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    Un G20 straordinario per la crisi afgana. Draghi incontra il ministro russo Lavrov che chiede un vertice allargato a Iran e Pakistan

    Roma – Un G20 straordinario sulla crisi afgana. Dopo gli scarsi risultati dei sette grandi la presidenza italiana ci prova, nella speranza che con una formula più allargata si possa trovare uno spazio più condiviso. E la tappa di oggi (27 agosto) del ministro degli esteri della Federazione Russa Sergei Lavrov a Roma è stato un primo tassello, colloquio seguito da una telefonata tra il premier Mario Draghi e il primo ministro indiano Narendra Modi. Per un vertice straordinario servono certamente molti altri avvalli, tra cui quello della Cina. L’Italia sarebbe favorevole a una formula più ampia che comprenda anche alcuni inviti strategici come Iran e Pakistan, come ha rivelato il ministro russo Lavrov.
    “Il G20 rappresenta sicuramente la possibilità di intensificare la collaborazione fra i diversi Paesi e a differenza del formato G7, riflette la realtà multipolare del nostro mondo” ha detto il politico russo subito  dopo il colloquio alla Farnesina con il ministro italiano Luigi Di Maio. Conscio delle difficoltà in questa fase acuta della crisi ha detto che “le soluzioni congiunte non sono mai semplici ma la questione afgana “ci invita unire in nostri sforzi”. La preoccupazione della Russia è rivolta in modo particolare alla lotta al terrorismo e alla sicurezza dei confini, e va in questa direzione la richiesta di coinvolgimento dei Paesi alleati di Mosca, che più di altri risentiranno di una mancata stabilizzazione dell’area e del flusso dei profughi.
    Stabilizzazione tra gli obiettivi prioritari elencati anche da Mario Draghi per garantire la sicurezza del Paese e su scala regionale, “affrontare l’emergenza umanitaria e vegliare sul rispetto dei diritti umani, in particolare delle donne”.
    In questa fase è necessario uno “stretto coordinamento internazionale” ha sostenuto Di Maio, al termine del colloquio con il capo della diplomazia di Mosca, confermando che in questo contesto “il dialogo con la Russia è imprescindibile”, definendola “un attore fondamentale”.

    Durante i due distinti colloqui a Palazzo Chigi e alla Farnesina, si è discusso anche della questione libica per la quale Italia ritiene necessario “proseguire con il dialogo politico promosso a Ginevra dalle Nazioni Unite anche in vista delle elezioni di fine dicembre e della necessità di un rapido ritiro delle forze straniere dal Paese” con un chiaro riferimento anche al coinvolgimento della Russia e della Turchia.
    Restano ancora distanze profonde sulla questione Ucraina e sul caso Navalny. Lavrov ha ribadito che “è il governo di Kiev a non rispettare gli accordi di Minsk”, e ha rivendicato ancora una volta la libera scelta delle popolazioni della Crimea. Tra Mosca e l’Unione Europea resta dunque un solco profondo anche se il tema delle sanzioni è rimasto fuori dai colloqui odierni. Per quanto riguarda Alexej Navalny, Di Maio ha ricordato a Lavrov la “preoccupazione dell’Italia per l’oppositore del governo di Mosca “al quale devono essere applicate le legittime garanzie e la tutela dei “diritti fondamentali”.

    Russia disponibile a sostenere una proposta che rifletta un contesto multipolare al contrario del G7. Di Maio: Russia attore fondamentale ma con Mosca restano le distanze su Ucraina e caso Navalny

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    Migranti, la soluzione di Polonia e Paesi baltici per fermare la rotta bielorussa è innalzare muri e sanzionare Minsk

    Bruxelles – Si sta trasformando sempre più in una polveriera il confine dell’Unione Europea con la Bielorussia. Lituania e Polonia sono sul piede di una guerra diplomatica con il regime di Alexander Lukashenko a causa di quello che dai funzionari europei viene definito un “attacco ibrido”. Il presidente bielorusso da mesi agevola il flusso irregolare di migliaia di persone migranti verso l’Unione Europea, come ritorsione alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles.
    Dopo la pubblicazione dei dati sul flusso di immigrazione irregolare da parte del dipartimento di Statistica del governo lituano, il ministro degli Esteri, Gabrielius Landsbergis, ha fatto sapere ieri (24 agosto) durante una conferenza stampa che Vilnius ha proposto all’Unione Europea di imporre sanzioni ai bielorussi che stanno aiutando i migranti ad attraversare la frontiera. Il ministro lituano ha presentato al Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) una lista di cittadini e aziende bielorusse “coinvolte nei flussi migratori illegali”.
    Il valico di frontiera di Padvaronys, tra Lituania e Bielorussia
    Dal primo gennaio a oggi (25 agosto) le statistiche ufficiali del governo riportano 4.140 tentativi di attraversamento illegale della frontiera lituana dal territorio bielorusso. A inizio luglio erano 672, in tutto lo scorso anno 81 (tra il 2017 e il 2020 complessivamente 303). Nel solo mese di luglio l’entità del flusso migratorio è aumentata esponenzialmente, oltre sei volte quella registrata nei primi sei mesi dell’anno.
    “Dobbiamo mandare un segnale molto chiaro non solo alla Bielorussia, ma anche a qualsiasi dittatore che decida di usare un tale strumento contro l’Unione Europea o uno dei suoi Stati”, ha minacciato Landsbergis. Ma le sanzioni sono solo l’ultimo tra gli strumenti proposti dal governo di Vilnius. Il 9 luglio la Lituania ha annunciato la costruzione di una barriera di filo spinato di 550 chilometri – sui 678 totali – di confine con la Bielorussia, che prevede di completare entro settembre del prossimo anno. Rispetto alle previsioni di spesa (41 milioni di euro), il costo stimato è lievitato e si attesta ora a 152 milioni di euro. Estonia, Slovenia e Danimarca hanno già aiutato la Lituania, inviando materiale per la costruzione della prima barriera di filo spinato.
    Muri, sanzioni e finanziamenti
    Costruire muri per proteggere le frontiere esterne dell’UE costa e, come la Lituania, anche gli altri Paesi membri della regione sono alla ricerca di sostegno economico per intraprendere lo stesso tipo di operazioni. In primis la Polonia, da dove è arrivata la notizia che sarà costruita una recinzione simile a quella lituana lungo i 399 chilometri di confine con la Bielorussia. Ad annunciarlo è stato il ministro della Difesa, Mariusz Błaszczak, su Twitter: si tratterà di una recinzione di 2,5 metri di altezza, mentre “più soldati saranno coinvolti per aiutare la guardia di frontiera”.
    Nel frattempo il premier Mateusz Morawiecki ha accusato Lukashenko di “cercare sistematicamente e in modo organizzato di destabilizzare la situazione politica” in Polonia. Morawiecki ha riferito di essere a conoscenza di “pubblicità che incoraggiano gli iracheni a viaggiare in Bielorussia” e di lì sarebbero poi “scortati al confine e costretti da ufficiali bielorussi ad attraversare la frontiera“.
    Il governo polacco è stato però criticato da diverse organizzazioni per i diritti umani per essersi reso responsabile di episodi di pushback (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea), come nel caso di un gruppo di migranti nei pressi del villaggio di Usnarz Gorny. “Questi non sono rifugiati, sono migranti economici portati dal governo bielorusso“, ha risposto in modo inquietante ai giornalisti il viceministro degli Esteri, Marcin Przydacz, giustificando implicitamente possibili azioni illegali da parte della guardia di frontiera polacca.

    Na granicy z Białorusią powstanie nowy, solidny płot o wysokości 2,5 m. Więcej żołnierzy będzie zaangażowanych w pomoc Straży Granicznej. Wkrótce przedstawię szczegóły dotyczące dalszego zaangażowania Sił Zbrojnych RP. pic.twitter.com/uTQ0lKYIb4
    — Mariusz Błaszczak (@mblaszczak) August 23, 2021

    Come la Lituania, anche la Polonia e la Lettonia hanno visto aumentare il numero di attraversamenti illegali, mentre l’Estonia teme ripercussioni sulla stabilità interna e di tutta la regione. Per questo motivo i primi ministri dei quattro Paesi (rispettivamente Ingrida Šimonytė, Mateusz Morawiecki, Arturs Krišjānis Kariņš e Kaja Kallas) hanno firmato una dichiarazione congiunta per portare all’attenzione dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “la questione degli abusi dei migranti sul territorio bielorusso”.
    I quattro premier hanno sollecitato l’alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati a “prendere misure attive per facilitare la soluzione di questa situazione”, dal momento in cui “la crisi in corso è stata pianificata e sistematicamente organizzata dal regime di Alexander Lukashenko“. Il fatto di “usare gli immigrati per destabilizzare i Paesi vicini costituisce una chiara violazione del diritto internazionale”, da qualificarsi come “attacco ibrido”.
    In quest’ottica all’Unione Europea è stato chiesto di “ripensare l’approccio alla protezione dei nostri confini”. Non si tratterebbe solo di “un’adeguata attenzione politica a livello europeo”, ma soprattutto di “stanziare fondi sufficienti” ai singoli Stati membri, essendo questa una “responsabilità comune” dell’intera Unione. Lituania, Polonia, Lettonia ed Estonia hanno messo nero su bianco che “prenderemo tutte le azioni necessarie, compreso il patrocinio di eventuali nuove misure restrittive da parte dell’UE, per prevenire qualsiasi ulteriore immigrazione illegale orchestrata dallo Stato bielorusso”. Allo stesso tempo, è stata ribadita la volontà di “fornire tutta la protezione necessaria alle persone che entrano nei nostri Paesi alle condizioni previste dal diritto internazionale dei rifugiati”.
    La risposta dell’Unione
    “Non possiamo accettare alcun tentativo da parte di Paesi terzi di incitare alla migrazione illegale”, ha commentato ieri il portavoce per la Giustizia della Commissione UE, Christian Wigand, durante il punto giornaliero con la stampa. “Respingiamo fermamente i tentativi di strumentalizzare le persone per scopi politici”. L’esecutivo comunitario starebbe comunque “monitorando da vicino gli sviluppi al confine per la gestione ordinata delle frontiere e il pieno rispetto dei diritti fondamentali dei migranti”.
    La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, durante la sua visita al valico di frontiera di Padvaronys (2 agosto 2021)
    Una replica attendista, soprattutto in ottica di possibili nuovi pushback alle frontiere dell’Unione Europea (dopo quelli in Ungheria, Croazia e Grecia). Il portavoce dell’esecutivo non si è voluto sbilanciare, richiamandosi piuttosto alle dichiarazioni che hanno seguito la riunione straordinaria dei ministri degli Interni di mercoledì scorso (18 agosto). “Questo comportamento aggressivo è inaccettabile ed equivale a un attacco diretto e mirato a mettere sotto pressione l’Unione“, aveva spiegato alla stampa la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson.
    Ora che si innesta anche la questione di nuovi flussi migratori provenienti da un’Afghanistan destabilizzato, “l’Unione Europea dovrà considerare ulteriormente la sua risposta a queste situazioni, per scoraggiare qualsiasi tentativo di strumentalizzare l’immigrazione illegale“, ha aggiunto la commissaria Johansson. Dalla settimana prossima, quando l’esecutivo UE tornerà a lavorare a pieno regime, si capirà quale sarà la linea che verrà seguita sia a livello di ulteriori sanzioni contro la Bielorussia, sia sul piano di eventuali finanziamenti europei per l’innalzamento di nuovi muri alle frontiere esterne dell’Unione.

    La Lituania chiede all’UE di imporre sanzioni a chi agevola il flusso irregolare nel Paese, mentre Varsavia annuncia la costruzione di una barriera di confine. Denunciato il regime di Lukashenko in una dichiarazione congiunta con Estonia e Lettonia

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    Afghanistan, al vertice straordinario del G7 l’UE chiederà l’estensione della scadenza del 31 agosto per l’evacuazione

    Bruxelles – La parola è d’ordine è “evacuazione”. Evacuazione del personale e dei cittadini afghani che hanno collaborato per vent’anni con le forze statunitensi, europee e della NATO, da completarsi quanto più possibile entro una settimana esatta a partire da oggi. Sarà questo il tema centrale del vertice straordinario dei leader del Gruppo dei Sette, che inizierà fra poche ore (15.30 italiane) in forma virtuale.
    Ma fa già discutere e preoccupare la scadenza fissata dal regime dei talebani per il ritiro delle truppe occidentali dal Paese. Dopo Francia, Germania e Regno Unito, anche l’Unione Europea chiederà al vertice del G7 di estendere la data oltre il 31 agosto, per portare a termine tutte le operazioni di evacuazione all’aeroporto internazionale di Kabul. Per il momento rimane contrario il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, anche considerate le minacce talebane di ritorsioni se dal primo settembre saranno ancora presenti contingenti militari stranieri in Afghanistan, come confermato ieri (23 agosto) da un portavoce ai microfoni di Sky News.
    A Bruxelles la questione crea particolare apprensione ed è probabile che durante il vertice del G7 i due rappresentanti dell’Unione – il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen – insisteranno su una linea comune di rafforzamento dell’impegno per mettere in sicurezza tutti i membri dello staff ancora sul territorio afghano. Funzionari UE hanno riferito che la priorità per l’Unione è che le operazioni di evacuazione e l’assistenza umanitaria possano continuare, anche se si dovesse andare oltre la data del 31 agosto.
    Circa 400 persone tra staff locale della delegazione UE e rispettive famiglie sono già state evacuate (il portavoce della Commissione, Eric Mamer, ha annunciato che tutto il personale afghano che ha collaborato con le delegazioni UE è in salvo), ma gli stessi funzionari non hanno voluto riportare quante ne rimangano ancora da imbarcare verso l’Europa.
    Sul tavolo ci sarà poi il tema di se e come affrontare le future discussioni politiche con il regime dei talebani. Sempre secondo le fonti europee, si dovrebbe impostare un dialogo su tre pilastri: rispetto dei diritti umani dei gruppi vulnerabili e delle donne, lotta alla corruzione interna e impegno a non fare di nuovo del Paese “terreno fertile” per terroristi e traffici illeciti. Su questo aspetto Bruxelles non nega che “Cina e Russia sono parte della questione“, dal momento in cui tutti gli attori internazionali hanno interessi per un Afghanistan stabile, “magari con obiettivi diversi”.

    At today’s @G7 Leaders call, I will announce an increase in the humanitarian support for Afghans, in and around the country, from #EU budget from over €50m to over €200m.
    This humanitarian aid will come on top of Member States’ contributions to help the people of Afghanistan.
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) August 24, 2021

    Un’altra priorità per l’Unione riguarda gli aiuti umanitari per i cittadini afghani “dentro e intorno al Paese”, come anticipato dalla presidente von der Leyen su Twitter. “Alla riunione del G7 annuncerò un aumento del sostegno dal bilancio dell’UE“, da 50 a oltre 200 milioni di euro. A questo sostegno comunitario si aggiungeranno i contributi dei singoli Stati membri UE.
    Qui si apre l’ultima questione, che interessa da molto vicino le istituzioni europee e che negli ultimi giorni ha già sollevato polemiche all’interno dell’Unione. Si tratta della gestione dei flussi migratori dall’Afghanistan che si intensificheranno con l’inizio del governo talebano. Non è un caso se la presidente della Commissione ha fatto riferimento ad aiuti “intorno al Paese”. Come riferiscono i funzionari UE, il primo obiettivo sarà quello di sostenere i programmi umanitari nei Paesi confinanti (in particolare Iran e Pakistan), per renderli “soluzioni più credibili” agli occhi degli afghani rispetto al “consegnarsi nelle mani di trafficanti”.
    Prima di discutere sulla possibilità di una ridistribuzione dei profughi tra Paesi membri UE (“la situazione è ancora troppo fluida per tracciare le dimensioni dei flussi”, riferiscono le fonti di Bruxelles), si guarda alla Turchia. Il presidente Recep Tayyp Erdogan ha già riferito che la capacità di ricezione del Paese “è limitata”, dal momento in cui è già ospitato un “gran numero” di migranti. Mentre il presidente del Consiglio UE Michel “rimane in contatto con Erdogan per discutere dei limiti di accoglienza di Ankara”, questo pomeriggio i leader del G7 proveranno a tracciare alternative percorribili.

    Per Bruxelles le priorità rimangono la messa in sicurezza di staff locale e delegazione europea anche oltre la scadenza fissata dai talebani, aiuti umanitari alla popolazione civile “dentro e intorno al Paese” e la gestione dei flussi migratori

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    Afghanistan, i corridoi umanitari UE restano un tabù: Austria, Slovenia e Ungheria vogliono frontiere chiuse ai profughi

    Bruxelles – L’Unione Europea si spacca e per l’ennesima volta dimostra di non essere in grado di trovare una linea comune sulla politica migratoria, anche quando si tratta di emergenze di portata storica. Si fanno sempre più insistenti le richieste di cittadini, di organizzazioni non governative e di deputati dei Paesi membri alle istituzioni europee di attivare corridoi umanitari per i profughi in arrivo dall’Afghanistan, a una settimana dalla presa di Kabul da parte dei talebani. Ma l’asse Lubiana-Vienna-Budapest fa muro contro quella che viene classificata come una riedizione della crisi migratoria di sei anni fa lungo la rotta balcanica.
    A sollevare le polemiche era stato ieri (22 agosto) il primo ministro sloveno, Janez Janša: “Non ripeteremo gli errori strategici del 2015, aiuteremo solo coloro che ci hanno supportato durante la missione NATO e i Paesi membri dell’UE che difendono i nostri confini esterni”. L’opposizione di Janša ha assunto particolare rilievo anche per il fatto che attualmente ricopre la carica di presidente di turno del Consiglio dell’UE (dal primo luglio fino a fine anno). “Non è compito dell’Unione o della Slovenia aiutare e pagare per tutti coloro che fuggono nel mondo“, ha rincarato la dose il premier sloveno, confermando di essersi completamente allineato alle posizioni del Gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) per quanto riguarda le questioni migratorie.
    A nemmeno ventiquattr’ore di distanza è arrivata la sponda austriaca e ungherese, con un copione molto simile a quello del presidente di turno del Consiglio dell’UE. “Gli eventi in Afghanistan sono drammatici, ma non dobbiamo ripetere gli errori del 2015. La gente che esce dal Paese deve essere aiutata dagli Stati vicini”, ha commentato su Twitter il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz. Per Vienna la priorità dell’UE deve essere “proteggere le frontiere esterne e combattere la migrazione illegale e i trafficanti di esseri umani“, anche considerata la situazione interna del Paese: “L’Austria ha accolto 44mila afghani, abbiamo una delle più grandi comunità pro-capite al mondo”, ha aggiunto il cancelliere. “Ci sono ancora grossi problemi con l’integrazione e siamo quindi contrari all’arrivo di altri profughi”.
    Da Budapest il premier ungherese, Viktor Orbán, ha fatto sapere che “proteggeremo l’Ungheria dalla crisi dei migranti” e che “deve essere evitato che i profughi lascino la regione”. Oltre a ciò, sarà poi necessario sostenere il ruolo “fondamentale” della Turchia e dei Paesi dei Balcani occidentali, per “evitare l’ingresso dei migranti nell’Unione Europea”.

    Österreich hat mit der Aufnahme von 44.000 Afghanen sehr viel geleistet. Wir haben pro Kopf eine der größten afghanischen Communities der Welt nach Iran, Pakistan & Schweden. Bei der Integration gibt es noch große Probleme & wir sind daher gegen eine zusätzliche Aufnahme.
    — Sebastian Kurz (@sebastiankurz) August 22, 2021

    In vista della riunione straordinaria del G7 convocata dal premier britannico, Boris Johnson, per domani (24 agosto), sembrano andare in frantumi le speranze dell’Unione Europea di presentarsi compatta di fronte agli interlocutori internazionali sulla questione dell’accoglienza dei profughi. Nel corso dell’audizione alla commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo di lunedì scorso (16 agosto), l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva aperto alla possibilità di applicare per la prima volta la Direttiva europea sulla protezione temporanea del 2001. Prima di essere immediatamente sconfessato proprio da un portavoce dell’esecutivo comunitario.
    Due giorni più tardi (mercoledì 18 agosto), al termine del vertice straordinario con i 27 ministri UE, la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, aveva però ammesso che Bruxelles si sta preparando “a tutti gli scenari”. Durante il vertice si era parlato della “priorità immediata”, ovvero l’evacuazione del personale e dei cittadini comunitari e del personale locale che ha lavorato con gli Stati membri in Afghanistan (è notizia dell’ultim’ora l’imbarco di oltre 170 collaboratori UE all’aeroporto di Kabul grazie alle forze speciali francesi).
    Ma è anche stata considerata “l’instabilità che porterà probabilmente a un aumento della pressione migratoria”. In questo senso sarà necessario un sostegno ai Paesi vicini (Iran e Pakistan) e trovare una quadra a livello comunitario per i richiedenti asilo: “Allo stato attuale la situazione nel Paese non è sicura e non lo sarà per un po’ di tempo”, erano state le parole di apertura della commissaria Johansson. “Non possiamo costringere le persone a tornare in Afghanistan“.
    Reazioni da Bruxelles
    Le prese di posizione dei governi di Lubiana, Vienna e Budapest sono state accolte da durissime critiche a Bruxelles. Il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, dai microfoni di Rainews24 ha risposto seccamente a Janša, ricordandogli che “non spetta all’attuale presidenza del Consiglio dire cosa farà l’Unione Europea“. Dal momento in cui “tutte le nostre istituzioni stanno lavorando per vedere quale solidarietà è necessaria per coloro che sono a rischio dal nuovo regime”, il presidente del Parlamento UE ha invitato il premier sloveno a “discutere con le istituzioni europee” per decidere insieme a riguardo. “Tutti i nostri Paesi si sentono coinvolti nella situazione in corso in Afghanistan“.

    It is not up to the Slovenian Presidency to say what the position of the EU is on the humanitarian crisis in Afghanistan.
    We invite PM Janša to discuss with the EU institutions what the next steps should be but it’s clear we need to show solidarity. https://t.co/sK15X3Q2fZ
    — David Sassoli (@EP_President) August 22, 2021

    Posizione ribadita anche dal commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, che ha ricordato che il presidente di turno “coordina l’attività, non ha poteri decisionali di alcun tipo” a livello di politica estera europea (un incidente tra Lubiana e Bruxelles a riguardo si era già consumato a pochi giorni dall’avvio del semestre sloveno). Ma c’è di più: “L’Unione deve lavorare sull’accoglienza e sulle quote di immigrazione legale di rifugiati afghani e deve farlo anche togliendosi l’alibi della unanimità nelle decisioni“. Considerato il fatto che “so che l’unanimità non ci sarà mai”, il Consiglio dovrà agire “a maggioranza, se si vuole dare una mano ai rifugiati”.
    Dall’Italia, il presidente della commissione Esteri della Camera dei Deputati, Piero Fassino, ha fatto appello al presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, perché “richiami immediatamente il premier sloveno ad attenersi rigorosamente ed esclusivamente alle sue titolarità”. Ma dal Consiglio, per il momento, tutto tace e le uniche notizie che trapelano sono di una discussione con con il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan. “Si tratta di una sfida comune per la Turchia e l’Unione Europea”, ha commentato Michel su Twitter.
    Tuttavia, Ankara ha più volte ribadito che non diventerà il “deposito dell’UE per i rifugiati” e nega di aver ricevuto richieste per la creazione di hub per la prima accoglienza dei richiedenti asilo afghani sul suo territorio. A causa delle sue divisioni interne, l’Unione Europea sta rischiando di rimanere sempre più isolata sullo scacchiere internazionale.

    Credo che l’#UnioneEuropea abbia il dovere di lavorare sull’accoglienza e su quote di immigrazione legale dei rifugiati #afghani e abbia il dovere di farlo anche togliendosi l’alibi dell’unanimità nelle decisioni.@PaoloGentiloni al #meeting21. pic.twitter.com/WlNUqWWEAB
    — Meeting Rimini (@MeetingRimini) August 23, 2021

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    In vista del vertice straordinario del G7 di domani, i primi ministri Janša (presidente di turno del Consiglio dell’UE) e Orbán e il cancelliere Kurz si sono opposti all’accoglienza per chi fugge dal regime dei talebani: “Non ripeteremo gli errori del 2015”

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    Oppositore bielorusso trovato morto a Kiev

    Bruxelles – Vitaly Shishov, un oppositore del governo bielorusso che aiutava i dissidenti a fuggire dalla dittatura è stato trovato morto in un parco a Kiev, in Ucraina.
    “Il cittadino bielorusso Vitaly Shishov, scomparso ieri a Kiev (durante la sua ora quotidiana di corsa, ndr), è stato trovato oggi impiccato in uno dei parchi della città, non lontano da dove viveva”, ha comunicato la polizia in una nota, aggiungendo che è stata aperta un’indagine che seguirà tutte le ipotesi possibili, compreso un “omicidio mascherato da suicidio”.
    Shishov era il responsabile di “Casa bielorussa in Ucraina” e la sua scomparsa era stata denunciata lunedì. Alcuni suoi amici di Shishov hanno affermato che lui aveva il sospetto di essere stato seguito da sconosciuti negli ultimi tempi.
    “La morte di Vitaly Shishov è terribile”, commenta in un Tweet il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, il quale sottolinea che “il fatto che gli attivisti bielorussi sono presi di mira in Paesi terzi è una escalation preoccupante“.

    The death of Vitaly Shishov is horrific. As head of Belarusian House in Ukraine, he helped those fleeing persecution. The fact Belarusian activists are being targeted in third countries is a serious escalation.
    — David Sassoli (@EP_President) August 3, 2021

    In Ucraina, Polonia e Lituania trovano rifugio molti bielorussi che vogliono fuggire alla repressione del dittatore Alexander Lukashenko, che ha inasprito le sue persecuzioni degli oppositori in particolare dopo le contestate elezioni presidenziali dell’agosto dello scorso anno.
    Proprio ieri (2 agosto) la velocista olimpica Krystsina Tsimanouskaya che aveva criticato la sua federazione sportiva durante i Giochi in corso a Tokyo, ha ottenuto un visto umanitario in Polonia, dopo che le autorità bielorusse avevano tentato di rimpatriarla con la forza dal Giappone. “Un esempio della brutalità del regime bielorusso”, ha commentato oggi una portavoce della Commissione europea, che ha espresso “piena solidarietà all’altleta”.
    Da mesi in Bielorussia si sta stringendo sempre più il cappio al collo dei media, come dimostrato anche dallo scandalo internazionale del dirottamento dell’aereo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk per arrestare il giornalista Roman Protasevich, e la compagna, Sofia Sapega. Il 28 luglio un tribunale della Bielorussia ha poi dichiarato “estremista” Belsat TV, televisione indipendente con sede in Polonia, dopo la minaccia del ministero dell’Interno di multare e incarcerare chiunque condivida informazioni provenienti da questo canale d’informazione.

    Aiutava i dissidenti a fuggire dalla dittatura. La polizia indaga su un possibile “omicidio mascherato da suicidio”

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    Bielorussia, tutti contro Lukashenko: UE e Stati Uniti tengono alta l’attenzione su repressioni interne e flussi migratori

    Bruxelles – Prosegue su due binari, quello della repressione dell’opposizione interna e quello della facilitazione del flussi migratori, la strategia del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, per rafforzare la sua posizione nel Paese e sullo scacchiere internazionale. Nonostante le sanzioni economiche imposte a Minsk dall’Unione Europea e le condanne internazionali per la violenze nei confronti di attivisti e giornalisti indipendenti, l’ultimo dittatore d’Europa cerca di non mollare la presa, giocandosi le ultime carte per mettere a tacere le voci critiche.
    Da mesi si sta stringendo sempre più il cappio al collo dei media, come dimostrato anche dallo scandalo internazionale del dirottamento dell’aereo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk per arrestare il giornalista Roman Protasevich, e la compagna, Sofia Sapega. Ieri (mercoledì 28 luglio) un tribunale della Bielorussia ha dichiarato “estremista” Belsat TV, televisione indipendente con sede in Polonia, dopo la minaccia del ministero dell’Interno di multare e incarcerare chiunque condivida informazioni provenienti da questo canale d’informazione.
    L’ingiunzione del Tribunale, che ha bloccato il sito web Belsat e tutti i suoi account social in Bielorussia, è l’ultimo atto di un’intensa azione di repressione dei media e della società civile: lo stesso Lukashenko ha affermato di voler “ripulire” il Paese da attivisti e media indipendenti, che a suo avviso hanno l’unico obiettivo di sovvertire l’ordine pubblico. Il vicedirettore della testata, Aleksy Dzikawicki, ha annunciato che il canale continuerà il suo lavoro in ogni caso: “Continueremo a portare informazioni indipendenti in bielorusso e senza censura”. Con un affondo al regime: “Chi detiene il potere in Bielorussia chiama ‘estremisti’ tutti coloro che si oppongono alla violenza e al terrore imposto dopo le elezioni truccate, cioè la stragrande maggioranza dei propri cittadini”.
    La situazione tragica del giornalismo bielorusso è stata recentemente descritta alla commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo da Stanislav Ivashkevich, reporter di Belsat TV, ma risale già a cinque mesi fa la condanna a due anni di carcere per due colleghe della stessa emittente, Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsova, per aver ripreso la manifestazione in memoria dell’attivista Raman Bandarenka nel novembre dello scorso anno. Senza dimenticare il blocco di Tut.by, uno dei più importanti siti di informazione bielorussi, e l’arresto dei giornalisti della redazione lo scorso 18 maggio.
    Da Bruxelles è arrivata la ferma condanna della decisione del tribunale bielorusso: “È un altro esempio della repressione della libertà di espressione e di informazione sotto il regime di Lukashenko, che mira a mettere a tacere tutte le voci indipendenti”, ha accusato la portavoce della Commissione UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali. Da Washington invece è arrivata la reazione della leader dell’opposizione bielorussa e presidente legittima riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya: “I giornalisti sanno che stanno facendo la cosa giusta e stanno combattendo per la libertà del nostro Paese”.

    Belarus: EU deplores recent court decision declaring Belsat TV channel “extremist”. Another example of the crackdown on freedom of expression and freedom of information under the Lukashenko regime, aiming to silence all independent voices.
    — Nabila Massrali (@NabilaEUspox) July 28, 2021

    La dichiarazione di Tsikhanouskaya è arrivata durante il suo viaggio negli Stati Uniti, che l’ha portata a incontrare il presidente democratico, Joe Biden, il segretario di Stato, Antony Blinken, e il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan. L’obiettivo è quello di raccogliere sostegno per un’azione più decisa contro il presidente Lukashenko, oltre a quello attuato – le sanzioni economiche – e promesso – il pacchetto di investimenti da 3 miliardi di euro per il futuro democratico del Paese – dall’Unione Europea. La leader dell’opposizione bielorussa ha esortato Washington a imporre misure restrittive alle aziende petrolifere, di potassio, dell’acciaio e del legno legate al regime. “Lukashenko capisce solo il linguaggio della forza. Ecco perché le sanzioni devono essere estremamente dure”.
    Il presidente Biden ha ribadito il suo sostegno alla società civile in Bielorussia nel corso del colloquio di ieri con Tsikhanouskaya alla Casa Bianca, definendosi “onorato” dell’incontro con la leader dell’opposizione: “Gli Stati Uniti sono al fianco del popolo bielorusso nella sua ricerca della democrazia e dei diritti umani universali”, ha fatto sapere via Twitter. Da parte sua, Tsikhanouskaya ha ringraziato Biden per il “potente segno di solidarietà con milioni di impavidi bielorussi” che stanno combattendo “pacificamente per la libertà”. Il Paese dell’Est Europa in questo momento “è in prima linea nella battaglia tra democrazia e autocrazia”, ha aggiunto su Twitter: “Il mondo è con noi, la Bielorussia sarà una storia di successo”.

    I was honored to meet with @Tsihanouskaya at the White House this morning. The United States stands with the people of Belarus in their quest for democracy and universal human rights. pic.twitter.com/SdR6w4IBNZ
    — President Biden (@POTUS) July 28, 2021

    Ma intanto a Bruxelles c’è apprensione anche su un altro fronte, quello del ricatto di Lukashenko all’Unione attraverso l’apertura della rotta bielorussa alle persone migranti verso la Lituania. La Commissione UE ha attivato il meccanismo europeo di protezione civile per aiutate il Paese membro ad affrontare un flusso che dall’inizio dell’anno conta oltre 2.100 migranti e richiedenti asilo, quasi tre volte in più di tutto lo scorso anno. I Paesi di provenienza sono soprattutto africani (Repubblica del Congo, Gambia, Guinea, Mali e Senegal) e mediorientali (Iraq, Iran e Siria).
    Non a caso l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è messo in contatto con il ministro degli Esteri iracheno, Fuad Hussein. “Ho avuto una buona conversazione su come affrontare l’aumento del numero di cittadini iracheni che attraversano irregolarmente la Bielorussia verso la Lituania”, ha fatto sapere su Twitter. “Questo è motivo di preoccupazione per l’intera UE. Contiamo sul sostegno dell’Iraq“. In aggiunta, la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha comunicato che sarà in visita in Lituania il primo e il 2 agosto, per ribadire l’opposizione del gabinetto von der Leyen “all’ondata di aggressione” di Minsk.
    Durante il punto quotidiano con la stampa il portavoce per gli Affari interni, la migrazione e la sicurezza interna, Adalbert Jahnz, ha confermato il supporto dell’esecutivo UE alla Lituania, negando qualsiasi tentativo di pushback alla frontiera con la Bielorussia (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea). “Dalla composizione dei gruppi di migranti arrivati è evidente che non si tratta di aventi il diritto di richiedere l’asilo e perciò diventa centrale il tema del rimpatrio di queste persone“. Desta però particolare perplessità tra i giornalisti a Bruxelles la decisione del governo lituano – non ostacolato nemmeno a parole dall’esecutivo comunitario – di costruire un muro lungo i 678,8 chilometri di confine tra la Lituania e la Bielorussia, per una spesa pari a circa 48 milioni di euro.

    Good conversation w/ Iraqi Foreign Minister @Fuad_Hussein1 yesterday on how to tackle increased number of Iraqi citizens irregularly crossing from Belarus into Lithuania.
    This is an issue of concern not only for one Member State but for the entire EU. We count on Iraq’s support.
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) July 28, 2021

    Mentre il sito di informazione indipendente Belsat è stato dichiarato “estremista” da Minsk, la leader dell’opposizione Tsikhanouskaya ha incontrato il presidente Biden a Washington. Bruxelles preoccupata per l’aumento dei migranti iracheni verso la Lituania

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    Nord Stream 2, da USA e Germania sì al completamento del gasdotto ma previste sanzioni alla Russia in caso di pressioni sull’Ucraina

    Bruxelles – Il Nord Stream 2 si farà, ma saranno previste sanzioni se la Russia dovesse usare il suo gas per fare pressioni sui Paesi dell’Europa centrale e orientale e in particolare sull’Ucraina. Dopo anni di posizioni inconciliabili, gli Stati Uniti e la Germania hanno rivelato mercoledì 21 luglio un accordo per portare a termine i lavori del gasdotto Nord Stream 2, ormai completo quasi al 98 per cento, ma contro cui gli USA si erano detti molto contrari per i timori di una maggiore influenza geopolitica e dipendenza energetica dell’Europa dal presidente russo Vladimir Putin, attraverso il gas naturale. Mosca è uno dei più grandi esportatori di gas naturale al mondo.
    Il gasdotto Nord Stream 2 collegherà la Germania alla Russia
    Il controverso gasdotto guidato dalla compagnia energetica russa Gazprom, raddoppierà il volume di gas naturale trasportato dalla Russia alla Germania attraverso il mar Baltico. Replicando, nei fatti, il percorso del gasdotto gemello Nord Stream che è già in attività. Si parla di circa 55 miliardi di metri cubi all’anno di gas verso la Germania a capacità massima. In una nota congiunta pubblicata ieri in serata, Berlino si è impegnata a rispondere a qualsiasi tentativo della Russia di usare l’energia come arma geopolitica contro l’Ucraina e altri paesi dell’Europa centrale e orientale.
    “Ci impegniamo a lavorare insieme per garantire che gli Stati Uniti e la Unione Europea possano rispondere insieme all’aggressione russa e alle attività maligne, compresi gli sforzi russi per usare l’energia come arma”, si legge nel comunicato. Se la Russia tenterà di utilizzare l’energia come arma o “commetterà ulteriori atti aggressivi contro l’Ucraina” come l’annessione illegale della penisola di Crimea nel 2014 “la Germania agirà a livello nazionale e premerà per misure efficaci a livello europeo, comprese sanzioni, per limitare le capacità di esportazione russa in Europa nel settore energetico, compreso il gas. “Questo impegno”, conclude la nota, “è progettato per garantire che la Russia non utilizzi impropriamente alcun gasdotto, incluso il Nord Stream 2, per raggiungere obiettivi politici aggressivi utilizzando l’energia come arma”.
    L’accordo tra Berlino e Washington cerca di rassicurare chi teme – anche negli Stati Uniti – i pericoli strategici del gasdotto da 11 miliardi di dollari. In caso di sanzione, Berlino promette dunque di limitare il flusso di gas russo in arrivo in Germania ed eventualmente trascinare il caso a Bruxelles per chiedere misure comuni europee. Le Istituzioni di Bruxelles per ora se ne sono chiamate fuori, il progetto è nazionale e riguarda solo la Germania e soprattutto l’UE ritiene che un nuovo gasdotto non sia necessario per l’approvvigionamento energetico del Continente. Negli ultimi dieci anni ha investito “in altri gasdotti, terminali di importazione di gas naturale liquefatto (GNL) e interconnettori in Europa che assicurano forniture sufficienti per soddisfare le esigenze energetiche del Continente”, ha chiarito Ditte Juul Jorgensen, direttore generale del dipartimento per l’energia della Commissione europea in audizione in Parlamento Ue qualche mese fa.
    Berlino prevede di nominare inoltre un inviato speciale incaricato di sostenere progetti energetici bilaterali con l’Ucraina, con un budget di 70 milioni di dollari e anche un Fondo verde per l’Ucraina per sostenere la transizione energetica, l’efficienza energetica e la sicurezza energetica dell’Ucraina con una dotazione iniziale di almeno 170 milioni di dollari. Nonostante le promesse, l’Ucraina non sembra aver preso bene la notizia definendo il Nord Stream 2 “un’arma geopolitica che sarà senz’altro usata contro l’Ucraina e contro l’Europa”, ha detto Andriy Yermak, il capo di gabinetto del presidente ucraino.

    Washington cede alla cancelliera Merkel e dà il suo via libera a completare la costruzione del controverso gasdotto per portare il gas naturale russo in Europa. Per rassicurare gli alleati, Berlino promette di limitare il flusso di gas russo in arrivo in Germania in caso di pressioni sull’Europa orientale e centrale ed eventualmente trascinare il caso a Bruxelles per chiedere misure comuni europee

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    Dialogo Serbia-Kosovo, ennesima fumata nera. Ora per l’UE diventa difficile gestire le tensioni tra Vučić e Kurti

    Bruxelles – Così non va. Dopo un anno dalla ripresa del dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’UE, è difficile continuare a illudersi alla vigilia di ogni incontro che possa essere arrivato il momento dello sblocco delle trattative e ritrovarsi l’indomani a tracciare l’ennesimo bilancio negativo. Parlare di “approcci molto diversi delle due parti“, come ha fatto il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, al termine della riunione ad alto vertice di ieri (lunedì 19 luglio), la quinta dal 12 luglio del 2020, sembra ormai un eufemismo.
    Il confronto tra Pristina e Belgrado, che si era interrotto per nove mesi tra settembre 2020 e giugno 2021, sembrava essere pronto per approdare in un porto sicuro, sotto le pressioni dell’Unione di risolvere le questioni regionali come prerequisito per l’adesione UE. E invece a Bruxelles si sta arenando nelle secche delle accuse reciproche e della mancanza di volontà di cercare un compromesso. Le grandi speranze dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ogni volta vengono spente dagli scontri tra i rappresentanti serbi e kosovari. Era successo al vertice di giugno, è riaccaduto ieri: “Abbiamo ottenuto pochissimi progressi“, ha confessato Lajčák in conferenza stampa.
    Il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák
    Il confronto tra Serbia e Kosovo facilitato dall’UE inizia ad assumere i tratti di un processo autoreferenziale: l’importante è che non si fermi, nella speranza che prima o poi qualcosa si sblocchi. “L’unico risultato che posso riferire è che il dialogo continuerà“, ha rivendicato il rappresentante speciale, tentando di far passare per promettente un risultato che non può essere all’altezza delle ambizioni che si è fissata la Commissione Europea. In particolare, continuano a pesare le parole di Borrell dell’ottobre dello scorso anno, quando prometteva che un accordo “è questione di mesi, non di anni”.
    Di mensile c’è invece solo la continuazione delle riunioni tecniche dei negoziatori, con la prospettiva di un sesto incontro di alto livello a settembre. Sarà il terzo per il premier kosovaro, Albin Kurti, ma con le premesse dell’incontro di ieri si fatica a capire come in soli due mesi si potranno ricucire i rapporti lacerati con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić.
    Fuoco incrociato
    All’apertura del quinto incontro del dialogo Serbia-Kosovo l’alto rappresentante Borrell aveva richiamato le parti a un “approccio costruttivo e pragmatico”, per “chiudere una volta per tutte i capitoli del loro doloroso passato con un accordo definitivo e giuridicamente vincolante”. Auspici che sono stati vanificati dall’atteggiamento di Kurti e Vučić nei confronti della rispettiva controparte.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Il presidente serbo ha definito l’incontro “molto negativo in tutti i sensi” e si è scagliato contro la delegazione kosovara per aver respinto una proposta in tre punti avanzata dai mediatori europei. Oltre agli incontri mensili tra i capi-delegazione, la proposta UE “si riferiva all’intensificazione degli sforzi comuni per l’identificazione dei resti delle persone scomparse e all’impegno ad astenersi da azioni destabilizzanti”. Stando alle parole di Vučic, Kurti avrebbe risposto solo accusando Belgrado di essere responsabile di tre genocidi: nel 1878 dopo l’indipendenza ottenuta al congresso di Berlino, durante le guerre balcaniche e la prima guerra mondiale, e infine durante la guerra in Kosovo nel 1998-1999. “Non hanno fatto altro che chiedere alla Serbia di rispondere del suo passato“.
    Il presidente serbo ha detto di aver insistito sul “rispetto degli accordi raggiunti nell’aprile 2013 a Bruxelles”, a partire dalla creazione della Comunità delle municipalità serbe in Kosovo. Un tema su cui Pristina sembra essere sorda. “Non ci sarà molto da aspettarsi” da un nuovo round di negoziati tecnici a fine agosto, si è sbilanciato Vučic. A suo avviso, la parte kosovara “non ha alcun interesse a negoziare”, perché il suo unico obiettivo sarebbe “ottenere il sì della Serbia all’indipendenza del Kosovo e imporci di riconoscere presunti crimini e genocidi ai danni del popolo kosovaro albanese”.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti
    Dal canto suo, il premier Kurti ha denunciato che la proposta di un accordo di pace in sei punti presentata dalla sua delegazione “è stata respinta senza essere neanche letta” dal presidente serbo. Questo dimostrerebbe “la loro riluttanza a raggiungere un’intesa”. Il primo ministro kosovaro non ha negato di aver insistito sul passato tra Pristina e Belgrado: “Non capisco perché dovremmo avere paura di affrontarlo, quando sappiamo di avere problemi”. Secondo lui la Serbia “non vuole riconoscere il suo passato criminale, né l’indipendenza del Kosovo“, due fattori del dialogo “strettamente collegati l’uno all’altro”.
    Da quando Kurti è stato nominato nuovo premier del Kosovo, i rapporti con Belgrado sono diventati sempre più tesi, alimentando una spirale di nazionalismo nei rispettivi territori. Con un atto palesemente provocatorio Kurti ieri ha regalato a Borrell e soprattutto a Vučić tre libri sui crimini serbi in Kosovo: una confessione di donne violentate durante la guerra, il lavoro dell’attivista serba per i diritti umani, Nataša Kandić, sull’uccisione di 1.133 bambini e la scomparsa di altri 109 nel conflitto del 1998-1999, e un’opera sullo sterminio degli albanesi fra il 1878 e il 1884 nel Sangiaccato di Niš. “La Serbia è arrivata in Kosovo con un genocidio ed è andata via con un altro genocidio“, ha attaccato il premier kosovaro. Le premesse in vista dell’incontro di settembre, tutt’altro che incoraggianti, sono tutte qui.

    Nessun progresso dal quinto vertice di alto livello a Bruxelles, che evidenzia l’incapacità di cercare un compromesso tra Pristina e Belgrado. Le parti si accusano reciprocamente di voler affossare il confronto, con la ripresa programmata a settembre