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    Il Belgio prova a convincere l’Ue a bandire il ‘made in Israel’ proveniente dai territori palestinesi occupati

    Bruxelles – Bandire i prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati. La presidenza belga del Consiglio dell’Ue prova a guidare quella che sarebbe una risposta senza precedenti al livello di Unione europea contro il partner della regione mediorientale. E’ il primo ministro del Belgio, Alexander De Croo, parlando ai media belgo-fiamminghi, a rivelare come si stia adoperando per convincere gli Stati membri dell’Ue a cancellare l’import ‘made in Israel’, con datteri, vino e olio d’oliva nel mirino.De Croo punta il dito contro la risposta dello Stato ebraico agli attacchi del 7 ottobre scorso. Dopo 35mila morti tra la popolazione palestinese e una violenza sta aumentando non solo nella Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania, “è difficile per i paesi europei dire che continueremo ad agire come se nulla stesse accadendo“, sostiene il primo ministro belga. Il Belgio, che ha sostenuto il procedimento del Sudafrica contro Israele avviato alla Corte di giustizia internazionale dell’Aia con l’accusa di genocidio, vorrebbe una risposta ferma e decisa, sa che un’azione unilaterale avrebbe “effetto zero”, e quindi cerca di compattare il blocco dei Ventisette.Immaginarsi di avere un consenso unanime su una decisione di sanzioni contro Israele è arduo, e l’obiettivo della presidenza belga è quello di avere “almeno un grande gruppo di paesi che sono disposti a fare questo passo”. De Croo si mostra fiducioso. “Ci sono un certo numero di paesi che sono aperti al nostro ragionamento“, sostiene. Partendo da questo gruppi di Paesi, che non nomina, si cerca di spingersi oltre. “Stiamo cercando di andare oltre quel gruppo di Paesi che la pensano allo stesso modo, penso che sia logico cercare di convincere altri Paesi”.La presa di posizione di De Croo si spiega anche con ragioni di governo. All’interno della coalizione i partiti Ecolo, Groen (verdi francofoni e fiamminghi), Vooruit (socialisti fiamminghi) e Cd&V (cristiano-democratici fiamminghi) avevano già chiesto lo stop all’acquisto di prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati, ma sono stati i liberali francofoni (Mr) a frenare su questa richiesta. Richiesta che non è caduta nel vuoto, e ora il premier belga ci prova.

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    Borrell: “Ue non considera sanzioni contro funzionari israeliani”

    Bruxelles – Niente linea dura nei confronti di Israele per come lo Stato ebraico sta gestendo la risposta agli attacchi del 7 ottobre nei territori palestinesi, niente sanzioni nei confronti di funzionari dell’esercito o del governo di Tel Aviv. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, respinge l’idea di azioni di questo tipo. “L’Unione europea non sta prendendo in considerazione misure restrittive nei confronti dei funzionari israeliani“, scandisce rispondendo a un’interrogazione parlamentare che arriva dai banchi de la Sinistra.Si chiedono lumi su come la Commissione intende fare pressione su Israele affinché vengano rispettati diritti umani e sentenze della Corte internazionale di giustizia, e la risposta che arriva da Bruxelles è all’insegna del dialogo e del convincimento. Neppure la sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele è in discussione, ammette Borrell. Perché, spiega, così hanno deciso gli Stati membri dell’Ue. “Il Consiglio ha convenuto di continuare a seguire da vicino la questione e di invitare il ministro degli Esteri israeliano a una discussione” in merito alla gestione della risposta di Israele, considerata dall’Ue legittima per quanto sproporzionata.Che la situazione, soprattutto sul fronte umanitario, che si sta deteriorando sempre di più, continua a non essere motivo di linea dura da parte degli europei. Che si limitano a richiamo verbali. “L’Ue – continua l’Alto rappresentante – sottolinea costantemente l’importanza di garantire la protezione di tutti i civili in ogni momento, in linea con il diritto internazionale umanitario”. In tal senso “l’Ue ha costantemente chiesto pause umanitarie prolungate”.

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    Ucraina, dopo lo sblocco dei fondi Usa tocca all’Ue accontentare Zelensky. Borrell: “Sui Patriot decidono gli Stati membri”

    Bruxelles – Il momento è di quelli cruciali, per dirla con le parole di Josep Borrell si percepisce “un chiaro senso di urgenza”. Il via libera del Congresso americano a 60,8 miliardi per l’Ucraina può risollevare le sorti del conflitto con Mosca. A patto che anche l’Ue alzi l’asticella del proprio supporto militare a Kiev. Il nodo più importante gira intorno ai sistemi di difesa antiaerea chiesti a più riprese dal presidente Zelensky. Ma “a Bruxelles non ci sono Patriot, sono nelle capitali – ha sintetizzato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri -, spetta a loro prendere la decisione”.Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, interviene al Consiglio Affari EsteriPer rispondere alla chiamata del presidente ucraino, Borrell ha convocato il Consiglio Ue Affari Esteri nel formato ‘Jumbo’, ovvero con la partecipazione dei ministri della Difesa dei 27. E con gli omologhi di Kiev, che hanno aggiornato il Consiglio sulla situazione sul campo. “Le cifre sono spaventose”, ha commentato Borrell. La Russia ha intensificato gli attacchi con missili, droni e bombe teleguidate. Di queste ultime, l’Ucraina ne ha contate “7 mila in quattro mesi, che significa 60 al giorno”.Per respingere l’aggressione russa, Zelensky ha insistito sulla necessità di ricevere altri 25 sistemi Patriot, oltre a quelli già inviati nei mesi scorsi da Washington e Berlino. Con lo sblocco dei finanziamenti per Kiev, il Pentagono ha già fatto sapere di essere pronto a mandare la prima fornitura bellica nel giro di pochi giorni: nuovi pezzi di artiglieria, comprese le munizioni da 155 mm, e appunto sistemi di difesa aerea. Il 13 aprile anche il cancelliere tedesco Olof Scholz ha annunciato che fornirà una nuova batteria di Patriot a Kiev. “Sono lieto che alcuni Stati membri abbiano manifestato la volontà di contribuire o sostenere le iniziative già in corso”, ha dichiarato a margine della riunione Borrell, riferendosi appunto all’iniziativa tedesca sui Patriot e di quella della Repubblica Ceca sull’acquisto di munizioni per l’Ucraina.Il capo della diplomazia europea ha messo in chiaro che Bruxelles non può fare altro che “porre la questione molto in alto”, perché le decisioni spettano ai singoli Stati membri. I ministri “sono tornati nelle capitali con una chiara comprensione delle esigenze e sono sicuro che prenderanno delle decisioni“, ha assicurato. L’Italia, che insieme alla Francia aveva inviato a Kiev il sistema di difesa antiaerea Samp-T (di produzione italo-francese), “farà tutto il possibile per aiutare l’Ucraina e per dare le risposte anche attraverso gli strumenti che abbiamo”, ha garantito il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.Ma così come Roma non vuole lasciare sguarnito il proprio territorio nazionale e soprattutto non può privarsi dei sistemi posti a protezione del G7, anche altre capitali tentennano: secondo quanto riportato dal Financial Times, Madrid e Atene dispongono di oltre una dozzina di sistemi Patriot, ma il portavoce del governo greco ha messo in chiaro che “non verrà intrapresa alcuna azione che possa anche solo lontanamente mettere in pericolo le capacità di deterrenza o di difesa aerea della nostra nazione”.

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    Israele ha attaccato una base militare in Iran, fonti Ue: “Impatto molto limitato, è un’azione minore”

    Bruxelles – L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ribadisce l’invito alla “massima moderazione per tutti gli attori” in seguito alle notizie dell’attacco compiuto questa mattina (19 aprile) da Israele contro una base militare a Isfahan, provincia nel centro dell’Iran. La reazione di Tel Aviv alle centinaia di missili e droni lanciati da Teheran il 13 aprile arriva nonostante l’appello del Consiglio europeo a prendere ogni precauzione per scongiurare una pericolosa escalation.Ma da Bruxelles chiudono un occhio e buttano acqua sul fuoco: “Abbiamo visto un impatto molto limitato“, ha commentato un alto funzionario Ue: “È vero che abbiamo chiesto di non fare nulla, ma è un’azione minore”. Insomma, la linea è che se fosse questa la temuta ritorsione all’attacco iraniano, allora si può tirare un sospiro di sollievo. Perché le esplosioni a Isfahan non avrebbero causato nessun danno significativo, fanno sapere le autorità iraniane, e soprattutto perché Teheran non avrebbe per ora l’intenzione di rispondere nuovamente alla provocazione.L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, a Capri per il G7 Esteri, 19/4/24L’offensiva iraniana del 13 aprile, che il regime ha dovuto lanciare in risposta al bombardamento israeliano sull’ambasciata di Teheran a Damasco, è “stato un errore strategico enorme”, ha dichiarato un alto funzionario a Bruxelles. Perché “è ovvio che Israele ora trae dall’attacco dell’Iran un vantaggio politico a Gaza”. Ha spostato l’attenzione sulla scala regionale del conflitto – mettendo in ombra la catastrofe umanitaria di Gaza – e ha inevitabilmente riavvicinato l’Occidente a Israele. Tant’è che anche a livello dei 27, mentre la distruzione dell’ambasciata iraniana in Siria da parte delle forze di difesa israeliane non è stata condannata perché “gli Stati membri la vedono in modo diverso“, gli stessi Paesi Ue hanno messo nero su bianco nelle conclusioni del vertice europeo che “prenderanno ulteriori misure restrittive contro l’Iran” in risposta alla sua pericolosa aggressività militare.L’accordo politico potrebbe arrivare già lunedì 22 aprile, in occasione della riunione dei ministri degli Esteri Ue a Lussemburgo. “Ne stiamo discutendo già da tempo. L’attacco iraniano contro Israele non ha fatto altro che rafforzare la discussione”, spiegano fonti Ue. Oltre al regime di sanzioni per le violazioni dei diritti umani, la repubblica islamica soggetta anche ad un quadro di misure restrittive per il trasferimento di droni militari verso la Russia. L’idea del Servizio di Azione Esterna dell’Ue (Seae) è quella di ampliare quest’ultimo regime inserendo anche i missili, e di estenderlo geograficamente, sanzionando cioè non solo gli apparecchi diretti a Mosca, ma anche il trasferimento di droni e missili a gruppi e organizzazioni non statali vicine a Teheran nella regione.Il Seae starebbe cercando inoltre gli appigli legali per colpire con le sanzioni non solo il trasferimento di missili e droni, ma anche la loro produzione. In ogni caso, il semaforo verde che può accendersi lunedì riguarda solo il quadro di riferimento: “Finora non ci sono nomi ed entità”, ha precisato la fonte.

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    Bruxelles chiama Washington nella corsa alle materie critiche. E avvia un’indagine sulle turbine eoliche dalla Cina

    Bruxelles – Catapultata in un ordine economico mondiale che fa sempre più paura, l’Ue si rivolge all’alleato di sempre. La commissaria europea per la Concorrenza, Margrethe Vestager, ha scelto la prestigiosa università di Princeton per lanciare l’appello agli Stati Uniti: nella corsa geopolitica alla tecnologia – con la Cina che la fa da padrone – “avere partner di cui ci si può fidare è un vantaggio competitivo”.Sull’altare della storica amicizia che lega le due sponde dell’atlantico, la commissione Ue è pronta a mettere il sempre più complicato rapporto con Pechino, “partner, concorrente economico e rivale sistemico”. La vicepresidente esecutiva della Commissione europea, invitata nella prestigiosa università americana, è stata durissima sulla Repubblica Popolare Cinese, che “non sempre gioca in modo corretto” quando si parla del mercato delle tecnologie critiche.Oltre le parole, i fatti, per convincere Washington – e il prossimo inquilino della Casa Bianca – che l’Ue non ha alcun dubbio su che parte stare. Le indagini sulle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina lanciata in ottobre, su cui “se dovessimo stabilire che queste auto elettriche sono state sovvenzionate illegalmente, imporremmo dei rimedi”, e su “offerte sospette” in diverse gare d’appalto in Bulgaria e in Romania, con aziende cinesi che “potrebbero essere state indebitamente avvantaggiate”.

    Margrethe Vestager al Consiglio Commercio e Tecnologia Ue-Usa (Photo by Johanna Geron / POOL / AFP)Ma Vestager ha rilanciato ancora, annunciando l’avvio di una nuova indagine sui fornitori cinesi di turbine eoliche. “Stiamo indagando sulle condizioni per lo sviluppo di parchi eolici in Spagna, Grecia, Francia, Romania e Bulgaria”, ha dichiarato la commissaria. Annuncio che arriva proprio nel momento in cui il ministro per il Commercio cinese è in viaggio in Europa, con l’obiettivo di – secondo quanto riportato da Reuters – di respingere l’indagine Ue sulle auto elettriche.Davanti alla platea di Princeton, Vestager ha smascherato il metodo utilizzato da Pechino per “dominare” l’industria dei pannelli solari: “In primo luogo, attirando investimenti stranieri nel suo grande mercato interno, di solito richiedendo joint venture. In secondo luogo, acquisendo la tecnologia, e non sempre in modo trasparente. Terzo, concedendo massicci sussidi ai fornitori nazionali, chiudendo contemporaneamente e progressivamente il mercato nazionale. E quarto, esportando la capacità in eccesso nel resto del mondo a prezzi bassi”.Con il risultato che solo il 3 per cento dei pannelli solari utilizzati oggi nell’Unione europea sono stati prodotti nei 27 Paesi membri. La commissaria è stata perentoria: “Non possiamo permetterci che ciò che è successo per i pannelli solari si ripeta per i veicoli elettrici, l’eolico o i chip essenziali”. Ma l’Ue ha bisogno di avere le spalle coperte, schiacciata tra i due giganti Usa e Cina. “Mentre sviluppiamo ulteriormente la strategia per le tecnologie pulite, dobbiamo riflettere sulla questione dell’affidabilità”, ha incalzato Vestager.L’Ue alla ricerca di “partner affidabili”La proposta lanciata dalla responsabile per la Concorrenza del gabinetto von der Leyen è quella di “sviluppare – a livello di G7 – un elenco di criteri di affidabilità per le tecnologie pulite critiche“. Che vanno dall’impronta ambientale nella loro produzione, ai diritti dei lavoratori fino alla sicurezza informatica. E che possano essere usati “come condizioni per determinati incentivi” o come “criteri” negli appalti pubblici.Un approccio concertato tra partner che “condividono gli stessi valori”, agli antipodi di quanto successo con l’approvazione da parte del governo di Joe Biden dell’Inflation Reduction Act, l’enorme piano di sostegno all’industria nazionale che nell’agosto del 2022 ha messo in crisi la competitività delle aziende europee. “Legando i criteri alla produzione locale invece dell’affidabilità, gli Stati Uniti hanno limitato il potenziale di scala dei produttori occidentali. E ci hanno costretti a reagire con la concessione di sussidi corrispondenti”, ha pungolato Vestager, sottolineando che in questo modo “ognuno di noi utilizza il denaro dei contribuenti per attirare o trattenere i progetti dell’altro, invece di usarlo per dare alle nostre aziende un vantaggio innovativo o competitivo in questa corsa globale”.Ma Bruxelles sembra pronta a lasciarsi alle spalle lo sgarbo di Washington, in nome di una causa comune. Che dovrà essere rinnovata dai prossimi leader sulle due sponde dell’Atlantico. Con lo spauracchio di un ritorno al potere di Donald Trump. “Mentre sia l’Ue che gli Usa entrano in periodo elettorale, vediamo l’incertezza che ci attende. Ma una cosa rimane certa: in questa corsa geopolitica alla tecnologia, avere partner di cui ci si può fidare è un vantaggio competitivo”, ha concluso Vestager.

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    L’Ue critica Israele: “Spaventoso l’attacco su operatori umanitari”

    Bruxelles – Niente scuse, Israele deve rispettare il diritto internazionale ed evitare incidenti come quelli avvenuti a danno dei sette operatori dell’ong americana World Central Kitchen, rimasti uccisi da raid israeliani mentre stavano distribuendo beni di prima necessità. L’Unione europea non ci sta, e la reazione di condanna e di presa di distanza arriva da più parti. Per la Commissione Ue a parlare sono l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per le Crisi, Janez Lenarcic. Quanto avvenuto “è spaventoso”, sostengono in una nota congiunta. Qui richiamano lo Stato ebraico all’ordine, che è giuridico e internazionale.La risoluzione 2728 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha richiesto “un cessate il fuoco immediato che porti a un cessate il fuoco sostenibile e duraturo”, ricordano i due membri del Collegio dei commissari. “Anche la Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha ordinato misure provvisorie vincolanti per le parti. L’Ue si aspetta la loro piena, immediata ed efficace attuazione“. Quindi il pro-memoria, che suona da accusa implicita di violazione di regole valide per tutti. “Ricordiamo l’obbligo israeliano, ai sensi del diritto internazionale umanitario, di proteggere gli operatori umanitari in ogni momento“. Cosa che non sta avvenendo, visto che, accusano Borrell e Lenarcic, “un elevato numero di operatori umanitari ha perso la vita dall’inizio della guerra a Gaza“.Non diversa nei toni e nelle esortazioni la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. “Siamo inorriditi per la morte degli operatori umanitari” a Gaza, riconosce pubblicamente. E, sempre pubblicamente, “a nome del Parlamento ho chiesto un’indagine imparziale sulla morte degli operatori umanitari”. Una richiesta che fa il paio con quella avanzata dall’esecutivo comunitario, che l’indagine la pretende “approfondita” così da fare piena luce sull’accaduto.

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    Borrell: “Niente affari con chi viola diritti umani nei territori palestinesi”

    Bruxelles – Non si fanno affari con gli israeliani che violano i diritti umani nei territori palestinesi. L’Unione europea su questo non transige, e chiede agli Stati membri di fare in modo che le aziende nazionali rispettino quelli che sono principi delle Nazioni Unite. E’ l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, nella risposta a un’interrogazione in materia, a prendere posizione e soprattutto, le distanze dalle politiche del governo di Benjamin Netanyahu. Intanto ribadendo un volta di più la “forte opposizione alla politica e alle attività di insediamento di Israele“.Ma è sul fronte commerciale che Borrell si esprime in modo ancora più chiaro. Ci sono principi guida su imprese e diritti umani, approvati all’unanimità dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, ricorda l’Alto rappresentante. Principi che stabiliscono la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani e impongono alle imprese, tra l’altro, di istituire un processo di condotta etica (due diligence) sui diritti umani per identificare , prevenire, mitigare e rendere conto del modo in cui affrontano il loro impatto sui diritti umani. “L’Ue ha accolto con favore” tutto questo e a Bruxelles si ritiene che “questi principi debbano essere applicati a livello globale“, scandisce ancora Borrell. Per questo motivo “l’Unione europea invita tutte le aziende, comprese quelle europee, ad attuarle in ogni circostanza, anche in Israele e nei territori palestinesi occupati“. La Commissione non ha il potere di imporre alla imprese politiche di business, ed è per questo motivo che si farà pressione sui governi affinché le imprese dei Ventisette si astengano dal sostenere un modello economico considerato lesivo dei diritti fondamentali del popolo palestinese. “Gli Stati membri hanno il ruolo primario di informare aziende e consumatori sulle imprese, sui diritti umani e sui rischi derivanti dall’operare negli insediamenti”, ricorda Borrell. Pronto a fare tutto il possibile perché gli europei non sconfessino sé stessi, come già denunciato dall’ambasciatore dell’Autorità palestinese a Bruxelles.

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    Ucraina, l’Ue promette di velocizzare consegne militari ma non c’è accordo su come finanziarle

    Bruxelles – Più sostegno sul campo attraverso la velocizzazione delle consegne militari, anche attraverso l’eventuale utilizzo degli extra-profitti generati dai beni russi congelati in Europa e la linea dura contro i Paesi terzi che aiutano la Russia a mantenere attiva la propria macchina da guerra aggirando le sanzioni. I capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’Ue vengono incontro alla richieste del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, promettendo quanto prima più munizioni, pezzi di artiglieria e sistemi di difesa anti-aerea. Un modo per rispondere alle critiche e alle accuse per un’alleanza, quella con l’Ue, considerata a Kiev come “umiliante“.Le conclusioni del primo giorno di vertice del Consiglio europeo ribadiscono l’impegno incondizionato all’Ucraina. “La Russia non deve vincere“, il messaggio politico fermo messo nero su bianco dai leader, e per questo l’Unione si dice “determinata a continuare a fornire tutto il sostegno politico, economico, finanziario, militare, umanitario e diplomatico per tutto il tempo necessario“. Si riconosce la penuria e quindi la necessità di rifornimento di munizioni e sistemi di difesa anti-aerea, per cui i Ventisette si impegnano a “velocizzare e intensificare la fornitura di tutta l’assistenza militare necessaria“.Il vero nodo resta quello pratico, vale a dire finanziario, che si scontra con le necessità e le tempistiche. Servono soldi che l’Ue non ha per far ripartire l’industria bellica europea, e i leader europei lasciano il tavolo senza alcuna soluzione pratica. Invitano Commissione e ministri competenti a “esplorare tutte le opzioni” per mobilitare finanziamenti, e fare il punto della situazione “a giugno”, in occasione del vertice del consiglio Europeo di fine mese (27 e 28 giugno). Vuol dire concedere altri tre mesi all’armata russa, durante i quali gli europei continueranno, verosimilmente, a non far partire le commesse necessarie per rifornirsi e rifornire l’Ucraina.Le conclusioni sulla difesa stridono con i proclami e gli impegni scritti nelle conclusioni dedicate all’Ucraina. Vanno inoltre lette con attenzione. “Esplorare tutte le opzioni” può far intendere che l’idea di eurobond per la difesa, e quindi creazione di debito comune per stimolare l’industria del settore, non sia del tutto esclusa. Ma nel linguaggio dei tecnici gli eurobond sono riferiti a “soluzioni innovative”, riferimento scomparso dalla conclusioni. Tra chi vorrebbe eurobond (Italia, Estonia, Lituania, Spagna) e chi invece preferisce guardare gli strumenti esistenti, preferibilmente nel bilancio comune (Germania, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia), sembra prevalere la linea di questi ultimi.Quello che ottiene Zelensky è la disponibilità dell’Unione a valutare “anche la possibilità di sostegno al finanziamento militare” attraverso l’uso degli extra-profitti derivanti dai beni russi congelati in Europa. Una proposta su cui si dovrà continuare a lavorare perché ci sia una base giuridica solida che eviti l’avvio di cause, ricorse, e le conseguenti impossibilità di aiutare militarmente Kiev e paralizzare i sistemi di giustizia nazionali. Se tutto va bene, azzarda la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, tramite extra-profitti potrebbe arrivare a Kiev “un miliardo di euro già l’1 luglio”.Resta ferma l’intenzione di fare della Banca europea per gli investimenti uno strumento utile alla causa, e aprire la strada a prestiti e finanziamenti per l’industria della difesa. Si chiede alla Bei di “adattare la propria politica” di prestiti e di “adattare la sua attuale definizione di bene a duplice-uso“. Sono proprio queste tecnologie ‘duali’ a uso civile e militare la chiave per poter aprire i rubinetti.L’Unione europea ci prova, ma ancora una volta è attesa alla prova dei fatti. Pesa l’assenza di una difesa comune, e un’Europa ancora troppo confederale. “Il sostegno militare e l’impegno alla sicurezza saranno forniti nel pieno rispetto  della politica di sicurezza e difesa di determinati Stati membri e tenendo conto degli interesse nella sicurezza e nella difesa di tutti gli Stati membri”. Vuol dire che il rischio di procedere in modo disordinato è ancora sul tavolo, e questo potrebbe giocare a favore di Putin.