concessioni diplomatiche, potrà semplicemente continuare ad avanzare sul campo di battaglia”.A giudizio della ricercatrice “l’esito più favorevole per la Russia sarebbe la ‘neutralizzazione’ degli Stati Uniti sulla questione ucraina, ovvero una minore partecipazione degli Usa agli sforzi per porre fine alla guerra e, soprattutto, la cessazione degli aiuti militari all’Ucraina. Ci si può aspettare che Putin proponga ogni tipo di possibilità di collaborazione tra Stati Uniti e Russia nel settore energetico e in altri settori, compreso lo sfruttamento delle risorse artiche. L’altra offerta potrebbe essere quella di nuovi colloqui sul controllo degli armamenti”.La maggior parte dei leader europei riconosce l’alta posta in gioco e i rischi del vertice, “da qui – spiega Kobzova – la frenesia diplomatica di questa settimana, compreso l’incontro virtuale pre-vertice di oggi tra i leader dell’Ue, Trump e Zelensky. Come sostenuto in un recente policy brief dell’Ecfr, l’Ue subirà le conseguenze più pesanti dell’esito del conflitto. Il futuro dell’Europa dipende dal fatto che l’Ucraina diventi stabile e prospera (anche senza il pieno controllo del territorio) o rimanga uno Stato debole, instabile e vulnerabile agli attacchi russi”.Kobzova conclude ricordando che “lo spettro di Trump e Putin che decidono da soli il futuro dell’Ucraina e, di fatto, dell’intera sicurezza europea ha già spinto i leader dell’Ue ad aumentare la spesa per la difesa, raddoppiare gli aiuti militari all’Ucraina e impegnarsi diplomaticamente con Trump e il suo team per trasmettere i loro messaggi e le loro linee rosse”.

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    Nuovo appello da Ue e altri Paesi: Israele lasci accedere gli aiuti umanitari a Gaza

    Bruxelles – Gli aiuti umanitari devono poter accedere a Gaza, senza condizioni. Lo chiede una coalizione di 26 Paesi e della Commissione Europea.“Chiediamo al governo israeliano di autorizzare tutte le spedizioni di aiuti delle Ong internazionali e di consentire agli operatori umanitari essenziali di operare senza ostacoli”, afferma il messaggio rivolto al governo di Tel Aviv, mentre si continuano a contare i morti per malnutrizione, per ferite causate dai bombardamenti israeliani a Gaza.Secondo questa coalizione “è necessario adottare misure immediate, permanenti e concrete per facilitare l’accesso sicuro e su larga scala delle Nazioni Unite, delle Ong internazionali e dei partner umanitari. Tutti i valichi e le rotte devono essere utilizzati per consentire l’afflusso di aiuti a Gaza, compresi cibo, forniture alimentari, ripari, carburante, acqua potabile, medicinali e attrezzature mediche”. I 26 Paesi e l’Ue ammoniscono che “non deve essere usata la forza letale nei luoghi di distribuzione e i civili, gli operatori umanitari e il personale medico devono essere protetti”.Ora serve “un cessate il fuoco che ponga fine alla guerra, affinché gli ostaggi siano liberati e gli aiuti possano entrare a Gaza via terra senza ostacoli”.La dichiarazione è stata firmata dai ministri degli Esteri di Australia, Belgio, Canada, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Giappone, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito. Per l’Ue hanno firmato Kaja Kallas, alta rappresentante per la Politica estera, Dubravka Šuica commissaria per il Mediterraneo e Hadja Lahbib, commissario per l’Aiuto umanitario.

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    L’Ue: “Dazi e Ucraina non sono due questioni legate tra loro”

    Bruxelles – Dopo l’annuncio dell’intesa sui dazi, di quell’accordo si sono perse le tracce. La dichiarazione congiunta Ue-Stati Uniti che chiarisca, con una lettura unica, il contenuto del nuovo regime di tariffe, ancora non si vede e non è chiaro per quando sarà pronta. “Gli Stati Uniti hanno assunto impegni molto chiari, non sappiamo quando scatteranno ma sappiamo che scatteranno”, afferma Olof Gill, portavoce della Commissione europea responsabile per il Commercio. Per tutto il resto “le domande vanno rivolte negli Stati Uniti, noi siamo in modalità di attesa“.Per Bruxelles il lavoro è dunque fatto, va solo finalizzato con la lista delle esenzioni ai dazi del 15 per cento. Si resta, pazientemente in attesa. Sui ritardi di Washington non ci si sbottona, ma la vice-capo del servizio dei portavoce, Arianna Podestà, vuole mettere una cosa in chiaro: “Non credo che la gestione del conflitto in Ucraina e le relazioni commerciali con l’Ue siano due dossier legati tra loro”. Tradotto: un ritardo nell’attuazione dell’accordo sui dazi non dipende dall’attivismo del presidente degli Stati Uniti in materia di politica internazionale.La conferma delle due strade separate potrebbe arrivare durante il vertice telefonico, organizzato per mercoledì 13 agosto, tra l’inquilino della Casa Bianca, il presidente ucraino, alcuni leader Ue e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. La situazione al momento sembra chiara, ma le continue contestazioni di Donald Trump agli europei, considerati troppo “amici” di Volodymyr Zelensky, potrebbero influenzare il quadro generale.

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    Ucraina, leader Ue aprono a negoziati anche in caso di ‘riduzione delle ostilità’

    Bruxelles – Negoziati di pace anche in caso di “riduzione delle ostilità”. E’ un’Unione europea che inizia a cambiare rotta rispetto al conflitto russo-ucraino. I capi di Stato e di governo dell’Ue, nella dichiarazione congiunta diffusa dopo la riunione straordinaria dei ministri degli Esteri convocata per fare il punto della situazione e chiedere che non si tratti di futuro dell’Ucraina senza coinvolgere il Paese, confermano il sostegno a Kiev ma in modo tutto nuovo. “Negoziati significativi possono aver luogo solo nel contesto di un cessate il fuoco o di una riduzione delle ostilità”, il passaggio chiave nel documento firmato a 26, senza il sostegno dell’Ungheria che continua lungo una tradizione ormai consolidata di sfilarsi dal dossier ucraino.Fin qui le cancellerie di tutta Europa, e le stesse istituzioni Ue, non avevano fatto che ribadire l’importanza di intavolare negoziati tra Russia e Ucraina solo dopo una cessazione delle ostilità. Adesso invece si apre alla possibilità di sedersi al tavolo anche a conflitto ancora in corso. Una novità, certamente, all’interno di una visione che invece non è cambiata: i 26 tornano a chiedere una pace duratura, garanzie di nuovi eventuali attacchi russi in futuro, confini certi e riconosciuti dal diritto internazionale, che “non siano modificati con la forza”. Da questo punto di vista, dunque, tutto com’è stato finora. Così come non cambiano ruolo e peso degli Stati Uniti in questo conflitto.I leader salutano con favore l’iniziativa del presidente Usa, Donald Trump, di provare a imprimere una svolta ad conflitto che gli europei vorrebbero vedere finito. “La guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina ha implicazioni più ampie per la sicurezza europea e internazionale“, sottolineano i capi di Stato e di governo, convinti che “una soluzione diplomatica debba proteggere gli interessi vitali di sicurezza dell’Ucraina e dell’Europa”, legate comunque ormai a doppio filo. Perché, ribadiscono i leader europei, “l’Unione europea sottolinea il diritto intrinseco dell’Ucraina di scegliere il proprio destino e continuerà a sostenere l’Ucraina nel suo percorso verso l’adesione all’Ue“. L’Ucraina è persa: questo il messaggio alla Russia e al suo presidente, Vladimir Putin.Ora si attende il vertice telefonico di domani per poi capire cosa uscirà dal bilaterale Putin-Trump di venerdì. Intanto l’Ue, dopo la ‘mobilitazione’ dei ministri degli Esteri, prova a tenere il punto.