More stories

  • in

    Baerbock: la guerra della Russia in Ucraina ha fatto ripensare la Germania sul suo ruolo nel Mondo

    Bruxelles – L’invasione russa dell’Ucraina ha cambiato il modo in cui la Germania considera la sicurezza e ha fatto capire a Berlino di aver sbagliato a non ascoltare gli alleati dell’Europa orientale, che avevano messo in guardia dalle minacce di Mosca, ha scritto Annalena Baerbock, ministra degli Esteri tedesca, oggi sul Guardian.
    Ammettendo i difetti della politica estera tedesca del dopoguerra, l’esponente dei Verdi afferma che i Paesi dell’Europa orientale hanno avuto ragione ad avvertire la Germania che sperare nel meglio per affrontare le minacce di una Russia autocratica non era una risposta adeguata. Per troppo tempo, scrive, la Germania ha fatto ricorso alla “diplomazia del libretto degli assegni”, ovvero alla convinzione che l’interazione politica ed economica avrebbe condotto la Russia verso un percorso democratico, ora invece “sappiamo che nel prossimo futuro la Russia del Presidente Putin rimarrà una minaccia per la pace e la sicurezza nel nostro continente e che dobbiamo organizzare la nostra sicurezza contro la Russia di Putin, non con essa”.
    Scrivendo prima del vertice della Nato a Vilnius e subito dopo la pubblicazione di una nuova strategia di sicurezza nazionale tedesca, Baerbock afferma che “noi tedeschi non dimenticheremo mai che dobbiamo la nostra libertà in un Paese riunificato anche ai nostri alleati e ai nostri vicini orientali. Così come loro ci sono stati per noi, noi ci saremo per loro ora, perché la sicurezza dell’Europa orientale è la sicurezza della Germania”.
    Ci sono stati dubbi sul fatto che la Germania potesse assumere un ruolo di leadership militare in Europa data la sua storia, ma Baerbock ha detto che la guerra in Ucraina ha costretto la Germania, a volte con sua stessa sorpresa, a rivalutare il suo ruolo e le sue responsabilità: “Dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, scatenati dai tedeschi, la politica estera del nostro Paese era guidata dalla premessa che la guerra non avrebbe mai più dovuto provenire dal suolo tedesco”.
    Ma è chiaro che le cose sono cambiate: “Solo due anni fa, l’idea che la Germania consegnasse carri armati, sistemi di difesa aerea e obici in una zona di guerra sarebbe sembrata a dir poco inverosimile. Oggi la Germania è uno dei principali fornitori di armi per l’autodifesa dell’Ucraina”. Secondo Baerbock “la guerra di aggressione della Russia ha segnato una frattura nel mondo. Per il mio Paese ha aperto un nuovo capitolo, ridefinendo il modo in cui cerchiamo di promuovere la pace, la libertà e la sostenibilità in questo mondo: come partner che abbraccia la sua leadership”.

    L’intervento della ministra degli Esteri tedesca sul Guardian: “Per troppo tempo abbiamo ricorso alla diplomazia del libretto degli assegni”

  • in

    Dumoulin (Ecfr): Le concessioni di Putin a Prigozhin aprono a sfide ancor più radicali

    Bruxelles – Cosa è successo nel fine settimana in Russia? Al di là della cronaca, oramai nota (almeno per grandi linee) cosa ha significato la “ribellione” (se questa è stata) di Yevgeny Prigozhin? Ne parla Marie Dumoulin, direttrice del programma per l’Europa allargata dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr).
    “L’ammutinamento del fine settimana segna la fine del fenomeno Prigozhin così come lo conoscevamo. Aveva fatto molto affidamento sulle risorse governative, che probabilmente non saranno più a sua disposizione. Prima del febbraio 2022, l’attività principale di Wagner – ricorda Dumoulin – era quella di offrire protezione ai governi stranieri, come nella Repubblica Centrafricana o in Mali, contro i gruppi armati rivali che minacciavano il loro potere. Dopo la marcia su Mosca, Wagner probabilmente non rimarrà un fornitore di sicurezza credibile per i leader stranieri. Il modello subirà quindi cambiamenti fondamentali”.
    Secondo l’analista “la capacità di Prigozhin di mantenere le attività di Wagner all’estero sarà cruciale per comprendere il suo rapporto con la leadership russa. Le compagnie militari private non dovrebbero esistere in Russia, poiché non esiste uno status giuridico applicabile. Si presume generalmente che la Wagner sia stata fondata in stretta collaborazione con l’agenzia militare estera russa (Gru), fornendo un accordo utile per condurre azioni al di fuori dei confini russi con un certo grado di negabilità (da parte delle autorità russe, ndr) plausibile”.
    Dumoulin ritiene che con l’azione di sabato “formalmente, il potere di Vladimir Putin non è stato minacciato, ma la sua autorità è stata esplicitamente e radicalmente messa in discussione. Non è la prima volta: Anche il ritorno di Navalny in Russia all’inizio del 2021, dopo il tentativo di avvelenamento, ha rappresentato una sfida all’autorità di Putin, poiché Navalny ha affermato la sua capacità di stabilire l’agenda. Ma questa era una sfida politica. La marcia di Prigozhin su Mosca è stata molto più radicale e violenta. Il fatto che Putin sia disposto a fare concessioni di fronte alla violenza potrebbe preannunciare ulteriori sfide di natura ancora più radicale“.
    “La sfida – sottolinea la studiosa – è arrivata da una persona percepita come vicina a Putin, anche se Prigozhin non è mai stato un vero insider. Per questo motivo il suo tentativo di marciare su Mosca è stato definito da Putin ‘tradimento’. Tuttavia, è probabile che abbia chiarito a molti all’interno del sistema russo che il ‘divide et impera’ di Putin stava diventando pericoloso per il sistema stesso”.
    Gli eventi di questo fine settimana “hanno anche messo in discussione uno degli elementi centrali della narrativa di Putin da quando è al potere: ha costruito il suo governo sull’idea di portare stabilità e ordine nel Paese dopo il caos degli anni Novanta. Finché la guerra è rimasta lontana per la maggior parte dei russi, questa narrazione ha potuto reggere. Tuttavia ritiene Dumoulin -, una ribellione da parte di un gruppo paramilitare non si allinea bene con questa narrazione”.
    “Non mi aspetto che questi eventi abbiano un impatto diretto sulle operazioni in Ucraina – conclude l’analista di Ecfr -, ma probabilmente influenzeranno il morale dell’esercito russo e potrebbero persino portare a mettere in discussione la loro fedeltà alla leadership politica. Prigozhin ha espresso preoccupazioni riguardo agli obiettivi della ‘operazione militare speciale’ e alla condotta delle operazioni. Queste preoccupazioni sono probabilmente condivise da una parte dell’esercito russo“.

    Secondo la direttrice del programma per l’Europa allargata dell’European Council on Foreign Relations il capo della Wagner “ha espresso preoccupazioni riguardo agli obiettivi e alla gestione della ‘operazione militare speciale’. Queste preoccupazioni sono probabilmente condivise da una parte dell’esercito russo”

  • in

    In Ungheria è andato in scena uno strano trasferimento di prigionieri ucraini dalla Russia. L’Ue: “Budapest chiarisca”

    Bruxelles – È oscura la vicenda del trasferimento in Ungheria di 11 prigionieri di guerra ucraini nelle mani dell’esercito russo fino al 9 giugno. Non si è trattato di un normale scambio di ostaggi mediato da un Paese terzo (per quanto l’Ungheria sia un membro dell’Unione Europea e a livello teorico nettamente schierato sulla guerra in corso), dal momento in cui tutta l’operazione è avvolta dal mistero e di certo c’è solo che non è stata coordinata con Kiev. È un trasferimento strano perché è stato proposto dalla Chiesa ortodossa russa, perché il governo ungherese sostiene di non saperne nulla, ma allo stesso tempo quello ucraino lo accusa di non permettere i contatti con i suoi soldati.
    Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán
    “Le autorità competenti dell’Ungheria devono spiegare alle controparti ucraine cosa è accaduto, come è accaduto, chi è stato coinvolto, qual è stato il ruolo dell’Ungheria e come è stato gestito con l’Ucraina”, Paese i cui cittadini “sono stati fatti prigionieri di guerra dall’aggressore russo”. È quanto messo in chiaro oggi (21 giugno) nel corso del punto con la stampa di Bruxelles dal portavoce del Servizio per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, rispondendo alle perplessità dei giornalisti sul fatto che un membro dell’Unione possa aver tenuto all’oscuro gli altri 26 Paesi membri e soprattutto l’Ucraina su un’operazione di rilascio di prigionieri di guerra con l’esercito di Vladimir Putin (a fronte di quale prezzo al momento non è dato sapere). “Chiederemo alle autorità ungheresi maggiori informazioni su quanto accaduto”, ha anticipato il portavoce, precisando che “spetta loro spiegare alle autorità ucraine i dettagli e la partecipazione su questo caso“.
    A quanto si apprende da funzionari del governo ungherese, il trasferimento degli 11 prigionieri di guerra ucraini sarebbe stato organizzato dalla Chiesa ortodossa russa e dal Servizio di beneficenza ungherese dell’Ordine di Malta, senza il coinvolgimento del governo di Budapest né con il coordinamento di Kiev. I soldati sarebbero tutti originari della Transcarpazia, regione sud-occidentale dell’Ucraina con una consistente comunità ungherese, di cui solo tre sono stati rimpatriati ieri (20 giugno) nel Paese. Da Kiev son arrivate accuse al governo Orbán per aver organizzato un’operazione segreta con il fine di aumentare la propria popolarità interna, impedendo al governo ucraino di mettersi in contatto con i membri del suo esercito. Dal capo di gabinetto del premier ungherese, Gergely Gulyas, è arrivata una netta smentita: “Non sono prigionieri di guerra da un punto di vista legale in Ungheria, possono lasciare il Paese in qualsiasi momento, non li controlliamo o monitoriamo”.
    Il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán
    A prescindere dal coinvolgimento delle autorità ungheresi (anche se l’eventualità rappresenterebbe uno scenario sconcertante per un Paese membro dell’Ue), è evidente che i rapporti tra Kiev e Budapest – ma anche tra Bruxelles e Budapest – sono ai minimi storici. Il premier Orbán non ha mai nascosto le sue simpatie per l’autocrate russo Putin, con cui ha ancora forti legami politici ed economici mai recisi nemmeno con l’invasione dell’Ucraina dal 24 febbraio 2022. L’Ungheria è sempre una spina nel fianco dell’Unione quando si tratta di dare il via libera a nuove sanzioni contro Mosca e negli ultimi mesi anche allo stanziamento di nuovi finanziamenti a Kiev, ma soprattutto sul piano energetico (una delle sfide più grandi per l’Ue nell’affrontare la dipendenza dalle fonti fossili russe). Il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjártó, è stato il primo politico di un Paese membro a recarsi a Mosca per stringere un accordo per maggiori forniture di gas rispetto ai volumi previsti dal contratto a lungo termine che dal 2021 lega Budapest e Mosca. Il tutto quando manca un anno all’avvio della presidenza di turno ungherese del Consiglio dell’Ue: dal primo luglio 2024 il governo Orbán avrà in mano le chiavi di una delle tre istituzioni comunitarie per sei mesi.

    La Commissione Europea vuole che il governo di Viktor Orbán spieghi “cosa è accaduto, come è accaduto, chi è stato coinvolto” nella vicenda del trasferimento segreto di 11 soldati rilasciati su proposta della Chiesa ortodossa russa in un’operazione non coordinata con Kiev

  • in

    Riforme, adesione e 50 miliardi al 2027 per la ricostruzione. Il futuro dell’Ucraina nell’Ue secondo von der Leyen

    Bruxelles – Corrono lungo due direttrici parallele gli sforzi per la ricostruzione internazionale dell’Ucraina e quelli per l’adesione di Kiev all’Unione Europea. “Ogni giorno vediamo la volontà degli ucraini di rinascere dalle ceneri, nei campi di battaglia, nelle strade e ovunque per costruire il proprio futuro”, ha sottolineato oggi (21 giugno) la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla Conferenza internazionale sulla ripresa dell’Ucraina a Londra, parlando dei tentativi dei cittadini “non solo per ricostruire quello che c’era, ma anche per rimodellare il proprio Paese, stanno immaginando di nuovo il proprio futuro con le energie pulite e con le bandiere dell’Ue sventolare sopra le proprie città”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla Conferenza internazionale sulla ripresa dell’Ucraina Londra (21 giugno 2023)
    Rispondendo alla richiesta del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, di “passare dai principi agli accordi, dagli accordi a veri e propri piani concreti”, la numero uno dell’esecutivo comunitario ha messo in chiaro a Londra che lo sforzo internazionale servirà per “rendere possibile il sogno di un’Ucraina più pulita, più verde e più moderna, l’ultima eredità di questa atroce guerra”. In primo luogo c’è l’aspetto finanziario “come comunità coordinata sotto forma di una piattaforma innovativa che veicolerà fondi per le riforme e le priorità” di Kiev, in modo tale che “gli aiuti vadano esattamente dove l’Ucraina ne ha più bisogno”. Se per il 2023 la Commissione Ue ha già messo sul piatto 18 miliardi di euro – “e abbiamo chiuso il gap di deficit con altri donatori” – è la prospettiva di medio periodo che preoccupa Bruxelles. Secondo le stime fornite dalla stessa presidente von der Leyen, al 2027 l’Ucraina avrà un buco di 60 miliardi di euro e 50 miliardi per i bisogni immediati: “Al momento è previsto un totale di 110 miliardi di euro“. È per questo motivo che nella proposta di revisione del bilancio pluriennale Ue 2021-2027 presentata ieri (20 giugno) dalla Commissione Ue, “ho proposto ai Ventisette di coprirne il 40 per cento, con 50 miliardi di euro per l’Ucraina”.
    Quanto ricordato da von der Leyen di fronte alla platea di donatori internazionali è la proposta di un nuovo strumento nel budget Ue, una riserva che “assicurerà costante supporto finanziario fino al 2027” e che sarà alimentata in tre modi: “Sovvenzioni dirette dal bilancio dell’Unione, prestiti raccolti sui mercati finanziari e mobilitando gli asset russi congelati”. A proposito di questo ultimo punto la presidente della Commissione Ue ha anticipato che “presenteremo una proposta sugli asset russi prima della pausa estiva“. Gli sforzi sul piano economico – “per ogni passo verso di noi, noi dobbiamo fare un passo verso l’Ucraina” – porteranno a un lavoro in stretto contatto con Kiev, per mettere a terra “un piano di investimenti e riforme, che diventerà una bussola per i donatori internazionali, anche privati, che hanno bisogno di trasparenza, chiarezza e prevedibilità”.
    Sono proprio la trasparenza e la prevedibilità a collegare l’aspetto economico con quello più prettamente politico. Perché, come gli investimenti, anche il percorso di avvicinamento dell’Ucraina all’Unione Europea dipenderà dalla capacità di Kiev di mettere a terra le riforme richieste da Bruxelles. “Non ho dubbio che l’Ucraina sarà parte dell’Unione”, ha confermato ancora una volta la presidente von der Leyen, proprio nel giorno in cui il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ha riferito al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) la presentazione orale dei rapporti sullo stato dell’implementazione delle riforme in Ucraina, Georgia e Moldova. Un aggiornamento che sarà presentato dallo stesso commissario anche al Consiglio Affari Generali informale di domani (22 giugno) – quando si conosceranno maggiori dettagli a riguardo – ma su cui la numero uno dell’esecutivo comunitario ha fornito un’anteprima a Londra: “Abbiamo visto un’impressionante velocità e risultati nel mezzo della guerra, in particolare nell’area delle riforme in ambito giudiziario, dell’anticorruzione, delle leggi sui media e sulle minoranze“. In attesa di conoscere il contenuto della presentazione orale – a cui seguirà il consueto rapporto scritto nel Pacchetto allargamento di ottobre, prima delle discussioni in Consiglio sull’avvio dei negoziati entro la fine dell’anno – “con queste riforme Kiev manda un forte messaggio agli investitori internazionali sulla trasparenza e il funzionamento delle istituzioni necessarie per investire nel Paese”, ha ribadito con forza von der Leyen.

    Alla Conferenza internazionale a Londra la presidente della Commissione Europea ha illustrato le basi su cui si imposterà il sostegno internazionale per sostenere Kiev “non solo a raggiungere la pace, ma anche per ricostruire il Paese che i cittadini stanno immaginando”

  • in

    Al Summit di Vilnius potrebbe nascere il Consiglio Nato-Ucraina. Stoltenberg: “Vicini ad accordo per tavolo da pari”

    Bruxelles – Una nuova prima volta storica, quasi come un anno fa. Manca meno di un mese al Summit di Vilnius dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (in programma l’11-12 luglio), ma è lo stesso segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ad annunciare che l’appuntamento in Lituania potrebbe portare con sé un evento che segnerà una svolta decisiva nei rapporti tra l’Alleanza e Kiev: “Stiamo lavorando per stabilire un nuovo Consiglio Nato-Ucraina, la nostra ambizione è quella di tenere il primo incontro a Vilnius con il presidente Volodymyr Zelensky“.
    Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky
    A un anno dalla più grande svolta strategica della Nato dalla fine della Guerra Fredda, i 31 Paesi membri della Nato sono pronti a fare un passo in avanti per far avvicinare l’alleato ucraino quantomeno a livello politico, prima di iniziare le vere e proprie discussioni sull’adesione all’Alleanza. È quanto si è discusso oggi (16 giugno) nel corso della riunione ministeriale a Bruxelles e, nello specifico, nella commissione Nato-Ucraina. Perché un organismo di collegamento tra l’Alleanza Atlantica e Kiev già esiste, ma non è più considerato sufficiente per gli obiettivi comuni: “Siamo vicini a finalizzare l’accordo per stabilire il Consiglio, sarà qualcosa di diverso dalla commissione, perché permetterà ai 31 alleati e all’Ucraina di sedersi al tavolo da pari, con gli stessi diritti e le stesse possibilità di consultazione e decisione sulle questioni di sicurezza di interesse comune”, ha precisato Stoltenberg.
    Le riunioni tra i rappresentanti dell’Alleanza e di Kiev al momento si tengono nella commissione Nato-Ucraina, istituita il 9 luglio 1997 e il cui compito è quello di “assicurare la corretta attuazione delle disposizioni della Carta sul Partenariato Distintivo, valutare in generale lo sviluppo delle relazioni reciproche ed esaminare la pianificazione delle attività future”, si legge nel pagina web dedicata. In altre parole, si tratta di “un forum di consultazione” su questioni di interesse comune, “tra cui la guerra della Russia contro l’Ucraina”. Quello che ora i 31 alleati – “a cui spero presto si aggiungerà anche la Svezia”, ha tenuto a precisare Stoltenberg sul continuo stallo con la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan – è “portare l’Ucraina più vicina alla Nato in termini politici”, perché “negli ultimi decenni si è già avvicinata molto, tutti i membri hanno concordato che la nostra porta è aperta“.
    Non si parla ancora esplicitamente del processo di adesione – che il presidente ucraino Zelensky vorrebbe “accelerato” – ma non c’è dubbio sul fatto che Kiev “può diventare membro dell’Alleanza, è una decisione degli alleati e dell’Ucraina, la Russia non ha nessun potere di veto“, ha ribadito con forza il segretario generale della Nato. Su questo “sono d’accordo tutti i 31 membri, per ora non discuteremo sull’invito ad aderire, ma su come possiamo portarla più vicina” e l’appuntamento anche in questo caso è per l’11-12 luglio in Lituania: “Sono fiducioso che troveremo un consenso a Vilnius su come farlo”. All’orizzonte c’è il futuro comune sul lungo termine: “Non sappiamo quando la guerra finirà, ma non appena accadrà dobbiamo essere sicuri di poter mettere in campo un quadro di sicurezza tale per cui la storia non si ripeta”.

    Il processo di adesione Nato
    Per diventare membro della Nato, un Paese (come l’Ucraina) deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso nella Nato di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.
    La procedura di adesione alla Nato inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “”e parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri Nato, che attualmente sono 30. A questo punto si aprono nel quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale della Nato.
    Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato dalla Nato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

    Al termine della riunione ministeriale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, il segretario generale ha annunciato il lavoro per stabilire un nuovo format con Kiev in vista del vertice dell’11-12 luglio: “L’ambizione è tenere il primo incontro con il presidente Zelensky”

  • in

    L’Europarlamento chiede di avviare l’iter di adesione dell’Ucraina alla NATO dopo la fine della guerra

    Bruxelles – Spianare la strada all’ingresso dell’Ucraina nella NATO subito dopo la fine della guerra. E’ quanto chiede l’Europarlamento in una risoluzione non legislativa adottata oggi in plenaria a Strasburgo con 425 voti a favore, 38 contrari e 42 astensioni, precisando che il processo di adesione dovrebbe essere avviato dopo la fine della guerra e “ultimato quanto prima”.

    Solo di recente, al secondo vertice della Comunità politica europea che si è tenuto a inizio mese in Moldavia, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è tornato a battere sul punto con gli alleati europei e non. “L’Ucraina è pronta per entrare nella Nato” e alla riunione dei capi di stato e di governo della NATO che si terrà l’11 e 12 luglio a Vilnius “è necessario ci sia un chiaro invito per l’Ucraina ad aderire all’Alleanza proprio come sono necessarie garanzie di sicurezza sul cammino verso l’adesione in futuro. Ed è necessaria una chiara decisione positiva sull’adesione dell’Ucraina alla Ue”, ha detto ai 45 capi di Stato e governo del blocco europeo.
    Nella risoluzione adottata l’Eurocamera ribadisce il proprio sostegno alla decisione del Consiglio europeo, adottata lo scorso anno, di concedere all’Ucraina lo status di candidato all’adesione e incalza anche ad avviare dopo la fine della guerra anche l’iter di adesione all’Alleanza Atlantica di cui fanno oggi parte 31 Paesi.
    Gli eurodeputati riuniti a Strasburgo hanno discusso martedì mattina con la Commissione Ue le conseguenze ambientali e umanitarie dell’esplosione che nelle scorse settimane ha coinvolto la diga idroelettrica di Nova Kakhovka, situata nelle aree occupate dai russi della regione di Kherson, nel sud del Paese, che ha messo a rischio inondazioni i territori costieri di 14 località dove risiedono più di 22.000 persone, tanto da costringere le autorità locali a cominciare l’evacuazione di migliaia di residenti. Gli eurodeputati hanno condannato con fermezza la distruzione, da parte della Russia, della diga, definendola senza mezzi termini un “crimine di guerra” e chiedendo inoltre un pacchetto finanziario di misure per la ripresa dell’Ucraina, che sia incentrato sul “soccorso, la ricostruzione e la ripresa del Paese nell’immediato e a medio e lungo termine”.

    L’Aula di Strasburgo incalza con una risoluzione non legislativa adottata con 425 voti a favore, 38 contrari e 42 astensioni ad avviare il processo di adesione di Kiev alla NATO subito dopo la fine della guerra

  • in

    Energia, trasporti e digitale. L’Unione europea integra l’Ucraina nel Meccanismo per collegare l’Europa

    Bruxelles – Ucraina sempre più integrata energeticamente e digitalmente all’Europa attraverso i trasporti. La commissaria europea per i trasporti, Adina Vălean, e il vice primo ministro per il restauro dell’Ucraina e il ministro per le comunità, i territori e lo sviluppo delle infrastrutture Oleksandr Kubrakov, hanno firmato oggi (6 giugno) a Leopoli, in Ucraina, un accordo per associare l’Ucraina al programma europeo Connecting Europe Facility (CEF), lo strumento finanziario per collegare l’Europa attraverso i trasporti, l’energia e il digitale.
    Un modo per permettere ai promotori di progetti ucraini di richiedere finanziamenti all’Unione europea per realizzare progetti di interesse comune nei settori dei trasporti, dell’energia e del digitale, migliorando ulteriormente la connettività dell’Ucraina con i suoi vicini dell’Ue. Il CEF è uno strumento di finanziamento pensato per promuovere investimenti infrastrutturali mirati a livello europeo e si articola in questi tre settori: trasporto, energia e digitale.

    Bruxelles spiega in una nota che per quanto riguarda i trasporti, le autorità e le imprese ucraine potranno richiedere finanziamenti nell’ambito dei futuri bandi CEF sui trasporti già nell’attuale periodo di programmazione (2021-2027) e il prossimo invito dovrebbe essere lanciato a settembre 2023. Quanto all’energia, i progetti infrastrutturali ucraini collegati con gli Stati membri dell’UE hanno già la possibilità di richiedere lo status di progetti di interesse reciproco (PMI), ma grazie all’accordo siglato oggi i nuovi finanziamenti diventeranno accessibili a questi progetti in Ucraina.
    La Commissione pubblicherà il prossimo elenco dell’Unione di progetti di interesse comune (PIC) a novembre 2023, includendo per la prima volta PMI con paesi terzi. In ultimo, la parte digitale del Meccanismo per collegare l’Europa fornisce sostegno a progetti di connettività di interesse comune, in particolare per le reti dorsali che collegano l’Ue con i paesi terzi. Una volta lanciati i prossimi inviti CEF Digital, le entità in Ucraina potranno richiedere il cofinanziamento per progetti volti ad aumentare la capacità, la sicurezza e la resilienza della connettività digitale tra l’Ucraina e i suoi vicini dell’Ue.
    Il programma sta “già finanziando diversi progetti con un impatto diretto sull’Ucraina: la ricostruzione di una pista all’aeroporto di Rzeszów-Jasionka, in Polonia, l’ammodernamento di un terminal di trasbordo a Košice, in Slovacchia, la costruzione del ponte Ungheni e lo sviluppo dell’hinterland collegamenti e potenziamenti per il porto romeno di Constanta”, ha fatto il punto la commissaria Valean commentando l’intesa. “Con l’accordo odierno, l’Ucraina sarà ora in grado di presentare domande autonomamente, aprendo la porta a progetti che contribuiranno a modernizzare le infrastrutture dell’Ucraina e a migliorare la sua connettività con l’Ue, come gli investimenti nei valichi di frontiera con l’UE. Si tratta di un passo concreto per potenziare ulteriormente le corsie di solidarietà e sostenere la ricostruzione dell’Ucraina”. Per Thierry Breton, commissario europeo per il Mercato intero, l’integrazione annunciata oggi segna un passo decisivo per l’adesione di Kiev all’Unione europea. “L’Ucraina è nostro vicino e nostro partner e sta per diventare un membro della nostra Unione. L’odierna associazione dell’Ucraina al Connecting Europe Facility segna un passo importante in questo percorso. Rafforzerà la capacità e la resilienza delle reti dorsali digitali che collegano l’Europa all’Ucraina e offrirà ai cittadini e alle imprese ucraini i vantaggi della transizione digitale”.

    La commissaria europea per i trasporti, Adina Vălean, e il vice primo ministro per il restauro dell’Ucraina e il ministro per le comunità, i territori e lo sviluppo delle infrastrutture Oleksandr Kubrakov, hanno firmato a Leopoli un accordo per associare l’Ucraina al programma europeo Connecting Europe Facility (CEF), lo strumento finanziario per collegare l’Europa attraverso i trasporti, l’energia e il digitale

  • in

    I territori ucraini chiedono aiuto alle Regioni Ue in vista della ricostruzione

    Bruxelles – Essere pronti per quando sarà il momento, per quando la ricostruzione dell’Ucraina potrà partire. La riforma della pubblica amministrazione, con il decentramento e il trasferimento di maggiori poteri e maggiori competenze e regioni e comuni diventa cruciale. Ucraina ed Europa sono già lavoro, ma la prima ha bisogno della seconda per non farsi trovare impreparata. Il sindaco di Kiev, Vitalii Klychko, si rivolge al Comitato europeo delle regioni per chiedere aiuto in un percorso non scontato, perché la guerra ha cambiato contesto e paradigma.
    “Abbiamo poco tempo, e dobbiamo fare adesso ciò che serve per fare dell’Ucraina un Paese europeo”, riconosce Klychko. “Serve una riforma per l’autogoverno”, e in tal senso “voglio chiedere al Comitato europeo delle regioni l’assistenza per fare queste riforme“. La richiesta di sostegno riguarda in particolare “una roamap”, quanto mai fondamentale, come l’aiuto che si cerca in Europa. “Senza questa assistenza non saremmo in grado”.
    Ripete in sostanza quanto già espresso dal presidente della Repubblica. Anche Volodymyr Zelensky ha apertamente invitato le regioni europee a lavorare con il Paese, con la differenza che il sindaco di Kiev porta il punto di vista delle comunità locali e loro esigenze, quelle che si porranno.
    Il Comitato europeo delle regioni è già al lavoro. Ospita la riunione dell’Alleanza europea delle città e delle regioni per ricostruzione dell’Ucraina, in vista delle conferenza internazionale di Londra in programma il 21 e 22 giugno. La disponibilità c’è, consapevoli che “il decentramento amministrativo nel contesto della ricostruzione è importante”, scandisce Niina Ratilainen, facente le veci del presidente Vasco Alves Cordeiro. “Il Comitato incoraggia la riforma della pubblica amministrazione e il decentramento amministrativo, e siamo d’accordo con l’andare avanti” nonostante tutto, per essere pronti.
    Alla fine delle ostilità saranno le comunità locali a dover far uso delle risorse utili per ricostruire i territori, e si vuole già un quadro legislativo chiaro, pronto per l’uso. “Vediamo pressioni di centralizzazione” legate alle logiche della guerra, ammette Andreas Schaal, direttore per la Cooperazione e le relazioni globali dell’Ocse, ma “è cruciale avere decentralizzazione quando arriverà il momento delle ricostruzione”. Territori d’Ucraina e d’Europa si preparano.

    Il sindaco di Kiev al Comitato europeo: “Per il decentramento amministrativo ci serve la vostra assistenza”