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    Cos’è l’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo al centro dell’anno cruciale per il dialogo Pristina-Belgrado

    Bruxelles – Non c’è speranza di chiudere nel 2023 un accordo definitivo per la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, se non si raggiunge un’intesa vincolante per l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, come previsto dall’accordo di Bruxelles siglato esattamente 10 anni fa. Passano da qui gli sforzi diplomatici di Unione Europea e Stati Uniti per quanto riguarda il dialogo Pristina-Belgrado, entrato nel suo tredicesimo anno di vita e diventato ormai l’unica soluzione per chiudere contese e tensioni tra i due vicini balcanici.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (13 novembre 2022)
    Mentre le pressioni della diplomazia europea e statunitense rimangono particolarmente forti su Belgrado – per l’adozione delle sanzioni internazionali contro la Russia e l’allineamento alla politica estera dell’Ue – non sono da meno quelle nei confronti di Pristina, proprio sulla questione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Già nel dicembre del 2021 l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva avvertito il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, che è imperativo il rispetto di tutti gli accordi sottoscritti con Belgrado, ma nel corso delle ultime settimane le missioni diplomatiche di Bruxelles e Washington – spinte anche dal tridente Francia-Germania-Italia – hanno puntato con forza su questo punto, per sgombrare il campo da ripensamenti o passi indietro rispetto agli impegni presi nel contesto del dialogo mediato dall’Ue.
    Lo dimostra in tutta la sua evidenza la nota del consigliere del Dipartimento di Stato americano, Derek Chollet, e dell’inviato speciale degli Stati Uniti per i Balcani Occidentali, Gabriel Escobar, pubblicata oggi (30 gennaio) a proposito delle “condizioni per una relazione sana, pacifica e sostenibile tra Serbia e Kosovo”. La proposta di mediazione franco-tedesca – ormai divenuta a tutti gli effetti la proposta di mediazione europea – è studiata per “interrompere la spirale di crisi e scontri e far progredire con decisione l’integrazione” dei due Paesi nell’Unione, ma per l’amministrazione Biden “uno dei compiti più critici” è sempre quello che riguarda l’attuazione dell’accordo sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. Un “obbligo internazionale, giuridicamente vincolante, che richiede un’azione da parte del Kosovo, della Serbia e dell’Unione Europea”, ma che allo stesso tempo “non mina la Costituzione né minaccia la sovranità, l’indipendenza o le istituzioni democratiche” del Kosovo.

    As Kosovo’s closest friend & ally, we believe that by working to establish the ASM, Kosovo will realize a critical element needed to build its rightful future as a sovereign, multiethnic, and independent country, integrated into Euro-Atlantic structures. https://t.co/iFfSYo2Qao pic.twitter.com/c8yGJYVeHl
    — U.S. Embassy Pristina (@USEmbPristina) January 30, 2023

    Il nodo tra Serbia e Kosovo
    Secondo quanto sottoscritto dalle due parti nell’accordo di Bruxelles del 2013, per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi balcanici dopo la dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia il 17 febbraio 2008 è prevista l’istituzione di “un’associazione/comunità di comuni a maggioranza serba in Kosovo”, aperta a “qualsiasi altro comune, purché i membri siano d’accordo”. Un’Associazione creata “da uno statuto”, con un suo presidente, vicepresidente, Assemblea e Consiglio e la possibilità di “cooperare nell’esercizio dei loro poteri in modo collettivo” nei settori dello “sviluppo economico, istruzione, sanità, pianificazione urbana e rurale“. Forze di polizia e autorità giudiziarie saranno uniche per tutto il Kosovo, ma con l’autorizzazione alla formazione di un comando regionale di polizia per le quattro municipalità settentrionali a maggioranza serba (Mitrovica settentrionale, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic) e un collegio di giudici istituito dalla Corte d’Appello di Pristina per occuparsi di tutte le municipalità a maggioranza serba del Kosovo.
    A 10 anni dall’accordo di Bruxelles non sono stati compiuti progressi sostanziali per l’implementazione sul campo dei 15 punti, mentre si sono acuite nell’ultimo anno le tensioni nel nord del Kosovo sia sulla questione delle targhe per i veicoli sia per le conseguenze delle dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia serbo-kosovari dalle rispettive istituzioni nazionali. L’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo è considerata da Belgrado un’entità di governo che deve essere istituita proprio a partire dall’intesa giuridicamente vincolante di Bruxelles, ma è anche una potenziale leva politica in mano del presidente della Serbia, Aleksander Vučić, per continuare a controllare indirettamente una zona contesa (l’intero Kosovo è tutt’ora considerato parte del Paese). Quello che invece contesta Pristina – dopo il deciso cambio di rotta del governo nazionalista di Kurti dall’elezione del 2021 – è che la nuova Associazione in Kosovo non sia nient’altro che una replica della fallimentare Republika Srpska in Bosnia ed Erzegovina, l’entità a maggioranza serba nel Paese che negli ultimi anni ha portato a una destabilizzazione sempre maggiore del Paese proprio per l’eccessiva autonomia garantita a un establishment politico filo-russo.
    “Siamo assolutamente contrari alla creazione di qualsiasi entità che assomigli alla Repubblica Srpska in Bosnia ed Erzegovina“, hanno assicurato i due diplomatici statunitensi nella nota, chiedendo invece a Pristina di “fornire la propria visione di questa associazione”. Secondo quanto emerge dalle parole di Chollet ed Escobar, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, avrebbe fatto notare al premier Kurti che “esistono 14 accordi simili all’interno dell’Unione Europea, nessuno dei quali viola i sistemi europei di governo effettivo”, che garantiscono autonomie specifiche all’interno del quadro degli Stati nazionali. L’associazione “non sarebbe mono-etnica” e “non aggiungerebbe un nuovo livello di potere esecutivo e legislativo al governo del Kosovo”, assicurano i mediatori, mentre l’aspetto più positivo potrebbe essere il fatto che “i comuni che condividono interessi, lingua e cultura potrebbero lavorare insieme in modo più efficace per affrontare le sfide comuni” negli ambiti autorizzati dall’accordo di Bruxelles del 2013.

    Unione Europea e Stati Uniti stanno cercando di mediare tra Serbia e Kosovo su uno dei punti più divisivi dei negoziati. La creazione della comunità è prevista dall’accordo di Bruxelles del 2013, ma il rischio è quello di istituzionalizzare la divisione etnica, come con la Republika Srpska in Bosnia

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    Ue e Stati Uniti preoccupati per le tensioni nel nord del Kosovo. L’appello congiunto alla de-escalation

    Bruxelles – Bruxelles e Washington preoccupate dalla crescente tensione in Kosovo. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno rilasciato questo pomeriggio (28 dicembre) una dichiarazione congiunta in cui sollevano preoccupazioni “per la persistente situazione di tensione nel nord del Kosovo” e chiedono di “esercitare la massima moderazione” e allentare le tensioni degli ultimi giorni.

    🇪🇺and 🇺🇸 call for maximum restraint and immediate de-escalation in north Kosovo. We are working with Ptd Vučić and PM Kurti to find a political solution in the interest of stability, safety and well-being of all local communities. Full statement 👉 https://t.co/SiknNws9HZ
    — Nabila Massrali (@NabilaEUspox) December 28, 2022

    Dopo lo scontro sulle targhe e l’intesa trovata in extremis a fine novembre, le tensioni tra Kosovo e Serbia si sono intensificate molto negli ultimi mesi ed esplose dopo che un ex poliziotto serbo del Kosovo è stato arrestato lo scorso 10 dicembre per aver aggredito un agente di polizia in servizio. L’arresto ha innescato proteste e manifestazioni da parte della minoranza serba del Kosovo, soprattutto nella parte settentrionale del territorio kosovaro. Pristina ha annunciato oggi la chiusura del più grande valico di frontiera con la Serbia dopo che il governo serbo ha annunciato a inizio settimana l’intenzione di mettere in stato d’allerta il proprio esercito per le crescenti tensioni.
    “Stiamo lavorando con il presidente (serbo Aleksandar) Vučić il primo ministro (kosovaro Albin) Kurti per trovare una soluzione politica al fine di disinnescare le tensioni e concordare la via da seguire nell’interesse della stabilità, della sicurezza e del benessere di tutte le comunità locali”, si legge nella nota congiunta di Bruxelles e Washington, in cui si accoglie “con favore le assicurazioni della leadership del Kosovo che confermano che non esistono elenchi di cittadini serbi del Kosovo da arrestare o perseguire per proteste/barricate pacifiche. Allo stesso tempo, lo stato di diritto deve essere rispettato e qualsiasi forma di violenza è inaccettabile e non sarà tollerata”.La dichiarazione prosegue assicurando che gli Stati Uniti “sosterranno il lavoro dell’Unione europea attraverso la missione sullo Stato di diritto in Kosovo”, EULEX, che “continuerà a monitorare da vicino tutte le indagini e i successivi procedimenti per promuovere il rispetto dei diritti umani. Ci aspettiamo inoltre che il Kosovo e la Serbia tornino a promuovere un ambiente favorevole alla riconciliazione, alla stabilità regionale e alla cooperazione a beneficio dei loro cittadini”.

    Dichiarazione congiunta di Bruxelles e Washington per invitare Pristina e Belgrado a una rapida de-escalation delle tensioni, che hanno portato il Kosovo alla chiusura del più grande valico di frontiera con la Serbia

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    Il presidente serbo Vučić ci ripensa. Nonostante le tensioni con il Kosovo parteciperà al vertice Ue-Balcani Occidentali

    dall’inviato a Tirana – Nelle ultime ore prima del vertice Ue-Balcani Occidentali in Albania va in scena l’ultima mossa di una partita a scacchi che dura da più di dieci anni. Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, ha annunciato che farà un passo indietro rispetto alla sua decisione di boicottare il summit come ritorsione per gli ultimi avvenimenti in Kosovo. Domani (martedì 6 dicembre) parteciperà ai lavori con gli altri cinque leader balcanici, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri Ue e i presidenti del Consiglio, Charles Michel, e della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Scongiurato a meno di ventiquattr’ore dall’inizio del summit la possibilità di un vertice Ue-Balcani Occidentali ‘meno uno’, che avrebbe potuto rappresentare non solo uno sgarbo istituzionale nei confronti del premier albanese, Edi Rama (promotore della prima riunione di questo genere nella regione ancora extra-Ue), ma soprattutto avrebbe reso quasi vane le conclusioni sui rapporti tra Serbia e Kosovo del vertice stesso. “Rientra nel suo gioco di fare la vittima eterna, è un paradigma che ha funzionato nel nazionalismo serbo degli ultimi 30 anni”, spiega a Eunews Giorgio Fruscione, politologo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto delle questioni balcaniche, Serbia in primis. “Non avevo alcun dubbio sul fatto che Vučić avrebbe confermato la sua presenza”, ribadisce Fruscione, sottolineando che il presidente serbo “non può permettersi di fare la voce grossa con Bruxelles in un momento così delicato per il dossier kosovaro“.
    A scatenare le ire di Vučić venerdì scorso (2 dicembre) era stata la nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro guidato da Albin Kurti. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska. Proprio il leader del partito serbo-kosovaro più vicino a Vučić, Goran Rakić, si era dimesso dal ministero riservato alla minoranza serba nel Paese durante l’ondata di ritiri di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali a inizio novembre, in segno di protesta contro l’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Nonostante l’accordo del 24 novembre scorso, che ha risolto la grave tensione tra Serbia e Kosovo sulla questione delle targhe dei veicoli alla frontiera, la maggior parte dei serbi-kosovari dimessisi non è ancora rientrata in servizio e il premier Kurti ha dovuto colmare il vuoto nel suo governo, “continuando a giocare a scacchi con Belgrado”, è l’analisi di Fruscione. Proprio da questa partita a scacchi sulla questione kosovara dipende in parte la rabbia di Vučić: “La mossa di Kurti di posizionare un serbo del Kosovo non fedele a Belgrado sembra uno scacco matto“. Ma c’è di più.
    Una seconda motivazione che ha spinto il leader serbo a rilasciare delle dichiarazioni “al limite del surreale” alla rete filo-governativa Rtv Pink – in cui ha definito Rašić “la peggiore feccia serba” – è legata a questioni di politica interna: “Per anni Vučić ha creato una sovrapposizione tra partito e interesse nazionale”, spiega ancora Fruscione. Di qui il tentativo di far sembrare il Partito Progressista Serbo “l’unico o il migliore rappresentante della bandiera serba” dentro e fuori i confini nazionali (anche se il Kosovo è tutt’ora considerato da Belgrado parte del Paese), mentre “tutti gli esponenti che non ricadono sotto il suo controllo non sono ‘abbastanza’ serbi“.
    Il passo indietro di Vučić
    Il rappresentante speciale UE, Miroslav Lajčák, con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, a Belgrado
    Il ripensamento del leader serbo – arrivato senza nessuno stupore degli analisti – è stato annunciato al termine del confronto con il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, volato questa mattina nella capitale serba proprio per cercare di risolvere con la diplomazia uno strappo che si sarebbe fatto sentire al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana. Nella dura accusa di Vučić di venerdì le istituzioni di Bruxelles erano state definite colpevoli di “mancata condanna” della presunta incostituzionalità della decisione del governo Kurti: anche per questa ragione il boicottaggio dell’imminente summit di Tirana con i Ventisette aveva assunto un significato quantomeno simbolico.
    “La sua partecipazione non dovrebbe cambiare gli equilibri del vertice, ma è servita per scopi interni”, mette in chiaro Fruscione. Anche se “Lajčák non è andato a supplicare Vučić di essere presente a Tirana, c’è sicuramente del lavoro intenso dietro le quinte”, dal momento in cui la partita a scacchi Serbia-Kosovo potrebbe essere arrivata alle battute finali. “Credo che siano giorni e settimane, probabilmente gli ultimi mesi decisivi per chiudere la questione del Kosovo“, in cui la mediazione di Bruxelles – accompagnata da una proposta franco-tedesca in 9 punti – è “l’elemento-chiave per far ragionare le due parti, che approfittano di pretesti come questo per rivendicare interessi nazionali”. Ribaltando l’interpretazione che il presidente Vučić sta cerando di far passare in patria (che l’Ue privilegia il Kosovo e punisce la Serbia), Fruscione puntualizza la “preponderanza almeno nella forma verso Belgrado” da parte delle istituzioni comunitarie. Ma per Bruxelles la missione quasi impossibile ora è chiudere la partita senza far avvertire a nessuna della due parti il peso della sconfitta.

    In Belgrade today, I discussed the way forward on normalisation of relations as a follow-up to the last Dialogue meetings with @predsednikrs @avucic. We also spoke about current issues, including return of Kosovo Serbs to Kosovo institutions, Energy Roadmap and missing persons. pic.twitter.com/NlhE9bfOxm
    — Miroslav Lajčák (@MiroslavLajcak) December 5, 2022

    Il numero uno della Serbia aveva annunciato che avrebbe boicottato il summit di Tirana del 6 dicembre dopo la nomina del serbo-kosovaro Nenad Rasić (ostile a Belgrado) nel governo del Kosovo. Il cambio di decisione dopo l’incontro con il rappresentante speciale Ue, Miroslav Lajčák

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    L’accordo di Cenerentola a Bruxelles. Allo scoccare della mezzanotte Serbia e Kosovo trovano l’intesa sulle targhe

    dall’inviato a Strasburgo – “We have a deal!” Abbiamo un accordo, sulle targhe serbe in Kosovo. Come quasi sempre – tra Pristina e Belgrado – all’ultimo secondo, quando tutto sembra andare per il verso sbagliato. Ad annunciarlo, con un tweet in cui si può leggere tutto il sollievo per una situazione che sembrava essere sfuggita di mano dopo l’ultimo incontro fallimentare a Bruxelles tra il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, è stato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Sono molto lieto di annunciare che i capi-negoziatori del Kosovo e della Serbia, sotto la guida dell’Ue, hanno concordato misure per evitare un’ulteriore escalation e concentrarsi pienamente sulla proposta di normalizzazione delle loro relazioni”.
    Da sinistra: il capo-negoziatore della Serbia, Petar Petković, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il capo-negoziatore del Kosovo, Besnik Bislimi (23 novembre 2022)
    La nuova riunione focalizzata sulla questione delle targhe serbe in Kosovo tra i due capi-negoziatori – il kosovaro Besnik Bislimi e il serbo Petar Petković – era stata convocata nella giornata di ieri (mercoledì 23 novembre) dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, a Bruxelles. L’obiettivo era quello di dare un seguito più costruttivo al vertice di alto livello di lunedì (21 novembre), per “trovare una soluzione per allentare le tensioni sul campo” a proposito delle targhe serbe in Kosovo e “lavorare per la normalizzazione delle relazioni“, aveva anticipato lo stesso membro del gabinetto von der Leyen. Dopo diverse ore di negoziati – ormai sullo scadere del termine della proroga di 48 ore concessa da Pristina sull’imposizione di multe per le targhe serbe in Kosovo con la sigla KM (acronimo di Kosovska Mitrovica) e altre utilizzate dalla minoranza serba nel nord del Paese – i diplomatici sono arrivati alla fine a un’intesa complessiva, “grazie al loro impegno costruttivo” e al “supporto inestimabile della diplomazia statunitense”, ha specificato Lajčák.
    Secondo quanto reso noto dall’alto rappresentante Borrell, “la Serbia smetterà di emettere targhe con denominazioni di città kosovare“, mentre “il Kosovo cesserà ogni ulteriore azione relativa alla re-immatricolazione dei veicoli“. Si tratta dello stesso compromesso su cui era naufragata la riunione d’emergenza di lunedì e su cui l’alto rappresentante aveva ribadito con forza l’assoluta irremovibilità da parte dell’Ue. Allo stesso tempo, “le parti sono consapevoli che tutti i precedenti accordi di dialogo devono essere attuati” – a partire dagli Accordi di Bruxelles del 2013 – a ridosso di una convocazione dei due leader balcanici che arriverà “nei prossimi giorni”, per “discutere dei prossimi passi” sulle targhe serbe in Kosovo e sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi. Nonostante Bruxelles rimanga saldamente l’attore internazionale in carica per la mediazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado, Borrell ha avvertito senza giri di parole che “in caso di ostruzione da parte di una delle parti, abbiamo concordato che l’Ue può interrompere il processo” che dura ormai da oltre 10 anni.

    We reached an agreement between #Kosovo and #Serbia today that will allow to avoid further escalation.
    We will discuss next steps within the framework of our proposal for normalisation of relations between the two parties. pic.twitter.com/YQ7vVWPOgT
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) November 23, 2022

    Cos’aveva scatenato le tensioni sulle targhe serbe in Kosovo
    Le tensioni imperniate sulle targhe serbe in Kosovo sono cresciute giorno dopo giorno nelle regioni settentrionali del Paese nelle prime tre settimane di novembre, dopo l’introduzione del piano a tappe per l’applicazione delle regole sulla re-immatricolazione dei veicoli lo scorso 28 ottobre. Secondo quanto previsto dal piano, fino al 21 novembre è stato emesso solo un solo avvertimento a chi non si è adeguato alle nuove norme sulle targhe serbe in Kosovo, mentre da giovedì (24 novembre, con una doppia proroga per un totale di tre giorni) e il 21 gennaio le autorità kosovare avrebbero dovuto emettere una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile avrebbero dovuto applicare una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarebbe dovuta essere invece definitiva e i veicoli non conformi sottoposti a sequestro.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). La situazione è arrivata a diventare così delicata da essere definita dallo stesso alto rappresentante Borrell “la più pericolosa dal 2013“, anche peggiore rispetto ad agosto, quando si era riaccesa la disputa a proposito delle targhe serbe in Kosovo per colpa dell’assenza di una soluzione definitiva dopo quasi un anno di negoziati. “Meno di 50 poliziotti kosovaro-albanesi stanno gestendo la situazione, questo crea un vuoto di sicurezza sul campo molto pericoloso in una situazione di fragilità evidente”, è stato l’allarme suonato a Bruxelles.
    Lo scorso 14 novembre l’alto rappresentante Borrell ha poi dato il via libera al lavoro dei negoziatori delle due parti, prima di convocare una settimana più tardi i leader Kurti e Vučić, proprio in occasione della prima scadenza (prorogata in quel momento a martedì 22 novembre) sull’entrata in vigore delle multe per chi ancora utilizza targhe serbe in Kosovo. Riunione andata poi malissimo, a causa del “comportamento non costruttivo delle parti e della totale mancanza di rispetto per i loro obblighi legali internazionali, in particolare del Kosovo”, ha attaccato con veemenza Borrell al termine del vertice. Nello specifico, quella presentata era “una proposta che avrebbe potuto risolvere la situazione, che il presidente Vučić ha accettato, mentre il primo ministro Kurti non l’ha fatto“. La stessa proposta, appunto, su cui è stato raggiunto un compromesso sulle targhe serbe in Kosovo nella tarda serata di soli due giorni più tardi.
    Da sinistra: il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto (22 novembre 2022)
    Mentre Pristina ha accettato lunedì a mezzanotte una proroga di 48 ore sulle multe contro chi usa targhe serbe in Kosovo – chiesta dall’ambasciatore statunitense nel Paese balcanico, Jeff Hovenier, per tentare di raggiungere un’intesa dell’ultima ora -ft immediatamente si è attivata la diplomazia. L’Italia, in particolare, si è inserita con una missione diplomatica guidata dai ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, a Pristina, dedicata alle prospettive di integrazione della regione nell’Unione, affiancandolo a una proposta di mediazione franco-tedesca di ampio respiro su cui anche Bruxelles spinge per chiudere in tempi relativamente brevi un dialogo che ha visto fin troppi colpi di scena dall’8 marzo 2011.

    Ad annunciarlo è stato l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, sullo scadere della proroga per l’entrata in vigore delle multe per la re-immatricolazione dei veicoli. Belgrado smetterà di emettere targhe con denominazioni di città kosovare, Pristina ulteriori azioni del piano a tappe

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    Posticipata di altre 48 ore l’entrata in vigore delle multe in Kosovo sulle targhe serbe. Italia spinge colloqui con Belgrado

    dall’inviato a Strasburgo – Non c’è un giorno senza colpi di scena tra Pristina e Belgrado, in un mese frenetico per l’acuirsi della tensione nel nord del Kosovo per la decisione del governo guidato da Albin Kurti di implementare senza ripensamenti il piano a tappe per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe dello scorso 28 ottobre, senza che la Serbia abbia smesso di emettere nuove targhe con le denominazioni delle città kosovare. Dopo le feroci accuse arrivate ieri (lunedì 21 novembre) dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine di una riunione d’urgenza fallimentare con i due leader balcanici (il premier Kurti e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić), da Pristina è arrivata la decisione di prorogare al 24 novembre l’entrata in vigore delle multe per chi non rispetta le nuove regole.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    “Ringrazio l’ambasciatore [statunitense in Kosovo, ndr] Jeff Hovenier per il suo impegno e la sua partecipazione”, ha scritto il premier Kurti in un tweet nella notte tra lunedì e martedì, annunciando che “accetto la sua richiesta di rinviare di 48 ore l’imposizione di multe per le targhe automobilistiche illegali KM [acronimo di Kosovska Mitrovica, ndr] e altre”. In questo modo viene dato ancora del tempo a Stati Uniti e Unione Europea per “trovare una soluzione nei prossimi due giorni” alla disputa tra Pristina e Belgrado, ha precisato lo stesso Kurti. Tuttavia, da Bruxelles è abbastanza chiara la traccia: “Chiedo al Kosovo di sospendere immediatamente ulteriori tappe della re-immatricolazione dei veicoli” – ha ribadito con forza l’alto rappresentante Borrell ieri in una conferenza stampa dai toni quasi sconsolati – mentre “alla Serbia di sospendere l’emissione di nuove targhe con le denominazioni delle città kosovare, incluse quelle KM”.
    Secondo le parole di Borrell il vero scoglio sarebbe Pristina (“Vučić ha accettato, mentre il primo ministro Kurti non l’ha fatto”), che dovrebbe convincersi in queste ore a fare passi indietro sul piano a tappe. Dopo i primi 21 giorni di novembre con un solo avvertimento, a chi non si adeguerà da giovedì (24 novembre, con una doppia proroga per un totale di tre giorni) e il 21 gennaio sarà emessa una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro. Proprio per questa ragione sono tornate a crescere le tensioni nel nord del Paese: il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali. La denuncia è di “violazione del diritto internazionale”, sommata alla mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia).

    I thank Ambassador Hovenier for his commitment and engagement. I accept his request for a 48-hour postponement on imposition of fines for illegal ‘KM’ (and other) car plates. I am happy to work with the US and the EU to find a solution during the next two days. https://t.co/iXq1SCM8JL
    — Albin Kurti (@albinkurti) November 21, 2022

    Il ruolo dell’Italia tra Kosovo e Serbia
    Mentre la situazione sul campo rischia di tornare ad aggravarsi per le dispute politiche delle due parti, il nuovo governo italiano guidato da Giorgia Meloni cerca di rafforzare la tradizionale posizione di Roma di sponsor delle prospettive di integrazione della regione nell’Unione, provando a mettere sul tavolo tutto il suo peso politico e affiancandolo a una proposta di mediazione franco-tedesca di ampio respiro. Oggi i ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, hanno guidato una missione diplomatica in entrambe le capitali balcaniche, per incontrare gli omologhi e i leader che rischiano di far naufragare oltre 10 anni di mediazione guidata dall’Ue.
    “Ho apprezzato la decisione del Kosovo di sospendere per 48 ore l’imposizione di multe per la questione delle targhe, è un segnale positivo di disponibilità, che ho sentito anche dalla Serbia”, ha dichiarato alla stampa il titolare della Farnesina. Il ministro Tajani ha poi sottolineato di nutrire “speranza” per un compromesso: “Noi siamo venuti a cercare soluzioni, non ci schieriamo, ma stiamo nel mezzo per cercare e favorire soluzioni ai problemi”, dal momento in cui “le iniziative unilaterali non servono a raggiungere un compromesso, vogliamo che riparta il dialogo e il confronto”. Secondo le parole del ministro degli Esteri italiano, “tocca a noi svolgere un ruolo di pacificatori, saremo una garanzia sia per la minoranza serba in Kosovo sia per i kosovari”.
    Il ministro Crosetto ha parlato di “tempi difficili”, perché “il clima è peggiorato nelle ultime settimane” nel nord del Kosovo. L’Italia comunque “ha il dovere di essere protagonista nel dialogo“, per aiutare i due partner a “cercare insieme una soluzione a un problema che impedisce lo sviluppo e il reciproco rispetto”. Il quadro è sempre quello dell’adesione di entrambi i Paesi balcanici all’Ue: “L’Europa è una grande famiglia, ma dove bisogna saper convivere” e, “quando due membri futuri non vanno d’accordo, la responsabilità degli altri è di farli sedere a tavola e farli mettere d’accordo in modo che nessuno si senta trattato in modo diverso“. Questo è ciò che si propone di fare l’Italia nel nuovo quadro di mediazione in cui si è inserita di prepotenza, di fronte a un’escalation che la riguarda da vicino (il continente italiano è quello più consistente nella forza militare della Nato Kosovo Force): “È troppo importante questa parte dell’Europa per lasciarla da sola in momento di difficoltà“, ha concluso Crosetto.

    Oggi missione congiunta con il Ministro della Difesa @GuidoCrosetto in Serbia e Kosovo. Lavoriamo per allentare le tensioni tra i due Paesi, anche grazie alla presenza del nostro contingente militare. L’Italia vuole essere protagonista di pace anche nei Balcani Occidentali.
    — Antonio Tajani (@Antonio_Tajani) November 22, 2022

    Il premier kosovaro, Albin Kurti, ha accettato una proroga (fino a giovedì 24 novembre) al piano graduale di re-immatricolazione dei veicoli nel nord del Paese, per cercare un’intesa dell’ultimo minuto. Intanto i ministri Tajani e Crosetto guidano la missione nei due Paesi balcanici

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    Salta ancora l’accordo tra Serbia e Kosovo sulle targhe. L’Ue: “Vučić e Kurti pieni responsabili del fallimento dei colloqui”

    Bruxelles – Il biasimo dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nei confronti di Kosovo e Serbia non è mai stato così diretto e veemente. “Informerò gli Stati membri, i ministri degli Esteri e i nostri partner del comportamento non costruttivo delle parti e della totale mancanza di rispetto per i loro obblighi legali internazionali, in particolare del Kosovo“, è il commento rilasciato al termine di una riunione d’emergenza che sarebbe dovuta essere decisiva per mettere fine all’escalation di tensione alla frontiera tra i due Paesi.
    E invece, davanti al “livello di tensione più pericoloso dal 2013” – come lo stesso alto rappresentante Borrell lo aveva definito pochi giorni fa – il vertice di alto livello di oggi (lunedì 21 novembre) a Bruxelles con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, ha inviato “un segnale politico molto negativo”. Convocato ieri (domenica 20 novembre) dopo una settimana di lavoro intenso tra i capi-negoziatori di Pristina e Belgrado, la riunione di emergenza avrebbe dovuto portare a una “de-escalation della situazione”, chiudendo la politica di “gestione permanente della crisi” e iniziando a “progredire verso la normalizzazione delle relazioni”, aveva messo in chiaro Borrell. “Si trattava di una responsabilità di entrambi i leader”, ma “purtroppo oggi non hanno trovato un accordo per una soluzione”, sono le parole prive di speranza dopo l’ultimo incontro tra i due leader balcanici.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Mentre il tempo stringe nel nord del Kosovo sulla questione della re-immatricolazione dei veicoli con targa serba, l’attacco da parte di Bruxelles è durissimo: entrambi i leader “si assumono la piena responsabilità per il fallimento dei colloqui di oggi e per qualsiasi escalation e violenza che potrebbe verificarsi sul terreno“. Nel corso della riunione l’alto rappresentante Borrell e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, hanno presentato “una proposta che avrebbe potuto risolvere la situazione che il presidente Vučić ha accettato, mentre il primo ministro Kurti non l’ha fatto“. Anche senza un accordo, l’alto rappresentante Borrell ha chiesto con particolare forza – ripetendolo intenzionalmente due volte – al Kosovo di “sospendere immediatamente ulteriori tappe della re-immatricolazione dei veicoli” – e alla Serbia di “sospendere l’emissione di nuove targhe con le denominazioni delle città del Kosovo, incluse le targhe KM” (acronimo di Kosovska Mitrovica).
    Risulta chiaro dalle parole di Borrell che però è soprattutto Pristina a non essere disposta a fare passi indietro sul piano a tappe per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe presentato lo scorso 28 ottobre: a chi non si adeguerà – dopo i primi 21 giorni di novembre con un solo avvertimento – da domani (22 novembre, con una proroga di un giorno decisa ieri) e il 21 gennaio sarà emessa una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro.

    “I will inform 🇪🇺 Member States, Foreign Ministers and our partners about the unconstructive behaviour of Parties and complete lack of respect for their intl legal obligations, and this goes in particular for Kosovo. This send a very negative political signal.” https://t.co/Aq5XlUfvZ8
    — Peter Stano (@ExtSpoxEU) November 21, 2022

    Le tensioni tra Serbia e Kosovo
    Le tensioni crescenti sono legate agli eventi nel nord del Kosovo dopo l’introduzione del piano graduale del governo di Pristina sulle targhe. Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia).
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (21 novembre 2022)
    La situazione è “ancora peggio di agosto”- quando si era riaccesa la disputa – dal momento in cui “meno di 50 poliziotti kosovaro-albanesi stanno gestendo la situazione, e certamente non sono abbastanza”, ha avvertito Borrell: “Questo crea un vuoto di sicurezza sul campo molto pericoloso in una situazione di fragilità evidente“. Nemmeno la presenza della missione dell’Ue Eulex e della forza militare della Nato Kosovo Force (Kfor) è sufficiente, perché “non possono prendere il posto della polizia locale, non è nel loro mandato”. Ed è per questo che l’appello continuo di Bruxelles è quello del “ritorno della minoranza serba nelle rispettive istituzioni del Kosovo” e alla distensione del clima da parte di Belgrado.
    Pristina è invece chiamata mettere fine alla sua posizione intransigente e lasciare spazio a un compromesso più ampio, che chiuda oltre 10 anni di mediazione diplomatica dell’Ue. È per questo che domani (martedì 22 novembre) i ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, saranno in visita nei due Paesi balcanici per incontrare gli omologhi e i leader che oggi non hanno trovato un’intesa, mettendo in campo tutto il peso politico che l’Italia possiede sulle prospettive di integrazione della regione nell’Unione. Nel frattempo Francia e Germania spingeranno sulla proposta di mediazione che Borrell ha definito “una bussola di due pagine” e che dovrebbe fornire un nuovo orizzonte per i rapporti tra Serbia e Kosovo. Ma oggi le speranze di una de-escalation sono appese solo a un filo, come è apparso dal volto quasi sconsolato di Borrell al termine del punto con la stampa.

    Il presidente serbo e il premier kosovaro non hanno raggiunto un’intesa considerata decisiva dall’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, per mettere fine all’escalation di tensione nel nord del Kosovo. Duro attacco da Bruxelles: “Comportamento non costruttivo, in particolare da Pristina”

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    I Ventisette hanno autorizzato la Commissione ad avviare i negoziati per dispiegare Frontex nei Balcani Occidentali

    Bruxelles – Il dispiegamento degli agenti Frontex su tutte le frontiere dei Balcani Occidentali si avvicina sempre di più. Dopo la raccomandazione della Commissione Europea dello scorso 26 ottobre, il Consiglio dell’Ue ha deciso oggi (venerdì 18 novembre) di autorizzare i negoziati con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia per ampliare gli accordi sulla cooperazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.
    Gli accordi negoziati nell’ambito del nuovo mandato di Frontex consentiranno all’agenzia di assistere i quattro Paesi balcanici nella gestione delle persone migranti in arrivo, nel contrastare l’immigrazione irregolare e nell’affrontare la criminalità trans-frontaliera. I nuovi accordi consentiranno al personale Frontex di esercitare poteri esecutivi, come i controlli di frontiera e la registrazione delle persone.
    In altre parole, se il nuovo quadro giuridico sarà negoziato secondo i termini di Bruxelles, i corpi permanenti dell’Agenzia Ue potranno essere dispiegati in tutta regione: non più solo alle frontiere esterne dell’Ue ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi. In questo scenario, Frontex potrà operare con pieni poteri esecutivi anche alle frontiere tra Macedonia del Nord-Albania, Macedonia del Nord-Serbia, Albania-Montenegro, Montenegro-Serbia, Montenegro-Bosnia ed Erzegovina e Serbia-Bosnia ed Erzegovina. Rimane anche sul fronte della gestione congiunta delle frontiere il buco nero del Kosovo, dal momento in cui non c’è ancora l’unanimità tra i Ventisette sul riconoscimento della sua sovranità (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia si oppongono).
    A oggi, il dispiegamento degli agenti può avvenire solo alle frontiere degli Stati membri dell’Unione (e senza poteri esecutivi). “Le sfide migratorie nella rotta dei Balcani Occidentali non iniziano alle frontiere dell’Unione”, ha commentato il ministro dell’Interno della Repubblica Ceca e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Vít Rakušan: “La cooperazione con i nostri partner, anche attraverso l’invio di personale Frontex, è essenziale per individuare e bloccare tempestivamente i movimenti migratori irregolari“. Secondo il ministro ceco, questo accordo “migliorerà la protezione delle frontiere esterne dell’Unione”, contribuendo allo stesso tempo “agli sforzi dei Paesi dei Balcani Occidentali per impedire ai contrabbandieri di utilizzare i loro territori come tappe di transito“.
    Lo stato dell’arte degli accordi Frontex con i Balcani Occidentali
    Gli accordi sullo status di Frontex nell’ambito del precedente mandato dell’Agenzia europea sono stati conclusi con l’Albania nell’ottobre 2018, con il Montenegro nell’ottobre 2019 e con la Serbia un mese più tardi, mentre dal 2017 è in stallo quello con la Bosnia ed Erzegovina, mai firmato dal momento dell’entrata in vigore del regolamento rivisto. È per questo motivo che per la Commissione era considerato cruciale il via libera alle raccomandazioni dal Consiglio dell’Ue, per autorizzare lo stesso esecutivo ad avviare i negoziati con Tirana, Podgorica, Belgrado e Sarajevo.
    Nel corso del tappa a Skopje dello scorso 26 ottobre (nel contesto del suo viaggio nei Balcani Occidentali), la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha messo il cappello sulla firma del secondo accordo con la Macedonia del Nord, che permetterà a Frontex di dispiegare squadre di gestione delle frontiere, sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). Si tratta del primo documento ufficiale firmato dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue della Macedonia del Nord, in cui ha rivestito un ruolo significativo la traduzione anche in lingua macedone, “senza note, senza asterischi, su un piano di parità con tutte le 24 lingue dell’Unione Europea”, ha sottolineato von der Leyen.
    A questo si aggiunge un nuovo pacchetto di assistenza da 39,2 milioni di euro nell’ambito dello strumento di assistenza pre-adesione (IPA III) per rafforzare la gestione delle frontiere nei Balcani Occidentali. I finanziamenti di Bruxelles – arrivati a 171,7 milioni di euro – serviranno principalmente per l’acquisto di attrezzature specializzate, come sistemi di sorveglianza mobile, droni, dispositivi biometrici, formazione e sostegno ai Centri nazionali di coordinamento e creazione di strutture per “accoglienza e detenzione”, specifica l’esecutivo Ue.

    Con il via libera del Consiglio dell’Ue, l’esecutivo comunitario potrà negoziare con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia l’operatività dei corpi permanenti non più solo alle frontiere esterne dell’Unione ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi, garantendo poteri esecutivi

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    L’Ue cerca di avvicinare la Serbia mettendola al centro dei progetti balcanici (e con il più alto supporto contro la crisi)

    Bruxelles – L’Unione Europea cambia strategia e cerca di convincere la Serbia ad allinearsi alle richieste di Bruxelles mettendola al centro dei progetti infrastrutturali, energetici e di connettività di tutta la regione balcanica, per un collegamento ulteriore al resto d’Europa. Non può passare inosservato il fatto che la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, non ha scelto la capitale Belgrado come tappa serba del suo viaggio di quattro giorni nei Balcani Occidentali (come ha invece fatto per Macedonia del Nord, Kosovo, Albania e Bosnia ed Erzegovina), ma Jelašnica, presso Niš, nel sud del Paese.
    Proprio qui sorgerà “entro il prossimo anno” l’interconnettore di gas che collegherà la Serbia alla Bulgaria, un progetto finanziato all’80 per cento da Commissione e Banca europea per gli investimenti (Bei). Lo scopo è duplice: non solo “aprirà il mercato serbo del gas alla diversificazione e migliorerà la sicurezza energetica” del Paese (che pochi mesi fa ha siglato un nuovo contratto con Gazprom), ma soprattutto “vi avvicinerà all’Ue”, ha promesso la numero uno della Commissione al presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. L’esortazione è quasi latina – “bisogna essere in due per ballare il tango” – ma l’obiettivo è senza dubbio pragmatico: “È necessario, una dipendenza troppo incentrata sul gas russo non è positiva“. La presenza di von der Leyen sul sito dei lavori in Serbia è una dimostrazione che “siamo già insieme in un’Unione dell’energia“, perché “qualsiasi cosa faccia l’Unione Europea, i Balcani Occidentali sono inclusi” e viceversa: “Un miglioramento dell’interconnettore del gas qui ha un’influenza positiva per l’intera Unione Europea”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučič (Jelašnica, 28 ottobre 2022)
    L’Unione dell’energia coinvolge anche l’approvvigionamento energetico da “fornitori affidabili” attraverso la piattaforma di acquisto congiunto del gas, a cui “anche la Serbia è invitata a unirsi”. Per i Ventisette è cruciale “usare il nostro potere di mercato per ottenere risultati migliori dove c’è molta concorrenza, soprattutto sui prezzi”, ha spiegato la numero uno dell’esecutivo comunitario. Ed è qui che si inserisce la questione del supporto energetico dell’Ue a tutti i partner dei Balcani Occidentali, il vero filo rosso della visita di von der Leyen nelle sei capitali. Dopo gli 80 milioni per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania, i 75 milioni per il Kosovo e i 70 milioni per la Bosnia ed Erzegovina, la presidente della Commissione ha annunciato “165 milioni di euro in sovvenzioni per il sostegno immediato al bilancio della Serbia, per aiutare famiglie e imprese vulnerabili” ad affrontare i prezzi dell’energia alle stelle. Si tratta di gran lunga dell’importo più alto tra tutti i partner balcanici, tanto che il leader serbo non ha potuto nascondere un moto di sincera ammirazione: “È una cifra enorme per noi, dobbiamo ringraziare i contribuenti dell’Unione, soprattutto quando qualcuno ci offre un supporto economico senza chiedere nulla in cambio”.
    Ma è la seconda parte del sostegno di Bruxelles a interessare con ancora più forza, almeno sul medio/lungo periodo. L’Ue finanzierà con un pacchetto da 500 milioni di euro in sovvenzioni progetti nazionali e congiunti su energie rinnovabili e infrastrutture transfrontaliere, come quella tra Serbia e Bulgaria visitata dai due leader. Nel taccuino di von der Leyen c’è l’interconnettore del gas tra Serbia e Macedonia del Nord, progetto che “completerà il collegamento della regione”, ma anche un grande esempio di quella “interdipendenza” tra i Balcani Occidentali e il resto dell’Europa: “Il Corridoio Elettrico Trans-Balcanico è affascinante, tutto sarà connesso dall’Italia alla Bulgaria passando per la Serbia, il Montenegro e la Bosnia ed Erzegovina”. In questo modo “ci aiuteremo a vicenda, per non trovarci mai più in un collo di bottiglia come quello di oggi”.

    The 🇷🇸🇧🇬 gas interconnector will improve Serbia’s energy security – and bring you one step closer to the EU.
    We also invite 🇷🇸 to take part in our EU joint procurement of energy.
    We will be happy to have Serbia with us. https://t.co/vGFNe1HBcN
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) October 28, 2022

    La Serbia tra Ue, Russia e Kosovo
    Oltre alle interconnessioni e all’energia c’è di più, in particolare sul fronte della politica internazionale. La prima questione è legata strettamente all’invasione russa dell’Ucraina e allo stretto legame della Serbia con Mosca. Da quando è scoppiata la guerra Bruxelles chiede insistentemente a Belgrado di rendere coerente la propria politica sulle sanzioni contro la Russia a quella dell’Ue, ma a oggi non si vedono spiragli per uno scostamento dall’ormai insostenibile posizione di neutralità tra i partner occidentali e l’alleato storico. La presidente von der Leyen ha utilizzato molta cautela nel sottolineare la necessità di un allineamento alla politica estera e di sicurezza dell’Unione – “questa guerra sta ridefinendo il panorama della sicurezza dell’intero continente, permettetemi di assicurarvi che l’Ue è e rimarrà il più importante partner politico ed economico della Serbia” – proprio per non compromettere la nuova strategia improntata più sullo stretto coinvolgimento sul campo e la persuasione economica del partner balcanico.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučič (Jelašnica, 28 ottobre 2022)
    Il secondo capitolo più urgente riguarda le tensioni tra la Serbia e il Kosovo, a tre giorni dalla scadenza fissata dal governo di Pristina per la re-immatricolazione dei veicoli nel Paese (dopo due rinvii consecutivi, per un totale di tre mesi). Da lunedì 31 ottobre tutti i mezzi di trasporto dovranno presentare targhe kosovare e potrebbero essere sequestrati quelli che circolano ancora con targhe serbe, molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese. Per Belgrado tutto ciò rappresenta una provocazione (nonostante la misura sia identica a quella applicata dalla Serbia): “Sono molto preoccupato per i rapporti con Pristina, ma facciamo il possibile per mantenere la pace e la stabilità”, ha affondato il presidente Vučić, rispondendo a distanza alle parole di ieri dell’omologa kosovara, Vjosa Osmani. Lo stesso leader serbo ha convocato il Consiglio per la sicurezza nazionale, per valutare come rispondere a eventuali tensioni violente al confine, come quelle scoppiate a fine luglio nord del Kosovo
    “Sappiamo tutti per esperienza che solo con il dialogo siamo in grado di risolvere i conflitti, c’è ancora tempo“, ha assicurato la presidente von der Leyen. Ma dopo un anno di soluzione provvisoria (la numero uno della Commissione si trovava proprio in Serbia il 30 settembre 2021, quando era stata firmata) e tre mesi di confronto tra Pristina e Belgrado, i due Paesi balcanici non sono riusciti a raggiungere un’intesa definitiva, come invece hanno fatto sul riconoscimento dei documenti d’identità nazionali lo scorso 27 agosto. Bruxelles e Washington spingono per un ultimo rinvio di 10 mesi della scadenza, per avere maggiori prospettive di compromesso, ma il governo kosovaro non sembra voler fare ulteriori concessioni. Servirà un colpo di coda diplomatico della leader dell’esecutivo comunitario per imprimere una svolta.