More stories

  • in

    Voice of Europe, perquisite casa e ufficio di un funzionario del Parlamento Ue

    Bruxelles – L’ombra della Russia e il sospetto di interferenze nel Parlamento europeo scuotono la capitale dell’Unione europea. La procura federale del Belgio ha condotto perquisizioni a casa di un funzionario dell’europarlamento a Schaarbek, uno dei comuni di Bruxelles capitale, e nell’ufficio dell’istituzione comunitaria. L’inchiesta è legata alla vicenda ‘Voice of Europe’, testata oscurata e sanzionata per la diffusione di propaganda russa.Secondo il quotidiano tedesco Der Spiegel, le perquisizioni avrebbero riguardato un dipendente dell’eurodeputato olandese populista di destra Marcel de Graaff al Parlamento europeo a Bruxelles. Si tratterebbe dell’ufficio del collaboratore di de Graaff Guillaume Pradoura, che ha in passato lavorato anche per l’eurodeputato dell’AfD Maximilian Krah.Secondo le informazioni diffuse dagli inquirenti belgi, nel più ampio quadro di indagini su membri del Parlamento europeo vvicinati e pagati per promuovere la propaganda russa tramite il Voice of Europe, “vi sono indicazioni che il dipendente del Parlamento europeo interessato abbia svolto un ruolo significativo in tutto ciò“. Perquisizioni sono state condotte, in parallelo, anche negli uffici del Parlamento europeo a Strasburgo.

  • in

    Il Consiglio Ue rinnova di un altro anno le sanzioni contro la Siria

    Bruxelles – Avanti per un altro anno con le sanzioni contro il governo siriano di Bashar al-Assad e i suoi sostenitori. “Vista la gravità del deterioramento della situazione” nel Paese, il Consiglio dell’Ue ha deciso di rinnovare ed estendere fino all’1 giugno 2025 le misure restrittive introdotte per la prima volta a maggio 2011.  I Ventisette si dicono “profondamente preoccupati” per l’assenza di progressi. “Dopo più di 13 anni – recita la nota di accompagnamento alla decisione – il conflitto rimane fonte di sofferenza e instabilità per il popolo siriano e per la regione”. In questo contesto, il Consiglio ritiene che “il regime siriano continua a perseguire una politica di repressione e violazione dei diritti umani”. Risulta quindi “opportuno e necessario mantenere le misure restrittive in vigore“.

  • in

    Ue e Nato pronti per il contrattacco di Kiev. “L’Ucraina può colpire obiettivi militari in Russia”

    Bruxelles – Non solo difesa. L’Ucraina può sparare in Russia, colpire obiettivi militari russi anche utilizzando quello che la Nato mette a disposizione di Kiev. Per il conflitto russo in Ucraina si aprono nuovi scenari, ancora più di guerra, ma è proprio quest’ultima, la guerra, a imporre le sue ‘logiche’. “Questa è una guerra, e secondo il diritto internazionale l’Ucraina ha il diritto di difendersi e questo implica anche raid su obiettivi militari in Russia“, scandisce il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, al suo arrivo in Consiglio Ue per la riunione dei ministri della Difesa dei Ventisette.Il tempo di pensare in termini di offesa e contrattacco sono giunti. Il presidente ucraino, a Bruxelles per  visite e incontri istituzionali, incassa il sostegno dei partner occidentali ad andare avanti attraverso un rinnovato sostegno, forte del via libera dell‘Assemblea parlamentare della Nato alla rimozione dei vincoli di utilizzo di mezzi ed equipaggiamenti forniti. A grande maggioranza viene votata la dichiarazione che esorta i 32 governi dei Paesi dell’Alleanza a di “sostenere l’Ucraina nel suo diritto internazionale di difendersi eliminando alcune restrizioni sull’uso delle armi fornite dagli alleati della NATO per colpire obiettivi legittimi in Russia“.Per la ministra della Difesa dei Paesi Bassi, Kaija Ollongren, nulla di straordinario. “L’Ucraina è in guerra e deve difendersi”, ricorda. “Attacchi ucraini in suolo russo è qualcosa che non ho mai escluso, è fisiologico” perché la diretta conseguenza di un conflitto armato tra due parti. Mentre a nome dell’Unione europea, l’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, arriva piena disponibilità ad andare avanti lungo il nuovo corso. Anche considerando l’apertura di un nuovo fronte a nord, verso Karchiv. “I nuovi sviluppi sul campo rendono la nostra assistenza militare ancora più importante“, sottolinea Borell, che annuncia per il Consiglio europeo di giugno le proposte di finanziamento per l’industria europea della difesa necessarie per tradurre in realtà la strategia annunciata a febbraio.

  • in

    L’Ue vara il ‘pacchetto Navalny’: stop all’export di tutto ciò che può servire alla repressione in Russia

    Bruxelles – Mai più altri Alexsey Navalny. L’Unione europea vara un nuovo pacchetto di sanzioni tutto speciale contro Mosca, volto a fermare la macchina di repressione della Russia di Vladimir Putin. La morte di uno dei principali oppositori politici del leader russo è la molla che spinge il Consiglio dell’Ue a varare un pacchetto annunciato. Scatta la messa al bando di tutto ciò che può essere utilizzato ai fini di repressione, tortura, violazione dello Stato di diritto, e che quindi non potrà essere venduto alla federazione russa. Si tratta di un divieto alle esportazioni di merci, ma anche programmi informatici e dispositivi quali apparecchi radio e monitor.Il via libera garantito oggi (27 maggio) prevede anche l’iscrizione nella lista nera dell’Ue del Servizio penitenziario federale della Federazione Russa (Fsin). Si tratta dell’autorità centrale che gestisce il sistema carcerario russo, “noto per i suoi diffusi e sistematici abusi e maltrattamenti contro i prigionieri politici in Russia”, critica il Consiglio dell’Ue. In quanto agenzia federale, la FSIN è responsabile delle colonie penali, già inserite tra le entità soggette a sanzioni, in cui il politico dell’opposizione russa Alexei Navalny è stato detenuto con accuse politicamente motivate ed è infine morto il 16 febbraio 2024.Le decisioni prese a Bruxelles sono obbligate, spiega l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell. La morte di Navalny, sottolinea, “stata un altro segno dell’accelerazione e della repressione sistematica da parte del regime del Cremlino”. Come Unione europea, promette, “non risparmieremo alcuno sforzo per chiedere conto alla leadership politica e alle autorità russe” per la morte dell’oppositore politico e il rispetto dei diritti umani nel Paese, “anche attraverso questo nuovo regime di sanzioni, prendendo di mira coloro che limitano il rispetto e violano i diritti umani in Russia”.Per questo motivo l’Unione europea colpisce anche tutti quei giudici ritenuti responsabili o corresponsabili per la morte in carcere di Navalny. Per loro non sarà possibile mettere piede su suolo comunitario, e per tutti, singoli individui e autorità penitenziaria nazionale, scatterà il congelamento degli eventuali beni detenuti in uno dei Ventisette Stati membri.

  • in

    Orbán stende il tappeto rosso per “l’amico di lunga data” Xi Jinping. Cina e Ungheria firmano 16 accordi di cooperazione

    Bruxelles – Si conclude tra le sventolanti bandiere cinesi di Budapest il tour europeo di Xi Jinping. Dopo il trilaterale con Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen a Parigi e la visita in Serbia, il presidente della Cina è ospite oggi (9 maggio) dell’amico “di lunga data” ungherese. Per l’occasione del 75esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Pechino e Budapest (e della festa dell’Europa, per uno strano scherzo del destino) il primo ministro Viktor Orbán e Xi firmeranno 16 accordi di cooperazione, che inaugurano una nuova fase dei rapporti tra il gigante asiatico e il suo più stretto alleato nell’Unione europea.Il premier cinese e la moglie, Peng Liyuan, sono stati ricevuti in mattinata dal presidente ungherese Tamas Sulyok nel palazzo presidenziale, per poi dirigersi – accompagnati lungo il percorso da centinaia di persone che sventolavano bandiere cinesi e ungheresi – alla volta del castello di Buda, dove hanno sfilato su un tappeto rosso mentre risuonavano gli inni nazionali. Alla cerimonia hanno partecipato numerosi funzionari dei due Paesi, tra cui il primo ministro Orbán.Bandiere cinesi e ungheresi davanti al Castello di Buda a Budapest (Photo by Attila KISBENEDEK / AFP)Gli accordi – annunciati nei giorni scorsi dal governo ungherese – riguardano un ampio ventaglio di settori: dalle infrastrutture ferroviarie e stradali, all’energia nucleare e all’automobile. Budapest attira da anni numerose aziende cinesi e grandi progetti di produzione di veicoli elettrici e batterie. Investimenti per decine di miliardi di euro, di cui l’opposizione ungherese ha denunciato l’opacità dei contratti, l’impatto ambientale delle fabbriche e la corruzione. Investimenti che arricchirebbero lo stretto “circolo di Orbán”.Secondo i dati dell’Observatory of Economic Complexity (Oec), nel 2022 il surplus commerciale della Cina con l’Ungheria è stato di quasi 8 miliardi di dollari: Budapest ha importato beni dalla Repubblica Popolare per un valore di 10,5 miliardi (il 6,88 per cento del totale delle importazioni, seconda solo alla Germania), mentre l’export verso la Cina si è fermato a 2,89 miliardi di dollari. Una forbice in costante aumento negli ultimi anni che – sommata alla serie di contratti miliardari che Orbán ha firmato con Pechino – è stata definita dall’Ispi “una trappola del debito” con la Cina.Ma il legame sempre più stretto con la Cina fa parte della politica perseguita da Orbán fin dal 2010, che guarda a Est e fa l’occhiolino a Mosca oltre che a Pechino. Sul conflitto in Ucraina, la posizione di Orbán è molto più vicina a quella della Cina rispetto a quella dell’Unione europea, come dimostrano i recenti scontri tra gli altri 26 e l’Ungheria sulle sanzioni al Cremlino e sul fondo per l’Ucraina. In un editoriale pubblicato sul quotidiano ungherese filogovernativo Magyar Nemzet prima del suo arrivo, Xi Ha elogiato i 75 anni di relazioni diplomatiche in cui “Cina e Ungheria sono rimaste buone amiche e hanno imparato l’una dall’altra”, proponendo “una maggiore fiducia politica reciproca” e la guida congiunta della “cooperazione regionale e il mantenimento della giusta direzione delle relazioni Cina-Europa” al fine di “unire le forze per affrontare le sfide globali”.Dichiarazioni zuccherine che ricalcano quelle di pochi giorni fa a Belgrado tra il presidente cinese e l’omologo serbo, Aleksandar Vučić. Anche in quell’occasione, i due leader hanno siglato un totale di 28 accordi e protocolli d’intesa dalle infrastrutture alla cultura, dallo sport alla tecnologia. Accordi che non possono non impensierire Bruxelles, non proprio in linea con la richiesta di una maggiore cooperazione per “evitare incomprensioni” che von der Leyen e Macron hanno rivolto a Xi nella prima tappa del suo tour europeo.

  • in

    Il Belgio prova a convincere l’Ue a bandire il ‘made in Israel’ proveniente dai territori palestinesi occupati

    Bruxelles – Bandire i prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati. La presidenza belga del Consiglio dell’Ue prova a guidare quella che sarebbe una risposta senza precedenti al livello di Unione europea contro il partner della regione mediorientale. E’ il primo ministro del Belgio, Alexander De Croo, parlando ai media belgo-fiamminghi, a rivelare come si stia adoperando per convincere gli Stati membri dell’Ue a cancellare l’import ‘made in Israel’, con datteri, vino e olio d’oliva nel mirino.De Croo punta il dito contro la risposta dello Stato ebraico agli attacchi del 7 ottobre scorso. Dopo 35mila morti tra la popolazione palestinese e una violenza sta aumentando non solo nella Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania, “è difficile per i paesi europei dire che continueremo ad agire come se nulla stesse accadendo“, sostiene il primo ministro belga. Il Belgio, che ha sostenuto il procedimento del Sudafrica contro Israele avviato alla Corte di giustizia internazionale dell’Aia con l’accusa di genocidio, vorrebbe una risposta ferma e decisa, sa che un’azione unilaterale avrebbe “effetto zero”, e quindi cerca di compattare il blocco dei Ventisette.Immaginarsi di avere un consenso unanime su una decisione di sanzioni contro Israele è arduo, e l’obiettivo della presidenza belga è quello di avere “almeno un grande gruppo di paesi che sono disposti a fare questo passo”. De Croo si mostra fiducioso. “Ci sono un certo numero di paesi che sono aperti al nostro ragionamento“, sostiene. Partendo da questo gruppi di Paesi, che non nomina, si cerca di spingersi oltre. “Stiamo cercando di andare oltre quel gruppo di Paesi che la pensano allo stesso modo, penso che sia logico cercare di convincere altri Paesi”.La presa di posizione di De Croo si spiega anche con ragioni di governo. All’interno della coalizione i partiti Ecolo, Groen (verdi francofoni e fiamminghi), Vooruit (socialisti fiamminghi) e Cd&V (cristiano-democratici fiamminghi) avevano già chiesto lo stop all’acquisto di prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati, ma sono stati i liberali francofoni (Mr) a frenare su questa richiesta. Richiesta che non è caduta nel vuoto, e ora il premier belga ci prova.

  • in

    Borrell: “Ue non considera sanzioni contro funzionari israeliani”

    Bruxelles – Niente linea dura nei confronti di Israele per come lo Stato ebraico sta gestendo la risposta agli attacchi del 7 ottobre nei territori palestinesi, niente sanzioni nei confronti di funzionari dell’esercito o del governo di Tel Aviv. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, respinge l’idea di azioni di questo tipo. “L’Unione europea non sta prendendo in considerazione misure restrittive nei confronti dei funzionari israeliani“, scandisce rispondendo a un’interrogazione parlamentare che arriva dai banchi de la Sinistra.Si chiedono lumi su come la Commissione intende fare pressione su Israele affinché vengano rispettati diritti umani e sentenze della Corte internazionale di giustizia, e la risposta che arriva da Bruxelles è all’insegna del dialogo e del convincimento. Neppure la sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele è in discussione, ammette Borrell. Perché, spiega, così hanno deciso gli Stati membri dell’Ue. “Il Consiglio ha convenuto di continuare a seguire da vicino la questione e di invitare il ministro degli Esteri israeliano a una discussione” in merito alla gestione della risposta di Israele, considerata dall’Ue legittima per quanto sproporzionata.Che la situazione, soprattutto sul fronte umanitario, che si sta deteriorando sempre di più, continua a non essere motivo di linea dura da parte degli europei. Che si limitano a richiamo verbali. “L’Ue – continua l’Alto rappresentante – sottolinea costantemente l’importanza di garantire la protezione di tutti i civili in ogni momento, in linea con il diritto internazionale umanitario”. In tal senso “l’Ue ha costantemente chiesto pause umanitarie prolungate”.

  • in

    Ucraina, dopo lo sblocco dei fondi Usa tocca all’Ue accontentare Zelensky. Borrell: “Sui Patriot decidono gli Stati membri”

    Bruxelles – Il momento è di quelli cruciali, per dirla con le parole di Josep Borrell si percepisce “un chiaro senso di urgenza”. Il via libera del Congresso americano a 60,8 miliardi per l’Ucraina può risollevare le sorti del conflitto con Mosca. A patto che anche l’Ue alzi l’asticella del proprio supporto militare a Kiev. Il nodo più importante gira intorno ai sistemi di difesa antiaerea chiesti a più riprese dal presidente Zelensky. Ma “a Bruxelles non ci sono Patriot, sono nelle capitali – ha sintetizzato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri -, spetta a loro prendere la decisione”.Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, interviene al Consiglio Affari EsteriPer rispondere alla chiamata del presidente ucraino, Borrell ha convocato il Consiglio Ue Affari Esteri nel formato ‘Jumbo’, ovvero con la partecipazione dei ministri della Difesa dei 27. E con gli omologhi di Kiev, che hanno aggiornato il Consiglio sulla situazione sul campo. “Le cifre sono spaventose”, ha commentato Borrell. La Russia ha intensificato gli attacchi con missili, droni e bombe teleguidate. Di queste ultime, l’Ucraina ne ha contate “7 mila in quattro mesi, che significa 60 al giorno”.Per respingere l’aggressione russa, Zelensky ha insistito sulla necessità di ricevere altri 25 sistemi Patriot, oltre a quelli già inviati nei mesi scorsi da Washington e Berlino. Con lo sblocco dei finanziamenti per Kiev, il Pentagono ha già fatto sapere di essere pronto a mandare la prima fornitura bellica nel giro di pochi giorni: nuovi pezzi di artiglieria, comprese le munizioni da 155 mm, e appunto sistemi di difesa aerea. Il 13 aprile anche il cancelliere tedesco Olof Scholz ha annunciato che fornirà una nuova batteria di Patriot a Kiev. “Sono lieto che alcuni Stati membri abbiano manifestato la volontà di contribuire o sostenere le iniziative già in corso”, ha dichiarato a margine della riunione Borrell, riferendosi appunto all’iniziativa tedesca sui Patriot e di quella della Repubblica Ceca sull’acquisto di munizioni per l’Ucraina.Il capo della diplomazia europea ha messo in chiaro che Bruxelles non può fare altro che “porre la questione molto in alto”, perché le decisioni spettano ai singoli Stati membri. I ministri “sono tornati nelle capitali con una chiara comprensione delle esigenze e sono sicuro che prenderanno delle decisioni“, ha assicurato. L’Italia, che insieme alla Francia aveva inviato a Kiev il sistema di difesa antiaerea Samp-T (di produzione italo-francese), “farà tutto il possibile per aiutare l’Ucraina e per dare le risposte anche attraverso gli strumenti che abbiamo”, ha garantito il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.Ma così come Roma non vuole lasciare sguarnito il proprio territorio nazionale e soprattutto non può privarsi dei sistemi posti a protezione del G7, anche altre capitali tentennano: secondo quanto riportato dal Financial Times, Madrid e Atene dispongono di oltre una dozzina di sistemi Patriot, ma il portavoce del governo greco ha messo in chiaro che “non verrà intrapresa alcuna azione che possa anche solo lontanamente mettere in pericolo le capacità di deterrenza o di difesa aerea della nostra nazione”.