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    Kallas, la priorità Ue è l’Ucraina: “La Russia non può vincere”. E respinge le accuse di doppi standard in Medio Oriente

    Bruxelles – Due priorità urgenti, la guerra della Russia in Ucraina e il conflitto in Medio Oriente. Sulla prima pochi dubbi, Kiev “deve vincere con l’assistenza militare ed economica necessaria“, sul secondo tante incognite. Kaja Kallas, indicata dai governi dei 27 per sostituire Josep Borrell come Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, si è sottoposta questa mattina (12 novembre) allo scrutinio dell’Eurocamera, in contemporanea con l’audizione di Raffaele Fitto. Insieme all’italiano e agli altri vicepresidenti esecutivi della Commissione europea designati, Kallas dovrà attendere fino a domani – o addirittura la settimana prossima – per conoscere l’esito del suo ‘esame’.Sulla vocazione europeista dell’ex eurodeputata liberale, che a Bruxelles fa parte della famiglia politica di Renew, e sulla conoscenza del palcoscenico internazionale acquisita nei quattro anni da primo ministro dell’Estonia, nessuna perplessità. Ma il via libera a Kaja Kallas non arriverà oggi: fonti parlamentari confermano che i gruppi politici hanno deciso di valutare le audizioni dei sei vice di von der Leyen a pacchetto, per scongiurare eventuali pugnalate alle spalle, in particolare su Fitto e sulla socialista spagnola Teresa Ribera.Per Kallas, quarantasettenne “cresciuta dietro la cortina di ferro”, nell’allora repubblica sovietica di Estonia, il nemico pubblico numero uno non può che essere la Russia di Vladimir Putin. Insieme a Cina, Corea del Nord e Iran, gli attori che “mirano a cambiare l’ordine internazionale“. In quattro, producono “più munizioni dell’intera alleanza euroatlantica”, ha evidenziato la liberale estone, annunciando la stesura di un libro bianco sulla difesa nei primi cento giorni del suo mandato e una stretta collaborazione con il futuro commissario Ue alla difesa.Sull’Ucraina, Kallas si pone in piena continuità rispetto alla linea tracciata dal predecessore Borrell, fatta di sostegno economico e militare da un lato, politico e diplomatico dall’altro. “La guerra finirà quando la Russia si renderà conto di aver commesso un errore“, ha affermato Kallas, fugando ogni dubbio sulla possibilità che l’Ue avalli una trattativa di pace con Mosca che non sia “una pace sostenibile”, alle condizioni di Kiev.Anzi, secondo l’ex premier estone il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, “dovrebbe preoccuparsi di come rispondiamo alla guerra della Russia in Ucraina”, perché strettamente legata all’antagonismo tra Washington e Pechino. Per Kallas, il legame transatlantico resterà imprescindibile, perché “siamo l’alleanza più forte e dobbiamo rimanere vicini”. Agli eurodeputati sovranisti della commissione Affari Esteri (Afet) che la incalzavano sulla politica definita “fallimentare” delle sanzioni europee a Mosca, Kallas ha risposto duramente: “State solo ripetendo le false narrazioni russe”.Per Kallas, la ragione per cui non l’Ue non deve cedere e fare concessioni a Mosca è naturale: “Se l’aggressione paga da qualche parte”, sarebbe “un invito ad altri a farlo altrove”. Se la Russia ottenesse qualcosa, allora “tutti potrebbero fare guerre e prendere ciò che vogliono“. Chiarendo questo punto, Kallas ha inevitabilmente prestato il fianco alle accuse di applicare doppi standard in Ucraina e in Medio Oriente.Kallas sulla sospensione dell’Accordo Ue-Israele: “Discuterne con Tel Aviv”Accuse prontamente respinte: “Siamo il più grande donatore per l’Autorità Nazionale Palestinese e in supporto al popolo palestinese”, ha rivendicato Kallas. L’impressione però è che, proprio sulla posizione rispetto alla sproporzionata risposta militare israeliana, possa consumarsi una rottura tra il corso di Borrell e quello di Kallas a capo della diplomazia europea. Il primo che dal 7 ottobre 2023 cerca di spingere costantemente gli Stati membri ad aumentare la pressione sul governo di Netanyahu, la seconda più prudente sulle critiche a Tel Aviv.L’ex premier estone ha elencato su quali punti si basa la posizione comune Ue -“il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi, l’azione umanitaria, il sostegno all’Anp e il diritto di Israele a esistere, la soluzione dei due Stati” -, ma ha preferito non rispondere a chi le chiedeva quali strumenti ha in mano Bruxelles per fare sì che Israele metta fine alla mattanza a Gaza e all’occupazione coatta dei territori palestinesi.“Sono una forte sostenitrice del diritto internazionale e umanitario, che significa proteggere la popolazione e non attaccare le infrastrutture civili”, si è difesa Kallas, che ha poi proseguito: “Siamo concentrati nel portare aiuti umanitari a Gaza, ma stiamo anche sollevando la questione con Israele“. Di mezzo c’è l’Accordo di associazione Ue-Israele, uno dei più comprensivi mai siglati da Bruxelles con un Paese partner, che prevede chiari vincoli sul rispetto dei diritti umani. E che l’Ue potrebbe sospendere alla luce delle decine di rapporti di organizzazioni internazionali che documentano le atrocità di guerra israeliane.“Dovrebbe tenersi un Consiglio di associazione con Israele in cui tutti gli Stati membri possano sollevare la questione”, ha affermato Kallas. Omettendo che lo stesso Borrell sta spingendo per discuterne senza Tel Aviv, perché il governo di Benjamin Netanyahu si è già rifiutato di partecipare a un Consiglio di Associazione dedicato al rispetto dei diritti umani. Il momento forse più controverso è però stato quando Kallas – per ben due volte – ha scelto di citare David Ben Gurion, storico primo ministro dello Stato di Israele, per dimostrare il suo attaccamento ai diritti del popolo palestinese. Lo Stato di Israele si fonda “sulla sicurezza e sulla giustizia”, Kallas ha riportato da Ben Gurion. Che però, già dopo la Nakba palestinese, si rifiuto sempre di considerare definitive le frontiere dello Stato di Israele, aprendo la strada alle annessioni successive.

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    Kiev e l’Ue tentano di capire cosa succederà all’Ucraina con la rielezione di Trump

    Bruxelles – Ora che Donald Trump è stato rieletto alla Casa Bianca, l’Europa cerca di prevedere quali saranno le sue mosse su uno dei fronti internazionali più caldi, quello della guerra in Ucraina. Mentre a Bruxelles si teme che il sostegno militare e finanziario a stelle e strisce possa diminuire drasticamente o addirittura interrompersi, a preoccupare Kiev c’è soprattutto la promessa del presidente (ri)eletto di mettere fine al conflitto “in 24 ore”. Il capo dello Stato ucraino, Volodymyr Zelensky, sta lanciando messaggi decisamente eloquenti al suo omologo statunitense, per impedire che imponga all’ex repubblica sovietica un processo di pace accelerato che rischia di tramutarsi in una “sconfitta”.Zelensky a BudapestDopo essersi congratulato con Trump per la sua vittoria nelle urne, il presidente ucraino è tornato sulla questione del sostegno di Washington agli sforzi bellici di Kiev ieri (7 novembre) in occasione del quinto incontro della Comunità politica europea, ospitato a Budapest dal premier ungherese Viktor Orbán. Lì, parlando ai giornalisti, ha ammesso che “il presidente Trump vuole davvero una decisione rapida” su come giungere alla fine delle ostilità con la Russia, ma ha aggiunto che “ciò non significa che andrà in questo modo”. Perché, ha insistito, “tutti vogliamo che questa guerra finisca, ma con una fine giusta”: se il processo di pace “è troppo veloce, sarà una sconfitta per l’Ucraina”, ha detto chiaro e tondo.Anche il padrone di casa è apparso fiducioso sulle prospettive per una risoluzione diplomatica del conflitto aperte dal ritorno di Trump alla Casa Bianca. “Quelli che vogliono la pace sono sempre più numerosi”, ha dichiarato Orbán, rinnovando il suo appello per un cessate il fuoco immediato. “La precondizione per la pace è la comunicazione”, ha spiegato il leader magiaro, e “la condizione per la comunicazione è un cessate il fuoco”, il quale “può fornire margine e tempo alle parti in conflitto” per “cominciare a negoziare la pace”.Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán (foto: European Council)Appello immediatamente bollato come “pericoloso” e “irresponsabile” da Zelensky, secondo cui una tregua in questo momento – cioè con circa un quinto del territorio ucraino in mano alle forze di Mosca, che stanno peraltro avanzando anche sul fronte del Donbass – equivarrebbe a “distruggere la nostra indipendenza e la nostra sovranità”. “Abbiamo già provato” a raggiungere un cessate il fuoco nel 2014, ha ricordato il presidente ucraino, “e abbiamo perso la Crimea, e poi abbiamo avuto l’invasione su larga scala nel 2022”. Come a dire: non è possibile fidarsi di Vladimir Putin, perché non è realmente interessato alla pace.Qual è l’idea di pace secondo Trump?Cercare di capire l’idea di “pace” che avrebbe in mente Trump è dunque, comprensibilmente, la questione centrale che arrovella l’intera leadership ucraina. Per ora, il presidente eletto non ha fatto trapelare pubblicamente alcun dettaglio su come intende risolvere la crisi che da dieci anni tormenta l’ex repubblica sovietica, ma alcune indiscrezioni giornalistiche parlano di diverse opzioni sul tavolo del leader repubblicano.E tutte, allontanandosi dall’approccio seguito dall’amministrazione Biden (cioè quello di lasciar decidere a Kiev quando avviare le trattative), prevedono che l’Ucraina rinunci ad una parte del suo territorio riconosciuto internazionalmente, cioè quello disegnato dai confini del 1991. In alcune versioni si tratterebbe delle regioni occupate militarmente da Mosca, in altre di una sorta di zona cuscinetto demilitarizzata (sul modello delle due Coree) i cui contorni andrebbero negoziati a tavolino e che andrebbe pattugliata da truppe internazionali. Le quali, beninteso, dovranno essere europee e non statunitensi: “Non manderemo uomini e donne americani a difendere la pace in Ucraina”, ha dichiarato un membro dell’entourage di Trump, suggerendo di farlo fare “ai polacchi, ai tedeschi, agli inglesi e ai francesi”.Un altro elemento ricorrente sarebbe l’imposizione di una qualche forma di neutralità a Kiev, quella che veniva ironicamente chiamata “finlandizzazione” dell’ex repubblica sovietica prima che Helsinki decidesse di entrare nella Nato poco dopo l’avvio dell’invasione russa. Sempre secondo questi ipotetici piani, l’ingresso nell’Alleanza nordatlantica verrebbe congelato almeno temporaneamente per l’Ucraina, che in cambio continuerebbe a ricevere sistemi d’arma occidentali come deterrente contro un’eventuale nuova aggressione.L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, celebra la rielezione il 6 novembre 2024 (foto: Jim Watson/Afp)Un’ulteriore opzione, ancora più radicale, proposta da alcuni collaboratori della prima amministrazione Trump per costringere Kiev a sedersi al tavolo delle trattative sarebbe invece quella di interrompere le forniture di armi alla resistenza ucraina. Si tratta dell’ipotesi peggiore per Zelensky e i suoi: non solo entrerebbero nei negoziati da una posizione di estrema debolezza, ma non riuscirebbero nemmeno a contenere ulteriori attacchi russi se Putin decidesse che, prima di trattare, vuole annettere alla Federazione qualche altro pezzo dell’ex repubblica sovietica. Si tratterebbe, in altre parole, di lasciare carta bianca al Cremlino.Visione strategicaPer Kiev, l’imperativo è far capire a Trump che sostenere l’Ucraina è nello stesso interesse di Washington. Da un lato, perché qualunque soluzione temporanea al conflitto che sia troppo vantaggiosa per la Russia rischia di trasmettere a Mosca il messaggio che, alla fine, l’ha avuta vinta e che quindi può ritentarci quando vuole. Che poi è quello che è successo quando, dieci anni fa, non ci sono state grosse conseguenze per l’annessione unilaterale della Crimea e lo stazionamento di truppe in Donbass, due violazioni della sovranità ucraina che hanno posto le basi per la guerra su larga scala del 2022.Dall’altro perché, se parti dell’Ucraina cadranno definitivamente in mano alla Russia, l’Europa e gli Stati Uniti perderanno l’accesso alle risorse naturali del Paese aggredito, nonché agli asset militari che Kiev ha sviluppato in due anni e mezzo di guerra e che potrebbero essere utilizzati per la sicurezza del Vecchio continente in sinergia con le forze Nato.È questo, in fin dei conti, il senso del “piano per la vittoria” che Zelensky ha presentato ai leader dei Ventisette il mese scorso: al netto della richiesta di far entrare l’Ucraina nell’Alleanza, il presidente ha messo nero su bianco quello che il suo Paese può offrire in cambio dell’aiuto internazionale. Per far passare il messaggio che l’investimento occidentale è strategico, a lungo termine, e che cedere a Putin ora significherebbe compromettere la sicurezza dell’Europa intera.Nel frattempo, l’Ue cerca di correre ai ripari come può. Proprio oggi (8 novembre) il Consiglio ha esteso di altri due anni – fino al novembre 2026 – il mandato della sua missione di assistenza militare all’Ucraina (Eumam Ukraine), dotandola di un budget da circa 409 milioni di euro. Un messaggio simbolico di sostegno a Kiev, ma poco più che noccioline se si considera l’entità delle spese che deve sostenere la resistenza. Allo stato attuale, difficilmente i Ventisette sarebbero in grado di mantenere a galla l’Ucraina da soli nel caso in cui dovessero realmente venire meno gli aiuti dall’altro lato dell’Atlantico.

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    Oltre 118 miliardi, l’Ue ha già speso quasi il bilancio di un anno per l’Ucraina

    Bruxelles – L’Unione europea ha già speso quasi l’equivalente di un bilancio annuale comune in sostegno all’Ucraina. Tra aiuti comunitari e contributi dei singoli Stati membri, “l‘assistenza complessiva dell’Ue all’Ucraina e al suo popolo ammonta finora a oltre 118 miliardi di euro“, scandisce l’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, nella risposta a un’interrogazione parlamentare in materia. Una cifra impressionante, se si considera che il bilancio comune per il solo 2023 è stato pari a 186,6 miliardi di euro. Aiutare il presidente ucraino Volodymir Zelensky nella sua risposta all’aggressione militare russa inizia a raggiungere proporzioni importanti, e senza precedenti. L’assistenza finanziaria da oltre 118 miliardi di euro, specifica Borrell, “include circa 43,5 miliardi di euro di sostegno militare, di cui 6,1 miliardi dal Meccanismo per la pace“. Praticamente quasi un terzo dello sforzo economico dei Ventisette a oggi è servito ad alimentare la macchina bellica ucraina, per permettere difesa e contro-attacco. Qui, precisa ancora l’Alto rappresentante, “il sostegno dell’Ue fa la differenza, ad esempio, sulla difesa aerea“.Cifre e numeri comunque parziali, e destinate ad essere aggiornate ancora. “L’Ue continuerà a sostenere l’Ucraina di fronte alla guerra di aggressione della Russia”, assicura Borrell. Una rassicurazione frutto anche dell’evoluzione di un conflitto non solo più tra Mosca e Kiev. “La Russia ha anche iniziato a utilizzare missili della Repubblica Popolare Democratica di Corea e forse presto anche quelli iraniani”, denuncia l’Alto rappresentante. Un’escalation del conflitto che non consente ripensamenti.  Quindi l’avvertimento politico ai partner di tutta l’Unione europea. Quali che siano, in prospettiva, mosse e decisioni del nuovo presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump,  l’Ue dovrà tenere il punto:“Qualsiasi soluzione che ignori l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina comporterebbe la ricompensa dell’aggressore e la legittimazione dei tentativi di ridisegnare i confini con la forza, non solo in Europa”.

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    Ue e Corea del Sud siglano un accordo sulla difesa. E Borrell chiede a Seoul di intensificare il supporto all’Ucraina

    Bruxelles – Dopo l’uscita allo scoperto della Corea del Nord sul supporto a Mosca, Bruxelles chiede a Seoul un salto di qualità nel supporto all’Ucraina. L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, si è recato nella penisola e ha inaugurato il primo dialogo strategico Ue-Corea del Sud. Facendo leva sulle tensioni storiche – e in crescita – tra Pyongyang e Seoul, Borrell ha incoraggiato il partner sud-est asiatico a “intensificare” il proprio sostegno alla resistenza di Kiev.Insieme al ministro degli Esteri della Corea del Sud, Cho Tae-yul, Borrell ha annunciato il Partenariato per la sicurezza e la difesa tra l’Ue e la Repubblica di Corea, una sorta di quadro politico che individua le coordinate per una cooperazione rafforzata tra Bruxelles e Seoul in settori chiave quali la sicurezza marittima e la difesa spaziale, le questioni informatiche, il contrasto alle minacce ibride, alla manipolazione dell’informazione e all’interferenza straniera, la lotta al terrorismo, la formazione e l’istruzione, la non proliferazione nucleare e il disarmo.Josep Borrell Fontelles e Cho Tae-Yul a Seoul, 4/11/24Le tempistiche scelte per siglare il partenariato non sono una mera coincidenza: in una dichiarazione congiunta, Borrell e l’omologo coreano hanno condannato “con la massima fermezza i continui trasferimenti illegali di armi” dalla Corea del Nord alla Russia e “il dispiegamento di forze speciali in Russia, a sostegno della guerra di aggressione illegale in Ucraina”. La cooperazione tra Kim Jong-un e Vladimir Putin “non solo è una flagrante violazione di molteplici risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, ma “minaccia la sicurezza del mondo, compresa quella della Repubblica di Corea e dell’Europa”, sottolineano Borrell e Cho Tae-yul.Proprio oggi (4 novembre) il Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell’Ucraina ha riferito dei primi scontri a fuoco tra le forze di Kiev e le truppe nordcoreane nella regione russa di Kursk. Dal punto di vista di Seoul, i dieci mila soldati di Pyongyang al fronte a fianco dei russi significano soprattutto qualcosa in cambio da parte di Mosca: “Stiamo monitorando attentamente ciò che la Russia fornisce alla Rpdc in cambio della fornitura di armi e personale militare, compresa la possibile fornitura di materiali e tecnologie a sostegno degli obiettivi militari di Pyongyang“, prosegue la dichiarazione congiunta. “Profonda preoccupazione” in particolare per  “l’eventualità di un trasferimento di tecnologia nucleare o legata ai missili balistici”. Il do ut des tra i due autocrati non fa altro che alimentare l’aggressività del regime di Kim Jong-un, come dimostrato dal test missilistico balistico della scorsa settimana, il più potente mai condotto dal Paese. Nelle parole del leader coreano, “un’azione militare appropriata che soddisfa pienamente lo scopo di informare i rivali della nostra capacità di contrattaccare”. Un notiziario sudcoreano dà la notizia del lancio di un missile balistico da parte di Pyongyang (Photo by JUNG YEON-JE / AFP)In un bilaterale con il ministro della Difesa della Corea del Sud, Kim Yong Hyun, Borrell ha paragonato la “minaccia esistenziale” russa contro l’Ucraina al rapporto tra le due Coree: “La Repubblica di Corea è nella posizione migliore per capirlo”, ha dichiarato il capo della diplomazia Ue. Già la scorsa settimana, durante la visita del presidente polacco Andrzej Duda a Seoul, il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol si era impegnato a rispondere al coinvolgimento della Corea del Nord in Ucraina, anche fornendo potenzialmente armi a Kiev.“Se la Corea del Nord invia forze speciali nella guerra in Ucraina come parte della cooperazione tra Russia e Corea del Nord, noi sosterremo l’Ucraina per gradi e rivedremo e implementeremo le misure necessarie per la sicurezza nella penisola coreana”, aveva dichiarato. Finora, la Corea del Sud ha fornito a Kiev aiuti umanitari, e contribuito solo indirettamente all’assistenza militare, attraverso la fornitura di armi a diversi Paesi membri dell’Ue e della Nato.

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    Allargamento Ue 2/ Il sogno dell’Ucraina di accedere all’Ue diventa sempre più concreto

    Bruxelles – Il sogno dell’Ucraina di accedere all’Unione Europea sembra sempre più vicino. Dopo la prima conferenza intergovernativa di giugno 2024, l’esame dei requisiti del Paese procede senza difficoltà. Se l’Ucraina riuscirà a soddisfare tutte le condizioni, sarà possibile partire quanto prima con l’apertura dei negoziati.L’Ucraina è uno dei nove paesi candidati all’adesione comunitaria. Dopo l’aggressione russa, il Paese ha chiesto di potere entrare in Ue e nell’estate 2022 la Commissione europea ha raccomandato lo status di candidato, a cui il Consiglio dell’Ue ha dato il proprio benestare all’unanimità. Poi, nel novembre 2023, l’apertura dei negoziati.Per valutare lo status dei candidati e il loro progressi, la Commissione prepara ogni anno il pacchetto di allargamento Ue. Concretamente, nella presentazione di oggi (30 ottobre), il Commissario per il vicinato e l’allargamento Oliver Varhelyi ha spiegato come questo fornisca “una valutazione concreta ed equa dei progressi dei nostri partner, insieme a una guida chiara, che consente loro di individuare i punti in cui l’accelerazione delle riforme può guidare i loro progressi verso l’adesione all’Ue”.L’Ue per prima si impegna per favorire l’adesione dei candidati. Il caso ucraino è sui generis, perché il supporto economico europeo è arrivato in funzione del conflitto contro la Russia, con un ammontare totale di 122 miliardi circa, “a supporto dell’Ucraina e dei suoi cittadini”. Impegno economico che si associa ad un fermo sostegno per “l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale”. Uno dei pacchetti, per esempio, è lo Strumento per l’Ucraina, che copre fino a 50 miliardi di euro e ha lo scopo di supportare il paese su tre pilastri fondamentali, relativi al bilancio dello Stato, un quadro di investimenti funzionali a ripresa e ricostruzione del paese e assistenza tecnica per permettere di realizzare le riforme.Ogni paese che ambisce ad entrare nell’Ue deve raggiungere il cosiddetto acquis comunitario. Acquis che non è altro che l’insieme di diritti e obblighi che sono alla base del diritto dell’Ue e devono essere accettati ed integrati nelle legislazioni nazionali dai paesi entranti.Analizzando il report sulla situazione ucraina, fa ben sperare il generale allineamento con le raccomandazioni precedentemente ricevute dalla Commissione. Riguardo la democrazia, su cui il paese ha fatto dei progressi, si registra che “le principali strutture istituzionali per l’integrazione nell’Ue sono state create”, ponendo le basi per il futuro. Mancano delle riforme per avere piene garanzie dei diritti umani, come l’implementazione della Convenzione di Istanbul sul contrasto alla violenza sulle donne, per quanto si segnala che il paese ha fatto dei buoni progressi. Altrettanto sul contrasto alla corruzione, sull’indipendenza del giudiziario e sulla tutela della libertà di espressione, su cui la Commissione ha registrato che mancano ancora molti elementi.Sull’economia, la strada percorsa è buona, ma l’Ucraina sconta il prezzo di due anni di guerra sul proprio territorio. In generale, il funzionamento dell’economia interna progredisce, ma paga la competitività, su cui il Paese ha le risorse per fare pochi progressi. Allo stesso modo non ci sono dei grandi miglioramenti sul controllo finanziario. Nessuna fumata bianca per il mercato interno, su cui in generale l’Ucraina non ha recepito le precedenti raccomandazioni della Commissione. Delle quattro libertà di movimento fondamentali, che coinvolgono capitali, merci, servizi e lavoratori, le prime tre registrano qualche sviluppo, mentre quella dei lavoratori non vede alcun progresso fatto.Migliore performance è quella sulla sicurezza e sulla difesa, per cui si registra un “elevato livello di allineamento” con la politica estera e di sicurezza comune dell’Ue e un significativo rafforzamento della cooperazione militare con l’Ue. Ci si aspetta che il paese continui a condividere le posizioni europee nei confronti della Russia e il “piano per la vittoria” presentato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky potrebbe contribuire su questi punti.Il conflitto che ormai imperversa da due anni sul territorio del Paese ha impattato sul perfezionamento di altri macro-ambiti, come l’agricoltura, i trasporti o la transizione verde. Nonostante ciò, l’Ucraina ha un “buon livello di preparazione” nel campo dell’energia e sono stati presi impegni legislativi sulle energie rinnovabili. L’energia è stato un grande tasto dolente della guerra in Ucraina, anche se ora si vocifera di accordi con la Russia per limitare gli attacchi alle strutture energetiche, che sono state danneggiate tanto da minare la sicurezza degli approvvigionamenti.“Gli ucraini stanno combattendo due battaglie allo stesso tempo“, ha dichiarato l’Alto rappresentante Joseph Borrell, “una sul campo di battaglia, una vera e propria guerra, e la seconda per portare avanti le riforme necessarie a diventare uno Stato membro“. Il supporto europeo, come ricordato, è su tutti i fronti, visto che “l’adesione all’UE è la massima garanzia di sicurezza che possiamo offrire all’Ucraina“, come ricorda Borrell. Per cui, l’ingresso dell’Ucraina è auspicabile come segnale politico, come scelta strategica e come contributo alla difesa del paese dell’Unione europea nel suo insieme.

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    La Russia e l’Ucraina starebbero trattando per sospendere gli attacchi reciproci sulle infrastrutture energetiche

    Bruxelles – Per ora sono solo indiscrezioni giornalistiche, ma pare che i negoziatori russi e ucraini stiano avviando dei colloqui, mediati dal Qatar, per giungere ad un accordo che metta le rispettive infrastrutture energetiche al riparo dagli attacchi militari.La notizia è stata data stamattina dal Financial Times e rimbalzata da diversi altri organi d’informazione, e cita fonti anonime (alcune delle quali qualificate come “alti funzionari ucraini”). Secondo il FT, Kiev starebbe tentando di riprendere i negoziati sulla protezione delle infrastrutture energetiche già avviati negli scorsi mesi sotto la mediazione del Qatar. Tali colloqui erano sembrati sul punto di portare ad un accordo con Mosca, poi sfumato in agosto quando l’esercito ucraino ha lanciato la sua incursione a sorpresa oltre il confine russo nell’oblast’ di Kursk.Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha rifiutato di confermare ufficialmente la notizia, sostenendo che ci sono in circolazione molte fake news che “non hanno nulla a che fare con la realtà”, persino sui media tradizionalmente più affidabili. D’altro canto, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha segnalato che l’esito dei colloqui sulla protezione delle infrastrutture critiche segnalerà la reale disponibilità del suo omologo Vladimir Putin di sedersi al tavolo negoziale per trattare i termini di una cessazione del conflitto (o perlomeno di una tregua). Che tale discussione, se mai occorrerà, possa partire dal “piano per la vittoria” presentato dal leader ucraino all’ultimo Consiglio europeo rimane tuttavia dubbio.Dopo due anni e mezzo di guerra, la maggior parte della rete energetica ucraina è gravemente danneggiata, distrutta o sotto occupazione dell’esercito invasore, e nelle scorse settimane sono ripresi i pesanti bombardamenti di Mosca contro le infrastrutture del Paese aggredito. Per far fronte alle crescenti difficoltà di Kiev di produrre energia per mantenere in piedi la propria economia e riscaldare i propri abitanti, il mese scorso Bruxelles ha annunciato un pacchetto finanziario del valore di 160 milioni di euro per riparare la rete energetica ucraina (ricostruendo circa 2,5 Gw di capacità elettrica), connetterla a quella dell’Ue (esportando altri 2 Gw di energia) e stabilizzare il flusso di energia che circola attraverso il Paese.Pur se con mezzi e risultati molto diversi, anche l’Ucraina ha cercato di colpire le infrastrutture energetiche del nemico. Gli attacchi, portati avanti principalmente con droni, razzi e missili (anziché con i bombardieri, come fa invece Mosca), hanno danneggiato diversi impianti, centrali, depositi e strutture russe (anche nella Crimea occupata), ma non sono arrivati a mettere in seria difficoltà l’approvvigionamento energetico della Federazione.I punti più critici delle infrastrutture energetiche di entrambi i belligeranti sono gli impianti nucleari. La centrale di Zaporizhzhia, la più grande non solo dell’Ucraina ma dell’intero continente, è caduta nelle mani dei russi nel marzo 2022 e da allora i due eserciti non hanno mai smesso di addossarsi a vicenda la responsabilità degli attacchi che ne mettono a repentaglio le strutture e, con esse, la sicurezza dell’intera regione. Da quando, lo scorso agosto, è partita l’operazione di Kiev nella regione di Kursk, i timori sono cresciuti anche per la centrale russa di Kurchatov.

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    Truppe nord-coreane in Russia, l’Ue “profondamente allarmata”. E Putin non nega le immagini satellitari

    Bruxelles – L’hanno rivelato gli Stati Uniti attraverso delle immagini satellitari, lo confermano da giorni da Kiev. E nemmeno Vladimir Putin lo nega: in Russia ci sarebbero circa tre mila soldati dispiegati dalla Corea del Nord (Rpdc), pronti a un intervento in Ucraina. “Profondamente allarmata” l’Unione europea, che lo definisce “un atto ostile unilaterale da parte della Rpdc” e una “grave violazione del diritto internazionale”.In una nota a nome dei 27 Paesi membri, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha esortato per l’ennesima volta il leader autoritario Kim Jong-un a “cessare di sostenere gli sforzi bellici illegali della Russia” e ha “condannato fermamente” l’intensificarsi della cooperazione militare tra Pyongyang e Mosca. Con il dispiegamento di truppe sul suolo russo – come rivelato dal segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin -, si arriva a un punto di non ritorno.Secondo Washington i soldati nordcoreani sarebbero sbarcati via nave nella prima metà di ottobre dalla regione nordcoreana di Wonsan alla città russa di Vladivostok, prima di essere portati in tre siti di addestramento militare nella Russia orientale. “Se si schierano per combattere contro l’Ucraina, sono bersagli giusti e le forze armate ucraine si difenderanno dai soldati nordcoreani nello stesso modo in cui si difendono dai soldati russi”, ha avvertito il portavoce della Casa Bianca, John Kirby. Secondo l’intelligence ucraina, “il 23 ottobre è stata registrata la loro presenza nella regione di Kursk“, territorio russo dove le forze ucraine sono penetrate quest’estate. In un post sul suo account X, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato che – secondo le informazioni in possesso di Kiev – “i primi soldati nordcoreani dovrebbero essere schierati dalla Russia nelle zone di combattimento già dal 27-28 ottobre“.Zelensky ha lanciato un appello per “una risposta forte e di principio da parte dei leader mondiali”. Per i 27 Ue, “l’intensificarsi della cooperazione militare della Russia con la Rpdc invia un chiaro messaggio: nonostante la dichiarata disponibilità a negoziare, la Russia non è sinceramente interessata a una pace giusta, globale e duratura“. Al contrario, prosegue la nota di Bruxelles, il Cremlino starebbe “intensificando e cercando disperatamente qualsiasi aiuto per la sua guerra”.Il vertice dei Brics a Kazan, in Russia (Photo by MAXIM SHIPENKOV / POOL / AFP)Per uscire dall’isolamento diplomatico, Vladimir Putin ha riunito per tre giorni a Kazan, in Russia, i leader dei Brics. Al vertice hanno partecipato 36 Paesi, risultato che ha permesso a Mosca di definirlo “il più grande evento di politica estera mai organizzato” dalla Russia. In una conferenza stampa a margine del summit, Putin ha accusato l’Occidente di aver inasprito la guerra in Ucraina e – come riportato dal The Guardian – alla domanda di un giornalista sulle immagini satellitari che apparentemente mostrano i movimenti delle truppe nordcoreane, Putin ha risposto: “Le immagini sono una cosa seria. Se ci sono immagini, allora riflettono qualcosa”. Il presidente russo ha poi contrattaccato, accusando gli ufficiali e istruttori della Nato direttamente coinvolti nell’addestramento delle truppe in Ucraina.La lettura dell’Unione europea è che, in cambio del supporto sempre maggiore al suo sforzo bellico, la Russia abbia cambiato posizione sulla denuclearizzazione della Corea del Nord. “In questo modo, la Russia compromette le sue responsabilità come membro permanente del Consiglio di Sicurezza e come Stato membro delle Nazioni Unite”, sottolinea Borrell, che annuncia che Bruxelles “si coordinerà con i partner internazionali per quanto riguarda le risposte”.

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    Legami con la Russia e rivendicata dalla Moldova, il rebus geopolitico della Transnistria che riguarda anche l’Ue

    Bruxelles – E’ uno dei conflitti congelati dell’era post-sovietica, con uno status di territorio non riconosciuto internazionalmente, rivendicato, e contraddistinto da un mosaico ‘etnico’ che rende il tutto ancor più complicato. La Transnistria è oggi più che mai un rebus, e il referendum di domenica (20 ottobre) sulle ambizioni Ue della Moldova lo riaccende come non mai.Geograficamente la Transnistria si trova in Europa orientale, incastonata tra la repubblica di Moldova, che la reclama come propria, e l’Ucraina. Il 2 settembre 1990 si proclama indipendente dalla repubblica socialista sovietica di Moldova, e il 25 agosto 1991 giunge anche l’auto-proclamazione di indipendenza dall’Unione sovietica. In quel momento la Transnistria, con Tiraspol capitale, diventa un’entità a sé, però mai riconosciuta come tale dalla comunità internazionale. I Paesi dell’Onu la riconoscono come appartenente alla repubblica di Moldova.Il territorio si è organizzato come vero e proprio Stato indipendente e sovrano. Ci sono un governo, una costituzione, passaporti, una banca centrale che stampa la valuta nazionale, il rublo transnistriano. Già solo questo elemento è indice dei legami con la Russia. Sulle banconote in circolazione sono stampate le effigi di Caterina II (zarina di Russia dal 1762 alla morte), Pëtr Aleksandrovič Rumjancev-Zadunajskij (feldmaresciallo dell’esercito imperiale russo), e Aleksandr Vasil’evič Suvorov (generale russo, tra i comandanti della guerra russo-turca del 1768-1774 a seguito della quale Ucraina meridionale, Caucaso settentrionale e Crimea vennero portati definitivamente sotto il dominio dell’Impero russo).La Transnistria [foto: Wikimedia Commons]I legami con la Russia sono ancora molto forti, e nel Paese i vecchi simboli dell’era sovietica sono ancora ben visibili. Non solo: accanto alla bandiera nazionale a strisce orizzontali rosso-verde-rosso, si aggiunge una riproduzione del tricolore russo, identico per policromia (strisce orizzontali bianco-blu-rosso) ma diversa per dimensioni. Un modo per mostrare il desiderio di restare vicina alla Federazione russa e marcare le distanze dalla repubblica di Moldova.Il mancato riconoscimento di status di Paese indipendente e sovrano pone però una questione giuridica: la maggior parte dei cittadini transnistriani possiede anche una cittadinanza moldava, russa o ucraina. Anche in ragione di questi cittadini moldavi il governo di Chisinau insiste per ricongiungere la Transnistria alla Moldova.Da un punto di vista sociale, la principale comunità presente sul territorio è quella russa (34 per cento), seguita da quella moldava (33 per cento) e da quella ucraina (26,7 per cento). A questi gruppi si aggiunge la minoranza bulgara (2,8 per cento).La guerra russa in Ucraina ha ridisegnato la situazione. Kiev non riconosce la Transnistria, ma in virtù dei tanti ucraini presenti sul territorio ha tessuto relazioni economico-commerciali. Non senza tensioni. Kiev ha posto come condizione per lo scambio di merci che tutto ciò che viene venduto in Ucraina debba avere certificazioni moldave, irritando il Cremlino che vede nelle mosse dell’Ucraina un modo per accrescere pressioni e spingere la Transnistria verso un modello troppo europeo.Dopo l’avvio delle operazioni militari di Mosca le autorità ucraina hanno cambiato radicalmente atteggiamento nei confronti della Transnistria, vista come ‘amica dei nemici’ e come tale trattata. A marzo 2022 l’Ucraina ha abbattuto un ponte ferroviario con l’accusa di averlo utilizzato per favorire la movimentazione delle truppe russe in chiave anti-ucraina. Ecco che la Transnistria si ritrova al centro della guerra russo-ucraina.Il territorio rischia di rimanere schiacciato tra le voglie unioniste moldave e i rancori ucraini, con la Russia difficilmente disposta a rinunciare al suo ‘protettorato’ in una parte di mondo che sembra sfuggire ai propri interessi e influenza.Il controllo del territorio è motivo di attriti tra la Russia e la Nato, con quest’ultima che, tramite risoluzione, già nel 2008 ha intimato a Mosca di ritirare le truppe. Ma per Putin diventa sempre più strategica per mantenere una zona di presenza e influenza. Il referendum della Moldova per l’adesione all’Ue trascina con sé la questione della Transnistria. In prospettiva la Moldova può portare nell’Ue la questione territoriale e politica, zone contese e frontiere tutt’altro che definite.