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    Michel incontra Xi Jinping a Pechino: “Contiamo sulla Cina per fermare l’aggressione russa all’Ucraina”

    Bruxelles – “L’Ue conta sulla Cina, in qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per invitare la Russia a rispettare i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite e contribuire a porre fine alla brutale occupazione dell’Ucraina”. Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, può tornare da Pechino forte delle rassicurazioni del leader cinese, Xi Jinping, che ha condannato le minacce nucleari “inaccettabili” del Cremlino e ha dichiarato che “la Cina non sta vendendo armi a Putin”.
    Michel, che a Pechino era già stato nel novembre 2016 come primo ministro belga, ha incontrato oggi (giovedì primo dicembre) il presidente della Repubblica Popolare Cinese, a cui ha ribadito la necessità che la Cina “utilizzi la propria influenza sul Cremlino” per fermare la guerra. Non solo: in un tête-à-tête durato più di tre ore, i due leader hanno discusso delle crisi globali innescate dal conflitto e dell’importanza strategica dell’asse Bruxelles-Pechino.

    The EU promotes its interests and values in the world.With China, engaging openly on all aspects of our relationship is the only way forward.Today we addressed Russia’s war against Ukraine & its consequences, global challenges and the full breadth of our bilateral relationship. pic.twitter.com/dlw1k1upyh
    — Charles Michel (@CharlesMichel) December 1, 2022

    Il presidente del Consiglio Europeo ha portato all’attenzione di Xi Jinping la posizione comune che i 27 primi ministri Ue hanno stabilito poche settimane fa sul rapporto strategico con il gigante asiatico, ovvero la necessità di adottare un approccio realistico che parte da un dato di fatto: Pechino è il primo partner commerciale dell’Unione, con cui scambia merci per più di 2 miliardi di euro al giorno. Per i leader europei il tema chiave è “il riequilibrio delle relazioni commerciali”. Michel ha evidenziato che il commercio Ue-Cina “ha contribuito in modo sostanziale alla trasformazione economica” del Paese asiatico, ma che ora c’è bisogno “di maggiore reciprocità e di garantire parità di condizioni (level playing fields) per le imprese europee“. Perché se da una parte “i mercati sono aperti e per le compagnie cinesi è facile investire da noi”, Michel ha chiesto a Xi Jinping di rimuovere gli ostacoli che fanno sì che le imprese europee “abbiano difficoltà a operare in Cina”.
    L’Unione teme di sviluppare con il gigante asiatico un rapporto di dipendenza per le forniture di tecnologie (come i semiconduttori) e materie prime critiche, necessarie per la doppia transizione digitale e energetica. Per non ripetere l’errore della dipendenza dal gas russo, Bruxelles ha presentato l’European Chips Act e sta lavorando sull’Atto sulle materie prime critiche. Ma se Pechino si sta rivelando fondamentale per la differenziazione energetica, su cui l’Europa sta procedendo a tappe forzate a causa della guerra in Ucraina, Bruxelles potrebbe soccorrere la Repubblica popolare cinese ancora alle prese con confinamenti anti-Covid e con una campagna vaccinale che non decolla. “Le compagnie farmaceutiche europee sono disponibili a consegnare i loro vaccini in Cina, quando verranno riconosciuti dalle autorità di Pechino”, ha dichiarato Michel, che ha poi espresso a Xi Jinping la sua preoccupazione per le proteste e gli scontri in corso in diverse città cinese, ricordando che “il diritto di riunione è un diritto fondamentale”.
    Sulla questione dei diritti umani in generale, Michel ha accolto con favore la disponibilità del leader cinese a riprendere il dialogo Bruxelles-Pechino sui diritti umani, “che offrirà l’opportunità di affrontare in dettaglio la situazione delle minoranze nonché dei singoli casi”. Il presidente del Consiglio Ue ha ribadito “l’impegno a favore della politica di un’unica Cina“, facendo presente a Xi Jinping che le tensioni su Taiwan vanno a discapito degli interessi dell’Unione, visto che lo stretto di Taiwan è la rotta principale per le navi provenienti dalla Cina, dal Giappone, dalla Corea del Sud e da Taiwan verso l’Europa e che nell’isola si fabbricano circa il 50 per cento della produzione mondiale di semiconduttori. “Sia la Cina che l’Ue hanno interesse a un mondo basato sulla legge, con la carta delle Nazioni Unite al centro”, ha chiuso Michel, affermando che l’Ue “continuerà a dialogare con la Cina in vista del prossimo vertice Ue-Cina nel 2023”.

    Il leader cinese ha assicurato che “la Cina non sta vendendo armi alla Russia” e ha condannato le minacce nucleari del Cremlino. Nel bilaterale Michel ha fatto presente la necessità di “riequilibrare le relazioni commerciali”, garantendo parità di condizioni per le imprese europee

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    “In Cina da cancelliere tedesco e da europeo”. Scholz in visita a Pechino tra le polemiche

    Bruxelles – Un’avanguardia europea per riscrivere le relazioni con la Cina di Xi Jinping. Così si vede il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che oggi (3 novembre) intraprenderà la prima visita di un leader del G7 a Pechino dallo scoppio della pandemia di Covid-19: “Se vado a Pechino come cancelliere tedesco, lo faccio contemporaneamente come europeo. La politica tedesca sulla Cina ha successo solo se inserita in quella europea”. In una lunga lettera pubblicata sul Frankfurter Allgemeine Zeitung Scholz ha provato a rassicurare le istituzioni Ue, che avevano fortemente criticato il suo viaggio solitario al cospetto del leader comunista.
    “Se la Cina cambia, anche il nostro rapporto con la Cina deve cambiare”, ha affermato il cancelliere, che arriva a Pechino a pochi giorni dalla riconferma per altri cinque anni di Xi Jinping al vertice del Partito Comunista. “Noi non vogliamo disaccoppiarci dalla Cina, importante partner economico per la Germania e per l’Europa. Ma cosa vuole Pechino?”, ha chiesto retoricamente Scholz ai lettori del quotidiano di Francoforte. Il focus sempre più accentuato sulla “stabilità del sistema comunista e sull’autonomia nazionale” cinese, secondo il leader tedesco avrà conseguenze per tutti i partner commerciali del gigante asiatico. Per questo l’obiettivo della delegazione di industriali tedeschi guidata da Scholz sarebbe insistere con il “partner, concorrente e rivale” cinese sul “principio della reciprocità” nei rapporti sino-europei: “Se la Cina rifiuta di consentire questa reciprocità, non sarà priva di conseguenze”, ha sentenziato il cancelliere socialdemocratico. “Differenziare i rapporti con la Cina è in linea con gli interessi strategici a lungo termine della Germania e dell’Europa”.
    Nonostante le rassicurazioni tedesche sulle intenzioni del viaggio, a Bruxelles c’è chi ritiene che Berlino voglia procedere a testa bassa nel perseguimento dei propri interessi, senza alcuna concertazione con gli altri membri Ue: il via libera di Scholz all’acquisizione di una quota del porto di Amburgo da parte dell’azienda cinese Cosco, malgrado le perplessità degli alleati occidentali, e l’istituzione del fondo da 200 miliardi per proteggere famiglie e imprese tedesche dal caro energia, con tanti saluti alla solidarietà europea, costituiscono in questo senso due precedenti scomodi. E intanto da Pechino il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, ha ricordato che quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Cina e Germania e che la visita di Scholz darà slancio allo “sviluppo della partnership strategica completa” tra i due Paesi, che “consolideranno la fiducia reciproca politica e rafforzeranno la cooperazione”.
    I riflettori sono accesi sull’incontro di domani (4 novembre) tra i due leader: Berlino fa sapere che avrà luogo uno scambio di vedute approfondito su tutti gli aspetti delle relazioni sino-europee, incluse le tensioni su Taiwan, il tema del rispetto dei diritti umani (in riferimento alla persecuzione degli Uiguri nello Xinjiang), e non ultima la posizione di Pechino sul conflitto in Ucraina. E, a pochi giorni dalla COP27 a Sharm el-Sheikh in Egitto, anche gli obiettivi dell’Accordo di Parigi saranno verosimilmente nell’agenda del bilaterale: “Senza azioni risolute per ridurre le emissioni in Cina, non potremo vincere la battaglia contro il cambiamento climatico”, ha ricordato Scholz, promettendo che insisterà con Xi Jinping “perché la Cina si assuma ancora maggiori responsabilità per la protezione del clima”.

    Primo leader europeo a recarsi in Cina dal 2019, domani Scholz incontrerà il presidente Xi Jinping. Il cancelliere, duramente criticato a Bruxelles, ha spiegato in un articolo le ragioni della sua visita al leader del Partito comunista cinese

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    La telefonata di Xi a Putin: In Ucraina spingere per una soluzione adeguata con responsabilità

    Bruxelles – Sostegno reciproco, ma non ‘senza limiti’. La seconda telefonata tra Xi Jinping e Vladimir Putin dallo scoppio della guerra in Ucraina è avvenuta in occasione del 69esimo compleanno del leader cinese (15 giugno), che ha sottolineato – secondo la nota del ministero degli Esteri cinese – che “dall’inizio dell’anno, la Cina e la Russia hanno mantenuto un solido slancio, nonostante le turbolenze e i cambiamenti globali”. Un modo per ribadire l’amicizia tra i due Paesi, affermata in occasione dei giochi olimpici di Pechino il 4 febbraio 2022. Questa volta però la Cina chiede responsabilità.
    “La Cina è disposta a continuare a sostenersi in maniera reciproca con la Russia su questioni legate agli interessi fondamentali”, “come la sovranità e la sicurezza, a stringere la cooperazione strategica tra i due Paesi, a rafforzare la comunicazione e il coordinamento nelle Nazioni Unite, nel BRICS” e in altre importanti organizzazioni internazionali e regionali. Queste le parole di Xi che ha aggiunto come la cooperazione tra i due Paesi, anche sul piano economico e commerciale, sia “progredita”. Come nel caso, sottolinea il presidente cinese, dell’apertura al traffico del ponte che collega la città di Heihe, nel nord-est della Cina, a quella russa di Blagoveshchensk, attraverso il fiume Amur. Durante l’inaugurazione, il 10 giugno 2022, il vice-premier Hu Chunhua aveva detto che la Cina era “pronta a incontrare la Russia a metà strada”, un segnale di ulteriore avvicinamento, questa volta fisico, tra i due Paesi.
    L’amicizia tra Pechino e Mosca è quindi salda: questo è il messaggio inviato dai due leader. Secondo Politico, Xi avrebbe offerto la dimostrazione di sostegno più inequivocabile dallo scoppio della guerra in Ucraina – mentre per il Wall Street Journal il leader cinese non sarebbe riuscito, ancora una volta, a schierarsi pubblicamente con Mosca. Finora la Cina ha infatti mantenuto una posizione di ambiguità nei confronti della guerra. Come durante la prima telefonata tra Xi e Putin subito dopo l’invasione di Kiev, il 25 febbraio 2022: da un lato Pechino invitava Mosca e Kiev a negoziare, dall’altro attaccava la NATO chiedendo di rispettare “le legittime preoccupazioni in materia di sicurezza di tutti i Paesi” e di superare una certa “mentalità da Guerra Fredda”. Una posizione ribadita anche durante l’incontro tra il ministro degli Esteri Wang Yi e l’omologo russo Sergey Lavrov il 30 marzo scorso.
    Questa volta, Xi ha invitato sottolineato che “tutte le parti dovrebbero spingere per una soluzione adeguata della crisi ucraina in modo responsabile” e che “la Cina continuerà a svolgere il proprio ruolo per questo obiettivo”. Pur non utilizzando mai i termini ‘guerra’ o ‘conflitto’ – ma ‘crisi’ – è l’invito alla responsabilità a diventare centrale, mentre spariscono i riferimenti alla ‘mentalità da Guerra Fredda’.
    Diversa è la nota rilasciata dal Cremlino, e che non accenna alla responsabilità: “I presidenti hanno dichiarato che le relazioni sino-russe hanno raggiunto un massimo storico”. Prosegue, Xi Jinping “ha sottolineato la legittimità delle azioni della Russia per proteggere gli interessi nazionali fondamentali per proteggere gli interessi nazionali fondamentali di fronte alle sfide alla sua sicurezza create da forze esterne”.

    Durante la seconda chiamata tra i due leader, ribadita l’amicizia tra Cina e Russia, ma non c’è “alleanza” per la guerra

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    Xinjiang Police Files: pubblicate le prime foto non ufficiali all’interno dei campi per gli uiguri, durante la visita della commissaria ONU

    Bruxelles – L’ingresso di questa settimana di Michelle Bachelet, l’alta commissaria per i diritti umani delle Nazioni Unite, in quelle che la Cina definisce ‘strutture di avviamento professionale’ – campi di internamento e rieducazione degli uiguri –, è stato anticipato dai media internazionali e senza alcun filtro da parte delle autorità di Pechino. A guidare all’interno dei centri oltre 5mila fotografie e centinaia di migliaia di documenti, in una raccolta chiamata ‘Xinjiang Police Files’, pubblicata dal think tank americano Fondazione Memoriale delle Vittime del Comunismo e da una serie di testate affiliate al Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi (ICIJ).
    Un’esercitazione delle forze di sicurezza di uno dei centri (foto di: vittime della Fondazione Memoriale del Comunismo)
    Il materiale arriva dai computer della polizia locale dopo un’operazione di hackeraggio e risale dai primi anni 2000 al 2018. Ci sono documenti confidenziali e interni, direttive e trascrizioni dei discorsi delle autorità locali e regionali del Xinjiang, tra cui dell’ex segretario regionale e membro dell’Ufficio politico di partito, Chen Quanguo, tra i principali fautori dei campi di internamento, e dell’attuale ministro della Pubblica sicurezza cinese, Zhao Kezhi. Si va da procedure contro la fuga durante le attività, con l’ordine di uccidere i detenuti se necessario fino a disposizioni speciali, di controllo più rigido, in occasione del Ramadan. In una trascrizione, il ministro della Pubblica sicurezza elenca gli obiettivi, stabiliti a livello centrale, per il Xinjiang: “in un anno stabilizzare la regione, in due consolidare i risultati, in tre normalizzare la stabilità sociale, in cinque raggiungere la stabilità nel complesso”.
    Foto di: vittime della Fondazione Memoriale del Comunismo
    Gran parte delle fotografie sono invece, secondo il think tank, un archivio per la raccolta dei dati biometrici, con i dettagli sull’internamento di 2.884 uiguri. I più giovani sono due ragazzi di 15 anni, le più anziane due donne di 73 anni. Molti sono stati puniti solo per aver esternato la propria fede islamica o per aver viaggiato in Paesi a maggioranza musulmana, altri per ‘crimini’ risalenti a più di dieci anni prima. Una serie di foto mostrano invece le operazioni all’interno di alcuni dei campi e sono le prime immagini non ufficiali mai pubblicate.
    “I documenti trapelati contengono nuove prove dall’interno sulle violazioni dei diritti umani nel Xinjiang, che verrebbero perpetrate a tutti i livelli amministrativi: dai principali funzionari, da unità speciali di polizia e da gruppi speciali delle forze armate”, ha dichiarato a Eunews Nabila Massrali, portavoce della Commissione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza. “Si aggiungono all’insieme di prove esistenti sulle vergognose violazioni dei diritti umani – ha proseguito la portavoce – come l’esistenza di un’ampia rete di campi di rieducazione politica, le estese misure di sorveglianza e tracciamento, le limitazioni sistemiche all’esercizio delle libertà fondamentali – incluse quelle di credo e religione, l’uso di politiche di lavoro forzato, sterilizzazione forzata, controllo delle nascite e di separazione familiare, e di violenze sessuali e di genere”.
    Alcune fotografie di materiale religioso requisito agli uiguri (foto di: vittime della Fondazione Memoriale del Comunismo)
    Anche l’eurodeputato tedesco Reinhard Bütikofer (Verdi europei), a capo della delegazione per le relazioni con la Repubblica Popolare cinese e sanzionato da Pechino ha commentato i Xinjiang Police Files con un tweet: “I fatti parlano chiaro. La Cina commette crimini contro i diritti umani, contro gli uiguri e altre minoranze musulmane”. Ha aggiunto: “La chiarezza con cui von der Leyen e Michel hanno sollevato le questioni relative ai diritti umani al vertice UE-Cina di aprile necessita del sostegno chiaro e unanime di tutti i 27 governi dell’Unione. Ciò deve includere la volontà di accettare ulteriori sanzioni appropriate”.
    All’incontro di oggi, online, tra l’alta commissaria e il presidente Xi Jinping, Bachelet è stata tuttavia ammonita dal leader cinese: “Nelle questioni relative ai diritti umani, non esiste uno ‘Stato ideale’ perfetto, non c’è bisogno di insegnanti arroganti nei confronti degli altri Paesi, e neppure di utilizzare doppi standard che strumentalizzino e politicizzino i temi relativi ai diritti umani, prendendo i diritti umani come scusa per interferire nelle questioni interne degli altri Paesi”. La commissaria, al momento in Cina, sta lavorando da almeno tre anni al rapporto delle Nazioni Unite sulla situazione degli uiguri nel Paese e visiterà il Xinjiang nei prossimi giorni.

    Oltre 5mila fotografie e centinaia di migliaia di documenti hackerati dalla polizia della regione autonoma cinese. La portavoce per gli affari esteri UE: “Nuove prove dall’interno sulle violazioni dei diritti umani”

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    Vertice UE-Cina, Pechino: Dichiarazioni di Borrell “irresponsabili” e “non conformi ai fatti”

    Bruxelles – Il vertice tra Ue e Cina del primo aprile “è molto riuscito” e le dichiarazioni dell’Alto rappresentante dell’Unione per affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell sono “irresponsabili” e “non conformi ai fatti”. Queste le parole di Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese, alla conferenza stampa giornaliera di oggi (6 aprile). Arrivano dopo che ieri Borrell aveva sostenuto che l’incontro tra i leader europei, il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang era stato un “dialogo tra sordi” e che i rappresentanti cinesi erano stati riluttanti a parlare della questione ucraina.
    È una risposta breve, ma secca quella di Pechino. Il portavoce cinese definisce Borrell “funzionario europeo” per ben due volte, senza citarne mai il nome per esteso. Dice prima, “quel funzionario europeo che ha appena menzionato”, riprendendo la domanda di un giornalista di AFP. Poi, “ciò che quel funzionario europeo dovrebbe fare”, seguito da “è promuovere i legami bilaterali sulla base del consenso raggiunto al vertice invece di fare osservazioni irresponsabili”.
    Le parole più dure, però, il portavoce le ha riservate agli Stati Uniti. “La guerra e le sanzioni permettono agli USA di trarre profitto dal caos”, ha continuato Zhao, citando una recente intervista dove Mikhail Popov, vicesegretario del Consiglio di sicurezza russo, aveva parlato di un recente aumento nei volumi di importazione di petrolio da Mosca da parte degli americani. Il portavoce ha sottolineato come gli Stati Uniti spingano invece l’Europa a porre sanzioni, a cui hanno portato “flussi di rifugiati, perdite di denaro e scarsità di risorse energetiche”. “Se gli Stati Uniti desiderano davvero promuovere una distensione della situazione ucraina, dovrebbero smettere di gettare benzina sul fuoco, smettere di brandire il bastone delle sanzioni e smettere di forzare dichiarazioni e fatti, e mediare per la pace e promuovere il dialogo”.
    Zhao Lijian si è espresso anche rispetto a quanto accaduto nella città ucraina di Bucha, dicendo che “la verità dei fatti e le loro cause devono essere verificate”. “Ogni accusa deve basarsi sui fatti”, ha aggiunto il portavoce, invitando alla moderazione fino a quando non si arriverà a conclusione delle indagini.

    Arrivano dopo che ieri l’Alto rappresentante aveva sostenuto che l’incontro è stato un “dialogo tra sordi”. Bucha? ““La verità dei fatti e le loro cause devono essere verificate”

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    L’Unione Europea chiede alla Cina di premere sulla Russia per mettere fine all’aggressione dell’Ucraina

    Bruxelles – Il sonno del gigante cinese inizia a essere sempre più disturbato. Negli 11 giorni di invasione russa dell’Ucraina, Pechino è il vero jolly che ancora nessuno è riuscito a giocarsi per indirizzare in un verso o nell’altro la guerra voluta da Vladimir Putin. Né Mosca, per avere quel supporto necessario per affrontare le sanzioni e il boicottaggio delle aziende di quasi tutto il mondo, né le potenze occidentali per isolare definitivamente il Cremlino e metterlo in ginocchio. Oggi però l’UE ha fatto un passo in avanti e ha chiesto apertamente alla Cina di fare pressione sulla Russia per mettere fine all’aggressione in Ucraina.
    “L’alto rappresentante Josep Borrell è in contatto con la controparte cinese perché prema per fermare questo attacco senza precedenti contro l’integrità territoriale di uno Stato”, ha spiegato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano, nel corso del punto quotidiano con la stampa. “L’UE sta chiedendo alla Cina di usare la propria influenza per raggiungere un cessate il fuoco e porre fine ai bombardamenti brutali della Russia”, ha aggiunto Stano, sottolineando che la potenza orientale “ha il potenziale per raggiungere Mosca grazie alle sue relazioni bilaterali“. Il portavoce del SEAE ha fatto notare che “la Cina non era tra i cinque Paesi che si sono opposti alla risoluzione votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite” e “questa è una ragione per aumentare il nostro impegno per fare in modo che diventi partner della comunità internazionale che spinge per la fine della guerra in Ucraina”.
    Per l’appunto, la Cina è stata tra i 35 Paesi che si sono astenuti al voto di mercoledì scorso (2 marzo) sulla risoluzione di condanna all’aggressione dell’Ucraina, insieme a India ed Emirati Arabi Uniti. Una dimostrazione che – a differenza di quanto previsto dal Cremlino – gli alleati di Putin iniziano a scarseggiare e non hanno interessi a sostenerlo esplicitamente. Solo un mese fa Xi Jinping e Vladimir Putin avevano condannato l’espansionismo verso Est della NATO e si erano promessi “amicizia senza limiti”. Ma la guerra di Putin – che non sembra più essere ‘lampo’ come prospettato dall’autocrate russo e che ha evocato anche lo spettro dell’arma nucleare – sta diventando un ostacolo per il presidente cinese. Da un turbamento dell’economia globale e da un nuovo periodo di recessione, Pechino non ha molto da guadagnarci. È per questo motivo che la Cina potrebbe lasciarsi convincere dall’UE a esporsi maggiormente e prendere un’iniziativa diplomatica per risolvere la crisi scatenata dalla Russia.
    Questo significherebbe però mettere parzialmente in discussione l’alleanza con la Russia e, soprattutto, non trarre tutti i benefici che potrebbero derivare da un indebolimento dell’Occidente impegnato in Ucraina. Se l’esercito di Putin si dovesse impantanare in Ucraina e le potenze occidentali impegnarsi ancora più a lungo a sostegno di Kiev, senza alcuno sforzo la Cina di Xi Jinping potrebbe godere di un parziale cambio di rotta in politica estera da parte degli Stati Uniti (sempre più distratti dal Pacifico) e di un’Europa che non può ripartire con slancio dopo due anni di crisi scatenata dalla pandemia COVID-19. Ma anche di una Russia impoverita e isolata a livello internazionale, che diventerebbe facilmente un satellite di Pechino, unico interlocutore in materia di politica estera, economica ed energetica. Il tempo delle scelte sta però svegliando la potenza cinese, che rischia di trovarsi ora davanti a un bivio da cui difficilmente si può tornare indietro.

    Pechino “ha il potenziale per raggiungere Mosca grazie alle sue relazioni bilaterali”, ha spiegato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano. Bruxelles vuole che Xi Jinping “usi tutta la sua influenza”

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    Cina, la battaglia per i tre Imperi

    Siamo nel ventunesimo secolo, la Cina crea strategie politiche-economiche per sferrare attacchi mirati nello scacchiere della finanza mondiale. The trade winds, i venti del commercio orientale soffiano sempre in una precisa direzione, volti a tracciare un sentiero o un percorso nell’economia dei  tre ‘imperi’, Europa, America, Africa.
    Nell’attesissimo intervento a Davos, il presidente cinese, Xi Jinping, ha dichiarato che la Cina corre per la leadership. Di conseguenza, tutto il comparto economico cinese subirà un intervento statale con la conseguente regolamentazione, che coinvolgerà il settore finanziario, digitale, educativo, logistico e ferroviario.
    Un rapporto di Eurostat indica che gli scambi tra Cina ed Europa nel 2020 ammontano a 31 miliardi di euro rispetto agli USA, per un valore di mercato di 555 miliardi di euro. Con COSCO, il colosso statale definito da Xi Jinping “la testa del drago in Europa”, Pechino entra nelle infrastrutture UE. La compagnia statale di navigazione attualmente detiene il 51 per cento del Porto del Pireo (il più importante scalo della Grecia) e sta per rilevare un’ulteriore quota del 16 per cento dell’Autorità Portuale, raggiungendo una quota di maggioranza del 67 per cento.
    In Italia la Cina investe nella nuova ‘via della seta, Nola-Shanghai’’ attraverso un collegamento ferroviario diretto. La merce arriva via treno all’Interporto Campano di Nola (Napoli) senza nessun trasbordo intermedio, con tappe presso gli hub di Kaliningrad (Russia), Rostock (Germania) e Verona (Interterminal). L’obiettivo, il rilancio del polo logistico e del terziario avanzato dell’Interporto e un avanzamento internazionale del settore commerciale del Sud Italia. I vantaggi del servizio sono di tipo operativo, per il rapporto diretto con sdoganamento in importazione presso la dogana di Nola e per i ridotti rischi di dannosità della merce, e anche ambientali, specie in relazione alla riduzione di emissione di anidride carbonica, calcolata del 20 per cento. Già ad agosto 2019 il numero di treni merci Cina-Europa ha raggiunto i diecimila.
    Nodo cruciale è l’ampliamento delle infrastrutture cinesi, per lo più collegate a data center, cavi in fibra ottica, strutture attraverso cui scorrono le informazioni e reti Internet. Di conseguenza, porti, ferrovie e digitalizzazione sono interessi determinanti nella lotta per il dominio tecnologico, per cui lo scontro tra Stati Uniti e Cina subisce un’accelerazione. Altro tema caldo è la volontà di Pechino di rafforzare la presenza militare in Africa: l’esempio più eclatante è l’installazione militare di Gibuti, nel Corno d’Africa, proprio all’imbocco dello Stretto di Bab el-Mandeb davanti alla rotta dei flussi commerciali da e per il Canale di Suez.
    Misure in espansione sono nel settore militare. Il governo cinese, a conferma delle ambizioni globali, consolida le capacità di proiezione strutturale e rafforza la dimensione militare/strategica, sa perfettamente che laddove aumentano gli interessi economici, aumenta anche la necessità di tutelarli. La volontà d’espansione si proietta verso interessi diffusi della collettività indifferenziata. Pechino può contare su una presenza costante e assidua in campo economico/logistico, finanziario e militare nel territorio africano, partecipa a missioni di peacekeeping sotto le insegne dell’ONU.
    Altro aspetto è la situazione afghana. Il presidente Xi Jinping ha sottolineato che la Cina rispetta la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Afghanistan, persegue una politica di non interferenza negli affari interni del Paese e ha sempre svolto un ruolo costruttivo nella soluzione politica della questione afghana. Altrettanto, Putin ha dichiarato che la Cina e la Russia condividono posizioni comuni sull’Afghanistan e che i due Paesi potranno lavorare insieme per facilitare la transizione di governo in Afghanistan.
    Il confronto decisionale tra Xi Jinping  e Putin è avvenuto in seguito a un incontro del Gruppo dei Sette sull’Afghanistan. I leader del G7 hanno chiesto che venga garantita la sicurezza nel Paese, mentre l’amministrazione di Joe Biden sconta la decisione di Trump di ritirare le truppe americane dal territorio afghano durato vent’anni, anche se agli occhi del mondo appare una sconfitta dal sapore amaro.
    La rivalità tra le grandi potenze non si è attenuata nemmeno durante la crisi COVID-19. Nel 2021, il Paese del Sol Levante si apre con estremo scetticismo al dialogo con altre nazioni, nonostante la posizione di forza, ed è il primo Paese e riprendersi dal contagio e a riavviare l’economia. La Cina, attraverso una politica restrittiva e un’economia d’espansione, è stata l’unica nazione a registrare una crescita durante la pandemia dello scorso anno.
    Joe Biden, cavalcando l’onda pandemica, promuove le posizioni di coloro che sotto l’amministrazione Trump hanno sempre sostenuto di dover arginare l’espansione della Cina. L’ipotesi che il COVID-19 abbia avuto origine nell’Istituto di virologia di Wuhan consentì a Trump di dichiarare che aveva “enormi prove” che lo comprovavano. Altresì, nelle migliori delle ipotesi, gli USA sembrano intenzionati a “chiedere il conto” alla Cina.
    In attesa di nuovi sviluppi, Pechino sta contrastando le accuse al laboratorio Wuhan con una feroce propaganda anti-americana e una maggiore coercizione economica all’estero. Boicottaggio delle merci e dei servizi e dazi punitivi sono uno dei tanti mezzi utilizzati come forma di coercizione economica verso Stati terzi che intendono “appoggiare” le decisioni americane. La pandemia ha costretto i leader politici di tutto il mondo a fare i conti con una crisi economica senza precedenti, le loro decisioni appaiono irretite da un’irrazionalità politica, intrise da contraddizioni sociali. Prioritarie sono le scelte nel voler tirar fuori la propria nazione dalla recessione che, secondo questa logica, eviterebbero qualsiasi misura che porti a ulteriori restrizioni.
    Ovviamente la risposta americana non si è fatta attendere. Già da allora, l’amministrazione Trump si era mossa per imporre dazi sulle esportazioni cinesi, sanzionare i funzionari sulle mosse per limitare le libertà a Hong Kong e nello Xinjiang e negare la tecnologia vitale ad alcune delle più grandi aziende cinesi. In previsione di altri incontri in sedi più opportune, il presidente cinese Xi Jinping ha enfatizzato una politica di “doppia circolazione” che privilegia l’autosufficienza. Il team di Biden ha segnalato che continuerà a mantenere una linea dura con la Cina, mentre cerca la cooperazione verso temi che riguardano il cambiamento climatico.
    Nel tempo in cui i leader del mondo dettano le strategie, per resistere al conflitto economico tra Cina e Stati Uniti, l’Europa tenta di organizzare un controllo serrato sugli investimenti strategici provenienti dall’estero, migliorare la sua resilienza dagli attacchi diretti e indiretti e conseguentemente agli effetti collaterali della diatriba commerciale USA-Cina.
    In questi giorni si è realizzata una straordinaria alleanza indo-pacifica, che ha dato vita all’accordo AUKUS: l’acronimo riguarda i tre Paesi partecipanti, Stati Uniti-Gran Bretagna-Australia. La partnership “aggiornerà la nostra capacità condivisa di affrontare insieme il ventunesimo secolo e le sue minacce”, ha riferito Joe Biden parlando alla Casa Bianca durante la teleconferenza. Boris Johnson ha parlato di “un pilastro strategico” in quello che per Londra è il nuovo “centro geopolitico mondiale”. Ma per capire lo scopo strategico dell’accordo è necessario rileggere le parole di Johnson: “Stiamo inaugurando un nuovo capitolo della nostra amicizia e il primo compito sarà quello di sostenere l’Australia nell’acquisizione di una flotta di sottomarini a propulsione nucleare”.
    Il primo ministro australiano Scott Morrison ha replicato affermando che il Paese non porterà a completamento l’accordo da 90 miliardi di dollari australiani (66 miliardi di dollari) con la Francia per la fornitura di sottomarini, ma ne costruirà di propri, a propulsione nucleare, utilizzando la tecnologia statunitense e britannica. “La decisione che abbiamo preso di non continuare con il sottomarino Attack Class e di percorrere questa strada non è un voltafaccia ma una necessità”, ha aggiunto.
    AUKUS, soprannominato ‘patto contro la Cina’, scatena l’ira di Pechino e della Francia. Zhao Lijain portavoce del ministero degli Esteri, ha dichiarato che la Cina “monitorerà la situazione” e che “è un accordo irresponsabile”. Altrettanto dure sono le parole del ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian: “Sono veramente in collera. Avevamo instaurato un rapporto di fiducia con l’Australia’”. La ragione di tanto disappunto è la rescissione della  commessa pregressa tra Francia e Australia stipulata nel 2016, per costruire sottomarini nucleari, dal valore 31 miliardi di euro. L’UE invece ha rivelato che “non era stata informata” e che “siamo in contatto con i partner per saperne di più e ne dobbiamo discutere con gli Stati membri dell’UE per capirne le implicazioni”, ha detto il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano.
    Il giorno seguente alla pubblicazione dell’accordo, il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, ha tentato di rassicurare che “il nostro patto punta a garantire pace e stabilità”. All’unisono, il premier australiano, Scott Morrison, ha dichiarato che “i nostri sottomarini garantiranno sicurezza nella regione e saranno utili a tutti, compresa la Cina”. Ma il presidente cinese Xi Jinping, irritato, ha inviato le sue considerazioni ai tre Paesi: “Non permetteremo interferenze di forze straniere”. Su questo accordo si gioca una partita strategica per il futuro del mondo.

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

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    Clima, Pechino segue l’UE e lancia il suo mercato del carbonio

    Bruxelles – Poche ore dalla presentazione a Bruxelles del nuovo meccanismo europeo di aggiustamento del carbonio alle frontiere (CBAM) e la Cina ha lanciato il proprio mercato del carbonio, che probabilmente sarà il più grande al mondo. I primi scambi di quote di emissioni – che per ora riguardano solo l’energia elettrica – si sono svolti venerdì 16 luglio, coprendo oltre 2mila produttori di elettricità in oltre 4 miliardi di tonnellate all’anno”, ha fatto sapere in una nota l’agenzia di stampa ufficiale cinese. Lo strumento cinese, però, è stato già criticato a livello internazionale per il suo livello di prezzo relativamente basso: 52,78 yuan (sono circa 8 dollari) per tonnellata di carbonio durante la prima transazione, contro i 47 euro (55 dollari) di media attualmente stimati nell’UE. 
    Pechino è il principale produttore al mondo di gas serra e il presidente cinese Xi Jinping ha fissato per la Cina l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060, un decennio dopo rispetto agli obiettivi fissati dall’Unione Europea. Secondo i piani di Pechino il mercato del carbonio sarà esteso ai produttori di cemento e alluminio a partire dal 2022. La notizia è accolta con favore da Bruxelles, dove si tenta di dar vita a una alleanza globale sul prezzo del carbonio che potrebbe essere stabilita alla prossima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite, la COP26 in programma a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre sotto la presidenza di Boris Johnson.
    “La Commissione Europea continua a sostenere la Cina nello sviluppo di un sistema nazionale di scambio delle emissioni efficace ed efficiente che contribuisca all’attuazione degli obiettivi climatici cinesi”, ha scritto su twitter il vicepresidente esecutivo per il Green Deal, Frans Timmermans.

    Today I congratulated China on starting its national emission trading market. The @EU_Commission continues to support China in developing an effective and efficient nationwide emissions trading system that contributes to implementing the Chinese climate objectives.
    — Frans Timmermans (@TimmermansEU) July 16, 2021

    Il nuovo CBAM dell’UE è una delle dodici proposte legislative avanzate la settimana scorsa dalla Commissione UE nel pacchetto Fit for 55. Dare un prezzo alle emissioni di CO2 importate in UE dovrebbe avere proprio questo scopo: indurre gli altri partner globali a introdurre misure climatiche altrettanto stringenti. “Una misura di diplomazia climatica”, dice Bruxelles. Se tutti avessero un meccanismo di scambio di quote di emissioni simile all’ETS europeo non ci sarebbe bisogno di un dazio sulle importazioni. Il CBAM non è ancora operativo (non lo sarà prima del 2026) ma già fa discutere. Se la Cina si sta adeguando all’idea di un ETS cinese, la misura non è stata accolta altrettanto bene in Australia. “L’ultima cosa di cui il mondo ha bisogno ora è che vengano messe in campo ulteriori misure protezionistiche”, ha detto il ministro del commercio australiano Dan Tehan, all’indomani della presentazione da parte di Bruxelles. A detta del ministro, l’Europa starebbe “imponendo unilateralmente la propria visione a tutti gli altri Paesi”.
    L’argomento entra nel vivo anche negli Stati Uniti, l’altro grande partner che l’UE vuole portare sulla stessa strada. Il partito democratico del presidente statunitense Joe Biden ha proposto, nel giorno della presentazione da parte della Commissione europea (14 luglio), un’analoga carbon tax alle frontiere negli Stati Uniti. Il New York Times scrive che ancora non sono noti i dettagli della potenziale tassa statunitense, e dunque non è ancora certo se sia simile all’iniziativa europea. Da quando Biden è salito alla Casa Bianca a gennaio, Bruxelles ha avviato il dialogo con gli USA su questo argomento ed evitare possibili frizioni commerciali con un partner appena ritrovato. L’inviato speciale Usa per il clima, John Kerry, si è detto in più di una occasione “preoccupato” per i piani di Bruxelles, affermando che il meccanismo di aggiustamento del carbonio dovrebbe essere solo una soluzione di “ultima risorsa”.

    Parte l’Ets del primo produttore al mondo di CO2, anche se non mancano le critiche per il prezzo delle emissioni più basso rispetto a quello europeo. Timmermans: “Pronti a sostenere la Cina nello sviluppo di un sistema nazionale per l’attuazione degli obiettivi climatici cinesi”