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    La Commissione dissente dal voto dell’Europarlamento sull’accordo per gli investimenti in Cina: “Va considerato in un contesto più ampio”

    Bruxelles – Secondo quanto dichiarato da una portavoce per la Commissione europea la ratifica dell’accordo di principio sugli investimenti UE-Cina firmato negli ultimi giorni del 2020 “va considerata guardando al più ampio contesto politico” delle relazioni tra le due parti. Bruxelles disapprova così la risoluzione adottata dal Parlamento giovedì 20 maggio che blocca l’entrata in vigore dei termini dell’intesa fino a quando Pechino non ritirerà le misure restrittive imposte a dieci cittadini europei (tra cui cinque eurodeputati) e a quattro enti che hanno la loro sede nell’UE.
    “Le ultime iniziative del governo cinese non creano un clima favorevole“, ha affermato la portavoce riferendosi alla reazione con cui Pechino ha risposto alla precedente scelta di Bruxelles di sanzionare quattro funzionari e un ente colpevoli di essersi macchiati di crimini contro la minoranza musulmana degli Uiguri nel territorio dello Xinjiang. L’esecutivo europeo, pur schierandosi a favore dei diritti umani e dei valori europei, ammette che l’accordo globale sugli investimenti (in inglese Comprehensive Agreement on Investment, CAI) “apporterà benefici per l’accesso al mercato cinese da parte delle imprese europee, migliorerà le parità di condizioni fra i due mercati e favorirà lo sviluppo sostenibile”.
    La decisione dell’Eurocamera quindi non è gradita a Bruxelles, ma neanche a Pechino. Fortemente voluto dalla presidenza di turno tedesca del Consiglio UE, il CAI è considerato uno strumento fondamentale per lo sviluppo delle relazioni economiche tra Cina e Unione Europea. L’UE è il primo partner commerciale di Pechino, che a sua volta è secondo solo agli USA in termini di flussi commerciali e finanziari con il vecchio continente.
    Dopo l’annuncio dei voti il Ministero degli Esteri cinesi ha parlato per tramite del suo portavoce Zhao Lijian. Il governo cinese sostiene che le sanzioni da lui applicate sono giustificate e chiede alle istituzioni dell’UE di “smetterla di interferire con le vicende interne e di porre fine all’atteggiamento conflittuale”. Per il regime di Pechino le misure restrittive adottate sono una risposta legittima all’offesa lanciata dalla parte europea.
    “L’accordo è vantaggioso per tutti, non è un favore concesso da una parte all’altra”, ha precisato Zhao Lijian. “La Cina ha sempre favorito la cooperazione nei rapporti con l’UE e noi speriamo che la controparte europea si comporterà allo stesso modo con noi, mettendo da parte gli sfoghi emotivi e preferendo la razionalità per prendere le decisioni giuste nel suo interesse.

    Dopo il voto del Parlamento europeo era arrivata la reazione del Ministero degli Esteri cinese: “L’UE metta da parte gli sfoghi emotivi e preferisca la razionalità”

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    La guerra mondiale al Covid 19. Dal Global Health Summit di Roma la strategia per prepararsi alle future pandemie

    Roma – “Gli obiettivi che abbiamo in questo vertice sono tre: mettere sotto controllo la pandemia, assicurare che i vaccini arrivino a tutti ovunque e prepararci e prevenire le future crisi sanitarie”. Ursula von der Leyen apre così il Global Health Summit di Roma insieme a Mario Draghi, accogliendo seppur a distanza, una ventina di capi di stato e di governo, le principali organizzazioni internazionali e sanitarie mondiali per l’evento organizzato a Villa Pamphilj nell’ambito della presidenza italiana del G20. “Dobbiamo vaccinare il mondo e farlo velocemente” dice il premier italiano, “la cooperazione internazionale sarà importante anche nel futuro. Dobbiamo capire cosa è andato storto e prepararci alle crisi future”.
    Villa Pamphilj, sede del Global Health Summit – Roma
    Prima del tavolo tra i capi di stato e di governo, il summit è stato aperto dai contributi di scienziati, medici, filantropi ed economisti. Le conclusioni saranno firmate nel pomeriggio con la dichiarazione di Roma ma la presidente della Commissione ha anticipato che il Team Europe punta a donare 100 milioni di dosi di vaccino contro il Covid-19 ai Paesi a medio e basso reddito entro la fine del 2021”.
    Dalla pandemia abbiamo imparato la lezione che “abbiamo bisogno gli uni degli altri” ha detto von der Leyen, e “se oggi abbiamo una speranza lo dobbiamo alla comunità scientifica, a uomini e donne che hanno dedicato la loro vita alla scienza”. E a questo proposito il panel di scienziati ha già inviato il suo messaggio “per un accesso universale alle risorse, perché nessun Paese sarà al sicuro fino a quando tutti i Paesi non lo saranno”. Si tratta di un decalogo con l’indicazione delle azioni necessarie per metter fine alla pandemia e assicurare una migliore preparazione in vista delle future minacce.
    Sul fronte dei vaccini le aziende produttrici intervenute al summit hanno assicurato un ulteriore sforzo di produzione che arriva fino a 2,6 miliardi di dosi tra questo e il prossimo 2022, destinati ai Paesi più poveri e al programma Covax. Un impegno confermato dalla presidente von der Leyen che ha spiegato come “le licenze volontarie sono il miglior modo per assicurare il necessario trasferimento di tecnologie e know-how, insieme ai diritti di proprietà intellettuale”.
    Riguardo ai brevetti il premier Draghi ha confermato che l’Italia è favorevole alla proposta della sospensione “purché sia temporanea, mirata e non mini gli sforzi innovativi delle compagnie farmaceutiche”. Tuttavia ha proseguito che “questo non risolve perché non garantisce che i Paesi a basso reddito siano effettivamente in grado di produrre i propri vaccini. Dobbiamo sostenerli finanziariamente e con competenze specializzate”. Poi ha insistito sulle esportazioni libere mandando un messaggio ai partecipanti al summit: “L’UE  ha esportato circa 200 milioni di dosi di vaccini Covid-19 in 90  paesi, circa la metà della sua produzione totale. Tutti gli Stati devono fare lo stesso”.

    A Roma il vertice mondiale della salute per combattere la pandemia. Focus sui vaccini: pormessi 2,6 miliardi di dosi per i Paesi poveri. Draghi: “favorevoli alla sospensione dei brevetti ma bisogna produrre di più e trasferire tecnologie”

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    Visita in Tunisia di Johansson e Lamorgese: sui migranti approccio globale e ricollocamento obbligatorio

    Roma – L’Italia non resterà sola e nel nuovo patto il ricollocamento sarà obbligatorio. Ylva Johansson è in visita a Tunisi per i colloqui con il governo locale insieme alla ministra italiana Luciana Lamorgese e conferma l’impegno dell’UE per un approccio globale sui flussi migratori, per andare oltre le soluzioni di sicurezza che hanno dimostrato i loro limiti. La Commissaria europea agli affari interni spiega che è necessario un lavoro intenso tra i partner dell’UE e i paesi terzi “per evitare che i migranti partano, creando condizioni migliori per i giovani” e anche costruendo percorsi legali d’ingresso.
    Nel nuovo patto sulla migrazione e asilo ci saranno anche soluzioni specifiche per l’Italia e i Paesi che hanno coste molto estese. Aspettando un’intesa che è ancora prematura e non sarà pronta prima della fine dell’anno, Johansson comunque assicura che la proposta della Commissione è per “un meccanismo di ricollocamento assolutamente obbligatorio con i Paesi dell’Ue che secondo la loro forza economica e della loro dimensione, della loro popolazione, si vedranno attribuiti un certo numero di migranti”.
    Resta l’emergenza degli sbarchi estivi con l’Unione europea che dovrà rinnovare la sua moral suasion verso gli Stati membri per una redistribuzione su base volontaria per non lasciare sola l’Italia, unico Paese a ospitare i salvataggi in mare.  “Non basta la sicurezza, bisogna contrastare la povertà e sostenere lo sviluppo dei Paesi d’origine” ha detto durante gli incontri il presidente tunisino Kais Saied.
    l’incontro con il presidente della Repubblica tunisina Kais Saied
    Nella nota diffusa dal governo di Tunisi, la ministra Lamorgese ha sottolineato “l’impegno dell’Italia a continuare a sostenere il Paese nordafricano accelerando il ritmo degli investimenti, contribuendo allo sviluppo delle regioni interne e creando posti di lavoro per i giovani, al fine di ridurre il fenomeno migratorio”.
    L’UE continuerà a sostenere il processo democratico in Tunisia, ha assicurato Johansson, elogiando l’integrazione della comunità locale nella società e nel tessuto economico dei Paesi europei. età europee e il loro ruolo
    attivo nel tessuto economico dei paesi dell’Unione”. Durante l’incontro, conclude la nota “le due parti hanno espresso la loro determinazione a combattere le reti criminali della tratta di esseri umani che sfruttano le difficili condizioni economiche di alcuni gruppi per trarne profitto”.

    L’incontro con le istituzioni tunisine per rafforzare la collaborazione con l’UE del Paese nordafricano. Le parti d’accordo per affrontare il fenomeno non solo con il registro della sicurezza che ha mostrato limiti

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    Strategia anti Covid globale. Dalla conferenza per l’Africa via i brevetti sui vaccini

    Roma – Un new deal per l’Africa e come primo impegno i vaccini. Il vertice di Parigi poteva essere solo l’ennesimo incontro di sole buone intenzioni ma questa volta potrebbe sortire qualcosa di più concreto. In prima battuta sulla questione dei sullo stop temporaneo ai brevetti che i partecipanti hanno sottoscritto. E’ la vittoria del presidente francese Emmanuel Macron che ha chiamato a raccolta i principali capi di Stato e di governo africani e dei Paesi occidentali, e i vertici di ONU, UE e delle Istituzioni Finanziarie Internazionali.
    Incontro ibrido, per la gran parte da remoto ma che Mario Draghi ha voluto onorare in presenza. “L’Europa e gli Stati Uniti hanno risposto alle devastazioni della pandemia” con finanziamenti all’economia e garantendo la vaccinazione per tutti. “In Africa non c’è nulla di tutto questo – ha detto il premier italiano – con questo summit dobbiamo cominciare a organizzare una risposta dello stesso tipo”.

    Una risposta mondiale che “sosterremo nel G20 e nelle istituzioni multilaterali”, proposte che vanno dalle ristrutturazioni dei debiti alla questione dei vaccini” ha aggiunto Draghi. L’iniziativa del presidente Usa Joe Biden sui brevetti non è per nulla tramontata almeno per gli obiettivi di Parigi. “Sosteniamo i trasferimenti di tecnologie e la richiesta all’Oms, all’Omc e a Medicines Patent Pool (il comitato dell’Onu per la medicina salvavita) di togliere tutti gli obblighi in termini di proprietà intellettuale che ostacolano la produzione di qualsiasi tipo di vaccino”, ha detto Macron al termine del vertice.
    Al summit hanno partecipato anche la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio Charles Michel e la direttrice del Fondo monetario internazionale Kristalina Georgieva. “Abbiamo concordato l’obiettivo di raggiungere il 40 per cento di persone vaccinate nel continente africano entro il 2021 – ha detto la leader del FMI – e del 60 per cento entro metà del 2022, riallocando 500 milioni di dosi in eccesso e aumentando la produzione fino a un miliardo per il prossimo anno”.
    In sostanza, da parte di tutti i partecipanti c’è la consapevolezza che non ci sarà ripresa economica senza una strategia globale anti Covid. Tutto ciò ha portato anche alle altre proposte della moratoria sul debito dai Paesi del G20 per il 2020 e il 2021 a cui si aggiunge un quadro comune di consolidamento per la ristrutturazione del debito. Fondo monetario, l’Agenzia internazionale per lo sviluppo dei paesi poveri e i partecipanti del club di Parigi hanno poi concordato di mobilitare diritti speciali di prelievo (le riserve del paniere di valuta estera utilizzate dal FMI in momenti di crisi) fino a 650 miliardi di dollari per finanziare investimenti pubblici e privati.
    Impegni che anche i rappresentanti degli Stati africani hanno definito come “un cambio di paradigma” nelle politiche economiche delle grandi potenze. “Per la prima volta l’Europa, gli Stati Uniti e la Cina insieme decidono di trattare le loro relazioni con l’Africa” – ha detto il presidente della Repubblica del Congo e dell’Unione africana Felix Tshisekedi – le conclusioni non resteranno lettera morta ma saranno il punto di partenza per promuovere un cambiamento”.

    Macron a Parigi convince tutti per rilanciare l’iniziativa di Biden. Draghi: In Africa dobbiamo rispondere come abbiamo fatto in Europa e negli Stati Uniti. Tra gli impegni anche la ristrutturazione del debito

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    Tensione a Gaza, l’UE invita alla de-escalation e alla protezione dei civili

    Bruxelles – L’Unione Europea è coinvolta in un’intensa attività diplomatica da quando lunedì 10 maggio sono ricominciate nuove tensioni tra Palestina e Israele. Lo ha riferito durante il punto giornaliero con la stampa Peter Stano, il portavoce dell’Alto Rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza comune, interpellato sulla posizione di Bruxelles sugli scontri che hanno nuovamente infiammato il conflitto tra le due parti nell’area.
    “Da quando le tensioni sono ricominciate l’UE è impegnata a parlare e a lavorare con le parti a livello internazionale”, ha affermato il portavoce. Le priorità per l’Unione restano la de-escalation e la protezione delle vite dei civili e quindi il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di “tutte e due i fronti”.
    In un comunicato l’Alto Rappresentante Josep Borrell ha definito “inaccettabile” il lancio dei razzi organizzato da Gaza verso la popolazione civile israeliana. “La violenza degli ultimi giorni dimostra la necessità di rilanciare i negoziati per cercare una soluzione pacifica sostenibile per l’attuale situazione, l’orizzonte politico deve essere ristabilito”, ha continuato Stano. Il portavoce ha anche dichiarato che gli sforzi dell’UE si stanno tutti concentrando sulla ripresa di un negoziato diretto che promuova la soluzione dell’esistenza di due Stati, uno di Israele e uno di Palestina.
    I missili lanciati da Gaza sono stati una risposta agli scontri registratisi lunedì mattina sulla Spianata delle Moschee, il principale sito religioso palestinese nella città di Gerusalemme. A fronte dei trecento feriti comunicati, Hamas, il movimento radicale che controlla la Striscia di Gaza ha lanciato decine di razzi verso lo Stato ebraico senza provocare morti. La reazione di Tel Aviv non si è fatta attendere: l’aviazione israeliana ha colpito 140 obiettivi militari a Gaza e ora minaccia un’operazione di terra. Le autorità palestinesi finora parlano di 20 morti e decine di feriti.

    Dopo gli scontri alla Spianata delle Moschee la risposta di Gaza e la successiva ritorsione da parte di Tel Aviv. Bruxelles tenta di mediare: “L’orizzonte politico deve essere ristabilito”

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    Elezioni Scozia, effetto Brexit: gli indipendentisti a un soffio dalla maggioranza assoluta. Ma c’è la stampella dei Verdi

    Bruxelles – È gelido il vento che soffia a nord del Vallo di Adriano sulle speranze del premier britannico, Boris Johnson, di tenere a bada le istanze indipendentiste della Scozia. Con 64 seggi conquistati su 129 in palio, il Partito Nazionale Scozzese (SNP) della prima ministra, Nicola Sturgeon, ha trionfato alle elezioni per il rinnovo del Parlamento di Holyrood e ora punta all’obiettivo di indire un nuovo referendum per la separazione del Paese dal Regno Unito.
    Gli scozzesi si sono recati alle urne durante il Super Thursday (giovedì 6 maggio), la grande giornata elettorale che ha coinvolto anche i gallesi – per il Parlamento – e gli inglesi – per le elezioni locali. Il partito nazionalista della premier Sturgeon partiva da una base di 62 seggi, conquistati alle legislative del maggio 2016 (un deputato è uscito dal partito durante la legislatura). Ma già alla vigilia del voto era chiara l’intenzione di puntare al pesce grosso: la maggioranza assoluta (65 seggi), per rendere incontestabile la richiesta a Londra di un secondo referendum, dopo quello del 2014 fallito con l’opposizione del 55 per cento degli elettori.
    La prima ministra e leader del Partito Nazionale Scozzese, Nicola Sturgeon
    Nonostante l’obiettivo sia sfumato per un soffio, anche solo con in mano un primato rafforzato la prima ministra si è opposta all’idea che la Scozia non possa tornare a esprimersi: “Non c’è alcuna giustificazione democratica per Boris Johnson per tentare di bloccare il diritto del popolo scozzese di decidere il proprio avvenire”, ha commentato il risultato ai media britannici. “A qualsiasi politico a Westminster che voglia mettersi di traverso, dico due cose: primo, non andate allo scontro con l’SNP, secondo, non riuscirete a contrastare i desideri democratici del popolo”, ha aggiunto, sottolineando che “senza alcun dubbio in Parlamento c’è una maggioranza pro-indipendenza“.
    Una dichiarazione che incontra le prospettive dei Verdi scozzesi, che hanno conquistato 8 seggi (+6 rispetto alle elezioni del 2016). La co-leader, Lorna Slater, ha già reso nota l’intenzione di sostenere un nuovo referendum, anche se gli indipendentisti non sono riusciti a conquistare la maggioranza assoluta: “È un processo democratico. Che Paese saremmo se lo ignorassimo?” Grazie alla stampella dei Verdi, le forze a favore dell’indipendenza raggiungerebbero così i 72 seggi, contro i 57 contrari: 31 conservatori (allineati al risultato del 2016, ma si confermano seconda forza nel Paese), 22 laburisti (-2) e 4 liberal-democratici (-1).
    A pesare sulla volontà di far tornare gli elettori scozzesi a pronunciarsi su questo tema è la variabile Brexit, condizione che invece non sussisteva sette anni fa. Il governo di Edimburgo, fortemente europeista (almeno da quando è diventata reale l’uscita del Regno Unito dall’UE), ha protestato con forza contro Downing Street per le condizioni imposte all’economia e alla società scozzese da una scelta non condivisa a Holyrood. Il 23 giugno del 2016, solo il 38 per cento degli scozzesi aveva votato Leave, nella scelta se rimanere o abbandonare l’Unione Europea (nel Regno Unito, complessivamente era stato il 51,9). Quel referendum storico ha ricordato ai cittadini a nord del Vallo che rappresentano solo l’8 per cento della popolazione britannica e che possono essere facilmente messi in minoranza dai vicini meridionali. L’esclusione dal programma Erasmus+, imposta dalla decisione del governo Johnson durante i negoziati Brexit, ha dato il colpo di grazia.

    🏴󠁧󠁢󠁳󠁣󠁴󠁿 The people of Scotland have spoken – it’s an SNP landslide.
    ✅ Highest number of votes✅ Highest number of constituency seats ever✅ Highest vote share ever in a Scottish election
    👇 Once we rebuild Scotland from COVID, there will be an independence referendum. pic.twitter.com/k5Oq4hndh1
    — The SNP (@theSNP) May 8, 2021

    I risultati del ‘Super Thursday’ per il rinnovo del Parlamento di Holyrood hanno confermato la vittoria della premier Sturgeon, con 64 seggi su 129 (più gli 8 della forza ecologista): “Ora nulla giustifica un ‘no’ al referendum per l’indipendenza”

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    Deroga brevetti, leader UE rispondono a Biden: “Vaccini servono ora, via il blocco sulle esportazioni”

    Bruxelles – Servono vaccini nel mondo ora, anche con una deroga temporanea sui brevetti si parla di mesi se non anni per la distribuzione su larga scala. L’Unione europea si mostra scettica sul fatto che rinunciare ai diritti di “proprietà intellettuale” sui vaccini COVID-19 sia il modo giusto per combattere la pandemia “qui e ora”, i capi di Stato e governo sono aperti a discutere di sospensione temporanea, ma non è la soluzione a breve termine per l’urgente necessità di vaccinare tutti, anche i Paesi più poveri.
    È quanto affermano Ursula von der Leyen e Charles Michel riassumendo gli esiti della prima discussione tra capi di Stato e Governo sulla sospensione temporanea dei brevetti sui vaccini, una proposta avanzata dal presidente USA Joe Biden nei giorni scorsi. Un’idea su cui vale la pena riflettere, ma che non sarà risolutiva se il problema è garantire accesso ai vaccini a chi non può permettersi di pagarli quanto i Paesi più sviluppati, o di sviluppare una propria capacità di produzione. I presidenti di Commissione europea e Consiglio europeo tirano le fila delle conclusioni a cui sono giunti i leader europei a Oporto, in Portogallo, durante un vertice informale (7 e 8 maggio) che ha discusso anche di pandemia.
    Non c’è solo timidezza nei confronti della proposta di Washington, ma anche qualche controproposta. Prioritario rimane aumentare la capacità produttiva non solo in Europa e assicurare che le dosi di vaccini siano distribuite in maniera equa in tutto il mondo. Questo il punto fondamentale: “le esportazioni sono il modo migliore per approcciare l’assenza di vaccini nel mondo”, ha detto von der Leyen. Il messaggio a Biden è chiaro: si parta prima dal consentire l’esportazione delle dosi che vengono prodotte nelle regioni più ricche del mondo, come l’Europa ma come anche gli Stati Uniti.
    Proprio l’Unione Europea “è l’unica regione democratica che produce su larga scala ed esporta su larga scala”, puntualizza la presidente della Commissione europea. Precisamente 200 milioni di dosi (la metà esatta delle dosi prodotte) in circa novanta Paesi. Una precisazione che arriva e che l’UE si sente in dovere di fare, perché dopo l’apertura di Biden Bruxelles è accusata di mancanza di solidarietà perché non vuole rinunciare ai diritti dei brevetti sui vaccini. Quindi, bene l’apertura su questa discussione circa la proprietà intellettuale dei vaccini, ma bisogna andare oltre e cercare un approccio che aiuti a “risolvere l’urgenza di ora”. Anche perché, la sospensione dei diritti di proprietà intellettuale su un vaccino non significa per forza un trasferimento di conoscenze e tecnologie da parte delle società farmaceutiche, quindi si viene a creare anche un problema di sicurezza sulla produzione.
    Ricorda il ruolo di Covax – il programma globale delle Nazioni Unite, guidato dall’Organizzazione mondiale della Sanità a cui aderisce anche l’Unione Europea – nella distribuzione dei vaccini in Paesi a basso reddito. Ci sono due vie per la distribuzione in Paesi terzi per gli Stati membri: attraverso il sistema COVAX, oppure anche bilateralmente. Romania, Austria e Francia hanno già distribuito in maniera indipendenti “dosi in eccesso” a partner, ma ci sono altri Paesi che hanno confermato l’impegno a fare lo stesso, come Spagna e Portogallo. Von der Leyen ha chiarito che anche l’ultimo contratto con BioNTech-Pfizer per 1,8 miliardi di dosi per gli anni 2021-2023 siglato oggi prevede la possibilità per gli Stati di donare o eventualmente rivendere dosi a Paesi poveri.
    C’è poi la terza via di mobilitare più investimenti in loco per l’aumento della capacità di produzione a livello globale, quindi anche nei Paesi in via di sviluppo. La presidente sostiene che la Commissione insieme alla Germania stanno investendo nel Sud Africa e sotto l’ombrello della BEI (Banca europea degli Investimenti) in Senegal. Questo per ribadire che secondo l’UE ci sono altri modi, più rapidi, per distribuire i vaccini, ma tutto deve partire dal porre fine al blocco sulle esportazioni. Una linea comune che viene confermata in conferenza stampa anche dal premier italiano Mario Draghi e dal presidente francese Emmanuel Macron, che rispondendo in conferenza stampa ha ricordato che l’UE è “stata più lenta con le campagne di immunizzazione in Europa perché siamo stati aperti fin dall’inizio. Gli Stati Uniti per ora hanno esportato solo il 5 per cento a Canada e Messico, mettano fine alle restrizioni sull’export”, ha richiamato Macron.
    Impegno UE sul versante internazionale che viene riconosciuto anche dal presidente del Consiglio e uropeo, Charles Michel: “Nessuno di noi sarà pienamente al sicuro dal COVID se non è al sicuro tutto il mondo”, ribadendo l’importanza di aprire alle esportazioni dei vaccini. Rimane l’impegno a discutere sulla sospensione dei brevetti ma non sarà di certo “la soluzione magica”. Oltre ai brevetti, anche il Certificato verde digitale: i leader hanno discusso anche dello strumento da implementare per tornare a viaggiare senza troppe restrizioni in area Schengen. Von der Leyen vede la possibilità di un accordo entro maggio, e assicura che “il lavoro tecnico e legale è in carreggiata. Il sistema operativo sarà operativo a giugno”. Come avevamo scritto, il sistema operativo comincerà la fase pilota di sperimentazione in 16 stati membri da lunedì 10 maggio. Se la parte tecnica è a buon punto, rimane da capire cosa accadrà all’accordo politico tra negoziatori di Parlamento e Consiglio. Sul fronte politico “possiamo puntare realisticamente all’obiettivo di raggiungere un accordo tra Consiglio e Parlamento europeo per fine maggio”, ha detto la presidente von der Leyen. Prossimo trilogo previsto per l’11 maggio.

    “L’export di dosi è il modo migliore per risolvere l’urgente problema dell’assenza di vaccini nel mondo”, ha chiarito la presidente della Commissione von der Leyen. L’Unione Europea “è l’unica regione democratica che produce su larga scala ed esporta su larga scala”, ha puntualizzato al termine del Summit UE di Oporto, invitando anche gli Stati Uniti a fare lo stesso

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    Biden scuote l’Europa. Von der Leyen: su vaccini e brevetti pronti a discutere

    Roma – Dopo mesi di pressioni da ogni parte il tema della sospensione temporanea della proprietà intellettuale sui vaccini comincia potrebbe sbloccarsi. A sollecitare una decisione nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio WTO, anche gli Stati Uniti favorevoli a una deroga.
    Da sempre sostenitori della difesa della proprietà intellettuale, la nota diffusa ieri appare come una svolta storica: “Questa è una crisi sanitaria globale e circostanze eccezionali richiedono misure eccezionali”, ha scritto l’inviata Usa per il commercio Katherine Tai, stretta collaboratrice di Joe Biden.
    Oggi la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha accolto positivamente la proposta: “Pronti a discuterne”, ha detto durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione europea anche se, a dire il vero, non aveva dato molto peso al voto del Parlamento che a marzo votò un emendamento in questa direzione.
    Nessun entusiasmo anzi, più propensa al no è la cancelliera tedesca Angela Merkel, più vicina alla posizione dell’industria farmaceutica (in testa Pfizer) che stamani aveva bocciato la mossa dell’amministrazione Biden.  Per il governo tedesco la revoca dei brevetti “provocherebbe serie complicazioni per la produzione dei vaccini, aggiungendo che la protezione della proprietà intellettuale è una fonte di innovazione e deve rimanere tale anche in futuro”.
    Sembra approvare, tiepidamente, il presidente del Consiglio Mario Draghi, che in una nota afferma:  “I vaccini sono un bene comune globale. È prioritario aumentare la loro produzione, garantendone la sicurezza, e abbattere gli ostacoli che limitano le campagne vaccinali”.
    Maglio tardi che mai e così ance il Commissario al mercato interno e innovazione con delega al Covid, Thierry Breton si è messo in scia annunciando che “ora che la produzione di vaccini sta per raggiungere i nostri obiettivi, è tempo di aprire una nuova fase e affrontare la questione dei brevetti”.
    Anche il presidente del Parlamento David Sassoli, annuncia in un tweet che l’aula è “pronta a discutere qualsiasi proposta che aiuti ad accelerare la vaccinazione a livello global”, dunque a valutare la questione dei brevetti e delle licenze.

    The @Europarl_EN is ready to discuss any proposal that will help speed up vaccination globally.
    In these exceptional times, we must make sure patents and licences work to protect the interests of all.
    — David Sassoli (@EP_President) May 6, 2021

    Iniziativa su cui preme anche il presidente del gruppo dei Verdi Philippe Lamberts che chiede all’Eurocamera una “posizione inequivocabile” nella prossima sessione, e sollecita l’UE “oltre a sostenere la revoca dei brevetti, a favorire il trasferimento di tecnologie e di know-how verso i paesi terzi al fine di aumentare la produzione mondiale di vaccini”.
    Il cambio di rotta a Bruxelles raccoglie i commenti degli europaralmentari italiani. Patrizia Toia, del Pd spiega che “lasciare miliardi di persone nei Paesi in via di sviluppo in balìa del coronavirus è una scelta contraria ai nostri valori” sottolineando che “il ritardo dell’Unione europea nel riconoscere questa realtà, ha dimostrato una debolezza di leadership. Ora è il momento di cambiare”. Ritardo segnalato anche da Sabrina Pignedoli del Movimento 5 Stelle, scrivendo che “avremmo desiderato che l’UE fosse stata portabandiera nel mondo di questa solidarietà e non a rimorchio ma va bene così se raggiungiamo l’obiettivo”.
    Appena annunciato il traguardo del vaccino, poco prima della fine del 2020, era stato Papa Francesco nel suo messaggio di Natale Urbi et orbi a chiedere che il vaccino doveva essere a disposizione di tutti, specie alle popolazioni più vulnerabili. Una sollecitazione ufficiale inviata dal Vaticano in ambito WTO già nel mese di febbraio.
    Ora l’obiettivo è ravvicinato. La spinta di Biden dovrebbe portare a discuterne subito fra qualche giorno nell’ambito del Consiglio europeo di Oporto. Subito dopo ci sarà l’appuntamento del 21 maggio al Global Health summit di Roma in ambito G20 dove anche l’Italia che lo presiede potrà recuperare il tempo perduto.
    Per i grandi del pianeta, vaccinare tutto il mondo è prima di tutto giusto e diventerebbe quasi un gesto di egoismo.

    Con la proposta USA, gli equilibri in ambito del WTO potrebbero cambiare anche se in Europa Angela Merkel si schiera il no alla revoca della proprietà intellettuale. Contro anche l’industria farmaceutica